ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione   sorto   a   seguito
 dell'istanza  del Procuratore regionale presso le Sezioni della Corte
 dei Conti per la Sicilia datata 12 marzo 1997, con la quale e'  stata
 chiesta  l'emissione  di decreto di condanna con formula esecutiva in
 favore dell'Erario statale, a seguito del giudizio per resa di  conto
 a  carico  di  M.N.,  promosso  con  ricorso della Regione Siciliana,
 notificato il  19  maggio  1997,  depositato  in  cancelleria  il  23
 successivo ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 1997.
   Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente  del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1999  il  giudice  relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Lo  Bue  e  Laura Ingargiola per la
 Regione Siciliana e l'Avvocato dello  Stato  Sergio  Laporta  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  notificato  il 19 maggio 1997, e depositato il
 successivo 23 maggio, la Regione Siciliana ha sollevato conflitto  di
 attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla istanza del
 12  marzo  1997  con  cui  il Procuratore regionale presso le sezioni
 della Corte dei conti per la Regione  Siciliana  ha  chiesto  che  il
 decreto  di  condanna n. 151 del 15 aprile 1996, emesso dalla Sezione
 giurisdizionale, venisse rilasciato con formula  esecutiva  intestata
 "in   favore  dell'erario  statale",  nonche',  conseguentemente,  in
 relazione alla nota del Procuratore regionale in data 18  marzo  1997
 concernente  l'interpretazione  della  formula  esecutiva  apposta in
 calce al predetto decreto. Secondo  la  Regione,  gli  atti  predetti
 invadono  le  sue  attribuzioni  in  materia  finanziaria,  in quanto
 individuano nello Stato il beneficiario di una sanzione pecuniaria da
 riscuotersi nel territorio della Regione, in violazione dell'art.  36
 del suo statuto, e degli articoli 2 e 3 del d.P.R. 26 luglio 1965, n.
 1074  (Norme  di  attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in
 materia finanziaria).
   La  ricorrente  premette  che, in un giudizio per resa di conto, la
 Corte dei conti  -  Sezione  giurisdizionale  per  la  Sicilia  -  ha
 condannato  un  agente  contabile  dell'ENASARCO  al pagamento di una
 sanzione pecuniaria per mancata presentazione dei  conti,  e  che  la
 segreteria della Sezione, nel rilasciare all'Ufficio della Procura la
 copia   esecutiva   del  decreto  di  condanna  per  la  trasmissione
 all'amministrazione  interessata  all'esecuzione,  ha  intestato   la
 formula   esecutiva   "nell'interesse  dell'erario  regionale".    Il
 Procuratore, prosegue la Regione, ritenendo  che  beneficiario  della
 pena  pecuniaria  fosse invece lo Stato, ha convenuto in giudizio, ai
 sensi dell'art. 25 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 (Approvazione del
 regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti),
 la Regione stessa ed il Ministero del tesoro al fine di acquisire sul
 punto   l'interpretazione   della   Sezione    giurisdizionale,    ma
 quest'ultima,  estromessi  i due convenuti, con sentenza n. 44 del 24
 febbraio 1997 ha rigettato la domanda  sul  presupposto  che  non  vi
 fosse  alcuna statuizione del decreto suscettibile di interpretazione
 in quanto "oscura". La Regione espone di essere stata successivamente
 informata dal Procuratore regionale che lo stesso aveva richiesto  al
 Presidente  della Sezione giurisdizionale, ai sensi dell'art. 476 del
 codice di procedura civile, il rilascio di una nuova copia  esecutiva
 del  decreto di condanna con formula intestata "in favore dell'erario
 statale", e quindi, a seguito del rilascio di una copia  con  formula
 intestata    "nell'interesse    dell'erario",   ne   aveva   disposto
 l'esecuzione in favore dello Stato.
   2. - Secondo la Regione Siciliana,  la  richiesta  del  Procuratore
 regionale  di  intestare  allo Stato la condanna irrogata dalla Corte
 dei conti, nonche' l'interpretazione data  dallo  stesso  Procuratore
 alla  formula esecutiva "nell'interesse dell'erario" - formula di per
 se' stessa non lesiva - nel senso che essa  si  riferisca  all'erario
 statale,   ledono  le  proprie  attribuzioni  statutarie  in  materia
 finanziaria.
   La Regione sostiene che, ai sensi  dell'art.  36  dello  statuto  e
 degli  artt.  2  e  3  del  decreto  presidenziale  n. 1074 del 1965,
 sarebbero di propria  spettanza  "tutte  le  entrate  tributarie  ivi
 comprese  le  entrate  accessorie  nonche' tutte le entrate derivanti
 dall'applicazione  di  sanzioni   pecuniarie   da   qualsiasi   fonte
 provengano e comunque riscosse nell'ambito del territorio regionale".
 Di   conseguenza,  poiche'  la  pena  pecuniaria  in  questione  deve
 riscuotersi nel suo territorio, la Regione Siciliana avrebbe  diritto
 al  relativo importo, attesa anche la natura puramente sanzionatoria,
 e non risarcitoria, della relativa condanna.
   Secondo la Regione e' altresi'  irrilevante  che  la  sanzione  sia
 stata  irrogata  da un organo statale, in quanto non vi sarebbe alcun
 necessario parallelismo fra potesta' sanzionatoria e titolarita'  del
 relativo   credito,   secondo  quanto  affermato  anche  dalla  Corte
 costituzionale con la decisione n. 84 del 1968.
   3. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, con
 il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che  ha  eccepito
 l'inammissibilita' del conflitto e la sua infondatezza.
   Secondo  la  difesa  erariale,  il  ricorso  e'  inammissibile, sia
 perche' proposto in relazione ad  una  mera  istanza,  cui  non  puo'
 riconoscersi  alcuna  capacita'  lesiva delle attribuzioni regionali;
 sia perche' diretto contro  atti  dell'autorita'  giurisdizionale,  o
 comunque   contro   atti   "serventi"   o  "strumentalmente  inerenti
 all'esplicazione" della funzione giurisdizionale.
   Nel merito, l'Avvocatura generale  sostiene  che  il  conflitto  e'
 comunque   infondato,   perche'   l'intero   contesto   del   decreto
 presidenziale n. 1074 del 1965 rende palese, a  suo  avviso,  che  le
 relative  norme di attuazione dello statuto siciliano "riguardano, in
 via  esclusiva,  entrate  tributarie".  In  particolare,  la   difesa
 erariale rileva che l'art. 3 del decreto, dovendo leggersi unitamente
 agli  artt.  1,  2  e  4, puo' riferirsi soltanto alle "sole sanzioni
 pecuniarie applicate per le violazioni (anche  penalmente  rilevanti)
 di norme tributarie", mentre, nella fattispecie in esame, la sanzione
 si  collegherebbe ad un rapporto giuscontabilistico, che quindi nulla
 avrebbe a che vedere  con  quello  considerato  dalla  disciplina  di
 attuazione statutaria richiamata dalla Regione Siciliana.
   Data  la  carenza dei presupposti di legge, deve anche respingersi,
 ad avviso dello Stato, l'istanza preliminare di sospensione dell'atto
 impugnato.
   4. - Alla pubblica  udienza  del  9  marzo  1999,  le  parti  hanno
 insistito nelle rispettive conclusioni.
                         Considerato in diritto
   1.  -    Il  conflitto  di  attribuzione nei confronti dello Stato,
 promosso dalla Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe,
 concerne l'istanza 12 marzo 1997 con  cui  il  Procuratore  regionale
 della  Corte  dei  conti  presso  la Regione Siciliana ha chiesto, ai
 sensi dell'art.  476, comma 2, del codice di procedura civile, che il
 decreto  di  condanna  n.  151  del  15  aprile  1996  della  Sezione
 giurisdizionale  venisse  rilasciato  con formula esecutiva intestata
 "in  favore  dell'erario  statale",  nonche'  concerne,  quale   atto
 conseguenziale,  la  nota del Procuratore regionale del 18 marzo 1997
 relativa alla formula esecutiva apposta in calce al predetto  decreto
 "cosi' come interpretata dal Procuratore regionale" stesso.
   La  Regione  Siciliana deduce l'invasione delle sue attribuzioni in
 materia finanziaria  e  formula  istanza  cautelare  di  sospensione,
 poiche'  i  suddetti atti attribuirebbero illegittimamente allo Stato
 l'importo proveniente dal citato decreto di condanna n. 151 del 1996,
 nonostante che si tratti di sanzione  pecuniaria  da  riscuotere  nel
 territorio  della  Regione,  violando cosi' l'art. 36 dello statuto e
 gli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 1074 del 1965.
   2. - Il ricorso non e' fondato.
   Va premesso che, in base all'art. 1 del decreto  di  attuazione  n.
 1074  del  1965,  la  Regione  Siciliana  provvede  al suo fabbisogno
 finanziario mediante: a) le entrate derivanti dai suoi beni demaniali
 e  patrimoniali  o  connesse  all'attivita'  amministrativa  di   sua
 competenza; b) le entrate tributarie ad essa spettanti.
   In  questo  quadro normativo, il provento della sanzione pecuniaria
 irrogata, al termine di un giudizio per resa di conto, dalla  Sezione
 giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana con il
 citato  decreto  n.  151  del  1996, non puo' costituire, per profili
 oggettivi e  soggettivi,  una  entrata  di  spettanza  della  Regione
 Siciliana,  anche  se  la relativa riscossione avviene nel territorio
 regionale.  Si tratta in realta' di una "pena pecuniaria" per  omessa
 presentazione dei conti giudiziali, ai sensi dell'art. 46 del r.d. 12
 luglio  1934, n. 1214, concernente un agente contabile dell'ENASARCO,
 cioe'   dell'ente   nazionale   di   assistenza   per  gli  agenti  e
 rappresentanti di commercio, sul quale si esplica  la  vigilanza  del
 Ministero  del lavoro e della previdenza sociale (cfr. l'art. 1 della
 legge 2 febbraio 1973, n.  12).
   Pertanto sia il profilo oggettivo  di  questa  sanzione  pecuniaria
 relativo   all'omessa  resa  di  conto,  sia  il  profilo  soggettivo
 dell'ente di appartenenza del dipendente condannato non  denotano  la
 presenza  di  elementi  qualificativi  dell'entrata  come  di  natura
 tributaria.   Il provento di tale sanzione  quindi  non  puo'  essere
 annoverato  tra  le "entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito
 del suo territorio", di cui all'art. 2 del d.P.R. n. 1074  del  1965.
 Ma  non  puo'  essere  annoverato neppure tra le entrate di spettanza
 regionale  "derivanti  dall'applicazione   di   sanzioni   pecuniarie
 amministrative  e  penali",  di  cui all'art. 3 dello stesso decreto,
 poiche' anche questa disposizione, come si desume  sia  dal  richiamo
 testuale  agli  "interessi  di  mora" e alle "soprattasse", sia dalla
 connessione sistematica con il successivo art.  4  che  si  riferisce
 anche esso, come il citato art. 2, ad entrate relative a "fattispecie
 tributarie", presuppone il carattere tributario dell'entrata stessa.
   In ogni caso, anche se si ritenesse che il predetto art. 3 riguardi
 non  le entrate di natura tributaria, ma piuttosto quelle di cui alla
 lettera a) del citato art. 1 del decreto n. 1074 del 1965,  ossia  le
 entrate  derivanti  dai beni demaniali e patrimoniali della Regione o
 connesse all'attivita' amministrativa di sua competenza, il  provento
 della  sanzione  pecuniaria in questione non potrebbe comunque, per i
 suoi caratteri, essere sussunto nel loro ambito.
   In questo contesto normativo, l'istanza del  Procuratore  regionale
 della  Corte  dei  conti  12  marzo  1997  e  gli atti conseguenziali
 impugnati dalla Regione ricorrente non ledono  dunque  gli  artt.  36
 dello   statuto   della  Regione  Siciliana  e  2  e  3  del  decreto
 presidenziale di attuazione n. 1074 del 1965, in quanto  il  provento
 derivante  da  quella sanzione pecuniaria non puo' essere considerato
 di spettanza regionale.
   Il ricorso della Regione Siciliana va pertanto respinto, mentre  la
 domanda  cautelare  risulta  assorbita  dalla  presente  decisione di
 merito.