IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza;
   Con atto di  citazione  in  data  11  settembre  1995,  ritualmente
 notificato,  gli  attori  signori  Moresco  Marco,    Slaviero Elda e
 Moresco Aldo convenivano in  giudizio  Federici  Angelo  e  il  Lloyd
 Italico   Ass.ni   S.p.a.,   in  persona  del  legale  rappresentante
 pro-tempore, nella qualita'  di  impresa  designata  per  la  regione
 Liguria dal Fondo di garanzia delle vittime della caccia.
   La domanda giudiziale in questione era finalizzata al conseguimento
 del  risarcimento  dei danni da essi subiti a seguito del decesso del
 loro congiunto, sig. Moresco Pierino, colpito a morte, nel  corso  di
 una  battuta di caccia al cinghiale, da un colpo di fucile esploso in
 occasione dell'incidente di caccia descritto in citazione.
   Come  risulta dagli atti di causa il sig. Federici era regolarmente
 assicurato per la  responsabilita'  civile  derivante  dall'esercizio
 della  caccia  con  la  F.I.R.S.  Ass.ni S.p.a. la quale, con d.m. 23
 maggio 1994, veniva posta  in liquidazione coatta amministrativa.  In
 considerazione di tale situazione gli attori formulavano la richiesta
 di condanna  della  convenuta  compagnia  di  assicurazione,  in  via
 solidale  con  il  menzionato  sig. Federici, ai sensi  dell'art. 25,
 comma 1, lett. b) della legge 11 febbraio 1992, n.  157,  "versandosi
 nell'ipotesi  di  esercente  attivita'   venatoria privo di copertura
 assicurativa per la responsabilita' civile verso terzi".
    Si costituiva in giudizio il solo Lloyd Italico  Ass.ni  eccependo
 in via pregiudiziale la propria carenza di legittimazione passiva sul
 presupposto   che  l'art.  25  del  citato  testo  di  legge  prevede
 espressamente l'intervento   del  Fondo  di  garanzia  vittime  della
 caccia (per il tramite dell'impresa designata) solo ed esclusivamente
 in  due  ipotesi:    a)  ove non sia identificato il responsabile del
 sinistro venatorio; b)  nel  caso  che  questi  non  risulti  coperto
 dall'assicurazione  per  la responsabilita' civile verso terzi di cui
 all'art. 12, comma 8, della stessa legge.
   Secondo la tesi di parte convenuta, inoltre, la norma in questione,
 con riferimento all'ipotesi sub lett. b),   non sarebbe  suscettibile
 di  interpretazione  estensiva  o  analogica con la conseguenza della
 infondatezza della domanda attrice.
   Contrariamente alla tesi espressa dal legale di parte  attrice  non
 ritiene  il  giudicante  che, alla stregua dei criteri interpretativi
 previsti dall'art. 12 delle preleggi,  sia  consentito  estendere  la
 portata dell'ipotesi normativa di cui all'art. 25, comma 1, lett.  b)
 a  tutte  le  ipotesi  in  cui,  per  qualunque  motivo,  l'attivita'
 venatoria risulti priva di copertura assicurativa.
   Ed infatti il legislatore del 1992 non poteva non avere presente il
 contenuto dell'art. 19 della legge 24  dicembre  1969,  n.  990  che,
 nell'istituire   in   materia  di  assicurazione  obbligatoria  della
 responsabilita' civile derivante dalla  circolazione  dei  veicoli  a
 motori,  un Fondo di garanzia per le vittime della strada, dopo avere
 introdotto  alle  lettere   a)   e   b)   due   ipotesi   esattamente
 corrispondenti  a  quelle esaminate in materia di caccia (veicolo non
 identificato e  veicolo  non  coperto  da  assicurazione),  prevedeva
 espressamente  alla  lett.  c)  l'ipotesi  di  veicolo assicurato con
 polizza "presso un'impresa la quale,  al  momento  del  sinistro,  si
 trovi   in   stato   di   liquidazione   coatta   o  vi  venga  posta
 successivamente".
   In materia venatoria, dunque, la scelta del  legislatore  non  puo'
 certo   essere   attribuita   ad   una   "svista"   e  cio'  comporta
 l'impossibilita' di integrare  con  un'interpretazione  estensiva  la
 precisa volonta' parlamentare.
   Condivide,  invece,  questo giudice la tesi del legale degli attori
 in ordine alla rilevanza e  alla  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di  legittimita' costituzionale relativa alla disposizione
 di cui all'art.  25  della  legge  11  febbraio  1992,  n.  157,  per
 contrasto  con  l'art.  3  della Costituzione, nella parte in cui non
 parifica  la  posizione  dell'esercente  l'attivita'  venatoria   che
 risulti  assicurato  con  polizza  del  portafoglio  italiano  presso
 un'impresa  la quale, al momento del sinistro, si trovi in  stato  di
 liquidazione  coatta o vi venga posto successivamente, alla posizione
 dell'esercente l'attivita' venatoria non  coperto  dall'assicurazione
 per  la  responsabilita' civile verso terzi di cui all'art. 12, comma
 8, della stessa legge.
   L'esistenza di un parallelismo tra le situazioni di pericolo  prese
 in  considerazione  dal  legislatore, nelle pur differenziate materie
 della circolazione stradale e dell'attivita' venatoria, si coglie  in
 tutta   evidenza  esaminando  la  sostanziale  identita'  del  tenore
 letterale dell'art. 19 della legge  990/1969  e  dell'art.  25  della
 legge 157/1992.
   Identica  risulta  altresi'  la  ratio  sottostante  ai  due  testi
 normativi  in  quanto  in  entrambi  i  casi  si  vuole  tutelare  il
 danneggiato  garantendogli il risarcimento integrale dei danni subiti
 (nel rispetto dei massimali).
   Questo spiega il motivo per cui l'attivita' venatoria  puo'  essere
 esercitata  solo  da  chi  sia  munito di polizza assicurativa per la
 responsabilita' civile verso  terzi  derivante  dall'uso  delle  armi
 (art.  12,  comma  8    legge  cit.),  perche' in caso di sinistro il
 danneggiato possa procedere ad azione  diretta  nei  confronti  della
 compagnia di assicurazione (art. 12, comma 10, legge cit.), e perche'
 sia  stata  prevista  l'istituzione  di  un  Fondo di garanzia per le
 vittime della caccia (art. 25,  comma 1, cit.).
   In definitiva se l'ottica del legislatore e'  quella  di  garantire
 anche  alle  vittime  della caccia una tutela risarcitoria, per cosi'
 dire "rafforzata", parallela ed analoga  a  quella  prevista  per  le
 vittime della strada (e di cio' non vi e' motivo di dubitare), non si
 spiega  la  mancata  previsione  in  sede  di art. 25, legge 157/1992
 dell'ipotesi dell'esercente  attivita'  venatoria  assicurato  presso
 un'impresa che versi in stato di liquidazione coatta amministrativa.
   Del  resto  la  dottrina  che  ha avuto modo di occuparsi del testo
 legislativo  in  esame  ha   sottolineato   il   dubbio   di   natura
 costituzionale  che  scaturisce dal confronto tra le due sole ipotesi
 di intervento del Fondo "caccia" rispetto alle tre  ipotesi  previste
 dall'omologo  Fondo  "strada",  sostenendo  che  tale  disparita'  di
 trattamento non puo' certo essere giustificata sul presupposto di una
 oggettiva differenza tra le due situazioni normate.
   Ne' essendo il legislatore ben consapevole del dissesto di numerose
 imprese assicuratrici italiane, pare accettabile  che  il  rimedio  a
 tale incresciosa situazione sia stato individuato solo a favore delle
 vittime della strada.
   A  sostegno  di tale disparita' neppure sembra utilmente invocabile
 il  dato  pacifico  in  forza  del  quale  i  danni  derivanti  dalla
 circolazione  stradale  coinvolgono  un  numero  enorme di cittadini,
 mentre il fenomeno dell'attivita' venatoria riguarda, in  determinate
 zone  del  territorio  e  in  limitati  periodi  dell'anno,  solo una
 minoranza della popolazione.
   In definitiva l'irrazionalita' di una situazione normativa  in  cui
 le  vittime  dei  cacciatori  assicurati  con  imprese "decotte" sono
 escluse dai benefici che sono, invece, accessibili  alle  vittime  di
 cacciatori  rimasti  ignoti  e  di cacciatori privi di assicurazione,
 determinando un'oggettiva disparita' di trattamento, sembra porsi  in
 contrasto  con  il  principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,
 limitando nelle situazioni  analoghe  a  quella  rappresentata  dagli
 odierni  attori  la possibilita' di adire l'autorita' giudiziaria per
 ottenere il risarcimento del danno.
   Precisato  che  in  sede  di  interrogatorio  formale  il convenuto
 contumace, sig. Federici Angelo, ha confermato il fatto storico posto
 a fondamento della domanda degli attori (e che il  predetto  in  sede
 penale, a seguito di patteggiamento, si e' visto applicare la pena di
 mesi  11 di reclusione), va affermata la rilevanza della questione di
 costituzionalita' in questione.
   Ed  infatti   appare   preliminare   affrontare   la   problematica
 costituzionale esposta sia al fine di potere risolvere l'eccezione di
 legittimazione  passiva  sollevata  dalla  Compagnia di assicurazione
 convenuta, sia al  fine  di  eventualmente  valutare  nel  merito  la
 possibilita'   di  accogliere  la  richiesta  di  risarcimento  danni
 proposta anche nei confronti della predetta Compagnia.