ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  459,  o  degli
 artt.  459  e seguenti, del codice di procedura penale e dell'art.  2
 della legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica  dell'articolo  323  del
 codice  penale, in materia di abuso  d'ufficio, e degli articoli 289,
 416 e 555 del codice di procedura  penale),  promossi  con  ordinanze
 emesse il 16 settembre, il 5 ottobre, il 22 ottobre e il 16 settembre
 1998  dal  pretore  di  Catania,  il  20 novembre 1998 dal pretore di
 Catania - sezione distaccata di  Paterno',  il  5  ottobre  1998  dal
 pretore di Catania, il 21 dicembre 1998 dal pretore di Firenze, il 15
 dicembre  1998  e  il  14 gennaio 1999 dal pretore di Patti - sezione
 distaccata di Naso, rispettivamente iscritte al n. 885  del  registro
 ordinanze  1998 e ai nn. 1, 2, 45, 60, 75, 93, 132 e 221 del registro
 ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1998 e nn. 4, 6, 7, 8, 9, 11 e
 16, prima serie speciale, dell'anno 1999.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 giugno 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto che con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse  il
 16 settembre (r.o. nn. 885/1998 e 45/1999), il 5 ottobre (r.o.  nn. 1
 e  75/1999)  e  il  22  ottobre 1998 (r.o. n. 2/1999), nell'ambito di
 altrettanti   distinti   giudizi   penali   pervenuti    alla    fase
 dibattimentale  a  seguito  di  opposizione  degli imputati a decreti
 penali  di  condanna,  il  pretore  di  Catania  ha   sollevato,   in
 riferimento  agli  artt.  3  e  97  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 459  e  seguenti  cod.  proc.
 pen.,  che  disciplinano  il procedimento per decreto, nella parte in
 cui  non  prevedono  la nullita' della richiesta di decreto penale di
 condanna e degli atti  conseguenti  (decreto  penale  e  decreto  che
 dispone il giudizio emesso dal giudice, secondo l'art.  565, comma 2,
 cod.  proc. pen., a seguito dell'opposizione dell'imputato) allorche'
 non siano preceduti dall'invito alla persona  sottoposta  a  indagini
 preliminari   a  presentarsi  per  rendere  interrogatorio,  a  norma
 dell'art. 375, comma 3, cod. proc. pen;
     che il rimettente muove dalle modifiche  recate  alla  disciplina
 del  processo  dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, che ha introdotto,
 nel comma 2 dell'art. 555 cod.  proc.  pen.,  una  nuova  ipotesi  di
 nullita'  del  decreto  di  citazione  a giudizio emesso dal pubblico
 ministero nel procedimento ordinario davanti al pretore, in  caso  di
 omissione del previo invito a comparire per rendere l'interrogatorio,
 ma che nulla ha stabilito per il procedimento per decreto penale;
     che  di  tale  omissione legislativa il giudice appunto si duole,
 giacche' per effetto di essa  si  configurerebbe  una  ingiustificata
 differenziazione  tra  imputati,  anche di un medesimo reato, potendo
 essi, attraverso l'eventuale interrogatorio, prospettare  le  proprie
 ragioni  e  addurre  elementi  difensivi  potenzialmente idonei a far
 definire il procedimento con un provvedimento di  archiviazione  solo
 nel   caso  dell'adozione  della  forma  ordinaria  del  procedimento
 medesimo, mentre nel giudizio per decreto tali  deduzioni  potrebbero
 essere fatte valere solo nel dibattimento che segue all'opposizione;
     che  la  suddetta  difforme disciplina di situazioni assimilabili
 appare, al pretore rimettente, lesiva dell'art. 3 della Costituzione,
 perche' non sorretta da una qualche esigenza logica o giuridica;
     che, inoltre,  il  giudice  di  merito  prospetta  la  violazione
 dell'art.     97  della  Costituzione,  ravvisando  nella  disciplina
 anzidetta un fattore di  pregiudizio  per  il  buon  andamento  della
 pubblica  amministrazione,  intesa  in  senso  lato, perche' si rende
 necessaria la celebrazione di un dibattimento penale, con i costi e i
 tempi che cio' comporta, anche nei casi in cui  sarebbe  ipotizzabile
 una   definizione  anticipata  (con  l'archiviazione)  della  vicenda
 processuale;
     che il pretore di Catania - sezione distaccata di  Paterno',  con
 ordinanza  del  20  novembre  1998  (r.o.  n.  60/1999), ha sollevato
 analoga questione di costituzionalita', in riferimento, oltre che  al
 principio  costituzionale di uguaglianza e a quello di buon andamento
 della pubblica amministrazione, altresi' al diritto di  difesa  (art.
 24  della  Costituzione),  del  quale  prospetta  la  lesione  per la
 negazione, nel procedimento per decreto  penale,  della  possibilita'
 per  l'imputato  di  pervenire  a  un  provvedimento favorevole, come
 l'archiviazione,   sulla   scorta   degli   elementi   dallo   stesso
 eventualmente  forniti  nel  corso dell'interrogatorio reso a seguito
 dell'invito a presentarsi emesso a norma dell'art. 375, comma 3, cod.
 proc. pen;
     che anche il pretore di Patti - sezione  distaccata  di  Naso  ha
 proposto,  con  ordinanza  del  15  dicembre 1998 (r.o. n. 132/1999),
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  459  cod.  proc.
 pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
     che,  secondo il rimettente, la mancata previsione dell' "obbligo
 di procedere all'interrogatorio" dell'indagato, prima  di  esercitare
 l'azione  penale  attraverso  la  richiesta  di  emissione di decreto
 penale a) comporterebbe una ingiustificata disparita' di  trattamento
 rispetto  al  caso  del  decreto  di  citazione a giudizio dinanzi al
 pretore emesso nella forma ordinaria (art. 555 cod. proc. pen.), e b)
 sarebbe contrastante con l'esigenza fondamentale della legge  n.  234
 del 1997, che il rimettente individua nella preclusione a un - valido
 -  esercizio  dell'azione  penale  se  prima  non sia stata garantita
 all'imputato  la  possibilita'  di  contraddire   e   di   difendersi
 attraverso  l'interrogatorio, in modo da evitargli la trattazione del
 giudizio in pubblico dibattimento, risolvendo  il  procedimento  gia'
 nella fase dell'indagine preliminare;
     che  il  pretore di Patti ha sollevato altra analoga questione di
 costituzionalita' relativamente all'art. 459  cod.  proc.  pen.,  con
 ordinanza  del  14  gennaio  1999  (r.o. n. 221/1999), formulando, in
 riferimento agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione,  osservazioni
 sostanzialmente  corrispondenti  a quelle dell'ordinanza che precede,
 in  particolare  quanto  all'esigenza,  che  sarebbe  immotivatamente
 elusa,   di   consentire   all'indagato,   tramite   l'interrogatorio
 eventualmente reso, di evitare il giudizio dibattimentale susseguente
 all'opposizione, e di pervenire all'archiviazione;
     che anche il pretore di Firenze, con ordinanza  del  21  dicembre
 1998  (r.o.  n.  93/1999)  ha  denunciato  di incostituzionalita', in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  l'art.  459  cod.
 proc.  pen., unitamente all'art. 2 della citata legge n. 234 del 1997
 (norma, questa, che ha modificato gli artt.  416  e  555  cod.  proc.
 pen.),  in  quanto  non  prevedono  che la richiesta di emissione del
 decreto penale  di  condanna  sia  preceduta,  a  pena  di  nullita',
 dall'invito all'indagato a presentarsi per rendere interrogatorio;
     che  il  pretore  rimettente  ritiene  che  la  privazione  della
 possibilita' di rendere l'interrogatorio, nel  corso  delle  indagini
 preliminari,  per  l'indagato nei cui confronti sia poi formulata una
 richiesta di decreto penale di condanna, a  differenza  dell'indagato
 che  venga  successivamente  citato  a  giudizio  in  via  ordinaria,
 costituisca una disparita' di trattamento priva di giustificazione  e
 altresi' lesiva del diritto di difesa;
     che,  in  particolare,  il  giudice  rimettente esclude che possa
 valere,  quale  argomento  di  segno  opposto,  la  possibilita'  per
 l'imputato  di  esercitare  appieno  il proprio diritto di difesa nel
 contraddittorio dibattimentale, poiche'  la  questione  sollevata  si
 pone  in  relazione alla fase delle indagini preliminari, nella quale
 non v'e' differenza tra indagati che  saranno  citati  a  giudizio  e
 indagati  che  subiranno il decreto penale, entrambi essendo titolari
 delle medesime garanzie difensive;
     che nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  cosi'  promossi
 (tranne  in  quello  di  cui al r.o. n. 221/1999)   e' intervenuto il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   che   ha  concluso  per
 l'infondatezza (r.o. nn.  885/1998; 1, 2, 60, 93 e  132/1999),  o  la
 manifesta  infondatezza  (r.o.  nn.  45  e  75/1999), delle questioni
 sollevate.
   Considerato che le nove ordinanze di rinvio propongono, in  termini
 e  secondo  profili identici o simili tra loro, un'unica questione di
 costituzionalita' e che pertanto i relativi giudizi possono  riunirsi
 per essere definiti con unica decisione;
     che,   chiamata  a  pronunciarsi  su  una  analoga  questione  di
 costituzionalita', sollevata in riferimento agli artt. 3 e  24  della
 Costituzione,  dell'art.   459 cod. proc. pen. nella parte in cui non
 prescrive, prima della richiesta di emissione del decreto  penale  di
 condanna,  la  notifica  all'indagato  dell'invito  a presentarsi per
 rendere interrogatorio, questa Corte ha dichiarato,  con  l'ordinanza
 n. 432 del 1998, la manifesta infondatezza della questione medesima;
     che  nell'anzidetta  decisione  si e' osservato, relativamente al
 profilo di violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  dedotto  -
 allora  come  ora - attraverso il raffronto della disciplina del rito
 speciale con quella del  procedimento  ordinario,  che  la  richiesta
 assimilazione   della   prima  alla  seconda  e'  contraddetta  dalle
 caratteristiche del procedimento per decreto penale, che, per la  sua
 struttura di rito a contraddittorio eventuale e differito, improntato
 a   criteri   di   economia  processuale  e  di  speditezza,  non  e'
 comparabile, come tale, con gli altri modelli delineati dalla vigente
 disciplina del processo penale;
     che si e' inoltre sottolineato che l'estensione al rito  speciale
 del  previo invito a presentarsi a norma dell'art. 375, comma 3, cod.
 proc. pen., non  e'  soluzione  che  possa  dirsi  costituzionalmente
 imposta neppure alla stregua della ratio della legge n. 234 del 1997,
 rappresentata   dall'esigenza   di   garantire   la   conoscenza  del
 procedimento  penale  per  chi  vi  sia  sottoposto,  poiche'  questa
 finalita', nel modulo del procedimento per decreto, si realizza nella
 fase  processuale  che  consegue all'opposizione, operando il decreto
 solo quale mezzo di contestazione dei termini  dell'accusa  (sentenza
 n. 27 del 1966; ordinanza n. 195 del 1970);
     che  ai rilievi che precedono puo' aggiungersi, piu' in generale,
 relativamente  alla  prospettazione,   variamente   formulata   dalle
 ordinanze  di  rimessione,  della  necessaria identita' di disciplina
 degli strumenti di conoscenza,  di  partecipazione  e  di  intervento
 dell'imputato, quale che sia il modulo processuale che in concreto si
 svolga, che tale idea di uniformita' e' estranea al disegno del nuovo
 codice, giacche' questo e' ispirato invece alla pluralita' di modelli
 procedimentali e processuali, nessuno dei quali puo' dirsi costituire
 a  priori  un tipo fondamentale al quale gli altri debbano riferirsi,
 coerentemente con la scelta di  favorire  il  piu'  ampio  ricorso  a
 modelli  alternativi  a quello ordinario: pertanto, una volta che non
 si pongano problemi di violazione di diversi principi  costituzionali
 - in primo luogo il diritto di difesa -, il rispetto dell'uguaglianza
 sotto  il  profilo  della ragionevolezza richiede che le peculiarita'
 processuali siano salvaguardate,  in  relazione  alla  struttura  che
 caratterizza ciascun modello differenziandolo dagli altri;
     che,   relativamente   alla  dedotta  violazione  delle  garanzie
 difensive (art. 24 della Costituzione), si deve rilevare,  come  gia'
 osservato  nella  citata  ordinanza  n. 432 del 1998 di questa Corte,
 che, nel procedimento per decreto penale, l'esperimento dei mezzi  di
 difesa  si svolge nel giudizio che segue all'opposizione, costituendo
 il decreto penale medesimo, ove  opposizione  vi  sia,  soltanto  una
 decisione  preliminare  che  viene  posta  nel  nulla  dalla  mancata
 acquiescenza dell'imputato (sentenza n. 344 del 1991);  e  cio',  nel
 quadro  del  ripetuto  riconoscimento, nella giurisprudenza di questa
 Corte, della  discrezionalita'  del  legislatore  nel  configurare  e
 nell'articolare  gli istituti e gli schemi processuali (tra molte, da
 ultimo, ordinanze nn. 128 del 1999 e 368 del 1998; sentenza n. 94 del
 1996), nel rispetto del canone di ragionevolezza;
     che,  quanto  alla  prospettata  lesione delle garanzie di difesa
 sotto il profilo della negazione della possibilita', per  l'indagato,
 di  pervenire  -  attraverso le deduzioni rese nell'interrogatorio, e
 per effetto delle eventuali conseguenti indagini - a un provvedimento
 di  archiviazione  e  di  evitare  la   celebrazione   del   giudizio
 dibattimentale,  deve ancora ribadirsi che l'audizione dell'indagato,
 prima del processo, non puo'  ritenersi  costituzionalmente  imposta,
 iscrivendosi   in   una   fase,  quella  dell'indagine,  che  precede
 l'esercizio dell'azione penale con la formulazione  dell'imputazione,
 essenziale perche' la difesa possa svolgersi (ordinanze nn. 277, 47 e
 38 del 1996);
     che,  pertanto, alla previsione di un contraddittorio antecedente
 l'esercizio dell'azione penale non puo' assegnarsi  il  carattere  di
 necessario  svolgimento  della  garanzia costituzionale della difesa,
 garanzia che si esercita nel processo e che - tanto piu'  nel  quadro
 del  processo  di  tipo  accusatorio  -  postula  primariamente, come
 interlocutore dell'interessato, il giudice, e non la parte pubblica;
     che, inoltre,  quanto  alla  violazione  del  principio  di  buon
 andamento   della  pubblica  amministrazione  prospettata  da  talune
 ordinanze, ancor prima del rilievo della  contraddittorieta'  tra  la
 richiesta   addizione  normativa  e  le  ragioni  di  economicita'  e
 celerita' proprie del  rito  in  argomento,  si  deve  richiamare  la
 consolidata  affermazione  di  questa  Corte  circa l'estraneita' del
 parametro  dell'art.  97  della  Costituzione   all'esercizio   della
 funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi
 atti  e  provvedimenti  che  ne costituiscono espressione (tra molte,
 sentenza n. 16 del 1998; ordinanze nn. 368, 126 e 48 del 1998 e n. 18
 del 1996);
     che, infine, la censura riferita all'art. 2 della  legge  n.  234
 del   1997,  sollevata  dal  pretore  di  Firenze,  e'  evidentemente
 destituita di fondamento, poiche' detta norma concerne la  disciplina
 -  ordinaria - che lo stesso rimettente assume a termine di raffronto
 per sollevare la questione sul procedimento per decreto penale;
     che  tutte  le  questioni  sollevate   devono   pertanto   essere
 dichiarate manifestamente infondate sotto  ogni profilo.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.