ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 2, del
 decreto  legislativo  19  dicembre  1994,  n. 758 (Modificazioni alla
 disciplina sanzionatoria in materia  di  lavoro),  promossi  con  sei
 ordinanze  emesse  il 17 dicembre 1997, il 17 febbraio, il 21 maggio,
 il 6 ed il 16 giugno  (n.  2  ordinanze)  1998  dal  giudice  per  le
 indagini   preliminari  della  Pretura  di  Pistoia,  rispettivamente
 iscritte ai nn. 642, 643, 681, 682, 683, 684 del  registro  ordinanze
 1998  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e
 40, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio  del  28  aprile  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  con  sei ordinanze di analogo tenore, pronunciate in
 altrettanti procedimenti nei quali il pubblico ministero, in mancanza
 di apposite prescrizioni impartite al contravventore  dall'organo  di
 vigilanza,  aveva chiesto l'emissione del decreto penale di condanna,
 il giudice per le indagini preliminari della Pretura circondariale di
 Pistoia ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  76  della
 Costituzione  -  in  relazione all'art. 1, comma 1, lettera b), della
 legge 6 dicembre 1993, n. 499, contenente delega al  Governo  per  la
 riforma dell'apparato sanzionatorio in materia di lavoro -, questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  21, comma 2, del decreto
 legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni  alla  disciplina
 sanzionatoria  in  materia di lavoro), nella parte in cui non prevede
 che l'organo di vigilanza ammetta obbligatoriamente il contravventore
 al pagamento in sede amministrativa di una somma pari al  quarto  del
 massimo  dell'ammenda  stabilita  per la violazione anche nel caso in
 cui  non  venga  impartita  alcuna  prescrizione  per  la   materiale
 impossibilita' della sua emanazione;
     che,  in  particolare,  nelle  ordinanze  di  rimessione r.o. nn.
 681684 del 1998 il giudice a quo rileva  che  l'organo  di  vigilanza
 aveva ritenuto di non impartire alcuna prescrizione a norma dell'art.
 20  del  citato  decreto legislativo, in quanto si trattava di "reato
 gia' consumato e non ottemperabile" mentre nelle ordinanze  r.o.  nn.
 642  e  643 del 1998 l'impossibilita' di impartire la prescrizione e'
 stata  specificamente  ricollegata  alla  natura   della   violazione
 contestata;
     che,  ad  avviso del giudice rimettente, la disciplina denunciata
 si porrebbe in contrasto: con  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  farebbe
 irragionevolmente  dipendere  la  possibilita'  di  definire  in  via
 amministrativa il procedimento dalla natura della  violazione,  ossia
 da  un  elemento  estraneo  alla  volonta' del contravventore, ovvero
 dalla insindacabile  discrezionalita'  dell'organo  di  vigilanza  di
 impartire la prescrizione, e determinerebbe disparita' di trattamento
 tra  il  contravventore  a cui venga imposta una prescrizione che gli
 consente di  definire  la  violazione  contestata  avvalendosi  della
 procedura amministrativa prevista dalla legge, e il contravventore al
 quale  non  venga  impartita  alcuna  prescrizione,  che  si vedrebbe
 preclusa  la  possibilita'  di  definire  in  via  amministrativa  il
 procedimento penale a suo carico, con l'art. 76 Cost., per violazione
 della  direttiva  contenuta  nell'art.  1,  comma 1, lettera b) della
 legge n. 499 del 1993, che delega il Governo a stabilire una causa di
 estinzione  dei  reati  in  materia  di  tutela  della  sicurezza   e
 dell'igiene   del  lavoro  "consistente  nell'adempimento,  entro  un
 termine  non  superiore  al  limite   fissato   dalla   legge,   alle
 prescrizioni  impartite  dagli  organi  di  vigilanza  allo  scopo di
 eliminare la violazione  accertata,  nonche'  al  pagamento  in  sede
 amministrativa   di   una   somma  pari  ad  un  quarto  del  massimo
 dell'ammenda  comminata  per  ciascuna  infrazione"  in   quanto   la
 direttiva  non lascia alcun margine di discrezionalita' all'organo di
 vigilanza, mentre nella disciplina emanata dal  legislatore  delegato
 l'obbligatorieta'   della  prescrizione  risulta  condizionata  dalla
 natura della violazione accertata.
   Considerato che, stante il contenuto pressoche' identico delle  sei
 ordinanze, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
     che  analoga  questione  di  legittimita'  costituzionale e' gia'
 stata presa in esame da  questa  Corte  e  dichiarata  manifestamente
 infondata con ordinanza n. 416 del 1998;
     che  anche  le censure di legittimita' costituzionale oggetto del
 presente giudizio si basano  sull'erroneo  presupposto  che,  ove  si
 tratti  di  reato per cui sia "ontologicamente" impossibile impartire
 qualsiasi prescrizione per eliminare la contravvenzione accertata, la
 natura del reato costituisca elemento idoneo ad incidere  in  termini
 di  irragionevolezza e di ingiustificata disparita' di trattamento in
 relazione  alla   applicabilita'   della   disciplina   del   decreto
 legislativo n. 758 del 1994;
     che,  al  contrario,  l'obiettiva  diversita' della struttura dei
 diversi reati, quale  risultante  dagli  elementi  costitutivi  della
 fattispecie  e,  conseguentemente, il momento in cui si realizzano la
 commissione e la consumazione del reato  stesso,  nonche'  la  natura
 istantanea   o  permanente  del  reato,  appartengono  a  scelte  del
 legislatore, che nella costruzione delle  fattispecie  incriminatrici
 traduce le proprie opzioni di politica criminale, ovvero sono imposte
 dalla  stessa  natura  degli  obblighi  e dei comportamenti di cui si
 vuole imporre l'osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale;
     che  pertanto  eventuali  trattamenti   differenziati   risultano
 giustificati    dalla    diversa    struttura    delle    fattispecie
 incriminatrici;
     che sotto  questo  profilo  non  ha  pregio  neppure  la  censura
 prospettata in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la disciplina
 impugnata   in   realta'   non  riconosce  alcuna  "discrezionalita'"
 dell'organo  di   vigilanza:   l'impossibilita'   di   impartire   la
 prescrizione  secondo  la  prospettazione del rimettente - e' infatti
 una  conseguenza  obbligata  della  struttura  della  contravvenzione
 contestata,  sicche' non puo' configurarsi alcun eccesso di delega da
 parte del legislatore delegante;
     che questa Corte, prendendo in esame con la sentenza  n.  19  del
 1998  la  situazione  del  contravventore  che aveva regolarizzato la
 violazione prima  che  l'organo  di  vigilanza  avesse  impartito  la
 prescrizione,  ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa o
 fosse stata impartita senza osservare le forme richieste dalla legge,
 aveva  precisato  che  esistono  soluzioni  interpretative  tali   da
 consentire egualmente l'applicazione della causa estintiva del reato,
 idonee  a  "ricondurre  situazioni  sostanzialmente omogenee a quelle
 espressamente  previste  dalla  legge  nell'alveo   della   procedura
 disciplinata dagli artt. 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758
 del 1994";
     che  tale  conclusione  trova  il  suo fondamento nella ratio del
 decreto legislativo n. 758  del  1994,  che  si  propone  il  duplice
 obiettivo   di   favorire  l'effettiva  osservanza  delle  misure  di
 prevenzione e di protezione in tema di  sicurezza  e  di  igiene  del
 lavoro  -  materia  in  cui  l'interesse  alla regolarizzazione delle
 violazioni e alla conseguente tutela  dei  lavoratori  e'  prevalente
 rispetto  all'applicazione  della  sanzione penale - e di attuare una
 consistente deflazione processuale;
     che, sulla base di tale ratio, ove risultasse che le  conseguenze
 dannose  o  pericolose  sono  venute  meno grazie ad un comportamento
 volontario dell'autore dell'infrazione, o che il medesimo vi ha posto
 comunque rimedio, anche successivamente al  momento  di  consumazione
 del   reato,   il   contravventore   previa   valutazione   da  parte
 dell'autorita' giudiziaria della natura e delle concrete modalita' di
 realizzazione  della  violazione  contestata potrebbe comunque essere
 ammesso, dopo avere provveduto al pagamento della  somma  dovuta,  al
 procedimento  di  definizione  in  via  amministrativa previsto dagli
 articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994;
     che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.