ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi per conflitti di attribuzione sorti a seguito del  d.P.R.
 8  settembre  1997,  n.  357  (Regolamento  recante  attuazione della
 direttiva  92/43/CEE  relativa  alla  conservazione   degli   habitat
 naturali   e   seminaturali,   nonche'  della  flora  e  della  fauna
 selvatiche) e in particolare degli artt. 1, comma 4; 3, commi 1, 2  e
 3;  4;  5;  6; 7; 8; 10, commi 1, 2, 3; 11; 12; 15 e 16, promossi con
 ricorsi della Regione Emilia-Romagna,  della  Provincia  autonoma  di
 Trento  e  della Provincia autonoma di Bolzano, notificati il 22 e il
 20 dicembre 1997, depositati in Cancelleria il 29 e il 30 successivi,
 ed iscritti ai nn. 60, 62 e 63 del registro conflitti 1997;
   Visti gli atti di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice relatore
 Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi   gli   avvocati   Giandomenico   Falcon   per   la   Regione
 Emilia-Romagna  e  per  la Provincia autonoma di Trento, Roland Riz e
 Sergio Panunzio per la Provincia autonoma  di  Bolzano  e  l'avvocato
 dello  Stato  Pier  Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso regolarmente notificato e depositato (R. confl.
 n. 60 del 1997) la Regione Emilia-Romagna ha sollevato  conflitto  di
 attribuzione  nei  confronti  dello  Stato in relazione al d.P.R.   8
 settembre  1997,  n.  357  (Regolamento  recante   attuazione   della
 direttiva   92/43/CEE   relativa  alla  conservazione  degli  habitat
 naturali  e  seminaturali,  nonche'  della  flora   e   della   fauna
 selvatiche),  e in particolare agli artt. 3, commi 1, 2 e 3; 5, commi
 2, 3, 4 e 6; 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1, 2 e 3;  11;  12;
 15;  16,  per  violazione  degli  artt.  117, primo comma; 118, primo
 comma, della Costituzione; 4 e 9 della legge  9  marzo  1989,  n.  86
 (Norme   generali   sulla   partecipazione  dell'Italia  al  processo
 normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli  obblighi
 comunitari);  8  della  legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo
 per il conferimento di  funzioni  e  compiti  alle  regioni  ed  enti
 locali,  per  la  riforma  della  pubblica  amministrazione  e per la
 semplificazione   amministrativa);   della   "legislazione    statale
 ordinaria  nei settori della caccia e della protezione della natura";
 dei "principi  costituzionali  attinenti  al  rapporto  tra  Stato  e
 Regioni e in particolare del principio di leale collaborazione".
   Secondo la Regione ricorrente sulla base della legge n. 86 del 1989
 l'attuazione statale delle direttive comunitarie in via regolamentare
 non  sarebbe  a  priori  esclusa neppure nelle materie nelle quali le
 regioni dispongono di potesta' legislativa, ma  in  tali  materie  il
 regolamento  governativo dovrebbe operare in via meramente suppletiva
 e  potrebbe  essere  integralmente  sostituito   dalla   legislazione
 regionale.  In altri termini, il regolamento non potrebbe innovare al
 riparto  di  competenze  tra  lo  Stato  e  le  Regioni,  ma dovrebbe
 limitarsi, recependo la normativa posta dalla direttiva,  a  statuire
 le regole sostanziali, procedurali e organizzative in base alle quali
 tali  preesistenti  competenze  possono esercitarsi. Al contrario, il
 regolamento impugnato da  un  lato  assumerebbe  illegittimamente  il
 ruolo  della legge nel definire i rapporti tra lo Stato e le Regioni,
 dall'altro attribuirebbe alle autorita' centrali una serie di compiti
 sovraordinati  o  comunque  interferenti  con  le  competenze   della
 Regione.
   In  particolare,  l'art.  3,  commi  1,  2  e 3, affida al Ministro
 dell'ambiente poteri che  non  troverebbero  fondamento  e  copertura
 legislativa,  e  che  potrebbero essere salvati soltanto se dovessero
 essere intesi come meri compiti di formalizzazione e trasmissione  di
 determinazioni sostanziali assunte in sede locale.
   Anche  l'art.  5  conferisce  al Ministro poteri (di valutazione di
 incidenza dei piani o progetti sui siti  di  importanza  comunitaria,
 secondo  la  procedura  ivi  prevista, nel caso di piani di rilevanza
 nazionale) che la direttiva non richiede siano imputati allo Stato.
   Laddove poi mantiene la competenza regionale  (nel  caso  cioe'  di
 piani  di  rilevanza regionale), il regolamento stabilisce tuttavia i
 contenuti della relazione per la valutazione di incidenza (sulla base
 dell'allegato G) e ogni ulteriore regola procedurale: tali previsioni
 -  secondo  la  ricorrente  -  sarebbero  invasive  delle  competenze
 regionali e potrebbero essere fatte salve solo se fossero intese come
 meramente  suppletive.  In  particolare, esse non potrebbero comunque
 trovare applicazione per quelle opere per le  quali  la  legislazione
 regionale  prescriva  la  piu'  gravosa  procedura  di valutazione di
 impatto ambientale, la quale  assumera',  in  relazione  al  sito  di
 rilievo  comunitario,  anche  il  significato  della  valutazione  di
 incidenza.
   Analoghe  censure  vengono  rivolte   all'art.   6,   che   dispone
 l'applicazione del medesimo regime alle zone di cui all'art. 1, comma
 5,  della  legge  11  febbraio  1992, n. 157 (Norme per la protezione
 della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
   L'art. 7, al comma 2, secondo il quale  il  Ministro  definisce  le
 linee  guida  per  il monitoraggio dello stato di conservazione delle
 specie  e  degli   habitat   naturali   di   interesse   comunitario,
 introdurrebbe  una  atipica  funzione di indirizzo e coordinamento in
 violazione dell'art.   8 della legge n.  59  del  1997  e,  comunque,
 lederebbe  il  principio  di  leale  cooperazione,  non prevedendo il
 parere regionale. Priva di fondamento sarebbe la  considerazione  che
 la  tutela  della  flora  e  della  fauna  rappresenta  un  interesse
 fondamentale  per  lo  Stato,  in  quanto   non   potrebbe   comunque
 discenderne  una  completa espropriazione della competenza regionale,
 senza considerare che e'  compito  del  legislatore  individuare  gli
 eventuali profili di interesse nazionale.
   L'art.  8,  comma  5, secondo il quale il Ministro indica le misure
 necessarie perche' le catture o le uccisioni  accidentali  di  talune
 specie  animali  non abbiano un significativo impatto sulle specie in
 questione,   individuerebbe   anch'esso    un    arbitrario    potere
 ministeriale,  o  darebbe  vita  a  un  anomalo  e  atipico  atto  di
 indirizzo.
   L'art. 10, comma 1, attribuirebbe al Ministro poteri - quanto  alle
 misure da adottare perche' il prelievo e lo sfruttamento di esemplari
 di  fauna  e  flora selvatiche siano compatibili con la conservazione
 delle specie medesime - che non gli sono assolutamente affidati dalla
 normativa comunitaria, mentre il comma 3 porrebbe  alla  legislazione
 regionale  limitazioni  piu'  severe  di quelle previste dall'art. 15
 della direttiva, limitazioni che non potrebbero essere  contenute  in
 un  atto regolamentare neppure se fossero riconducibili all'interesse
 nazionale.
   L'art. 11 risulterebbe lesivo delle competenze regionali in materia
 di caccia, riservando, al comma 1, al Ministro i poteri di deroga  ai
 divieti  generali,  e ponendo, al comma 2, una disciplina piu' severa
 di quella contenuta nell'art. 15 della direttiva. Anche  il  comma  3
 dell'art.  11  sarebbe  illegittimo, se inteso come fonte di autonomi
 poteri decisori ministeriali.
   L'art. 12 configura, ai commi 1 e 2,  poteri  ministeriali,  quanto
 alla  autorizzazione  alla reintroduzione delle specie, che sarebbero
 illegittimi per la  parte  in  cui  eccedono  quelli  previsti  dalla
 legislazione  statale  vigente.  Il  comma  3,  oltre a prevedere una
 autorizzazione ministeriale analoga a quella di cui al comma 2, detta
 una disciplina che appare restrittiva  rispetto  a  quella  stabilita
 nell'art. 22 della direttiva.
   L'art.  15 del regolamento viene impugnato "in via cautelativa", in
 quanto esso estende i compiti del Corpo forestale dello  Stato  oltre
 quelli  gia'  individuati  dalla  legislazione  vigente  la'  dove la
 conferenza   Stato-Regioni   aveva   richiesto    espressamente    la
 soppressione di detto articolo.
   L'art.  16,  comma  1,  sarebbe invasivo delle competenze regionali
 limitatamente all'allegato G, che non avrebbe  corrispondenza  alcuna
 con  gli  allegati  della  direttiva,  non costituendo pertanto norma
 necessaria alla sua attuazione. Il comma  2,  infine,  istituisce  un
 potere  regolamentare  permanente  di recepimento di future modifiche
 agli allegati della direttiva, che non  potrebbe  ritenersi  compreso
 nel  potere  regolamentare di cui alla legge 22 febbraio 1994, n. 146
 (Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
 dall'appartenenza    dell'Italia    alle    comunita'   europee-legge
 comunitaria 1993). Si tratterebbe, pertanto, di una ipotesi di potere
 regolamentare illegittimamente previsto da una fonte regolamentare in
 materia di competenza regionale.
   2. - Con ricorso regolarmente notificato e  depositato  (R.  confl.
 n.  62  del  1997)  la  Provincia  autonoma  di  Trento  ha sollevato
 conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in  relazione  al
 medesimo d.P.R. n. 357 del 1997, e in particolare agli artt. 1, comma
 4;  3, commi 1, 2 e 3; 5; 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3;
 11; 12; 15; 16, per violazione degli artt. 8, primo comma, numeri  5,
 6,  15,  16  e  21;  16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante lo
 statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, e delle  relative
 norme  di  attuazione  approvate  con d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526
 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome
 di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977,  n.
 616),  e  con d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto
 tra atti legislativi statali e leggi regionali e Provinciali, nonche'
 la  potesta'  statale  di  indirizzo  e coordinamento), nonche' degli
 artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989 e dell'art. 8 della  legge  n.
 59  del 1997.  Precisato che la Provincia autonoma e' titolare, nelle
 materie relative alla tutela dell'ambiente, di  competenza  primaria,
 la  ricorrente  svolge  considerazioni  generali  analoghe  a  quelle
 contenute  nel  ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna.   Pressoche'
 coincidenti  sono  anche le censure rivolte nei confronti dei singoli
 articoli, con la sola differenza dell'impugnativa  relativa  all'art.
 1,  comma  4,  del  regolamento, non oggetto del ricorso della citata
 Regione. Secondo tale disposizione le Regioni a statuto speciale e le
 Province  autonome  provvedono  all'attuazione  degli  obiettivi  del
 regolamento:  in  tale  modo l'attivita' legislativa e amministrativa
 della  Provincia  verrebbe  a  essere  subordinata   agli   obiettivi
 contenuti  in  un atto regolamentare, che non potrebbe neppure essere
 ricondotto all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento,
 dovendo  questa  essere  esercitata  nei  confronti  della  Provincia
 ricorrente  sulla  base  dell'art.  3, comma 3, del d.lgs. n. 266 del
 1992, nonche' dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997.
   3. - Con ricorso ritualmente notificato e depositato (R. confl.  n.
 63 del 1997) anche la Provincia  autonoma  di  Bolzano  ha  sollevato
 conflitto  di  attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al
 medesimo d.P.R. n. 357 del 1997, e in particolare agli artt. 3; 4; 5;
 6; 7; 8; 10, comma 1; 11; 12; 15, per violazione dell'art.  8,  primo
 comma,  numeri  1,  5,  6,  15, 16 e 21 del d.P.R. n. 670 del 1972, e
 delle relative norme di attuazione  approvate  con  d.P.R.  22  marzo
 1974,  n.  279  (Norme  di  attuazione  dello statuto speciale per la
 Regione  Trentino-Alto  Adige  in  materia   di   minime   proprieta'
 colturali,  caccia e pesca, agricoltura e foreste), con d.P.R. n. 526
 del 1987, nonche' con d.lgs. n. 266 del 1992.   Precisato  di  essere
 titolare di competenze legislative e amministrative di tipo esclusivo
 in  materia  di  ordinamento  degli uffici Provinciali, urbanistica e
 piani regolatori, tutela del paesaggio, caccia e pesca, alpicoltura e
 parchi  per  la  protezione  della  flora e della fauna, agricoltura,
 foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico e  ittico,  istituti
 fitologici,  consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, servizi
 antigrandine,  bonifica,  e  di  aver  ampiamente   esercitato   tali
 competenze,  dettando  una organica disciplina legislativa in materia
 di tutela del paesaggio e della fauna e  della  flora,  la  Provincia
 ricorrente  sottolinea che a essa spetta, nelle materie di competenza
 esclusiva,   il   potere   di   dare   immediata   attuazione    alle
 raccomandazioni  e direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei limiti
 previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei
 predetti atti comunitari (cosi' l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del  1987,
 poi  confermato  dall'art.  9  della  legge  n.  86 del 1989). Con il
 regolamento in questione, al contrario,  il  Governo  avrebbe  inteso
 dare  applicazione alla direttiva in via regolamentare, dettando esso
 stesso una disciplina analitica della materia, vincolante  anche  per
 la  Provincia di Bolzano, come risulterebbe dall'art. 1, comma 4, del
 medesimo regolamento secondo il quale "le Regioni a statuto  speciale
 e   le   Province   autonome   di  Trento  e  di  Bolzano  provvedono
 all'attuazione degli obiettivi del presente regolamento nel  rispetto
 di  quanto  previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di
 attuazione". Nell'attuazione delle direttive comunitarie  in  materie
 di  competenza esclusiva, infatti, o la direttiva e' sufficientemente
 dettagliata, per cui spetta alla Provincia l'attivita' amministrativa
 di esecuzione, mentre lo Stato potra'  intervenire  soltanto  tramite
 atti  di  indirizzo  e  coordinamento,  adottati  nelle  forme di cui
 all'art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992, ovvero la  direttiva  richiede
 un'attivita'  normativa  ulteriore,  e  in  questo  caso  spetta alla
 Provincia legiferare in materia, salvo adeguarsi alle eventuali leggi
 statali che pongono i principi e  limiti  ex  art.  4  dello  statuto
 speciale.  Pertanto,  lo  Stato  non  potrebbe intervenire tramite un
 regolamento governativo a  vincolare  le  Province  autonome,  tenuto
 conto  tra  l'altro  che  la  ricorrente  aveva  gia' disciplinato la
 materia con proprie leggi e che, comunque, anche  in  caso  contrario
 occorrerebbe  seguire  il procedimento sostitutivo previsto dall'art.
 8 del d.P.R. n. 526 del 1987. Peraltro, se l'atto  impugnato  dovesse
 considerarsi  come  atto  di  indirizzo e coordinamento, esso sarebbe
 stato adottato in violazione dell'art. 3, comma 3, del d.lgs. n.  266
 del 1992, che stabilisce l'obbligo di consultazione preventiva  delle
 Province  autonome.    La  Provincia  avanza poi censure in ordine ad
 alcuni specifici articoli:  l'art. 3 riconoscerebbe  alla  ricorrente
 poteri  soltanto  propositivi  per  la  individuazione  dei  siti  di
 importanza comunitaria,  mentre  sarebbe  riservata  al  Ministro  la
 competenza   per   la   relativa  formulazione  della  proposta  alla
 Commissione europea; l'art. 4 obbligherebbe la Provincia ad  adottare
 le  opportune  misure  per evitare il degrado degli habitat naturali,
 entro i termini di tre e sei mesi, senza che essa abbia alcun  potere
 di  farlo,  spettandole  unicamente quello di attuare direttamente la
 direttiva nel termine dalla medesima stabilito;  l'art.  5  prescrive
 una dettagliata procedura relativa all'adozione e all'approvazione di
 piani  che  possano  avere impatto su siti di importanza comunitaria,
 invadendo  la  competenza  provinciale  esclusiva   in   materia   di
 urbanistica  e  piani regolatori; l'art. 6 pretenderebbe di applicare
 gli obblighi derivanti dall'art. 4, commi 2 e 3, e dall'art.  5, alle
 zone  di  cui all'art. 1, comma 5, della legge n. 157 del 1992, senza
 considerare che la Provincia ha competenza esclusiva anche in materia
 di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della  fauna;
 l'art. 7, obbligando la Provincia a comunicare al Ministero le misure
 adottate  per  la  conservazione  degli habitat naturali di interesse
 comunitario, e affidando al Ministro  la  competenza  a  definire  le
 linee  guida  per il monitoraggio, senza che cio' sia richiesto dalla
 direttiva, sarebbe invasivo delle competenze Provinciali;  lo  stesso
 potrebbe   dirsi  dell'art.  8,  che  fa  obbligo  alle  Province  di
 instaurare un  sistema  di  monitoraggio  continuo  delle  catture  o
 uccisioni  accidentali  di talune specie faunistiche e di trasmettere
 un rapporto annuale al Ministero dell'ambiente. Il comma  5  di  tale
 articolo,  conferendo  al Ministro il potere di indicare le misure di
 conservazione necessarie per assicurare che le catture o le uccisioni
 involontarie non abbiano  un  significativo  impatto  negativo  sulle
 specie in questione, invaderebbe le competenze Provinciali in materia
 di caccia. Analoga censura viene avanzata avverso l'art. 10, comma 1.
 Inoltre, l'art.  11, attribuendo al Ministro il potere di autorizzare
 le  deroghe  alle  disposizioni  previste  negli  artt.  8,  9  e 10,
 invaderebbe le competenze Provinciali,  cosi'  come  l'art.  12,  che
 attribuisce  al  Ministro  il potere di dare le autorizzazioni per la
 reintroduzione di specie animali e  vegetali  e  la  introduzione  di
 specie non locali. Infine, nel territorio della Provincia di Bolzano,
 al  Corpo  forestale  dello  Stato  non  potrebbero spettare, secondo
 quanto stabilito dalle  norme  di  attuazione  statutaria  che  hanno
 trasferito  per  intero  alla  Provincia autonoma le attribuzioni del
 Corpo forestale  medesimo,  poteri  di  sorveglianza,  come  vorrebbe
 invece  l'art.  15  del  regolamento, tanto piu' che la direttiva non
 richiede un accentramento  delle  funzioni  di  controllo  in  organi
 statali.
   4.  -  In  tutti e tre i giudizi si e' costituito il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello Stato, chiedendo che i conflitti siano dichiarati non
 fondati.   Infatti il regolamento impugnato  si  sarebbe  limitato  a
 prescrivere  quel  minimo di disciplina indispensabile per soddisfare
 l'obbligo  di  recepimento  della  direttiva,  tenuto  conto  che  la
 Commissione  CE,  con  ricorso  11  aprile  1997,  aveva convenuto la
 Repubblica  italiana  davanti  alla  Corte  di  giustizia  ai   sensi
 dell'art.  169  del Trattato contestando l'inadempimento dell'obbligo
 di comunicare le misure  di  attuazione  della  direttiva  92/43/CEE,
 obbligo  che  incombe  al Governo anche se la misura di attuazione e'
 adottata da una Regione o da una Provincia autonoma: ma le ricorrenti
 non hanno comunicato  al  Governo  alcun  atto  normativo  idoneo  al
 recepimento  della direttiva per il territorio di loro competenza. Il
 regolamento  non  fa  altro  che  rendere  operante  nell'ordinamento
 interno   il  contenuto  della  direttiva,  per  quanto  concerne  la
 individuazione dei siti costituenti zone  da  sottoporre  a  speciale
 conservazione   e   l'adozione   dei   provvedimenti  necessari  alla
 protezione degli habitat,  limitandosi,  nella  determinazione  delle
 autorita'  interne  competenti,  a  una  ricognizione  di quanto gia'
 ricavabile dal riparto di competenze tra  Stato  e  Regioni  disposto
 dalla legislazione quadro in tema di protezione della natura, nonche'
 dal  principio fondamentale che riserva allo Stato la responsabilita'
 di garantire in modo unitario e completo l'adempimento degli obblighi
 comunitari.
   5.  -  In  prossimita' dell'udienza, le ricorrenti hanno depositato
 memorie illustrative replicando ai rilievi  avanzati  dall'Avvocatura
 dello Stato.
   5.1.  -  La  Regione Emilia-Romagna precisa che nell'attuazione, in
 via amministrativa, delle direttive comunitarie incidenti su  materie
 regionali,  lo  Stato  puo'  intervenire  solo in via sostitutiva, in
 seguito al persistente inadempimento della Regione (cosi' l'art.   11
 della  legge  n.  86 del 1989 e l'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977).
 Ne' d'altra parte la direttiva in questione richiederebbe uniformita'
 di  attuazione  a  livello  statale,  venendo  in  rilievo,  in  sede
 comunitaria,   soltanto   i   "livelli  comunitari  di  uniformita'",
 assicurati appunto dalla direttiva medesima.
   5.2. - La Provincia autonoma di Trento ribadisce che le  molteplici
 norme  del  regolamento  impugnato  che prevedono poteri ministeriali
 risultano  sprovviste  di   fondamento   legislativo,   non   essendo
 sufficienti i generici richiami alla legislazione statale di cornice.
 Ne'  si  puo' sostenere che le alterazioni delle competenze sarebbero
 semplicemente una conseguenza della  necessita'  di  dare  attuazione
 alla  direttiva,  in quanto, circa l'attuazione in via amministrativa
 delle direttive comunitarie, lo Stato puo' far  fronte  alle  proprie
 responsabilita'  solo  in  via sostitutiva, in seguito al persistente
 inadempimento  della  Regione  o  della  Provincia,  sulla  base  del
 procedimento di cui all'art. 11 della legge n. 86 del 1989 e all'art.
 6  del  d.P.R. n.   616 del 1977, nonche', riguardo alla Provincia di
 Trento, all'art.  8 del d.P.R. n. 526 del 1987.
   5.3. - La Provincia autonoma di Bolzano precisa di essersi  dotata,
 ancor  prima  della  emanazione  della  direttiva  92/43/CEE,  di una
 disciplina legislativa organica di tutela degli ambienti naturali,  e
 che  le  corrispondenti  leggi  Provinciali, regolarmente pubblicate,
 erano state comunicate al Governo. Comunque, anche a  voler  ritenere
 che  la Provincia avesse omesso di dare attuazione alla direttiva, lo
 Stato, trattandosi di materia di competenza esclusiva, sarebbe potuto
 intervenire solo con atti legislativi, al fine di  porre  principi  e
 norme  di  indirizzo  (o  norme  di  dettaglio  suppletive), ai sensi
 dell'art. 7 del  d.P.R.  n.  526  del  1987,  oppure  avrebbe  potuto
 utilizzare  il  potere  sostitutivo previsto dall'art. 8 del medesimo
 d.P.R. n.   526, che deve essere accompagnato  da  una  procedura  di
 consultazione,  contestazione  e  messa in mora: procedura che non e'
 stata seguita nel caso di specie. Alle  Province  autonome,  infatti,
 non  puo'  applicarsi  la  disciplina contenuta nell'art. 9, comma 4,
 della legge n. 86 del 1989, in quanto le norme  di  attuazione  dello
 statuto  speciale  godono  di  una  peculiare  forza passiva. Anche a
 ritenere tale art. 9, comma 4, applicabile alla Provincia di Bolzano,
 esso dovrebbe comunque essere integrato dagli artt. 7 e 8 del  d.P.R.
 n.  526  del  1987, per cui si sarebbe dovuta seguire in ogni caso la
 gia' menzionata procedura sostitutiva. Ne' il  regolamento  impugnato
 si sarebbe limitato a porre la disciplina strettamente necessaria per
 soddisfare  l'obbligo  di  recepimento,  avendo riservato al Ministro
 molteplici poteri  che,  in  base  al  riparto  costituzionale  delle
 competenze,  spettano  alla Provincia, e che la direttiva comunitaria
 non imponeva in alcun modo di affidare allo Stato.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La Regione Emilia-Romagna e le Province autonome di Trento e
 di Bolzano ricorrono per conflitto di attribuzione contro  lo  Stato,
 in  relazione al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante
 attuazione della  direttiva  92/43/CEE  relativa  alla  conservazione
 degli  habitat  naturali  e seminaturali, nonche' della flora e della
 fauna selvatiche), adottato sulla base dell'autorizzazione  conferita
 al  Governo  dall'art.  4  della  legge  22  febbraio  1994,  n.  146
 (Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
 dall'appartenenza   dell'Italia   alle   comunita'  europee  -  legge
 comunitaria 1993)  ad  attuare  in  via  regolamentare  le  direttive
 indicate  nell'allegato C alla legge stessa, tra le quali e' compresa
 la suddetta direttiva 92/43/CEE.
   2.1. - La direttiva del Consiglio 92/43/CEE  del  21  maggio  1992,
 relativa  alla  conservazione degli habitat naturali e seminaturali e
 della flora e della fauna selvatiche, nell'ambito della  politica  di
 salvaguardia,    protezione    e    miglioramento    della   qualita'
 dell'ambiente, conformemente  all'art.  130  R  (ora  art.  174)  del
 Trattato,  ha  promosso,  secondo  tempi  procedimentali definiti, la
 realizzazione di una rete ecologica  europea  coerente  -  denominata
 "Natura  2000"  -  costituita  da  zone  speciali  di  conservazione,
 concernenti "siti di importanza comunitaria"  la  cui  individuazione
 spetta   ordinariamente  agli  Stati  (e  solo  eccezionalmente  alla
 Commissione). In tali zone, gli Stati membri sono tenuti  ad  attuare
 speciali  misure  di  conservazione  e  promozione,  con  la connessa
 attivita' di sorveglianza e tutela delle specie  animali  e  vegetali
 protette, nonche' a promuovere attivita' di studio e ricerca. Secondo
 l'art.  23  della  direttiva,  gli  Stati  membri  devono adottare le
 disposizioni legislative, regolamentari e  amministrative  necessarie
 per  conformarsi  alla direttiva medesima, entro due anni a decorrere
 dalla sua notifica, e informarne immediatamente la Commissione.
   2.2. - Con l'art. 4 della legge n.  146  del  1994,  il  Parlamento
 italiano  ha  inteso  dare attuazione alla predetta direttiva per via
 regolamentare, attribuendo al  Governo  la  relativa  autorizzazione.
 Sulla  base di questa e' stato emanato il regolamento in questione il
 quale porta la data dell'8 settembre 1997.
   Tale  regolamento  disciplina  (a)  l'individuazione   delle   zone
 protette, (b) le misure di protezione dei siti e delle specie animali
 e  vegetali in essi esistenti, nonche' (c) alcune attivita' connesse.
 Il conflitto nasce in relazione a disposizioni ascrivibili a tutti  e
 tre questi ambiti di disciplina:
     a)  Circa l'individuazione delle zone protette, l'art. 3, commi 1
 e 2, stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e  di
 Bolzano  individuino,  con  proprio  procedimento,  i  siti in cui si
 trovano tipi di habitat meritevoli di protezione secondo la direttiva
 e ne diano comunicazione  al  Ministero  dell'ambiente.  Al  Ministro
 dell'ambiente  spetta,  su  questa base, la proposta alla Commissione
 europea,  ai  fini  della  designazione  delle  "zone   speciali   di
 conservazione" per la formazione della rete ecologica europea;
     b)  Quanto  alle misure di protezione, lo stesso art. 3, al comma
 3,  prevede  il  potere  del  Ministro  dell'ambiente  di   definire,
 nell'ambito  di  quanto  stabilito dall'art. 3 della legge 6 dicembre
 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), le "direttive per la
 gestione  delle  aree  di  collegamento  ecologico  funzionale"   che
 rivestono  primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche, al
 fine  di  assicurare  la coerenza ecologica della rete "Natura 2000".
 L'art. 4 impone l'adozione da parte delle Regioni  e  delle  Province
 autonome   di  "misure  di  conservazione"  dei  siti  di  importanza
 comunitaria e delle zone speciali di conservazione.  L'art. 5 prevede
 per i siti di importanza comunitaria (e  l'art.  6  per  le  zone  di
 protezione  dell'avifauna  migratoria  di  cui all'art.   1, comma 5,
 della  legge  11  febbraio  1992,  n.  157,  recante  "Norme  per  la
 protezione   della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo
 venatorio") una "valutazione di incidenza" ai fini  dell'approvazione
 degli   atti   di   pianificazione   e  programmazione  territoriale,
 distinguendo  procedure   e   competenze   statali   (del   Ministero
 dell'ambiente)  e  regionali,  a  seconda  che  si  tratti di piani a
 rilevanza nazionale o a rilevanza regionale e provinciale. Gli  artt.
 8 e 9, attraverso una serie di divieti, pongono norme di tutela delle
 specie  animali  e  vegetali  e  dettano  norme  per  le catture e le
 uccisioni  accidentali  delle  specie  animali  indicate.  L'art.  10
 disciplina  i "prelievi" di esemplari delle specie animali e vegetali
 protette,  attribuendo  al  Ministero  dell'ambiente  il  compito  di
 definire  le  misure  necessarie affinche' essi risultino compatibili
 con la  protezione  delle  specie  stesse.    L'art.  11  prevede  la
 possibilita'  di deroghe ai divieti risultanti dagli artt. 8, 9 e 10,
 deroghe che possono essere autorizzate dal  Ministero  dell'ambiente.
 L'art.  12  disciplina  la  "reintroduzione"  di specie gia' esistite
 nelle zone protette e la "introduzione" di specie nuove,  subordinate
 pero'   anch'esse  all'autorizzazione  del  Ministero  dell'ambiente.
 L'art. 15 attribuisce infine al Corpo forestale dello Stato le azioni
 di sorveglianza connesse all'applicazione delle norme  di  protezione
 in questione;
     c)  Relativamente  alle  attivita'  di studio e alla circolazione
 delle informazioni, l'art. 7 prevede che le  Regioni  e  le  Province
 autonome  organizzino  il "monitoraggio" dello stato di conservazione
 delle specie e degli habitat di interesse comunitario, secondo "linee
 guida" definite dal Ministero dell'ambiente. L'art. 8, commi 4  e  5,
 prevede  uno  specifico  "monitoraggio" per le catture e le uccisioni
 accidentali di specie faunistiche  indicate  in  allegato  e  che  un
 rapporto  annuale  sia trasmesso al Ministero dell'ambiente il quale,
 sulla base delle informazioni raccolte, promuove ricerche e indica le
 misure  necessarie  a  evitare  effetti  negativi  sulle  specie   in
 questione.    Gli artt. 11, comma 3, 13 e 14, infine, disciplinano la
 circolazione, tra Regioni e Province autonome, autorita'  governativa
 e  Commissione  europea,  delle informazioni sulle deroghe ai divieti
 concesse, sull'attuazione delle misure adottate e  sull'attivita'  di
 ricerca e istruzione in tema di habitat naturali.
   A  parte,  poi,  devono essere considerate due disposizioni: l'art.
 16 il quale, dopo aver richiamato, come integrazione del regolamento,
 una serie di allegati contenenti specificazioni di natura  tecnica  e
 scientifica   delle  nozioni  generali  utilizzate,  prevede  ch'essi
 possano essere modificati con decreto del Ministro dell'ambiente,  in
 conformita'   alle   variazioni  apportate  alla  direttiva  in  sede
 comunitaria; l'art. 1, comma 4, che impone alle Province  autonome  e
 alle  Regioni  a  statuto speciale l'attuazione degli obiettivi posti
 dal Governo  con  lo  stesso  regolamento,  nel  rispetto  di  quanto
 previsto dai propri statuti e dalle relative norme di attuazione.
   3.1. - La Provincia di Bolzano prospetta innanzitutto la violazione
 della  propria  sfera di autonomia costituzionalmente garantita, come
 conseguenza dell'attuazione della direttiva  per  mezzo  di  un  atto
 avente   natura  regolamentare.  Ad  avviso  della  ricorrente,  cio'
 comporterebbe violazione del  sistema  di  coordinamento  dei  poteri
 normativi  nazionali  e  di  quelli  regionali e provinciali: sistema
 previsto, in riferimento alla Regione Trentino-Alto Adige e alle  sue
 Province  autonome,  dal  d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione
 alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e
 Bolzano delle disposizioni del d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616)  e
 basato  sul  potere  delle  Province (oltre che della Regione), nelle
 materie  di  loro  competenza  esclusiva  (quali   sarebbero   quelle
 coinvolte   nella   disciplina  regolamentare),  di  "dare  immediata
 attuazione alle direttive comunitarie, salvo  adeguarsi,  nei  limiti
 previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei
 predetti  atti  comunitari" (art. 7 del d.P.R. citato, confermato poi
 dall'art. 9, commi 1 e 3, della legge 9 marzo 1989,  n.  86,  recante
 "Norme   generali   sulla   partecipazione  dell'Italia  al  processo
 normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli  obblighi
 comunitari").  Ad  avviso della Provincia ricorrente, l'attuazione in
 via regolamentare da parte del Governo di una direttiva  comunitaria,
 con  conseguenze  limitative  dell'autonomia  provinciale, nonche' in
 particolare  la  pretesa  dichiarata  nell'art.  1,  comma   4,   del
 regolamento,  di  imporre  alle  Province  autonome  (oltre  che alle
 Regioni a statuto  speciale)  l'attuazione  di  obiettivi  posti  dal
 Governo  in  via  regolamentare,  violerebbe  tale  sistema, il quale
 conosce soltanto la legge (ed entro i limiti statutari)  quale  fonte
 abilitata,  nei limiti costituzionali, a porre vincoli alla Provincia
 stessa nelle materie di sua competenza, in adempimento degli obblighi
 di adeguamento  scaturenti  da  direttive  comunitarie.  Da  qui,  la
 richiesta  di  accoglimento  del  ricorso, con integrale annullamento
 dell'atto regolamentare.
   Solo in via subordinata, la Provincia eccepisce la lesivita'  delle
 competenze  provinciali  di  singole  disposizioni del regolamento, e
 precisamente degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8,  10,  11,  12,  15,  nelle
 parti sopra gia' indicate.
   3.2.  -  La  Regione  Emilia-Romagna  e la Provincia di Trento, con
 ricorsi di analoga  impostazione,  sostengono  -  diversamente  dalla
 Provincia di Bolzano - non che l'adozione del regolamento nel caso di
 specie  sia di per se' lesiva dell'autonomia regionale e provinciale,
 ma che la lesivita' di  tale  atto  normativo  derivi  dai  contenuti
 particolari  di  numerose  disposizioni  in  esso contenute. La tesi,
 prospettata anche con riferimento agli artt. 4 e 9 della legge n.  86
 del  1989,  puo', in sintesi, essere formulata cosi': il quadro delle
 competenze e  dei  rapporti  tra  Stato  e  Regioni  (e  Province  ad
 autonomia  speciale)  e'  determinabile - nei limiti costituzionali e
 statutari - solo dalla legge; nel caso dell'attuazione  di  direttive
 comunitarie, non e' esclusa l'adozione di atti regolamentari, nemmeno
 nelle  materie  di  competenza  regionale,  purche'  con  essi non si
 pretenda, per l'appunto, di determinare - alterandolo -  tale  quadro
 ma,  recependo  i contenuti della direttiva, ci si limiti a statuire,
 conformemente a tali contenuti, regole di esercizio  di  preesistenti
 competenze  fissate  dalla  legge  entro  il  quadro  delineato dalla
 Costituzione; nella  specie,  il  regolamento  in  questione  sarebbe
 andato  al  di la' di quanto sarebbe cosi' consentito, avendo assunto
 il  compito, proprio della legge, di configurare, in un settore della
 materia ambientale, i rapporti ordinamentali tra  Stato  e  autonomie
 regionali  e  provinciali,  per  di  piu' attraverso la previsione di
 poteri ministeriali sovraordinati e interferenti  con  le  competenze
 regionali  e provinciali stesse. Da qui, la richiesta di accoglimento
 del ricorso, con annullamento delle disposizioni che, ad avviso della
 Regione  e  della  Provincia,  travalicherebbero  i  limiti  inerenti
 all'intervento    regolamentare   nell'attuazione   delle   direttive
 comunitarie. Tali disposizioni,  coincidenti  largamente  con  quelle
 coinvolte  nel ricorso proposto dalla Provincia di Bolzano, sarebbero
 quelle contenute egli artt. 3, 5, 6, 7, 8, 10, 11,  12,  15,  16  del
 regolamento, cui si aggiunge, per la sola Provincia di Trento, l'art.
 1, comma 4.
   4.  -  I  tre  ricorsi  per  conflitto di attribuzione investono lo
 stesso atto regolamentare, per lo  piu'  nelle  medesime  sue  parti,
 chiedendone  l'annullamento  totale  o  parziale  come  rimedio  alla
 pretesa lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita
 delle ricorrenti.  I giudizi relativi possono pertanto  riunirsi  per
 essere definiti con unica decisione.
   5.1.   -   Viene   in   considerazione  innanzitutto,  per  la  sua
 radicalita',  la  doglianza  della   Provincia   di   Bolzano   circa
 l'inidoneita'  del regolamento in questione, in quanto regolamento, a
 disciplinare i rapporti tra  la  Provincia  stessa  e  lo  Stato,  in
 attuazione delle direttive comunitarie, in materie - come si sostiene
 essere  nel  caso  in  esame - attribuite alla competenza Provinciale
 esclusiva.
   L'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, sulla pretesa  violazione  del
 quale   l'anzidetta  doglianza  si  basa,  prevede  il  potere  della
 Provincia di dare immediata  attuazione  alle  direttive  comunitarie
 nelle  materie  di  sua  esclusiva  competenza,  salvo adeguarsi, nei
 limiti  previsti  dallo  statuto  speciale,  alle  leggi  statali  di
 attuazione   dei   predetti   atti   comunitari.  Ma,  contrariamente
 all'assunto  della  ricorrente,  il  modello  di  rapporto  tra  atti
 comunitari,  statali  e  provinciali  che tale disposizione prefigura
 come normale - attuazione diretta  della  direttiva  da  parte  della
 legge  provinciale,  "salvo"  il  doversi  adeguare  del  legislatore
 provinciale, nei limiti statutari, alle leggi statali di attuazione -
 non risulta  minimamente  toccato  dalla  vicenda  normativa  qui  in
 questione.  La  Provincia  mantiene infatti intatto il potere di dare
 attuazione direttamente alla direttiva comunitaria e, nel caso in cui
 tale attuazione effettivamente si dia, per questa varranno  i  limiti
 che  lo  statuto  speciale  prevede, tra i quali vi e' spazio per una
 legislazione statale di attuazione  della  direttiva,  per  la  parte
 relativa  e  in  conformita' agli interessi di natura unitaria di cui
 tale legislazione e' portatrice:  cio'  che  esattamente  corrisponde
 alla previsione dell'art. 7 del d.P.R. n.  526 del 1987.
   Se  dunque la Provincia fa uso del potere che le e' proprio di dare
 attuazione alla direttiva comunitaria, incontrera' i limiti di natura
 legislativa - e solo legislativa - che, secondo lo statuto  speciale,
 la  propria  legislazione  e'  tenuta  a rispettare, conformemente ai
 principi costituzionali di cui la  norma  di  attuazione  costituisce
 un'esplicitazione.  Ma se, invece, attuazione legislativa provinciale
 non vi e', cambia il quadro normativo di riferimento. Non trova cioe'
 applicazione l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed entrano in  campo
 altri e diversi principi nei quali - come si dira' piu' oltre - si fa
 necessariamente  strada  il  potere-dovere  dello Stato di assicurare
 l'adempimento degli obblighi comunitari, cio' di cui, unitariamente e
 per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso e' responsabile.
   Non vale - contrariamente all'avviso della ricorrente -  richiamare
 la  posizione  speciale  della  Provincia  di  Bolzano, quale risulta
 dall'art.   8 delle norme di  attuazione  citate.  Tale  disposizione
 prevede  una  procedura  di  "messa in mora" degli organi regionali e
 Provinciali del Trentino-Alto Adige, inadempienti nei confronti degli
 obblighi comunitari,  e  il  potere  sostitutivo  del  Consiglio  dei
 Ministri,  nei confronti dell'Amministrazione regionale o provinciale
 che non abbia  provveduto  nel  termine  stabilito  dal  Governo.  La
 procedura  indicata,  modellata  su  quella  a suo tempo prevista dal
 terzo comma dell'art.  6 del d.P.R. n. 616 del 1977, riguarda, e  non
 potrebbe  non  riguardare, soltanto il caso di adempimento attraverso
 provvedimenti di natura amministrativa e  non  anche  quello  in  cui
 l'atto  comunitario, fonte di obblighi per gli Stati membri, richieda
 un intervento di natura legislativa.
   Per concludere su questo punto: l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987
 prevede il caso in cui vi sia attuazione  legislativa  (regionale  e)
 provinciale   degli   obblighi  comunitari;  l'art.  8,  il  caso  di
 inattuazione amministrativa degli stessi obblighi. Se la direttiva ha
 da essere attuata  in  via  legislativa  e  la  legge  provinciale  o
 regionale  manca,  non  trova  dunque  applicazione  ne' l'art. 7 ne'
 l'art. 8.  Se  invece  la  Provincia  esercita  la  propria  potesta'
 legislativa,  in  attuazione  della  direttiva comunitaria, varra' la
 previsione dell'art. 7 con i  limiti  che  essa,  conformemente  alle
 norme  statutarie, stabilisce rispetto alla possibile ingerenza della
 normazione dello Stato, e in particolare all'ingerenza  da  parte  di
 norme  regolamentari,  nella  normazione provinciale. In breve, delle
 due l'una: o manca un'attuazione legislativa provinciale, e allora il
 richiamo agli artt. 7 e 8 delle disposizioni di attuazione  e'  fuori
 luogo;  oppure  non  manca,  e  allora si applica l'art. 7, con piena
 soddisfazione della pretesa avanzata della Provincia di non vedere la
 propria potesta' legislativa limitata da  norme  regolamentari  dello
 Stato.
   Per   queste   ragioni,   la   lesione  dell'autonomia  legislativa
 provinciale, lamentata sulla base del richiamo agli artt. 7 e  8  del
 d.P.R. n.  526 del 1987, non e' riscontrabile e, per questa parte, il
 ricorso  per  conflitto  di  attribuzione proposto dalla Provincia di
 Bolzano deve essere respinto.
   5.2. -  Passando  ora  all'esame  delle  singole  disposizioni  del
 regolamento,  a opera delle quali le ricorrenti ritengono, l'una - la
 Provincia di Bolzano - la lesione diretta delle proprie competenze  e
 le  altre  -  la  Provincia  di  Trento e la Regione Emilia-Romagna -
 l'alterazione dei rapporti  ordinamentali  con  l'autorita'  statale,
 inammissibile   in   via   regolamentare,   vengono  innanzitutto  in
 considerazione quelle norme del regolamento che possono ricondursi al
 coordinamento  delle  attivita'  delle  Regioni  e   delle   Province
 autonome,   ai   fini  della  loro  rappresentazione  necessariamente
 unitaria presso l'Unione europea.   Si tratta di  funzioni  che  allo
 Stato,  in generale, spettano indubitabilmente, come riconosciuto ora
 dall'art. 2 del  d.lgs.  31  marzo  1998,  n.  112  (Conferimento  di
 funzioni  e  compiti  amministrativi dello Stato alle regioni ed agli
 enti  locali,  in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n.
 59) e che, con riguardo alla materia interessata dal  regolamento  in
 questione,  ricadono  nella  responsabilita'  attribuita  al Ministro
 dell'ambiente dal tuttora vigente art. 1,  comma  5,  della  legge  8
 luglio  1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme
 in materia di danno ambientale).
   Si tratta innanzitutto dell'art.  3,  commi  1  e  2,  in  tema  di
 comunicazione  al  Ministro  dell'ambiente,  da parte delle Regioni e
 delle Province autonome, dei siti di importanza comunitaria  ai  fini
 della   proposta   alla  Commissione  europea,  nonche'  in  tema  di
 designazione delle "zone speciali di conservazione" a  seguito  della
 definizione dei siti da parte della Commissione stessa.
   La  premessa  da  cui  muovono  le  ricorrenti  e'  che, in tema di
 individuazione delle zone speciali di conservazione, le Regioni e  le
 Province  autonome  siano  soggette alle determinazioni ministeriali,
 sia in sede di proposta alla Commissione  europea,  sia  in  sede  di
 designazione  delle  "zone  speciali".  Ma  tale  interpretazione  e'
 infondata, in quanto le norme censurate mirano esclusivamente a porre
 l'autorita'  di  governo  nazionale  in   condizione   di   adempiere
 all'obbligo  di comunicazione derivante dalla direttiva, senza che vi
 sia in  esse  alcun  elemento  da  cui  arguire  uno  spostamento  di
 competenze  circa il diverso potere di individuazione sostanziale dei
 siti  da  sottoporre  a  speciale  protezione,  potere   che   rimane
 disciplinato  dalle  norme  sui  rapporti  Stato-Regioni  e  Province
 autonome  in  materia  ambientale.  Distinto  dunque  il  potere   di
 individuazione  dei siti da quello di formulazione della proposta, di
 comunicazione e di conseguenziale designazione delle  zone,  cade  di
 per se' la ragione della censura.
   Nella medesima categoria di poteri di coordinamento delle attivita'
 regionali  e provinciali ai fini della loro rappresentazione unitaria
 presso  l'Unione  europea  rientrano  inoltre  le  funzioni  previste
 dall'art.  7, commi 1 e 2, del regolamento, in tema di "monitoraggio"
 dello  stato  di  conservazione  delle  specie  e  degli  habitat  di
 interesse comunitario, attivita'  che  spetta  alle  Regioni  e  alle
 Province  autonome  effettuare,  con  comunicazione  al Ministero dei
 risultati.  Le  ricorrenti  si  dolgono  della  circostanza  che   la
 descritta  attivita'  regionale  e provinciale debba avvenire secondo
 linee guida definite dal Ministero dell'ambiente.  Ma  l'esigenza  di
 uniformare  le  operazioni,  alla  stregua  di  criteri  unitari,  e'
 evidente, anche in considerazione dell'art.  17, paragrafo  1,  della
 direttiva  che  prevede  il  dovere degli Stati membri di trasmettere
 periodicamente  alla  Commissione  relazioni  nazionali  conformi  al
 modello  elaborato dal Comitato previsto dall'art. 20 della direttiva
 stessa, ed e' corollario necessario della funzione  di  raccordo  con
 l'organizzazione comunitaria che in materia spetta al Ministero.
   Ad  analoghe  considerazioni,  con conseguente riconoscimento della
 competenza dello  Stato,  si  presta  l'obbligo  di  trasmissione  al
 Ministero  da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento
 e Bolzano del rapporto annuale previsto dall'art.  8,  comma  4,  del
 regolamento  e  l'obbligo  del Ministero di trasmettere ogni due anni
 alla Commissione  europea  la  relazione  sulle  deroghe  ai  divieti
 concesse, secondo l'art.  11, comma 3, del  regolamento.
   5.3. - Passando ora alla considerazione del regolamento nella parte
 in   cui  contiene  norme  riguardanti  materia  nella  quale  esiste
 competenza regionale  e  provinciale,  viene  in  rilievo  il  quadro
 costituzionale  nel  quale  si collocano i rapporti tra lo Stato e le
 Regioni  e  le  Province  autonome,  nell'attuazione   di   direttive
 comunitarie.
   5.3.1.  -  Tale quadro e' definito dalle due proposizioni seguenti:
 l'esistenza di una  normativa  comunitaria  comportante  obblighi  di
 attuazione  nazionali  non  determina, di per se', alcuna alterazione
 dell'ordine   normale   delle   competenze   statali,   regionali   o
 provinciali, conformemente al principio che l'ordinamento comunitario
 e',   in   linea   di   massima,  indifferente  alle  caratteristiche
 costituzionali (accentrate, decentrate, regionali o  federali)  degli
 Stati  membri,  alla  luce  delle quali hanno da svolgersi i processi
 nazionali di attuazione; lo  Stato,  tuttavia,  per  la  forza  della
 responsabilita'  ch'esso  porta  sul  piano  comunitario,  e  per  la
 particolare cogenza che tale responsabilita' assume  nell'ordinamento
 costituzionale  in  conseguenza  dell'art.  11 della Costituzione, e'
 tenuto e quindi abilitato a mettere in  campo  tutti  gli  strumenti,
 compatibili con la garanzia delle competenze regionali e provinciali,
 idonei   ad   assicurare   l'adempimento  degli  obblighi  di  natura
 comunitaria (sentenza n. 126 del 1996).
   La ricerca di un equilibrio  il  piu'  possibile  rispettoso  delle
 esigenze  costituzionali  poste dalla pluralita' delle competenze, da
 un lato, e dall'unitarieta'  della  responsabilita',  dall'altro,  e'
 approdata   alla  soluzione  configurata  organicamente  dalla  legge
 contenente le norme generali  sulla  "partecipazione  dell'Italia  al
 processo  normativo  comunitario" (legge n. 86 del 1989), basata, per
 un verso, sul potere delle Regioni ad autonomia speciale e  ordinaria
 e  delle  Province  autonome  di  Trento  e Bolzano di dare immediata
 attuazione alle  direttive  comunitarie,  nell'esercizio  delle  loro
 competenze  legislative esclusive o concorrenti (art. 9, commi 1 e 2,
 nella formulazione risultante dall'art.  13  della  legge  24  aprile
 1998, n. 128) e, per l'altro verso, sul potere dello Stato di dettare
 tutte  le  disposizioni  necessarie  per l'adempimento degli obblighi
 comunitari, disposizioni peraltro applicabili, nelle Regioni e  nelle
 Province  autonome, soltanto nel caso in cui manchino leggi regionali
 o provinciali (siano  esse  successive  o  anteriori)  adeguate  agli
 obblighi stessi (art. 9, comma 4).
   Allo  Stato,  dunque,  il compito di supplire all'eventuale inerzia
 con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e  alle  Province
 autonome  il  potere  di  far  uso in qualunque momento delle proprie
 competenze,  rendendo  di  conseguenza  inapplicabile  la   normativa
 statale.  Da cio' deriva che ordinariamente, nel caso dell'attuazione
 di   direttive  comunitarie,  la  "rivendicazione"  delle  competenze
 regionali e provinciali deve avvenire non attraverso la contestazione
 nel giudizio costituzionale della  normativa  statale  ma  attraverso
 l'esercizio  concreto  delle  proprie  competenze:  competenze il cui
 possibile esercizio, secondo il sistema descritto, perdura intatto.
   5.3.2. - A  quanto  precede  occorre  aggiungere  che  l'esecuzione
 comunitaria  non  e'  un  passe-partout  che  consente  allo Stato di
 vincolare le autonomie regionali e  provinciali  senza  rispettare  i
 principi della propria attivita' normativa. Anche nell'adozione della
 normativa  di  attuazione comunitaria, il regolamento statale - al di
 la' dei casi di  riserva  di  legge  previsti  dalla  Costituzione  -
 incontra  il  limite  del principio di legalita'. Tale principio che,
 come  numerose  volte  e  a  diversi   riguardi   questa   Corte   ha
 riconosciuto, domina i rapporti tra lo Stato stesso e le Regioni e le
 Province autonome, costituisce un aspetto della loro stessa posizione
 che   queste   ultime   sono   abilitate  a  difendere  nel  giudizio
 costituzionale (tra le ultime, sentenze nn. 169  del  1999,  250  del
 1996, 278 del 1993).
   Ove  dunque  il  regolamento,  in attuazione della direttiva, detti
 norme  che  pretendano,  sia  pure  in  via  suppletiva,  di  imporsi
 direttamente alle Regioni e alle Province autonome, esso deve potersi
 basare  su  un fondamento legislativo "che vincoli e diriga la scelta
 del Governo" (sentenza n. 150 del 1982),  fondamento  che  -  ben  si
 intende  -  le  stesse  direttive  comunitarie  che  la  legge indica
 nell'abilitare    il    Governo     all'attuazione     regolamentare,
 contribuiscono a determinare.
   A  criteri  non  dissimili  si  ispira del resto l'art. 9, comma 4,
 della legge n. 86 del 1989 il quale, nel prevedere la possibilita' di
 adempimento  in  via  regolamentare  degli  obblighi  di   attuazione
 comunitaria  in materie di competenza regionale o provinciale, quando
 manchi la disciplina delle Regioni e delle Province, rinvia  all'art.
 4 della stessa legge. E in virtu' di tale rinvio risulta non solo che
 l'attuazione  regolamentare e' possibile nelle materie non coperte da
 riserva di legge (comma 1), ma anche che la legge detta le necessarie
 disposizioni quando occorra effettuare scelte non riconducibili  alla
 semplice  attuazione  della  direttiva, ovvero occorra individuare le
 autorita' pubbliche cui affidare le funzioni amministrative  inerenti
 all'applicazione   della   nuova   disciplina,   innovando,  si  deve
 intendere, rispetto alle attribuzioni spettanti in via generale  agli
 organi esistenti (comma 3).
   5.3.3. - In sintesi, quanto precede puo' riassumersi nelle seguenti
 proposizioni:   sotto   il  profilo  del  rispetto  delle  competenze
 regionali e  provinciali,  l'attuazione  regolamentare  di  direttive
 comunitarie  e' ammissibile in quanto le norme statali attuative sono
 cedevoli  di  fronte  a  diverse   scelte   normative   regionali   e
 provinciali,  nei  limiti  in  cui  esse  siano  costituzionalmente e
 statutariamente  ammissibili;  sotto  il  profilo  del  rispetto  del
 principio  di  legalita'  nei  rapporti tra Stato, Regioni e Province
 autonome, e' ammissibile in quanto il regolamento non vincoli  queste
 al  di  la' di quanto gia' non discenda dagli obblighi comunitari e i
 poteri che prevede si inseriscano in compiti  gia'  affidati  in  via
 generale in capo alle autorita' considerate.
   5.4.   -   Alla   luce  di  queste  regole  di  giudizio,  appaiono
 ingiustificate le doglianze della Regione e delle Province ricorrenti
 mosse agli artt. 3, comma  3,  in  tema  di  direttive  del  Ministro
 dell'ambiente  per  la  gestione delle aree di collegamento ecologico
 funzionale; 4, in tema di misure di conservazione; 5 e 6, in tema  di
 "valutazione  d'incidenza"  e  di  zone di protezione speciale; 8, in
 tema di tutela delle specie faunistiche; 10, in tema di prelievi; 11,
 in tema di deroghe ai divieti posti dagli artt. 8, 9  e  10;  12,  in
 tema  di "introduzioni e reintroduzioni"; 15, in tema di sorveglianza
 e 16, comma 2, del regolamento in tema di modifiche degli allegati al
 regolamento stesso.
   Analiticamente,  l'art. 3, comma 3, concernente le direttive per la
 gestione delle aree di collegamento ecologico  funzionale  -  nozione
 definita  alla lettera p) dell'art. 2 - corrisponde all'art. 10 della
 direttiva, inquadra la funzione prevista nell'art. 3 della  legge  n.
 394  del  1991, e la attribuisce al Ministro dell'ambiente che, dalla
 disposizione generale contenuta nell'art. 1, comma 5, della legge  n.
 349  del 1986 e' chiamato alla responsabilita' di promuovere e curare
 l'adempimento delle direttive comunitarie concernenti l'ambiente e il
 patrimonio naturale.
   L'art. 4, che prevede l'adozione di misure di conservazione, e'  la
 traduzione  in norma nazionale del corrispondente art. 6, paragrafi 1
 e 2, della direttiva, mentre i termini previsti per  l'adozione  sono
 una  logica  integrazione  del  contenuto  della  norma  comunitaria,
 necessaria al  fine  di  rendere  effettivo  l'obbligo  che  da  essa
 discende.
   Gli  artt.  5  e  6 del regolamento (quest'ultimo in relazione alle
 zone  di  protezione  di  habitat  lungo  la  rotta   di   migrazione
 dell'avifauna,  a  norma dell'art. 1, comma 5, della legge n. 157 del
 1992, che a sua volta ha recepito le direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE
 e 91/244/CEE), in tema di  valutazione  di  incidenza  ambientale  da
 parte   dello   Stato,  delle  Regioni  e  delle  Province  autonome,
 corrispondono all'art. 6,  paragrafi  3  e  4,  della  direttiva,  si
 inquadrano nella disciplina nazionale vigente in materia e contengono
 regole  sull'articolazione  del  procedimento  di  valutazione,  rese
 necessarie dalla natura  stessa  di  tale  valutazione.  Il  comma  4
 prevede  i  caratteri  della "relazione documentata" da presentarsi a
 cura dei proponenti di piani e progetti  e  prescrive,  per  la  loro
 predisposizione,  l'osservanza  di quanto indicato nell'allegato G al
 regolamento, allegato che, come rilevato dalle ricorrenti, non  trova
 corrispondenza  nella direttiva. Ma la semplice lettura del contenuto
 di tale allegato, per il suo carattere esclusivamente tecnico, induce
 a ritenere privi di ogni consistenza i rilievi avanzati (sentenze nn.
 61 del 1997, 461 del 1992 e 483 del 1991).
   Quanto agli artt. 8, 10, 11  e  12,  concernenti  la  tutela  delle
 specie  faunistiche,  i  prelievi  e le deroghe ai divieti nonche' le
 norme sulle introduzioni e le  reintroduzioni,  essi,  per  la  parte
 sostantiva,  corrispondono  agli  artt.  12,  14,  15,  16 e 22 della
 direttiva mentre, per la parte procedurale,  prevedono  funzioni  del
 Ministro  dell'ambiente,  rientranti  nei  suoi  compiti generali. La
 censura, poi, mossa all'art.  10, comma 3, di  disporre  ultra  vires
 rispetto   all'art.   15   della  direttiva,  sembra  potersi  basare
 esclusivamente sul rinvio, contenuto nel citato comma 3, alle  specie
 indicate  dall'intero allegato E (corrispondente all'allegato V della
 direttiva, comprensivo  di  una  lettera  a),  relativa  alle  specie
 animali,  e di una lettera b) relativa alle piante) per vietare tutti
 i mezzi di cattura non selettivi, mentre l'art. 15 della direttiva si
 riferisce alla  sola  lettera  a)  del  suo  allegato  V.  Si  tratta
 all'evidenza  di  un errore materiale privo di qualsiasi conseguenza.
 Non puo' infatti venire in mente che  la  norma  regolamentare  abbia
 inteso  vietare  i  "mezzi  di  cattura non selettivi suscettibili di
 perturbare gravemente la tranquillita'" delle piante.
   L'art. 15 in tema di sorveglianza da' attuazione all'art. 11  della
 direttiva  richiamando  i  compiti  assegnati  dalla  legge  al Corpo
 forestale dello Stato (art. 8, comma 4, della legge n. 349 del 1986 e
 art.  21 della legge n. 394 del 1991), ferma restando  l'eventualita'
 di  una  diversa disciplina legislativa regionale e provinciale, dove
 l'ordinamento la consente.
   Infine, l'art. 16, comma 2, del regolamento  prevede  le  modifiche
 degli allegati alla stregua delle variazioni apportate alla direttiva
 in  sede  comunitaria  e  ne  attribuisce  la  competenza al Ministro
 dell'ambiente con proprio decreto.  Una  volta  che  l'attivita'  del
 Ministro  sia concepita come strettamente vincolata, "in conformita'"
 alle  modifiche  comunitarie  operate,  secondo   l'art.   19   della
 direttiva,  per  l'adeguamento degli allegati al "progresso tecnico e
 scientifico", la norma regolamentare, piu' che  istituire  un  potere
 normativo  ministeriale  appare  prevedere  un  atto  di  recepimento
 materiale che non e' difficile inquadrare nei compiti che spettano al
 Ministro stesso, alla stregua del gia' citato art. 1 della  legge  n.
 349 del 1986.
   6.  -  Della disposizione dell'art. 1, comma 4, del regolamento, la
 quale stabilisce che "le Regioni a statuto speciale e le Province  di
 Trento  e  di  Bolzano  provvedono all'attuazione degli obiettivi del
 presente regolamento nel rispetto di quanto previsto  dai  rispettivi
 statuti   e   dalle  relative  norme  di  attuazione",  e'  difficile
 comprendere il significato nel contesto del  regolamento  in  cui  e'
 inserita.  E'  da  rilevare peraltro che dal regolamento medesimo non
 risulta alcuna predisposizione di obiettivi, muovendosi  esso  invece
 all'interno   di   quelli   contenuti  nella  direttiva  della  quale
 costituisce attuazione.   Quale che possa essere  il  motivo  che  ha
 indotto il Governo a inserire tale previsione, a questa stregua dalla
 norma  impugnata  non  puo'  dunque  derivare  alcun  effetto  lesivo
 dell'autonomia delle ricorrenti.