ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ora sostituito dalla norma, di contenuto analogo, di cui all'art. 15 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 5 maggio 1998 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Ali' Mohamed e altro, iscritta al n. 457 del registro ordinanze 1998, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1999 il giudice relatore Francesco Guizzi. Ritenuto che il pretore di Roma ha sollevato in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 27, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ora sostituito dalla norma, di contenuto analogo, di cui all'art. 15 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero); che la norma censurata consente al giudice di espellere lo straniero extracomunitario condannato a pena detentiva non superiore a due anni, sempre che essa non debba essere sospesa; che l'ordinanza di rimessione si fonda sul presupposto che l'espulsione prevista dall'art. 14 della legge n. 40 del 1998 costituisca una vera e propria sanzione sostitutiva, e non una misura amministrativa la cui applicazione sia demandata in via eccezionale al giudice; che, ad avviso del rimettente, deporrebbe in tal senso sia la lettera della legge, in quanto la rubrica dell'art. 14 parla espressamente di "sanzione sostitutiva", sia il rilievo secondo cui una diversa interpretazione di esso andrebbe incontro a evidenti incongruenze; che, stando alla prospettazione del giudice a quo l'art. 14, citato, sarebbe in contrasto con i seguenti parametri costituzionali: l'art. 3, in quanto discriminerebbe la posizione degli stranieri rispetto a quella dei cittadini italiani e degli altri Paesi della Comunita' europea; l'art. 27, secondo comma, in quanto la norma prevede obbligatoriamente l'immediata esecuzione dell'espulsione, prima ancora che la condanna sia divenuta definitiva; l'art. 3, sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto l'espulsione non puo' essere disposta per un periodo inferiore a cinque anni, e cio' farebbe si' che, ove l'imputato scelga di patteggiare la pena, contando sull'effetto estintivo del reato previsto dall'art. 445, secondo comma, del codice di procedura penale, nel momento in cui il reato si estingue (e cioe' decorsi cinque anni dalla sentenza in caso di delitto, due in caso di contravvenzione) la sanzione sostitutiva sara' gia' stata interamente scontata: disciplina irragionevole, prosegue l'ordinanza, in quanto svuoterebbe di significato la previsione dell'estinzione del reato in seguito a patteggiamento e il "diritto alla non esecuzione della pena" ex art. 444 del codice di procedura penale; l'art. 25, secondo comma, in quanto la norma non prevede la durata massima della sanzione sostitutiva; gli artt. 3 e 27, terzo comma, in quanto la norma in esame, al fine di evitare censure di illegittimita' costituzionale, dovrebbe essere interpretata come se disponesse una sanzione sostitutiva della durata fissa di cinque anni; ma in questo modo essa statuirebbe il medesimo trattamento sanzionatorio per situazioni diversissime, e anzi favorirebbe coloro che hanno commesso reati piu' gravi; gli artt. 25, secondo comma, e 24, secondo comma, in quanto la norma denunciata non disciplina in alcun modo i criteri in base ai quali il giudice dovrebbe scegliere se applicare la sanzione sostitutiva e per quale durata; l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto l'espulsione non puo' avere tra le sue finalita' il reinserimento sociale del soggetto che ne e' colpito; che, in ordine alla rilevanza, il rimettente ha affermato di "potere e dovere" irrogare, nel caso concreto, la sanzione sostitutiva dell'espulsione, si' che il giudizio non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione incidentale di costituzionalita'; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha eccepito, in via preliminare, l'erroneita' del presupposto interpretativo da cui muove il Pretore, e cioe' che l'art. 14 piu' volte richiamato preveda una sanzione sostitutiva; che nonostante l'improprieta' del lemma adottato nella rubrica (ove si parla appunto di "sanzione sostitutiva") il predetto articolo comminerebbe, in realta', una sanzione amministrativa, la cui irrogazione e' demandata al giudice penale, secondo uno schema non ignoto al nostro ordinamento; che, in subordine, la difesa del Governo ha eccepito la manifesta inammissibilita' con riferimento all'art. 27, secondo comma, per essere la questione prospettata in maniera dubitativa; che l'Avvocatura ha altresi' eccepito l'irrilevanza, con riferimento agli artt. 27, secondo comma, e 3 (sotto il profilo della irragionevolezza), in quanto il pretore non era chiamato a eseguire l'espulsione, ma soltanto ad applicarla; che eventuali doglianze legate all'immediata esecuzione dell'espulsione si sarebbero potute sollevare in sede di impugnazione del provvedimento del questore esecutivo dell'ordine pretorile; che le stesse questioni sarebbero poi irrilevanti anche sotto altro aspetto, in quanto l'imputato - per espressa affermazione del rimettente - era gia' stato espulso in via amministrativa: di conseguenza, sussistendo un'autonoma causa di espulsione, indipendentemente dall'esito del processo penale, diveniva irrilevante disporla ai sensi dell'art. 14 della legge n. 40 del 1998; che, con riferimento alle restanti questioni, la difesa erariale ha concluso per l'infondatezza, osservando come la diversita' di posizione dello straniero, rispetto al cittadino, consenta al legislatore ampia discrezionalita' nella regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno; che nonostante l'assenza di espressi parametri di riferimento per la scelta e la graduazione dell'espulsione, il giudice sarebbe comunque tenuto a fare applicazione dei criteri di cui agli artt. 132 e 133 del codice penale; e che l'espulsione sarebbe sanzione "altamente educativa, perche' induce il soggetto a non abbandonare la sua patria, consentendogli il reinserimento nel contesto sociale del suo Paese". Considerato che le censure avanzate dal rimettente muovono da un presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'espulsione prevista dalla norma in discussione, pur se disposta dal giudice in sostituzione di una pena detentiva, non si puo' configurare come una sanzione criminale, ma come una misura amministrativa per i caratteri che assume; che depone in tal senso la lettera della norma, che qualifica l'espulsione come "misura", non rilevando la diversa espressione "sanzione sostitutiva" adottata nella rubrica dell'art. 14; che anche dal punto di vista sostanziale siffatta misura solo indirettamente riveste un contenuto afflittivo, posto che il suo effetto tipico si risolve nell'allontanamento dal territorio dello Stato di soggetti che vi sono entrati o vi si trattengono abusivamente, o che hanno tenuto condotte sintomatiche di situazioni di pericolo per la pubblica sicurezza previste come tali dalla legge; che il momento esecutivo della misura e' affidato all'autorita' amministrativa (art. 14, comma 2, della legge n. 40 del 1998), al contrario di quanto avviene per l'esecuzione della pena, che e' promossa dal pubblico ministero (art. 655 del codice di procedura penale); che, inoltre, l'art. 14, comma 1, richiama le condizioni che costituiscono il presupposto dell'espulsione amministrativa disciplinata dall'art. 11, cosi' rendendo evidente la sostanziale sovrapposizione fra le due misure e la conseguente necessita' di una loro armonizzazione sistematica; che, pertanto, le caratteristiche formali e sostanziali dell'espulsione dello straniero devono far escludere che quest'ultima, come concretamente regolata dall'art. 14 in esame, possa farsi rientrare nel genus delle sanzioni penali, sebbene la circostanza per cui l'espulsione sia disposta dal giudice investito di un'azione penale ne metta in risalto il carattere assolutamente peculiare rispetto ad altre ipotesi, pur presenti nel nostro ordinamento, in cui il giudice penale e' chiamato ad applicare misure di natura amministrativa; che, una volta chiarita la natura non penale della misura, risultano non pertinenti i profili di illegittimita' costituzionale prospettati dal rimettente, si' che la questione va dichiarata manifestamente infondata per erroneita' del presupposto interpretativo. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.