Visti gli atti del procedimento a carico di Vittorio Sgarbi, nato a Ferrara l'otto maggio 1952, imputato del reato di cui agli artt. 81, 595 c.p., 13 e 21 legge 8 febbraio 1948, n. 47 commesso in Roma nel luglio e nel settembre 1994; Rileva che nel corso dell'istruttoria dibattimentale, iniziata il 27 maggio 1997 e' pervenuta la comunicazione del Presidente della Camera dei deputati che rendeva noto la decisione della Camera del 30 settembre 1998, su proposta contraria della Giunta per le autorizzazioni a procedere, secondo cui le dichiarazioni offensive pronunciate dallo Sgarbi nei confronti del dott. Abrami, che aveva emesso una sentenza di condanna contro lo Sgarbi, concernevano opinioni espresse da un membro del Parlamento, tale essendo l'imputato, nell'esercizio delle sue funzioni; Ritiene che la delibera in questione ha in tal modo sancito l'insindacabilita' da parte dell'A.G.O delle dichiarazioni espresse dallo Sgarbi nei confronti del dott. Abrami, in contrasto con la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere che ne aveva ritenuto la sindacabilita', in quanto "la polemica iniziata dal deputato Sgarbi aveva un carattere prettamente privato e personale, tale da non poter in alcun modo essere ricompreso nell'ambito di applicazione della prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione"; La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1150 del 1988, ha precisato che il potere valutativo delle Camere puo' dirsi esercitato legittimamente solo entro i limiti della fattispecie prevista dall'art. 68 della Costituzione: in un sistema costituzionale che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui il diritto all'onore e alla reputazione, quali valori fondamentali dell'ordinamento giuridico, il potere valutativo delle Camere, non potendo essere arbitrario, e' soggetto al controllo di legittimita' affidato all'organo giurisdizionale di garanzia costituzionale attraverso lo strumento del conflitto di attribuzione previsto dall'art. 134 della Costituzione e regolato dagli artt. 37 e sgt. della legge n. 87 del 1953. Ha precisato, altresi', che: "Il conflitto non si configura nei termini di una vindicatio potestatis (il potere di valutazione del Parlamento non e' in astratto contestabile) bensi' come contestazione dell'altrui potere in concreto, per vizi del procedimento oppure per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il valido esercizio di esso". La stessa Corte, con la sentenza n. 443 del 1993, ha confermato che: "In sede di conflitto di attribuzione .... e' possibile solo verificare se ai fini dell'esercizio in concreto del potere che ha condotto alla dichiarazione d'insindacabilita' .... da parte della camera di appartenenza, sia stato seguito un procedimento corretto oppure se mancassero i presupposti di dette dichiarazioni - tra i quali essenziale quello del collegamento delle opinioni espresse con la funzione parlamentare - o se tali presupposti siano stati arbitrariamente valutati". Con la sentenza n. 375 del 1997 ha precisato che "... la funzione parlamentare non si risolve solo negli atti tipici, ricomprendendo anche quanto di essi sia presupposto o conseguenza. Nondimeno, non si puo' ricondurvi l'intera attivita' politica svolta dal deputato o dal senatore: tale interpretazione finirebbe per vanificare il nesso funzionale posto dall'art. 68, primo comma e comporterebbe il rischio di trasformare la prerogativa in un privilegio personale". Con sentenza n. 289 del 1998, in una fattispecie analoga, ha ulteriormente precisato che il giudice costituzionale "deve verificare se vi sia stato un corretto esercizio del potere ... anche sotto il profilo della sussistenza e della non arbitraria valutazione dei presupposti ai quali il primo comma dell'art. 68 condiziona l'operare della prerogativa di irresponsabilita' ..." ed ha affermato il principio che la prerogativa dell'insindacabilita' "... non si estende a tutti i comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli funzionali all'esercizio delle attribuzioni proprie del potere legislativo ..." per cui "... il nesso funzionale costituisce il discrimine fra quell'insieme di dichiarazioni, giudizi e critiche - che ricorrono cosi' di frequente nell'attivita' politica di deputati e senatori - e le opinioni che godono della particolare garanzia prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione". Orbene ritiene il Collegio che proprio questo sia il caso de quo. Invero, a fronte di una motivata richiesta di dichiarazione di sindacabilita' espressa dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere, la Camera dei deputati, sentiti gli on. Manzoni, contrario alla sindacabilita', Sgarbi - che riallacciandosi a quanto detto dal precedente oratore, ha abilmente sostenuto di aver espresso opinioni oggettive contro il disvalore degli atteggiamenti della magistratura -, Cola, che si e' espresso in tal senso, Duca, favorevole alla sindacabilita', e Taradash ("... le parole pronunciate dall'on. Sgarbi sono senz'altro gravi e dure. Sono insulti ma, in un paese civile, essi dovrebbero essere tollerati per qualunque cittadino." (³)), contrario alla dichiarazione di sindacabilita', a maggioranza ha votato per l'insindacabilita' senza alcuna motivazione di merito ma solo per orientamento politico. Pertanto, di fronte a dichiarazioni espresse dall'imputato Sgarbi extra moenia ed extra officio nei confronti di un giudice che ha emesso una sentenza a lui sfavorevole - e, quindi, non gradita - la Camera dei deputati ha ritenuto, senza alcun fondamento di fatto e di diritto e, soprattutto, senza motivazione, che quelle dichiarazioni - pur giudicate gravi, dall'on. Taradash³ - costituivano un'espressione di attivita' parlamentare in contrasto con la delibera della Giunta per le autorizzazioni a procedere e senza alcuna motivazione contraria non potendosi ritenere tali le opinioni espresse, a titolo personale, dagli oratori intervenuti e, tantomeno, dalle dichiarazioni, a posteriori, fatte dal deputato Sgarbi. Dalla delibera della Camera, pertanto, non emerge alcuna indicazione idonea ad evidenziare il necessario collegamento delle dichiarazioni de quo con le funzioni richiesto dall'art. 68 della Costituzione ne' esso puo' essere ravvisato con quanto sostenuto dal deputato Sgarbi nel suo intervento a giustificazione del proprio comportamento. Non vi e' alcun dubbio che, anche a voler accedere all'interpretazione piu' ampia del requisito del collegamento alle funzioni parlamentari, l'attivita' politica e di partito svolta in sede extraparlamentare puo' dirsi riconducibile alle funzioni parlamentari, di cui e' garantita l'immunita' ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, solo quando sussista comunque una connessione con le funzioni tipiche e con l'espletamento del mandato elettorale. Nel caso di specie e' assolutamente manifesto che si e' trattato di una dichiarazione fatta da un imputato nei confronti di una sentenza a lui sfavorevole e del giudice che l'ha emessa e non di una dichiarazione di opinione svolta da un membro del parlamento contro lo stato della giustizia in Italia come si e' voluto far credere, il tutto anche in contrasto con quanto sostenuto dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere. Si deve ritenere, quindi, che non vi e' alcuna connessione con le funzioni tipiche e con l'espletamento del mandato elettorale. Ritenuto che, a fronte della deliberazione della Camera dei deputati, comunque valida ed efficace, e' precluso a questo tribunale ogni altra pronuncia. Ritenuto, altresi', il convincimento dell'inesistenza di qualsiasi connessione tra le funzioni parlamentari e le opinioni espresse dal deputato Sgarbi nei confronti dei pretore dott. Abrami, dispone che gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale per la soluzione del conflitto tra poteri dello Stato con la conseguente sospensione del presente procedimento.