IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al numero
 di ruolo generale sopra riportato, discussa alla udienza  del  giorno
 30  marzo  1999, promossa con atto di citazione notificato in data 17
 giugno 1994 a ministero dell'aiutante ufficiale  giudiziario  addetto
 all'ufficio  unico  notifiche  della  Corte  d'apello  di  Milano, da
 fallimento Sales Promotion  S.r.l.,  in  persona  del  curatore  avv.
 Salvatore  Modica  rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Vallino,
 come da mandato in calce alla citazione, con domicilio eletto  presso
 lo studio del medesimo, attore;
   Contro Rusconi Pubblicita' S.p.a., rappresentato e difeso dall'avv.
 Gian  Piero  Biancolella,  come  da  procura  in calce alla citazione
 notificata, con domicilio eletto presso il medesimo, convenuto e  con
 la chiamata in causa di R.C.S. Editori S.p.a., rappresentato e difeso
 dall'avv.    Lorenzo Pesenti, come da procura in calce alla citazione
 notificata, con domicilio eletto presso il medesimo.
   1. - Lo sviluppo del processo.
   Con atto di  citazione  notificato  in  data  17  giugno  1994,  il
 curatore del fallimento Sales Promotion S.r.l., previa autorizzazione
 del  giudice  delegato  a stare in giudizio, esponendo che la fallita
 vantava un credito nei confronti di Rusconi pubblicita' S.p.a. per la
 somma di L. 178.500.000 in relazione alle fatture n. 83, n. 108 e  n.
 158 del 1992, che da tale credito doveva essere detratto l'importo di
 L. 49.682.500 di cui ad una nota di credito, che la Rusconi non aveva
 adempiuto   alla   obbligazione   di  pagamento  avendo  eccepito  in
 compensazione un proprio credito di L. 178.500.000  acquistato  dalla
 R.C.S.,  che la compensazione era illegittima sia perche' la cessione
 di credito non era opponibile sia perche'  la  compensazione  sarebbe
 stata revocabile in quanto avvenuta nell'anno anteriore al fallimento
 e nella consapevolezza dello stato di insolvenza del debitore ceduto,
 conveniva  in  giudizio  Rusconi  pubblicita'  S.p.a., chiedendo che,
 previa declaratoria di inefficacia, parte convenuta fosse  condannata
 al pagamento della somma di L. 178.500.000.
   Si   costituiva  in  giudizio  Rusconi  pubblicita'  eccependo  che
 l'acquisto del credito era avvenuto nell'ambito di un rapporto  assai
 piu'  vasto  con la R.C.S., che la cessione di credito era opponibile
 al fallimento in quanto avvenuta con  atti  aventi  data  certa,  che
 l'art.  56,  legge  fallimentare  consentiva l'acquisto di crediti in
 funzione di operare la compensazione, che al momento  delle  cessioni
 vi  era  l'assenza di elementi sintomatici dello stato di insolvenza;
 concludeva pertanto per il rigetto della domanda.
   Al termine della istruttoria il Collegio cui la causa era pervenuta
 per la decisione disponeva ex  art.  107  c.p.c.  l'integrazione  del
 contraddittorio  nei  confronti della R.C.S.; questa si costituiva in
 giudizio ed assumeva nella sostanza le stesse difese  della  Rusconi;
 quindi  senza  dar corso a prove orali, alla udienza tenutasi davanti
 alla sezione stralcio, la causa veniva assegnata in  decisione  sulle
 conclusioni delle parti come ascritte in epigrafe.
   2. - Il fatto e l'analisi delle domande.
   L'attore nel precisare le conclusioni definitive ha sostanzialmente
 riprodotto quelle iniziali nel senso che le ha rivolte contro Rusconi
 pubblicita'  chiedendo la condanna di questa al pagamento del credito
 relativo ad alcune fatture, sul presupposto della  inopponibilita'  o
 inefficacia  della  compensazione  opposta.  L'attore pertanto non ha
 assunto alcuna conclusione nei confronti della R.C.S.
   Prima di valutare la fondatezza della domanda, giova  ripetere  qui
 la scansione cronologica degli eventi rilevanti per il processo:
     in   data   13  marzo  1992  fra  Rusconi  pubblicita'  e  R.C.S.
 pubblicita' veniva concluso un accordo di "cambio merce"  nell'ambito
 del  quale  era anche previsto che la prima acquistasse crediti dalla
 seconda;
     a partire dal 29 febbraio 1992  sino al 29 maggio 1992, la R.C.S.
 ha  emesso  fatture  nei  confronti  della  Sales  Promotion  per  il
 complessivo importo di L. 178.500.000;
     le  cessioni  di credito per il debitore Sales Promotion venivano
 comunicate a partire dal 19 maggio 1992;
     a sua volta Sales Promotion aveva emesso nei confronti di Rusconi
 pubblicita' per l'importo totale di L. 178.500.000 le fatture n.  83,
 n. 108 e n. 158 del 1992;
     il fallimento della  Sales  Promotion  veniva  dichiarato  il  29
 aprile 1993.
   3. - La rilevanza della questione.
           Sulla inopponibilita' della cessione di credito.
   Con  la domanda principale l'attore fa valere la circostanza che la
 cessione  di  credito  intervenuta  fra  Rusconi  e  R.C.S.   sarebbe
 inopponibile  al  fallimento  in  quanto  non  munita  di  data certa
 anteriore.
   L'eccezione non puo' essere accolta  avendo  la  convenuta  Rusconi
 provato  in  corso di causa l'invio e la ricezione della raccomandata
 con la quale la Sales Promotion veniva avvisata  della  cessione  del
 credito,  in epoca anteriore al fallimento; sul punto sono decisivi i
 documenti sub 36-39 allegati al fascicolo del convenuto.
   In  verita'  la  difesa  del  fallimento ha anche opposto che nelle
 citate lettere si fa riferimento alla cessione del credito senza  che
 tali  documenti contengano la cessione vera e propria. Il rilievo non
 puo' essere condiviso dal momento che la cessione di un credito e' un
 contratto a forma libera che  si  perfeziona  fra  le  parti  con  il
 semplice  consenso, avendo la comunicazione il solo scopo di renderla
 efficace nei confronti del debitore ceduto per evitare  che  paghi  a
 chi piu' non ha la titolarita' del credito.
   Deve  allora ritenersi provata l'esistenza e la opponibilita' della
 cessione.
                   Sulla inefficacia della cessione.
   L'attore ha chiesto anche la  dichiarazione  di  inefficacia  delle
 cessioni di credito e della compensazione opposta dalla convenuta.
   Gli  ostacoli  piu'  evidenti  che  si frappongono all'accoglimento
 della domanda sono sostanzialmente tre:
     I)  l'art.  56,  legge  fallimentare  consente  espressamente  la
 compensazione  vietandola  nella  sola  ipotesi  che  l'acquisto  del
 controcredito da opporre al fallito riguardi crediti non scaduti;
     II) proprio perche' la compensazione e' un istituto  riconosciuto
 dalla   legge  fallimentare  come  mezzo  per  non  assoggettarsi  al
 concorso, si ritiene non revocabile il fenomeno compensativo;
     III) l'inefficacia della cessiore presuppone  una  partecipazione
 del  debitore  ceduto  visto  che  l'art.  67,  legge fallimentare si
 riferisce agli atti compiuti dal fallito, mentre nella fattispecie in
 esame l'atto revocando e' stato stipulato esclusivamente da Rusconi e
 R.C.S.
   Di  tali  ostacoli  gia'  si  e'   resa   consapevole   la   scarna
 giurisprudenza  sull'argomento.  Di  recente Cass., 2 luglio 1998, n.
 6474 (Giust.  civ., 1998, I, 2765) ha stabilito che il pagamento  del
 corrispettivo   della   cessione   di   credito  stipulata  nell'anno
 antecedente alla dichiarazione di insolvenza (o di fallimento) tra il
 creditore dell'insolvente e chi, essendo a sua volta  debitore  dello
 stesso  insolvente,  abbia  fatto  valere in compensazione il credito
 cedutogli, non e' revocabile a norma dell'art.  67,  comma  2,  legge
 fallimentare  perche' non puo' considerarsi atto estintivo del debito
 dell'insolvente e neppure indirettamente a lui riferibile.  Nel  caso
 in esame questo autorevole precedente non appare del tutto pertinente
 dal  momento  che  la  curatela in quel caso aveva rivolto la propria
 pretesa contro il creditore cedente e non contro il cessionario  come
 invece ha fatto il fallimento Sales Promotion.
   Viceversa  piu'  aderente  alla  vicenda  in esame e' il decisum di
 Cass., 2 ottobre 1989, n. 3955  (Fallimento,  1990,  46)  secondo  la
 quale  la  cessione di un credito, stipulata nell'anno anteriore alla
 dichiarazione di fallimento del debitore, anche se in  previsione  di
 detto  fallimento e con l'intento di consentire al cessionario, a sua
 volta debitore del fallito, di far valere in compensazione il credito
 cedutogli, si sottrae  alla  revocatoria  fallimentare,  non  potendo
 essere  considerata  come atto del fallito medesimo, e resta soggetta
 alle regole dell'art. 56, legge fallimentare in tema di compensazione
 in sede fallimentare, con la conseguenza che la compensazione  stessa
 e'  opponibile al fallimento, ove il credito ceduto sia scaduto prima
 dell'apertura della relativa procedura.
   In entrambe le occasioni i giudici di legittimita' hanno escluso la
 revocabilita'  della  cessione del credito (tanto se considerata come
 pagamento del terzo con rivalsa sul patrimonio del fallito, quanto se
 valutata come negozio sottostante la compensazione)  sulla  base  del
 rilievo che il fallito non partecipa alla cessione del credito mentre
 l'art.  67,  legge  fallimentare  evoca solamente ipotesi nelle quali
 oggetto di revocatoria e' un atto del fallito.
   Nel caso di specie, poi, neppure vale la pena di  interrogarsi  sul
 fatto  se  sia sufficiente la presenza di una fattispecie acquisitiva
 del creditore per rendere plausibile la revocabilita'  del  pagamento
 effettuato  dal terzo come e' stato di recente sostenuto in dottrina.
 Questa conclusione, che pure non sembra  condivisibile  al  lume  del
 fatto  che  l'alterazione  dell'equilibrio  fra  i  creditori  e'  il
 risultato di una attivita' cui possono rimanere estranei il  debitore
 e  l'accipiens,  mentre  nel  sistema  della  legge  fallimentare  la
 revocabilita' presuppone il compimento di un atto  (pur  nella  forma
 omissiva)  da  parte  del  debitore  insolvente  ovvero  da parte del
 creditore che vuole assumere una posizione di vantaggio (si pensi  al
 caso  della revocabilita' delle ipoteche giudiziali), non rileverebbe
 nel caso in discussione visto che l'iniziativa la curatela  non  l'ha
 rivolta verso il creditore R.C.S.
   La  soluzione della revoca della cessione del credito appare quindi
 impraticabile.
   V'e' da chiedersi allora se la soluzione possa  essere  quella  per
 cui  il divieto di compensazione, specificamente previsto dal secondo
 comma, dell'art. 56, legge fallimentare per il caso di acquisto  dopo
 la  dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore, di crediti non
 scaduti, in considerazione della ratio della norma  debba  estendersi
 anche al caso di acquisto, in quei termini, di crediti scaduti (cosi'
 si  e' pronunciato trib. Milano, 29 ottobre 1984, Dir. fallim., 1986,
 II, 61).
   Questa interpretazione, isolata in giurisprudenza e condivisa,  per
 quanto consta, solo da dottrina del tutto minoritaria, si scontra con
 un dato normativo di tale chiarezza che una interpretazione analogica
 appare  assai  discutibile;  infatti  il  legislatore avendo previsto
 (art.  56,  secondo  comma,  della   legge   fallimentare)   che   la
 compensazione  non  opera nel caso di acquisto di crediti non scaduti
 ha voluto evidentemente distinguere questa  ipotesi  da  quella  piu'
 ricorrente    del   credito   scaduto.   Reintrodurre   in   via   di
 interpretazione una regola che il legislatore  ha  certamente  voluto
 escludere, appare una attivita' ermeneutica non corretta.
   La  conseguenza  pertanto e' quella per cui la compensazione che si
 realizza  mediante  l'acquisto  di  crediti  nell'anno  anteriore  al
 fallimento  o  successivamente  in  relazione  a  debiti scaduti puo'
 essere efficacemente opposta  al  curatore,  ancorche'  questo  modus
 procedendi  possa  essere  rappresentativo  di una attivita' volta ad
 aggirare la par condicio creditorum.
   Proprio Cass., n. 6474/98 ha messo in risalto il  pericolo  che  si
 sviluppi    un    mercato   dei   crediti   vantati   nei   confronti
 dell'imprenditore insolvente ed ha proposto  come  mezzi  alternativi
 per   superare   quella   che   viene  indicata  come  una  anomalia,
 l'interpretazione analogica (che pero' si e' gia' visto poggia su una
 piattaforma  troppo   fragile)   o   l'intervento   riformatore   del
 legislatore.
   Ad  avviso  del tribunale si profila una terza soluzione, ovverosia
 l'emersione di una questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 56, legge fallimentare, secondo comma.
   4. - Sulla non manifesta infondatezza della questione.
   La ratio dell'art. 56,  secondo  comma,  legge  fallimentare  viene
 vista  nella  esigenza  di  impedire  i  vantaggi  di una separata ed
 autonoma soddisfazione  del  credito  concorsuale  in  spregio  della
 regola   del   concorso   sostanziale.  L'esclusione  del  meccanismo
 compensativo e' stata pero'  limitata  all'ipotesi  del  credito  non
 scaduto  diversamente  da  quanto  accade  in ordinamenti omogenei al
 nostro (cfr., la legge tedesca, austriaca e svizzera).
   La dottrina che si e' occupata dell'argomento non  ha  saputo  dare
 una   spiegazione   della   limitazione   se  non  sottolineando  che
 l'espressione  crediti  non  scaduti  di  cui   al   secondo   comma,
 richiamerebbe  quella  di  cui  al  primo  comma, dell'art. 56, legge
 fallimentare. Tale giustificazione si rivela assai fragile, in quanto
 la regola fissata nel primo comma, e'  ampliativa  del  regime  della
 compensazione, mentre quella del secondo comma, e' restrittiva. Altra
 parte  della  dottrina  si  e'  limitata ad osservare che la norma e'
 incongrua e la ratio e' sfuggente.
   L'unico tentativo di dare  una  seria  giustificazione  alla  norma
 appartiene  a  coloro  che  hanno  obiettato  come l'art. 56, secondo
 comma, legge fallimentare non possa riferirsi ai crediti scaduti  per
 il  semplice  fatto  che  questi  si compensano nel momento in cui si
 verifica la coesistenza tanto  che  al  momento  del  fallimento  non
 esisterebbero  piu'  ne'  debiti ne' crediti in virtu' del meccanismo
 automatico tipico della compensazione legale.
   La   suggestione   evocata   da   questa   osservazione   non    va
 sopravvalutata;  e'  vero che l'effetto compensativo si e' verificato
 ex ante, si' che non si potrebbe rimuovere ex post l'estinzione di un
 debito, ma questa conclusione non vale ai fini del concorso in quanto
 rispetto alla  massa  dei  creditori  l'estinzione  del  credito  del
 fallito presuppone che sia avvenuta efficacemente.
   Il differente trattamento normativo previsto per il credito scaduto
 e  per quello non scaduto non appare quindi giustificabile nonostante
 in ambedue i casi il meccanismo possa essere identicamente utilizzato
 per violare il principio del concorso sostanziale.
   L'incongruenza     lamentata     dalla     prevalente     dottrina,
 l'impossibilita'  di  pervenire  ad una interpretazione conforme alla
 Costituzione stante il chiaro dettato della  disposizione,  l'assenza
 di  ratio  normative  distinte, inducono il tribunale a valutare come
 non  manifestanfente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale di cui all'art.  56, secondo comma, legge fallimentare
 nella  parte in cui non prevede il divieto di compensazione anche per
 l'acquisto per atti tra vivi, nell'anno anteriore al  fallimento,  di
 crediti  scaduti.  Il parametro costituzionale di confronto e' quindi
 l'art. 3 della Costituzione nel senso che la differenza  fra  credito
 scaduto  e  credito  non  scaduto non giustifica con riferimento alla
 funzione della norma alcun diverso trattamento.
   Sussistono, pertanto, le  condizioni  per  sospendere  il  presente
 giudizio  in  attesa  della  pronuncia della Corte costituzionale cui
 vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 della legge  n.  87  del
 1953.