IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Sciogliendo la riserva di cui al verbale d'udienza del giorno 23 marzo 1999; O s s e r v a Caldaras Corrado e' stato condannato dalla Corte di Appello di L'Aquila con sentenza 19 marzo 1986 alla pena di anni 22 di reclusione per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e violazione della legge sulle armi (decorrenza pena 15 aprile 1983, fine pena 19 settembre 2002). Il Caldaras ha formulato richiesta di liberazione condizionale e di semiliberta'. A corredo di tali istanze sono state acquisite, ex art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, le informazioni trasmesse dal Comitato provinciale per ordine e la sicurezza pubblica che indica di non essere in possesso di elementi da cui si evincano collegamenti attuali con la criminalita' organizzata. Nel caso di specie il trattamento del detenuto e' stato sempre connotato da fattiva e concreta adesione all'opera di rieducazione tanto da essere stato ammesso dal giugno 1996 all'attivita' lavorativa fuori dalla cinta perimetrale dell'istituto penitenziario, serbando fin dall'inizio della carcerazione una condotta proiettata verso il reinserimento sociale ed evidenziando una personalita' tesa al recupero dei valori sociali. Indubbi appaiono al tribunale i progressi trattamentali ed il ravvedimento interiore rispetto a quell'unica scelta deviante operata in giovane eta'. Tale positivo percorso, tuttavia, non si e' tradotto nell'esperienza trattamentale dei permessi premio in quanto il tribunale di sorveglianza accolse nel 1990 le impugnazioni del pubblico ministero avverso i provvedimenti concessivi adottati dal magistrato di sorveglianza. Peraltro risulta che l'istante avrebbe l'opportunita' di svolgere attivita' socialmente utile presso la Caritas come volontario ove ammesso a godere dei benefici invocati. Nonostante il positivo iter trattamentale, in ragione del titolo di reato e per effetto della normativa introdotta con l'art. 15, legge n. 306/1992, il Caldaras non puo' accedere agli invocati benefici perche' nel caso di specie, non ricorrono ne' il requisito dell'utile collaborazione - essendo rimasto il Caldaras contumace senza rendere mai dichiarazioni - ne' le ipotesi di impossibilita' o inesigibilita' della condotta collaborativa - di cui alle sentenze nn. 357/1994 e 68/1995 della Corte costituzionale, non essendosi mai pervenuti all'identificazione di un complice certamente noto al Caldaras stesso. La situazione quale ricostruita non impedirebbe tuttavia l'accesso del Caldaras alla semiliberta per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 445 del 1997, se costui avesse fruito di permessi in epoca antecedente all'entrata in vigore della normativa citata. Con la memoria in atti, la difesa, con argomenti che il tribunale condivide, eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 4-bis, legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario), cosi' come modificato dall'art. 15, legge n. 356/1992, in relazione ai principi enunciati dagli artt. 3 e 25, secondo comma della Costituzione, chiedendo che il tribunale, valutata la rilevanza della questione nel caso per cui e' procedimento, rimetta gli atti alla Corte costituzionale. A tanto la difesa perviene ritenendo indubbia la natura sostanziale delle norme concernenti l'ordinamento penitenziario incidendo le stesse sulle modalita' di esecuzione della pena con il variarne il contenuto e l'afflittivita'. Nel chiedersi, poi, quale sia l'evento in relazione al quale viga il divieto di introdurre innovazioni in pejus, la difesa prospetta varie alternative che, quale che sia l'opzione ultima - passaggio in giudicato, inizio dell'esecuzione o maturazione dei presupposti di legge - comunque gioverebbero tutte al Caldaras Corrado il quale, prima dell'entrata in vigore delle norme restrittive citate, non solo si trovava nei termini per accedere al beneficio della semiliberta', ma aveva altresi' conseguito significativi progressi trattamentali. Non ignora il tribunale che tanto la Corte di cassazione (vedi sentenza sezione prima n. 433 del 19 aprile 1997) quanto la Corte costituzionale (ordinanza n. 10/1981 del 22 gennaio 1981), in talune occasioni si sono espresse ritenendo che esuli dall'ambito del principio stabilito dall'art. 25 della Costituzione la disciplina delle modalita' di esecuzione della pena e dell'applicazione di misure alternative o di altri benefici in favore del condannato. Ma e' significativo che pur in presenza di tale orientamento, si conseguano poi soluzioni che, sul piano interpretativo, sembrano negare gli iniziali assunti. Cosi' la Corte di cassazione proprio con la medesima sentenza gia' citata, giunge a statuire - pur a prescindere dall'espressa menzione dell'apposita norma transitoria dettata dall'art. 4 del d.-l. n. 152/1991 convertito nella legge n. 203/1991 - che le restrizioni poste dalla nuova normativa in tema di permessi non si applicano a coloro che, sotto il vigore di precedente normativa abbiano gia' beneficiato di permessi premio, dichiaratamente pervenendo a tale interpretazione alla luce dei principi costituzionali che presiedono all'esecuzione della pena che deve tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, terzo comma della Costituzione). Non diversamente si e' sviluppato l'iter della giurisprudenza costituzionale. Ed infatti con sentenza n. 445 del 1997 la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione, l'art. 4-bis, primo comma della legge 26 luglio 1975, n. 354 nella parte in cui non prevede che il beneficio della semiliberta' possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata. La citata pronuncia della Corte costituzionale consente di ritenere certamente compromessi sia il principio di eguaglianza che quello della funzione rieducativa della pena allorquando una nuova e piu' rigorosa disciplina incida sulla posizione di soggetti che gia' si trovino, all'atto dell'entrata in vigore della normativa stessa, ad aver maturato positive esperienze trattamentali fortemente caratterizzate da adesioni comportamentali in se' sintomatiche di un positivo percorso trattamentale difficilmente regredibile. Con cio', in definitiva, la Corte costituzionale ha pure enucleato l'insorgere di un divieto di introdurre innovazioni in pejus, divieto nascente, in relazione alla posizione di ciascun condannato, nel momento in cui sia stato accertato che l'iter trattamentale sia approdato ad un punto, normalmente di non ritorno, a partire dal quale possa ragionevolmente prevedersi uno sviluppo destinato ad attingere i presupposti utili al conseguimento delle misure alternative. Non diversamente, del resto, la Corte di cassazione, sia pur implicitamente, ha fatto uso anche del principio di irretroattivita' della legge penale individuando come momento dirimente non piu' il tempus commissi delicti - cio' che, esauritosi l'iter processuale, non ha piu' valenza alcuna - quanto il momento della fruizione di un beneficio (il primo permesso-premio) considerato tangibile segno di un conseguito status trattamentale. Sia la Corte costituzionale che quella di Cassazione sembrano gia' approdate in realta' all'individuazione di un'area connotata da norme che, a prescindere dalla loro collocazione nella tradizionale ripartizione tra norme sostanziali o processuali, si qualifichino per la loro comune incidenza sulla natura del diritto soggettivo sottoposto a limitazione: la liberta' personale. E' il terreno su cui, di fatto, gia' si e registrata una interpretazione estensiva dell'art. 25, secondo comma della Costituzione, interpretazione a sua volta necessitata dall'esigenza di tutelare altri principi costituzionali, identificabili e gia' identificati, con le pronunce indicate e per quanto qui interessa, negli artt. 3 e 27 della Costituzione. Il caso all'esame, di questo tribunale, pero', sarebbe suscettibile di essere valutato alla luce della indicata giurisprudenza costituzionale e di legittimita' ove si ritenesse che, per effetto della stessa, al giudice sia gia' demandato il compito di valutare ogni aspetto della vicenda trattamentale antecedente all'entrata in vigore della normativa restrittiva, anche a prescindere dall'aver il positivo iter penitenziario gia' ricevuto riconoscimento nella concessione di permessi premio. Ma la sentenza n. 445 del 1997 della Corte costituzionale non pare, di per se', poter legittimare il giudice a tale valutazione. Essa, infatti, nella parte motiva, da interpretarsi necessariamente alla luce della fattispecie sottoposta all'esame della Corte costituzionale, si limita a fare esclusivo riferimento alla situazione dei condannati che, gia' ammessi a godere prima dell'entrata in vigore della citata normativa del 1992 di permessi premio, intendessero conseguire misure alternative. L'attuale assetto normativo, quale delineatosi per effetto anche della giurisprudenza costituzionale e di legittimita', non consente, percio', di pervenire a soluzioni del caso appaganti sotto il profilo costituzionale alla stregua dei principi di cui agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma della Costituzione se non per il tramite di un nuovo intervento della stessa Corte costituzionale. Non vi e' dubbio, infatti, che, una volta elevato a corollario dell'art. 27 della Costituzione il principio della intangibilita', anche ad opera del legislatore ordinario, degli effetti dei progressi del trattamento conseguiti prima dell'entrata in vigore della normativa restrittiva, risulta irragionevole ritenere accertato un determinato grado di risocializzazione solo in virtu' di una pronuncia a sua volta intervenuta prima dell'entrata in vigore della legge. E cio' sotto un duplice aspetto. Infatti ove detta pronuncia manchi, cio' che puo' avvenire per i motivi piu' diversi indipendenti sia dalla volonta' del condannato che dagli esiti del trattamento, cio' si tradurrebbe, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, in un danno ingiustificato ed irragionevole per quei detenuti che, incolpevolmente, non abbiano visto valutato in tempo utile il proprio iter trattamentale; ove, invece, tale pronuncia vi sia stata, non si vede come, se non in violazione dell'art. 101, secondo comma della Costituzione, cio' possa condizionare, in un senso o nell'altro, le determinazioni di un diverso giudice chiamato ad adottare provvedimenti diversi dai presupposti non coincidenti. Ritiene, percio', il tribunale che l'aver beneficiato di permesso premio, se puo' essere assunto nella sua valenza generalmente sintomatica del conseguimento di un apprezzabile grado di progressione trattamentale, non possa, pero', essere assunto come condizione necessaria senza la quale risulti impossibile altrimenti scrutinare l'iter trattamentale ai fini delle determinazioni in ordine alla normativa applicabile; ne', ritiene il tribunale, che possano porsi ostacoli alla valutazione a cui, in punto di fatto, il giudice e' chiamato nel definire il grado a cui l'iter trattamentale e' pervenuto al momento dell'entrata in vigore di una diversa e piu' restrittiva normativa. Diversamente argomentando si verificherebbero, e si sono verificate nel caso di specie, abnormi conseguenze, che correttamente la difesa riconduce ad una violazione dell'art. 3 della Costituzione. Infatti i coimputati dell'istante - Caldaras Walter e Rizzi Daniele -, riconosciuti quali organizzatori e promotori del sequestro, sol perche' fruitori di un permesso premio in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge hanno sviluppato l'iter trattamentale (ad oggi fino a conseguire la semiliberta'), pur non avendo collaborato in un contesto in cui tale collaborazione e' stata ritenuta esigibile. Tanto e' stato reso possibile proprio grazie all'intervento della Corte costituzionale di cui alla sentenza citata n. 445/1997, emessa a seguito di questione sollevata da questo tribunale nell'ambito di procedimento relativo all'istanza di semiliberta' formulata da quel Rizzi Daniele coimputato dell'odierno istante. In sintesi, poiche' e' dato registrare una identita' di situazioni che accomuna i tre autori del medesimo fatto criminoso, quanto all'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata ed alla mancata collaborazione che non puo' essere assunta come indice di pericolosita' specifica (Corte costituzionale n. 306/1993), non pare possibile far derivare dalla sola mancata concessione di permesso premio a Caldaras Corrado effetti preclusivi di ogni beneficio penitenziario. In definitiva, se si riconosce - come la giurisprudenza costituzionale ha gia' fatto - che il conseguimento di un certo grado di progressione trattamentale e' un fatto produttivo di conseguenze giuridiche - nella specie applicazione di norme piu' favorevoli - non puo' non affermarsi che la relativa prova formi oggetto di libero convincimento del giudice. Si riconosce cosi' da un lato la efficacia alla norma vigente nel momento in cui il fatto giuridico - conseguimento di un certo livello di progressione trattamentale - si e' verificato e dall'altro lato si consente il piu' compiuto accertamento giudiziario circa l'essersi o meno verificato quelle condizioni in presenza delle quali il condannato avrebbe gia' potuto, all'epoca, beneficiare della misura invocata. Diversamente argomentando, peraltro, si legittimerebbero situazioni di irragionevoli disparita' di trattamento quali quella registrabile nel caso di specie e segnalato dalla difesa sotto il profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione. Da tutto quanto sopra indicato, attesa la indubbia rilevanza della questione alla luce dell'iter trattamentale e la presenza di ogni altra condizione utile al fine dell'ammissione del Caldaras sia alla liberazione condizionale che alla semiliberta', sorge la necessita' di sollecitare un nuovo intervento della Corte costituzionale volto a sancire 1'illegittimita' dell'art. 4-bis, primo comma dell'ordinamento penitenziario, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i benefici penitenziari e le misure alternative possano essere concesse anche ai condannati indicati nella norma citata che non abbiano fruito di permessi premio quando il giudice che procede ritenga che essi abbiano comunque raggiunto un grado di rieducazione adeguato, conseguito prima dell'entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata. Naturalmente, pur dovendosi assumere la rilevanza della questione nei limiti del presente procedimento il cui ambito e' definito dalle istanze dell'interessato, non vi e' dubbio che i profili di costituzionalita' rilevati si pongano in relazione a tutti gli istituti e le misure individuati dall'art. 4-bis ordinamento penitenziario.