ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 3, e
 7 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669,  recante  "Disposizioni
 urgenti   in   materia   tributaria,   finanziaria   e   contabile  a
 completamento della manovra di finanza  pubblica  per  l'anno  1997",
 convertito  dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ricorso
 della Regione Sardegna, notificato il 28 marzo  1997,  depositato  in
 Cancelleria  il  7  aprile  1997  ed  iscritto  al n. 33 del registro
 ricorsi 1997.
   Visto l'atto di  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del 9 marzo 1999 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  l'avvocato  Sergio  Panunzio  per  la  Regione  Sardegna   e
 l'avvocato  dello  Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso notificato il 28 marzo 1997  e  depositato  il  7
 aprile  1997, la Regione autonoma della Sardegna ha proposto giudizio
 di legittimita' costituzionale degli articoli 1, comma  3,  e  7  del
 decreto  legge  31  dicembre  1996,  n.  669 (Disposizioni urgenti in
 materia tributaria, finanziaria e  contabile  a  completamento  della
 manovra  di  finanza  pubblica per l'anno 1997), convertito in legge,
 con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.
   L'art. 1, comma 3,  del  provvedimento  introduce,  per  i  redditi
 sottoposti  a tassazione separata, di cui all'art. 16 del testo unico
 delle imposte  sui  redditi,  da  indicare  nella  dichiarazione  dei
 redditi,  e  non  soggetti  a  ritenuta  alla  fonte, l'obbligo di un
 versamento a titolo di acconto, nella misura del  20  per  cento,  da
 effettuare  nei termini e con le modalita' previsti per il versamento
 annuale a saldo.
   L'art. 7 del decreto dispone a sua volta che le  entrate  derivanti
 dal  decreto  medesimo  sono  riservate  all'erario  e destinate alla
 copertura degli oneri per il servizio  del  debito  pubblico  nonche'
 alla realizzazione delle linee di politica economica e finanziaria in
 funzione  degli  impegni di riequilibrio del bilancio assunti in sede
 comunitaria, e demanda ad un decreto ministeriale la definizione, ove
 necessarie, delle modalita' di attuazione.
   Secondo la ricorrente, dal combinato disposto di tali due  articoli
 sembra   evincersi  che  le  somme  incassate  a  titolo  di  acconto
 sull'imposta relativa  ai  redditi  soggetti  a  tassazione  separata
 rientrano fra le entrate riservate all'erario, e pertanto non entrano
 a comporre la base per il calcolo della quota di compartecipazione al
 gettito  dell'imposta,  attribuita  alla Regione Sardegna dall'art. 8
 dello statuto speciale. Tale interpretazione risulterebbe  confermata
 dalla  circostanza  che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto
 legge n. 669 del 1996, nel "quadro di classificazione  delle  entrate
 dello  Stato 1997", pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato,
 e' stato aggiunto un nuovo articolo 23 al capitolo  1023,  intitolato
 ai  versamenti  in  acconto  di  cui e' questione, e cio' proprio per
 consentire di contabilizzare separatamente tali entrate, sottraendole
 cosi' dalla  base  di  calcolo  della  compartecipazione  al  gettito
 spettante alla Regione.
   La  disciplina  impugnata  e'  censurata per violazione delle norme
 costituzionali  relative  all'autonomia  finanziaria  della   Regione
 Sardegna,  e  in  particolare  degli  artt.  7,  8 e 54 dello statuto
 speciale e delle relative norme di attuazione,  nonche'  degli  artt.
 116  e  119  della Costituzione; ed altresi' per violazione dell'art.
 54, quarto comma, dello statuto speciale e  del  principio  di  leale
 collaborazione.
   La  ricorrente afferma che, stante la norma dell'art. 8, lettera a,
 dello statuto speciale, che attribuisce alla Regione i  sette  decimi
 del  gettito  delle imposte sul reddito delle persone fisiche e delle
 persone giuridiche,  la  garanzia  dell'autonomia  finanziaria  della
 Regione   comporta   che   lo   Stato   non   possa   ne'  modificare
 unilateralmente le quote di partecipazione regionale al gettito,  ne'
 sottrarre   parte  del  gettito  alla  applicazione  della  quota  di
 compartecipazione. Solo eccezionalmente, in base ad un principio  che
 discenderebbe   dalla  complessiva  disciplina  costituzionale  della
 autonomia  finanziaria  della  Sardegna,  e  che   e'   espressamente
 formulato  nelle  norme  di  attuazione  di  altri  statuti speciali,
 sarebbe consentito disporre che  aumenti  di  gettito  conseguenti  a
 modifiche  legislative  siano riservati allo Stato, sottraendoli alla
 compartecipazione regionale. Ma cio' potrebbe avvenire solo  a  certe
 condizioni:  in  primo  luogo, che si tratti della introduzione di un
 tributo nuovo o della maggiorazione  delle  aliquote  di  un  tributo
 esistente;  in  secondo  luogo,  che  le entrate riservate allo Stato
 siano destinate alla copertura di spese aventi scopi ben  determinati
 e  rientranti nelle materie di competenza statale e non regionale; in
 terzo luogo, che tale riserva sia delimitata temporalmente.
   La disciplina in questione, risultante dal combinato disposto degli
 articoli 1, comma 3, e 7 del decreto n. 669, sarebbe incostituzionale
 in quanto la riserva non si  applicherebbe  ad  un  maggior  gettito,
 derivante  dalla istituzione di un nuovo tributo o dall'aumento delle
 aliquote di un tributo esistente, ma si applicherebbe  ad  una  quota
 del  gettito  ordinario,  costituita dall'acconto, onde si verrebbe a
 ridurre la partecipazione della  Regione  al  gettito  invariato  del
 tributo; e in quanto non sarebbe temporalmente delimitata, ma sarebbe
 disposta in via definitiva.
   Sotto   un   ulteriore  profilo,  le  disposizioni  impugnate  sono
 censurate  dalla   ricorrente   in   quanto   esse   modificherebbero
 sostanzialmente la disciplina statutaria sulla ripartizione fra Stato
 e  Regione  del  gettito  dell'IRPEF,  senza che sia stato sentito il
 parere della Regione:  mentre l'art. 54 dello statuto prevede,  anche
 in  applicazione  del  principio  di  leale  collaborazione,  che  le
 disposizioni  del  titolo  III  dello  statuto  medesimo,  in materia
 finanziaria, possano essere bensi' modificate con legge ordinaria, ma
 solo "sentita la Regione".
   2. - Si e' costituito in  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio,
 chiedendo il rigetto del ricorso.
   Secondo l'Avvocatura, la nuova entrata, di carattere straordinario,
 sarebbe riservata all'erario in conformita' a quanto si prevede nello
 statuto  come deroga alla regola di partecipazione della Regione alle
 entrate erariali.
   Ne' potrebbe obiettarsi che la deroga sarebbe consentita  solo  per
 aumenti  di  gettito originati da nuove imposte o da maggiorazioni di
 aliquote, mentre nella specie si tratterebbe  del  gettito  ordinario
 non  incrementato:  infatti,  osserva  l'Avvocatura,  si tratta di un
 aumento delle entrate  nel  periodo  di  imposta,  essendo  le  norme
 dirette a completare la manovra di finanza pubblica.
   3.  -  In  vista dell'udienza la Regione ricorrente ha prodotto una
 memoria, in  cui  si  ribadiscono  anzitutto  le  argomentazioni  del
 ricorso.
   Osserva  poi  la ricorrente che, pur non essendo possibile indicare
 con esattezza l'entita' della riduzione di entrate  per  la  Regione,
 derivata  dalle norme impugnate, poiche' gli uffici statali non hanno
 risposto alle richieste di dati formulate dalla medesima  ricorrente,
 dovrebbe  trattarsi  di  circa  2,5  miliardi nei due esercizi 1997 e
 1998. Ne sarebbe conseguita  una  grave  alterazione  del  necessario
 rapporto   di   complessiva   corrispondenza   fra  bisogni  e  mezzi
 finanziari, che deve essere salvaguardato secondo  la  giurisprudenza
 di questa Corte.
   La  Regione  ricorda che in una analoga controversia, decisa con la
 sentenza n. 363 del 1993, questa Corte, in  presenza  di  una  simile
 clausola   di  riserva  all'erario  di  nuove  entrate,  adotto'  una
 soluzione interpretativa  sostanzialmente  favorevole  alla  Regione,
 affermando   che   -  in  presenza  di  una  norma  che  condizionava
 l'applicabilita'  nelle   Regioni   ad   autonomia   speciale   delle
 disposizioni  del  decreto legge allora impugnato alla conformita' ai
 rispettivi statuti e alle  norme  di  attuazione  -  la  clausola  di
 riserva all'erario delle nuove entrate doveva ritenersi inapplicabile
 alla  Regione  Sardegna,  in  quanto  non era stato sentito il parere
 della Regione stessa, prescritto dall'art. 54 dello  statuto  per  le
 modifiche  con legge ordinaria della disciplina statutaria in materia
 finanziaria. Siffatta soluzione  non  sarebbe  pero'  praticabile  in
 questa  sede,  poiche'  nel  decreto  legge n. 669 del 1996 manca una
 disposizione  di  salvaguardia  analoga  a   quella   contenuta   nel
 provvedimento allora impugnato.
   Sarebbe   dunque   incontestabile   la   incostituzionalita'  delle
 disposizioni  oggetto  del  ricorso:  in  primo  luogo  perche'  esse
 violerebbero  l'autonomia  finanziaria  della  Regione, in modo ancor
 piu' grave in quanto non e' un maggior gettito tributario  che  viene
 riservato  allo  Stato, ma una quota del gettito ordinario costituita
 dall'acconto; in secondo luogo perche' la riserva all'erario e' stata
 disposta senza rispettare la procedura prevista per la modifica delle
 disposizioni finanziarie dello statuto.  Sarebbe  infine  violato  il
 principio  di  leale  collaborazione,  come  risulterebbe anche dalla
 mancata risposta dello Stato alle richieste di chiarimenti e di  dati
 contabili avanzate dalla Regione.
   La  ricorrente  contesta  poi  che  l'entrata  in  questione  possa
 ritenersi di carattere  straordinario,  avendo  la  nuova  disciplina
 efficacia a tempo indeterminato.
   Quanto  infine  all'argomento dell'Avvocatura erariale, secondo cui
 dalla disciplina impugnata deriverebbe un aumento delle  entrate  nel
 periodo  di  imposta,  si  replica  che  in  realta'  il  senso della
 disciplina in questione non e' di  dar  luogo  ad  un  aumento  delle
 entrate  complessive,  ma  di  aumentare,  a  parita'  di gettito, le
 entrate  per  le  casse   dello   Stato,   come   conseguenza   della
 incostituzionale  riduzione  della  base  di  calcolo  della quota di
 compartecipazione al gettito spettante alla Regione.
                         Considerato in diritto
   1. -   La questione sollevata dalla  Regione  Sardegna  investe  il
 combinato  disposto  degli articoli 1, comma 3, e 7 del decreto legge
 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria,
 finanziaria e contabile a  completamento  della  manovra  di  finanza
 pubblica  per  l'anno  1997), convertito in legge, con modificazioni,
 dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30.
   L'art. 7, riservando all'erario, e destinando alla copertura  degli
 oneri per il servizio del debito pubblico nonche' al riequilibrio del
 bilancio  statale  le entrate derivanti dal medesimo decreto legge n.
 669 del 1996, determinerebbe la attribuzione all'erario  anche  delle
 somme  che  lo  Stato  incassa  ai sensi dell'art. 1, comma 3, ove si
 dispone il versamento di un acconto, nella misura del  20  per  cento
 del  reddito  imponibile, a titolo di acconto dell'imposta dovuta sui
 redditi soggetti a tassazione separata e non soggetti a ritenuta alla
 fonte. In tal modo si ridurrebbe illegittimamente la base di  calcolo
 per   la   compartecipazione   al  gettito,  regionalmente  riscosso,
 dell'imposta sui  redditi  delle  persone  fisiche,  attribuita  alla
 Regione  Sardegna  dall'art.  8,  lettera  a, dello statuto speciale,
 violando sia l'autonomia finanziaria della Regione quale  risulta  in
 particolare  dagli  artt.  7,  8  e 54 dello statuto e dalle relative
 norme di attuazione, sia l'art. 54, quarto comma, dello statuto  (che
 consente   la  modifica  delle  disposizioni  statutarie  in  materia
 finanziaria con legge ordinaria, ma solo col parere della Regione)  e
 il principio di leale collaborazione.
   2. - La Corte non deve, in questa occasione, riproporsi in generale
 il  problema,  se,  in  assenza di norme statutarie o di attuazione -
 analoghe a quelle contenute nelle norme di attuazione  degli  statuti
 di  altre  Regioni  ad  autonomia  differenziata  -  che prevedano la
 possibilita' per lo Stato di riservare all'erario,  con  destinazioni
 specifiche,  nuove  entrate  afferenti  a  tributi  al cui gettito la
 Regione partecipi in quote fissate dallo statuto, la  statuizione  di
 siffatte  riserve  ad  opera  del  legislatore  statale possa trovare
 applicazione anche alla Regione Sardegna, in forza  di  un  principio
 generale  implicito  valido  per tutte le Regioni a statuto speciale,
 ovvero se, invece, richieda, per risultare compatibile con lo statuto
 della Regione Sardegna, la preventiva consultazione di  quest'ultima,
 ai  sensi  dell'art.   54 dello statuto medesimo, traducendosi in una
 modifica dell'ordinamento finanziario della  Regione  statutariamente
 stabilito.   Infatti   la  ricorrente,  nel  presente  giudizio,  non
 contesta,  in  generale,  la  potesta'  del  legislatore  statale  di
 disporre   siffatte   riserve,  a  certe  condizioni  concernenti  la
 tipologia di nuove entrate, la loro destinazione e  la  durata  della
 riserva:  ma  si  limita  a  censurare  l'applicazione della riserva,
 disposta dall'art. 7 del decreto legge n. 669 del 1996, alle  entrate
 acquisite  a  titolo  di  acconto  sull'imposta  dovuta sui redditi a
 tassazione separata, e non soggetti a ritenuta alla fonte, in  quanto
 non  si  tratterebbe  dell'acquisizione di maggiori entrate, ma della
 semplice anticipazione di una quota del gettito tributario, invariato
 nella sua entita' complessiva, al quale la Regione partecipa in forza
 dell'art. 8, lettera a, dello statuto.
   3. - La questione, cosi' delimitata, e' infondata  nei  termini  di
 seguito precisati.
   La  funzione delle clausole di riserva all'erario di nuove entrate,
 come quella per cui e' giudizio, consiste  nell'avocare  allo  Stato,
 per  intero,  entrate  aggiuntive  che  derivano  da nuove discipline
 legislative  di  tributi  al  cui  gettito  partecipano  le  Regioni,
 impedendo  che  di tali incrementi di entrate, destinati per volonta'
 del legislatore statale a finalita'  particolari  da  esso  definite,
 vengano ad usufruire automaticamente, pro quota, anche le Regioni che
 godono  di tale partecipazione al gettito. Cio' comporta che lo Stato
 usufruisca delle nuove entrate aggiuntive, mentre la Regione continua
 semplicemente a godere delle entrate  tributarie  che  ad  essa  gia'
 spettavano  sulla base della disciplina preesistente, senza fruire di
 alcun vantaggio, ma anche senza  subire  alcuna  perdita  di  risorse
 finanziarie,  rispetto  al  passato,  per  effetto  della  disciplina
 legislativa sopravvenuta.
   Clausole di riserva siffatte, riferite alle entrate derivanti dalla
 legge che le dispone, trovano dunque applicazione solo  con  riguardo
 ad  entrate  nuove  nel senso ora precisato, in quanto aventi la loro
 fonte nella stessa legge.
   L'entrata tributaria in questione, invece,  non  ha  la  sua  fonte
 nelle  disposizioni  del  decreto legge impugnato, ma piuttosto nelle
 previgenti, ed invariate, disposizioni che  disciplinano  le  imposte
 sui redditi, e stabiliscono sia i presupposti dell'imposizione, sia i
 criteri per la determinazione delle aliquote applicabili.
   L'art.  1,  comma  3,  del decreto legge impugnato non da' luogo ad
 entrate aggiuntive per il fisco: esso si limita a imporre una diversa
 modalita'  di  riscossione  per  una   quota   dell'imposta   dovuta,
 prescrivendo  il  versamento  in  via di "autotassazione", al momento
 della dichiarazione, di un acconto, laddove  in  precedenza  siffatta
 imposta  veniva  riscossa  per  intero  mediante iscrizione a ruolo a
 seguito di liquidazione effettuata dagli uffici. Di  conseguenza,  la
 riscossione avverra', in parte, in tempi anticipati rispetto a quelli
 prima  realizzabili,  non  dovendosi  piu'  attendere,  se non per il
 calcolo dell'imposta a conguaglio, la  liquidazione  da  parte  degli
 uffici:  ma  non per questo l'imposta sara' dovuta in misura maggiore
 che per il passato.
   Che il fisco si avvantaggi dell'anticipata  riscossione,  e'  fuori
 dubbio;  ma  e'  altrettanto  chiaro  che non si produce propriamente
 alcun  incremento  di  gettito:  alle   maggiori   entrate   che   si
 verificheranno,   nei   primi   anni  di  applicazione  dell'acconto,
 corrisponderanno infatti, nella stessa misura, minori  entrate  negli
 anni  successivi,  quando  verranno  riscossi,  anziche'  gli  interi
 importi dovuti, solo gli importi eccedenti gli acconti gia'  versati.
 In  altri  termini, si avranno, in certi anni, delle maggiori entrate
 in senso contabile, cui faranno riscontro  pero'  minori  entrate  in
 altri  esercizi.  Non  si avranno comunque entrate "nuove", diverse e
 aggiuntive  rispetto  a  quelle  derivanti  dall'applicazione   della
 legislazione  tributaria  previgente, e alle quali lo statuto prevede
 la compartecipazione della Regione in quote prefissate.
   Se non vi sono nuove entrate derivanti dall'applicazione  dell'art.
 1,  comma  3,  del  decreto,  l'art.  7  del medesimo, che dispone la
 riserva allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioe' che
 in esso trovano la loro fonte, non  puo'  trovare  applicazione  agli
 importi riscossi a titolo di acconto sull'imposta dovuta in relazione
 ai redditi a tassazione separata.
   4.  -  Una  diversa  interpretazione  porterebbe, del resto, ad una
 palese  elusione  delle  previsioni  degli  statuti   speciali,   che
 prevedono,  come  nel  caso della Regione Sardegna, la partecipazione
 delle  Regioni  al  gettito  di  determinate  imposte.  Se  bastasse,
 infatti,  la  modifica  delle  modalita'  e  quindi  del  tempo della
 riscossione,  senza  alcun  aumento  del  gettito  complessivo,   per
 consentire  l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo, si
 verificherebbe non gia' l'effetto - corrispondente, come si e' detto,
 alla ratio delle clausole di riserva di nuove entrate all'erario - di
 lasciare invariato il gettito per  la  Regione,  facendo  beneficiare
 solo  lo  Stato  di  un  aumento  di  entrate determinato dalla nuova
 disciplina legislativa; ma quello  di  avocare  allo  Stato  l'intero
 importo   di  un  gettito  tributario  (corrispondente  agli  acconti
 versati) in precedenza ripartito fra lo Stato stesso e la Regione.
   All'aumento delle entrate a favore dello Stato, derivante  da  tale
 avocazione,  farebbe  riscontro  una diminuzione del gettito a favore
 della Regione, la quale verrebbe a partecipare al gettito della  sola
 quota   di   imposte   riscossa,   a  conguaglio,  sulla  base  della
 liquidazione effettuata  dagli  uffici,  e  non  piu',  come  per  il
 passato,  dell'intero importo di esse. Cio' che andrebbe ben oltre lo
 scopo delle stesse clausole di  riserva,  e  si  tradurrebbe  in  una
 modifica  surrettizia  dell'ordinamento  finanziario  della  Regione,
 garantito sul piano costituzionale dalle disposizioni dello  statuto,
 e   modificabile,   bensi',  con  legge  ordinaria,  ma  solo  previa
 consultazione della Regione stessa (art.    54  stat.  spec.  per  la
 Regione Sardegna).
   5.  -  Deve pertanto concludersi che l'art. 7 del decreto impugnato
 non trova applicazione alle entrate tributarie relative agli  acconti
 versati  dai contribuenti in forza dell'art. 1, comma 3, dello stesso
 decreto; onde alla Regione Sardegna spettera' la quota della  imposta
 in  questione,  prevista dall'art. 8, lettera a, dello statuto, anche
 in relazione all'importo dei predetti  acconti  riscossi  nell'ambito
 della Regione medesima.
   Cosi'  intesa,  la  disciplina  impugnata sfugge alle censure mosse
 dalla ricorrente.