IL TRIBUNALE
   Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso il tribunale di
 Firenze; premesso:
     che con sentenza di  questo  giudice  in  data  16  luglio  1998,
 irrevocabile  il  16  ottobre  1998,  sono  state  applicate  a norma
 dell'art. 444 c.p.p.  a Ben Salim Kalid e a Ben Mabuk Faikel le pene,
 rispettivamente, di sei mesi di reclusione e L. 3.000.000 di multa  e
 di  un  anno  e sei mesi di reclusione e L. 4.000.000 di multa, oltre
 all'onere del  pagamento  delle  spese  di  mantenimento  in  carcere
 durante  la  custodia  cautelare,  in ordine ai seguenti reati, per i
 quali e' stata riconosciuta l'attenuante prevista  dal  quinto  comma
 dell'art. 73 di seguito citato;
   Quanto a Ben Salim Kalid:
     delitto  di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, perche'
 tentava di vendere polveri di cocaina per 0,621  gr.  (0,468  gr.  di
 principio  attivo)  a  due  giovani non identificati. In Firenze il 6
 maggio 1998.
   Quanto a Ben Mabuk Faikel:
     delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. e  73  d.P.R.  9  ottobre
 1990  n.  309, perche' con piu' azioni esecutive del medesimo disegno
 criminoso, deteneva a fini di spaccio 4,763 gr. di eroina (0,843  gr.
 di  principio  attivo)  e  vendeva  analoga  sostanza  a  persone non
 identificate, ricavando quale corrispettivo L.  12.290.000.  che  gli
 venivano sequestrate. In Firenze il 6 maggio 1998.
     che  in  data  20  aprile 1999 il difensore di Ben Salim Kalid ha
 presentato istanza di  dissequestro  e  restituzione  della  suddetta
 somma;
     che  in  data 3 maggio 1999 questo giudice ha respinto l'istanza,
 risultando che la somma era di Ben Mabuk Faikel e non  di  Ben  Salim
 Kalid;
     che  il  27  maggio 1999 lo stesso legale, difensore altresi' del
 Ben Mabuk Faikel, ha presentato per conto di questi  analoga  istanza
 di dissequestro e restituzione;
   Considerato:
     che  la  somma  sequestrata  al  Ben Mabuk Faikel era sicuramente
 frutto delle vendite di sostanza  stupefacente  del  tipo  eroina  da
 questi  operate,  egli avendo fatto l'inverificabile dichiarazione di
 avere guadagnato la somma facendo il venditore ambulante (occupazione
 di cui  non  e'  stata  indicata  ne'  reperita  alcuna  traccia,  al
 contrario  di  quanto  e'  emerso  per  il commercio dell'eroina), ed
 avendo poi patteggiato la pena per il reato continuato, contestatogli
 con espresso riferimento alle pregresse vendite,  di  cui  il  denaro
 costituiva il frutto;
     che  non  si verte in caso di confisca obbligatoria, trattandosi,
 come costantemente ritenuto dalla Corte di cassazione, non di  prezzo
 ma di profitto del reato di cui si tratta;
     che  l'art.  445  c.p.p.,  in  caso di applicazione della pena su
 richiesta, consente la confisca solo nei casi di  cui  all'art.  240,
 comma 2 c.p. (confisca obbligatoria);
     che  poi  l'art.  12-sexies  del  d.-l.  8  giugno  1992  n. 306,
 convertito nella legge  7  agosto  1992  n.  356,    art.  introdotto
 dall'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1994 n. 399, convertito dalla legge 8
 agosto  1994 n. 501, non prevede - in caso di applicazione della pena
 ex art.  444 c.p.p. - la confisca dei valori dei quali l'imputato non
 puo' giustificare la provenienza, allorche' ricorra per il  reato  di
 cui  all'art. 73 d.P.R. n. 309/90 la circostanza attenuante del comma
 5 dello stesso art. 73, riconosciuta nel caso di specie;
     che  questo  stesso  giudice  - con ordinanza 4-15 dicembre 1997,
 iscritta al n. 113 del  registro  ordinanze  1998,  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale n. 10, 1 serie speciale del 1998 - aveva sollevato
 questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 445 e 12-sexies
 cit. per ritenuto  contrasto  con  gli  artt.  3  e  27  della  Carta
 fondamentale,  con  le motivazioni che qui di seguito testualmente si
 riportano:
     che per tali disposti (in sostanza, perche', in  conseguenza  del
 patteggiamento,  pecunia non olet) - piuttosto che per la mancanza di
 prova in ordine alla riferibilita' della somma allo spaccio, cosa che
 appare logicamente desumibile  dal  contesto  probatorio  citato,  si
 dovrebbe   disporre   la  restituzione  di  tale  somma,  per  quanto
 proveniente dallo spaccio di eroina;
     che simile conseguenza  appare  in  contrasto  anzitutto  con  il
 principio  (art.  27,  terzo  comma Cost.) secondo cui il trattamento
 sanzionatorio deve tendere alla rieducazione del  soggetto  al  quale
 viene applicato;
     che   infatti   lo   spacciatore  e'  incoraggiato  a  proseguire
 l'attivita'  illecita,  qualora  per  effetto   della   sentenza   di
 applicazione  della  pena  gli  siano  restituiti  i  profitti  dello
 spaccio;
     che  cio'  sembra   contrastare   poi   con   il   principio   di
 ragionevolezza, immanente al disposto dell'art. 3 della Costituzione;
     che appare infatti irragionevole, e contraria al comune sentire e
 alla  morale, la definitiva acquisizione dei profitti illeciti, tanto
 piu'  laddove  provenienti  da  un'attivita'  cosi'  dannosa  per  la
 societa' come lo spaccio dell'eroina;
     che  non  sembra potersi rinvenire un'adeguata giustificazione al
 diverso trattamento del profitto dello  spaccio,  a  norma  dell'art.
 12-sexies cit., nei casi in cui non ricorra la circostanza attenuante
 di cui all'art. 73, comma 5, cit.;
     che  infatti  l'attivita'  di  piccolo  spaccio,  o di spaccio da
 strada, realizzata dal pusher, costituisce  anello  essenziale  della
 catena   illecita   in   forza  della  quale  la  droga  perviene  al
 consumatore,  ed  e'  realizzata  spesso  in  forma  continuativa,  o
 addirittura  in  forma  associata  (cfr.  art. 74, comma 6, d.P.R. n.
 309/1990:  previsione,  questa,   che   conferma   la   pericolosita'
 dell'attivita'  in  questione,  del resto evidenziata drammaticamente
 dal numero, superiore a mille l'anno su scala nazionale, dei  decessi
 per  overdose,  per  lo piu' dovuti ad acquisto di droga "da strada",
 dai piccoli spacciatori, appunto);
     che la diversita' di trattamento, rispetto al caso della sentenza
 di condanna per il reato ugualmente  attenuato  ex  art.  73,  quinto
 comma,  cit.,  non  sembra  trovare  giustificazione nell'esigenza di
 incentivare il ricorso al procedimento speciale di cui  all'art.  444
 c.p.p., poiche' stimoli bastevoli a patteggiare appaiono la riduzione
 della  pena principale fino a 1/3, l'esclusione delle pene accessorie
 e delle misure di sicurezza, nonche' della revoca  della  sospensione
 condizionale  precedentemente  accordata  (Cass.,  sez. un., 8 maggio
 1996,  De  Leo,  nonche'  26  febbraio  1997,  Bahrouni),  ed  ancora
 l'estinzione  del delitto ex art. 445, comma 2 c.p.p. per decorso del
 quinquennio senza ricadute, la definitiva acquisizione  dei  profitti
 illeciti  apparendo  premio  troppo  spregiudicato  in  rapporto alle
 esigenze di mera economia processuale;
     che  tale  diversita'  di  trattamento  non sembra infine trovare
 giustificazione nel rilievo secondo cui  la  sentenza  resa  a  norma
 dell'art.  444  c.p.p.  non  contiene  un accertamento completo e con
 plena  cognitio  sulla  sussistenza  del  fatto-reato  e  sulla   sua
 effettiva  riferibilita' a un determinato soggetto (Cass., sez. un. 8
 maggio 1996 e 26 febbraio 1997, ora cit.);
     che infatti tale accertamento incompleto e'  tuttavia  ovviamente
 compatibile  con  l'applicazione  della  pena detentiva, e con la sua
 effettiva esecuzione, ed e' equiparato ad una sentenza  di  condanna,
 ove  non  diversamente disposto, cosi' da risultare a maggior ragione
 compatibile con la meno afflittiva confisca  dei  valori  costituenti
 profitto   del   reato   (l'incompletezza  dell'accertamento  dovendo
 peraltro misurarsi, nel caso di specie, con la sorpresa in flagranza,
 e la valutazione dei gravi indizi di  colpevolezza  compiuta  in  due
 gradi  di  giurisdizione  cautelare  nonche',  in  generale,  con  il
 richiamo operato dall'art. 444, comma 2 c.p.p. al disposto  dell'art.
 129 c.p.p.);
     che  per  tutto  quanto  fin  qui  considerato  la  questione  di
 legittimita' costituzionale sopra enunciata appare non manifestamente
 infondata;
     che la Corte costituzionale, con ordinanza 11-20  novembre  1998,
 n. 378 ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt. 445 e 12-sexies cit., come
 sopra proposta, perche'  la  questione  "risulta(va)  prospettata  in
 maniera   ancipite,  dato  che  il  giudice  a  quo  propone  in  via
 alternativa due soluzioni senza concentrare sull'una o sull'altra  la
 richiesta  di una sentenza additiva (v. fra le altre, sentenza n. 129
 del 1993)";
     che la Corte  costituzionale,  con  l'ordinanza  ora  menzionata,
 ricordava  anche essere stata dichiarata manifestamente inammissibile
 con ordinanza n. 334 del 1994 identica questione relativa agli  artt.
 445  c.p.p.  e 240 cod. pen. sul rilievo che "interventi additivi del
 tipo richiesto spettano al solo legislatore che, nella sera della sua
 discrezionalita', puo' operare scelte anche  derogatorie  rispetto  a
 quelle  previste  in  via  generale  in  relazione  alla  sentenza di
 ''patteggiamento''";
     che ritiene questo giudice di sollevare nuovamente  la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 12-sexies del d.-l. 8 giugno
 1992  n.  306,  convertito  nella  legge  7  agosto 1992 n. 356, art.
 introdotto dall'art. 2 del d.-l. 20 giugno 1994  n.  399,  convertito
 dalla  legge  8 agosto 1994 n. 501, in riferimento agli artt. 3 e 27,
 terzo comma della Costituzione, laddove esclude, in caso di  sentenza
 di  applicazione della pena su richiesta per il reato di cui all'art.
 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, ricorrendo la circostanza attenuante
 di cui al quinto comma della stessa  disposizione,  la  confisca  dei
 valori costituenti profitto dell'attivita' di spaccio;
     che  la  questione  e' rilevante in causa, poiche' in questa sede
 esecutiva (art. 676 c.p.p.),  deve  farsi  applicazione  della  norma
 denunciata,  per respingere eventualmente l'istanza di dissequestro e
 di  restituzione  e  disporre  invece  la  confisca  delle  somme  in
 sequestro, in quanto provenienti da attivita' di spaccio;
     che    incentrando    la    questione    sulla    sola   denuncia
 d'incostituzionalita' dell'art. 12-sexies cit. si superano i  rilievi
 concernenti la prospettazione ancipite di cui all'ordinanza di questo
 giudice  4-15  dicembre  1997 e la pregressa pronuncia della Corte n.
 334 del 1994, riguardante i soli disposti degli artt.  445  c.p.p.  e
 240 cod. pen.;
     che   peraltro   la  denuncia  di  incostituzionalita'  dell'art.
 12-sexies non equivale a richiesta di una sentenza additiva,  poiche'
 in tale disposizione il riferimento alla fattispecie di cui al quinto
 comma  dell'art.  73  d.P.R.  n.  309/1990  e' operato in via di mera
 eccezione rispetto alla regola secondo cui e'  sempre  disposta,  sia
 nei  casi  di  condanna che di applicazione della pena, dei valori di
 cui l'imputato non possa dimostrare la provenienza legittima, ove  si
 tratti dei delitti indicati;
     che  pertanto  la  conformita'  alla  Costituzione  potra' essere
 ripristinata   semplicemente   eliminando   l'inciso   "esclusa    la
 fattispecie di cui al comma 5", che figura dopo la menzione dell'art.
 73 cit., cosi' eliminando l'eccezione qui lamentata;
     che  in  punto di non manifesta infondatezza della questione deve
 richiamarsi  integralmente   quanto   argomentato   nella   riportata
 ordinanza  4-15  dicembre  1998, in effetti continuando ad apparire a
 questo giudice contrario al principio del carattere rieducativo della
 sanzione penale il fatto di incoraggiare lo spacciatore a  proseguire
 tale  attivita' illecita, restituendogli dopo la sentenza di condanna
 o di applicazione della pena i profitti dello spaccio, e contrario al
 principio di ragionevolezza, immanente al disposto dell'art. 3  della
 Costituzione,  in quanto irragionevole, e contraria al comune sentire
 e alla morale, la  definitiva  acquisizione  dei  profitti  illeciti,
 tanto  piu'  laddove provenienti da un'attivita' cosi' dannosa per la
 societa' come lo spaccio dell'eroina;