ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 19, commi 2 e 3,
 del decreto-legge 25 marzo 1997,  n.  67  (Disposizioni  urgenti  per
 favorire  l'occupazione),  convertito  con  modifiche  nella legge 23
 maggio 1997, n. 135, promossi con due ordinanze  emesse  l'8  gennaio
 1998   dal   tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa  del
 Trentino-Alto  Adige,  sede   di   Trento,   sui   ricorsi   proposti
 dall'Impresa di Costruzioni F.lli Azzolini S.r.l. contro la Provincia
 autonoma  di Trento ed altre e dalla Bettiol s.r.l. contro l'I.T.E.A.
 ed altra, iscritte ai nn.  187 e 188 del registro  ordinanze  1998  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica, n. 13, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  luglio 1999 il giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  tribunale  regionale  di  giustizia  amministrativa  del
 Trentino-Alto  Adige,  sede di Trento, chiamato a pronunciarsi, nella
 camera di consiglio dell'8 gennaio 1998 in  sede  cautelare,  su  due
 ricorsi  aventi  per oggetto l'annullamento di atti di aggiudicazione
 di appalto di lavori pubblici, preso atto che  i  due  ricorsi  erano
 regolati   dalla   speciale   disciplina   di  cui  all'art.  19  del
 decreto-legge 25  marzo  1997,  n.    67  (Disposizioni  urgenti  per
 favorire  l'occupazione)  convertito con modifiche in legge 23 maggio
 1997, n. 135, con due ordinanze dell'11 febbraio 1998 (r.o. nn. 187 e
 188 del 1998) ha sollevato d'ufficio  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale del suddetto art. 19 per violazione degli artt. 3, 24,
 103, primo comma, 113 e 125, secondo comma, della Costituzione.
   L'art.  19  viene  denunciato  nella  parte  in  cui prevede che il
 tribunale amministrativo regionale,  chiamato  a  pronunciarsi  sulla
 istanza  di sospensione, puo' definire immediatamente il giudizio nel
 merito con motivazione in forma abbreviata (comma 2),  nonche'  nella
 parte  in  cui prevede la dimidiazione anche del termine decadenziale
 per la proposizione del ricorso giurisdizionale (comma 3).
   2. - Il tribunale ha incentrato le sue osservazioni su due  aspetti
 della  complessiva  disciplina desunta dall'art. 19 (con il titoletto
 "Norme sul processo amministrativo"), riguardante i  giudizi  davanti
 ai  Tar  ed  al  Consiglio  di Stato "aventi ad oggetto provvedimenti
 relativi a procedure di affidamento di incarichi di  progettazione  e
 attivita'  tecnico-amministrative ad essa connesse e provvedimenti di
 aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di  opere  pubbliche  o  di
 pubblica  utilita',  ivi  comprese  le  procedure  di  occupazione ed
 espropriazione delle aree ad esse destinate".
   Il primo  aspetto  concerne  il  potere  del  giudice,  chiamato  a
 pronunciarsi sulla domanda di sospensione, di definire immediatamente
 il  giudizio  nel  merito,  con  motivazione  in forma abbreviata: la
 decisione cautelare, contrassegnata dalla pronunzia di una ordinanza,
 e'  interamente  sostituita  dall'emanazione  di  una  sentenza   che
 definisca  il  giudizio.  Il  secondo aspetto concerne la riduzione a
 meta' di tutti i termini processuali dei giudizi in oggetto.  Per  la
 precisione,  la  prima  ordinanza si sofferma su entrambi i segnalati
 profili, mentre la seconda affronta unicamente  il  primo  tra  essi,
 poiche', fermo il potere del giudice in entrambi i casi di sostituire
 alla  decisione  cautelare  la  sentenza  definitiva,  solo nel primo
 giudizio era stata sollevata dalla parte  resistente  l'eccezione  di
 irricevibilita'  del  ricorso  perche'  notificato  oltre  il termine
 decadenziale  di  trenta  giorni,  cosi'  come  dimezzato  ai   sensi
 dell'art. 19.
   Sul  primo  profilo  il  tribunale  amministrativo  ha,  anzitutto,
 accertato la rilevanza della questione, dal momento  che  l'eventuale
 declaratoria  di incostituzionalita' della disposizione priverebbe il
 giudice a  quo  del  potere  di  pronunciare  la  sentenza  in  forma
 abbreviata.  Ha, quindi, osservato che la norma concede al giudice la
 facolta' di superare la  fase  cautelare  anche  in  assenza  di  una
 specifica  concorde  richiesta  delle  parti.  L'esercizio  di questa
 facolta', indipendentemente da  una  previa  e  specifica  fissazione
 dell'udienza  di  discussione  nel  merito del ricorso (atteso che la
 decisione  matura  nella   discussione   in   camera   di   consiglio
 dell'istanza  di  sospensione  del provvedimento) risulterebbe lesiva
 del diritto di difesa, garantito dagli artt.    3,  24  e  113  della
 Costituzione, risolvendosi in una illegittima limitazione del diritto
 delle  parti di richiedere ed ottenere un provvedimento cautelare. Si
 e'  fatto  richiamo,  in  proposito,  al  carattere   essenziale   ed
 ineliminabile   del   procedimento   cautelare  ed  alla  sua  intima
 compenetrazione con il processo di merito nel  sistema  di  giustizia
 amministrativa  (riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenze
 n. 8 del 1982, n. 190 del 1985 e  n.  249  del  1996).  La  peculiare
 disciplina  dell'art.    19,  a  ben  vedere,  avrebbe per effetto di
 sopprimere del tutto la fase cautelare,  non  solo  nel  giudizio  di
 primo grado, ma anche nel giudizio di appello, giacche', ai sensi del
 comma  2, "le medesime disposizioni si applicano davanti al Consiglio
 di Stato in caso di domanda di sospensione della sentenza appellata".
   La disposizione avrebbe per effetto - secondo il giudice rimettente
 - di concentrare, in deroga al principio dispositivo,  il  potere  di
 impulso  processuale  in  capo al giudice, sicche' il ricorrente, che
 richiede unicamente una decisione cautelare, si  vede  convertire  la
 sua istanza in una richiesta di trattazione e decisione immediata nel
 merito del ricorso, peraltro con una procedura "sommaria".
   L'esigenza  di  celerita'  processuale,  sottesa alla disciplina in
 esame, si tradurrebbe nell'attribuzione  al  giudice  del  potere  di
 sostituire  all'invocata  tutela  cautelare  la  decisione di merito,
 senza l'individuazione di modalita' e presupposti che ne  regolino  e
 moderino  l'esercizio.  La  conseguenza dell'illegittima soppressione
 dell'essenziale giudizio cautelare o,  quantomeno,  della  sua  grave
 compromissione  sarebbe,  altresi',  in  contrasto  con  la direttiva
 comunitaria n. 665/1989 (c.d. direttiva ricorsi), che ha imposto agli
 Stati membri, proprio nella materia dei pubblici appalti,  l'adozione
 di  adeguate  misure  di  immediata  tutela,  mediante  provvedimenti
 provvisori intesi a riparare la violazione del diritto comunitario  o
 ad  impedire  che altri danni siano causati agli interessi coinvolti,
 compresi i provvedimenti intesi a  sospendere  o  far  sospendere  la
 procedura  di aggiudicazione pubblica di un appalto o l'esecuzione di
 qualsiasi decisione presa dalle autorita' aggiudicatrici.
   Nel sistema delineato dall'art. 19, viceversa,  il  ricorrente  che
 voglia   fruire  di  un  procedimento  ordinario  non  avrebbe  altra
 possibilita' che rinunciare alla proposizione dell'istanza cautelare,
 essendo  questa  l'unica  soluzione  per  impedire  al   giudice   di
 convertirla in una richiesta finalizzata ad una decisione di merito a
 cognizione sommaria. La rinuncia (obbligata) alla fase cautelare, del
 resto,   potrebbe   provocare,  secondo  il  tribunale  regionale  di
 giustizia  amministrativa  del  Trentino-Alto  Adige,  la  definitiva
 compromissione della posizione giuridica del ricorrente, senza che si
 possa  adeguatamente reintegrarla mediante il risarcimento del danno.
 Tale  rinuncia  obbligata  alla  fase  cautelare,  strumentale   alla
 trattazione  della  controversia  in un giudizio di merito ordinario,
 sarebbe, dunque, una novita'  assoluta  nell'ordinamento,  della  cui
 compatibilita'  costituzionale  dovrebbe  dubitarsi  alla stregua dei
 precedenti in materia della stessa Corte costituzionale (si richiama,
 al riguardo, la predetta sentenza n.  249 del 1996).
   3. - La seconda censura, che ha indotto il tribunale  regionale  di
 giustizia  amministrativa  a  sollevare  l'incidente  di legittimita'
 costituzionale,  trae  origine,  come  osservato,  dall'eccezione  di
 irricevibilita'  sollevata  in  corso  di  causa  nel  primo  dei due
 giudizi. Il giudice a quo invero, ha  dichiarato  non  manifestamente
 infondata   e   rilevante  la  questione  di  costituzionalita',  per
 contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dell'art. 19,
 nella parte in cui riduce a meta' tutti i  termini  processuali,  ivi
 compreso   il   termine  di  decadenza  di  sessanta  giorni  per  la
 proposizione del ricorso, di cui all'art.  21 della legge 6  dicembre
 1971, n. 1034.
   Il  giudice  rimettente,  in  primo  luogo,  ha  preso spunto dalla
 sostituzione    dell'inciso    "termini    processuali"     (presente
 nell'originaria  versione  del  decreto  legge)  con  quello "tutti i
 termini  processuali"  (introdotto  in  sede  di   conversione)   per
 inferirne  che l'abbreviazione concerne anche il termine per proporre
 il  ricorso.  Ne  seguirebbe  un   serio   ostacolo   alla   regolare
 instaurazione  del processo, in ragione della brevita' del termine, e
 la concreta lesione del diritto di difesa garantito dagli  artt.  24,
 103,  primo  comma,  113  e  125,  secondo comma, della Costituzione.
 Questa  previsione  si  porrebbe, altresi', in contrasto con l'art. 3
 della Costituzione, poiche' concerne per un  verso  solo  determinate
 categorie  di  soggetti  (fra  cui  partecipanti  a gare di appalto e
 cittadini espropriati) e per altro verso soltanto  l'impugnazione  di
 provvedimenti   emanati  all'esito  di  alcuni  procedimenti  (quelli
 relativi a gare d'appalto e  quelli  espropriativi);  questi  ultimi,
 oltretutto,   proprio  per  la  loro  complessita',  eterogeneita'  e
 quantita'   degli   atti   che   intervengono   nel   relativo   iter
 richiederebbero un tempo considerevole per poter valutare l'eventuale
 illegittimita' dell'atto conclusivo.
   L'individuazione  di  termini  cosi'  ridotti  e  tali  da  rendere
 irragionevolmente  difficoltosa  la  tutela  giurisdizionale  per   i
 partecipanti ad una gara, sarebbe, a giudizio del tribunale regionale
 di giustizia amministrativa, anche limitativa della concorrenza; cio'
 riproporrebbe  il  contrasto  con  la predetta direttiva n. 665/1989,
 che, proprio per promuovere la piu' ampia  partecipazione  alle  gare
 d'appalto,  ha fissato i principi necessari ad assicurare la pienezza
 e  l'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale.   Il   dubbio   di
 legittimita' costituzionale, peraltro, riguarda, a parere del giudice
 a  quo  anche  l'abbreviazione degli altri termini processuali, tra i
 quali si sono richiamati a titolo esemplificativo: 1) il termine  per
 il  deposito  del  ricorso,  ridotto a 15 giorni; 2) i termini per la
 fissazione dell'istanza cautelare, ridotti a 5 giorni dalla notifica;
 3) i termini per proporre il ricorso incidentale; 4) i termini per la
 costituzione dell'Amministrazione  resistente  e  delle  altre  parti
 interessate; 5) il termine per il deposito del notificato intervento;
 6)  il termine relativo alla perenzione del ricorso; 7) i termini per
 il deposito dei documenti;  8)  il  termine  per  la  riassunzione  a
 seguito  di interruzione del processo, ridotto a 3 mesi; 9) i termini
 per l'appello e per la revocazione.
   La denunciata lesione dei diritti di difesa appare ancor piu' grave
 - ha proseguito il tribunale regionale di giustizia amministrativa  -
 per il fatto che la prescritta dimidiazione non si estende al termine
 di   120  giorni  previsto  per  proporre  ricorso  straordinario  al
 Presidente della Repubblica (ex art. 9 del d.P.R. 24  novembre  1971,
 n.  1199), ne' al termine di 60 giorni assegnato ai controinteressati
 ed  all'Amministrazione  per  chiederne  la  trasposizione  in   sede
 giurisdizionale  (v.  art.  10  del citato d.P.R. e la sentenza della
 Corte costituzionale n. 148 del 1982).
   Il giudice a quo ha, dunque, concluso che l'art. 19 del d.l. n.  67
 del 1997, introducendo una "procedura sommaria  del  tutto  anomala",
 lede il fondamentale principio della difesa e della piu' ampia tutela
 giurisdizionale,  sia  con riguardo alla tutela della fase cautelare,
 sia con riguardo al regime dei termini processuali, anche  alla  luce
 della  stretta  correlazione  che  corre tra il comma 2 ed il comma 3
 della disposizione in esame.
   4. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
 concluso chiedendo la declaratoria di infondatezza della questione.
   Ha posto l'accento, in primo luogo, sulla ratio della  disposizione
 censurata,  dettata allo scopo di rendere piu' spedita ed efficace la
 giustizia amministrativa in un  particolare  settore,  contrassegnato
 dalla  rilevanza  degli  interessi  incisi  e  dal  coinvolgimento di
 posizioni sia individuali che collettive.  L'esperienza  della  prima
 fase  applicativa  di  questa  disciplina,  secondo la Presidenza del
 Consiglio,  conferma  che  la  rapida  definizione  dei  giudizi   ha
 effettivamente  realizzato  l'obiettivo  che  il  legislatore  si era
 prefissato, mentre le difficolta'  nella  difesa  tecnica,  piu'  che
 riguardare   le  parti  ricorrenti,  si  sono  concentrate  a  carico
 dell'Amministrazione resistente.
   Le argomentazioni poste a fondamento dell'ordinanza  di  rimessione
 sarebbero,   sempre   secondo   la  Presidenza  del  Consiglio,  piu'
 specificamente, prive di  pregio.  Non  vi  sarebbe,  invero,  alcuna
 soppressione  della  fase  cautelare, giacche' la decisione finale di
 merito,  lungi  dall'eliminarla,   assorbe   la   tutela   cautelare,
 garantendo  l'effettivita' della tutela giurisdizionale. La rapidita'
 dei tempi entro cui il giudice definisce il merito  con  la  sentenza
 abbreviata,  il cui dispositivo viene depositato in cancelleria entro
 7 giorni,  non  provocherebbe  alcuna  compressione,  ma,  piuttosto,
 l'estensione  della tutela del ricorrente. In breve le stesse ragioni
 sostanziali che inducono il ricorrente a chiedere la tutela cautelare
 sarebbero soddisfatte, in caso di accoglimento, in maniera ancor piu'
 efficace di quanto accada con la consueta  ordinanza  di  sospensione
 del  provvedimento  impugnato.    Si e' ritenuto, poi, tutt'altro che
 persuasiva  la  qualificazione  della  decisione  del   merito   come
 "sommaria":  la  legge  non  prevede  alcun procedimento sommario, ma
 consente solo che la sentenza sia assistita da  una  motivazione  "in
 forma  abbreviata".  La  tecnica  redazionale  di abbreviazione della
 motivazione, mirata a snellire il processo ed a renderlo piu' celere,
 non implica, secondo l'interveniente,  il  carattere  sommario  della
 cognizione   del   giudice,  il  quale  avrebbe,  al  contrario,  una
 conoscenza  integrale  della  controversia,  senza  difformita',  per
 questo  aspetto, da cio' che accade nel comune giudizio di merito. Si
 e', altresi', puntualizzato che compete sempre al giudice di valutare
 se, in concreto, v'e' la possibilita' di pervenire immediatamente  ad
 una  pronunzia  di  merito,  dovendosi  verificare  se  gli  elementi
 acquisiti siano sufficienti a  fondare  una  cognizione  piena  della
 controversia  o  se,  ad  esempio,  sia  necessario  il compimento di
 attivita' istruttoria.   La razionalita'  della  speciale  disciplina
 dell'art.  19,  infine,  non sarebbe compromessa dalla diversita' del
 regime  previsto  per   il   rimedio   amministrativo   del   ricorso
 straordinario   al  Presidente  della  Repubblica,  ben  diverso  per
 presupposti  e  natura  giuridica.     Parimenti  infondata   sarebbe
 l'eccezione    di   illegittimita'   costituzionale   riferita   alla
 dimidiazione dei termini processuali ed  alla  conseguente  eccessiva
 brevita',   in   relazione  alla  garanzia  del  diritto  di  difesa.
 L'ordinamento prevede una gamma molto vasta di  termini  processuali,
 adattati a situazioni e ad interessi caso per caso molto diversi.  In
 concreto,  si  e' negato che la riduzione a 30 giorni del termine per
 notificare  il   ricorso   renderebbe   eccessivamente   difficoltoso
 l'esercizio  del  diritto  di  difesa;  ne'  la riduzione degli altri
 termini processuali citati dal giudice  a  quo  provocherebbe  simile
 conseguenza.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Le  questioni  sottoposte  all'esame  della Corte riguardano
 l'art.  19, commi 2 e 3, del  decreto-legge  25  marzo  1997,  n.  67
 (Disposizioni  urgenti  per  favorire  l'occupazione), convertito con
 modifiche in legge 23 maggio 1997, n. 135, nella parte in cui prevede
 che,  nei giudizi amministrativi relativi a opere pubbliche e materie
 connesse,  il  tribunale   amministrativo   regionale,   chiamato   a
 pronunciarsi    sulla   istanza   di   sospensione,   puo'   definire
 immediatamente il  giudizio  nel  merito  con  motivazione  in  forma
 abbreviata,  (comma  2),  nonche'  nella  parte  in  cui  prevede  la
 dimidiazione dei termini processuali,  compreso  quello  decadenziale
 per  la  proposizione  del  ricorso  giurisdizionale (comma 3). Viene
 denunciata la violazione degli artt. 3, 24, 103, primo comma,  113  e
 125,  secondo  comma,  della Costituzione, per lesione del diritto di
 difesa e dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale,  sotto  i
 profili  della soppressione della tutela cautelare e della riduzione,
 oltre i limiti di ragionevolezza, dei termini processuali.
   2. - Preliminarmente, stante la parziale identita' delle  questioni
 e  la  connessione  oggettiva,  deve  disporsi  la  riunione  dei due
 giudizi.
   3. - Entrambe  le  questioni  sono  infondate  nei  sensi  appresso
 precisati.
   L'art.  19  e'  diretto  ad  accelerare lo svolgimento dei processi
 amministrativi relativi alla materia delle  opere  pubbliche  e  alle
 attivita'  e  procedimenti  amministrativi  connessi,  contrassegnati
 dalla rilevanza  degli  interessi  incisi  e  dal  coinvolgimento  di
 posizioni individuali e collettive.
   In  altri  termini  con  disposizione  speciale,  in relazione alla
 esigenza di pronta esecuzione delle anzidette opere (tradizionalmente
 incrementatrici di occupazione), si  dettano  particolari  norme  sul
 processo amministrativo, che incidono, per circoscritte materie, solo
 su particolari istituti processuali, presupponendo immutati tutti gli
 altri  poteri  e  facolta'  processuali del giudice e delle parti non
 toccati dalla innovazione procedurale.
   In realta' sono individuati alcuni  profili  processuali,  ritenuti
 dal  legislatore  -  con una valutazione non palesemente arbitraria o
 irragionevole  -  idonei  a  accelerare  i  processi  amministrativi,
 relativi alle indicate materie, spesso contrassegnati, in passato, da
 una  eccessiva  durata  di  fatto  degli  effetti  dei  provvedimenti
 cautelari, laddove il processo poteva essere tempestivamente definito
 con sentenza.
   L'art. 19 prevede la tipizzazione di un nuovo modello  di  sentenza
 (definitiva del giudizio) in forma abbreviata sia per la motivazione,
 sia  per i termini di deposito e pubblicazione del dispositivo (sette
 giorni), sia perche' emessa in  sede  di  trattazione  in  camera  di
 consiglio  della  domanda  di sospensione del provvedimento impugnato
 (davanti al Tar) o della sentenza appellata (davanti al Consiglio  di
 Stato),  nonche'  alcuni  espedienti  processuali  di  diminuzione di
 termini, di condanna alle spese del processo  cautelare,  di  appello
 immediato dopo la pubblicazione del dispositivo della sentenza.
   Risulta   evidente  che  viene  prevista,  sempre  per  determinate
 materie, la facolta' del giudice di ricorrere ad  una  sentenza,  "in
 forma abbreviata" (v., per un'analoga previsione, la successiva legge
 31 luglio 1997, n. 249, art. 1, comma 27, in materia di provvedimenti
 dell'Autorita'  per  le  garanzie nelle comunicazioni), che definisca
 immediatamente il grado di giudizio (che come tale rende superata  ed
 inutile una pronuncia sulla misura cautelare di sospensiva), in tutti
 casi  in  cui il processo, in primo grado davanti al Tar o in appello
 davanti  al  Consiglio  di  Stato,  sia maturo per la decisione della
 lite,  essendo  indifferente  la  tipologia   della   definizione   o
 processuale   (irricevibilita',   inammissibilita',  rinuncia  ecc.),
 ovvero di merito (accoglimento o rigetto), risultando abbandonata  la
 tipizzazione dei casi di sentenza (irricevibilita', inammissibilita',
 infondatezza) contenuta nel testo originario del decreto-legge.
   Nell'esercizio di questa facolta' il giudice deve seguire i normali
 canoni  di  condotta  e  di  cognizione  del processo, dovendo essere
 valutata la sussistenza delle condizioni ordinarie per l'emissione di
 una  sentenza  che  definisca  il  giudizio,  come  l'integrita'  del
 contraddittorio,   la  completezza  delle  prove  necessarie  per  la
 pronuncia che  deve  essere  emessa  e  gli  adempimenti  processuali
 previsti anche per la tutela del diritto di difesa di tutte le parti.
   Di  conseguenza  presupposto della sentenza in forma abbreviata, in
 sede di convocazione di tutte le parti  in  camera  di  consiglio  in
 occasione  dell'esame  della domanda di sospensiva, e' che si tratti,
 nelle  particolari  materie  indicate  dalla  legge,   di   questioni
 definibili  immediatamente  e quindi solo in queste ipotesi vi e' una
 alternativita' rispetto alla pronuncia sulla domanda di  sospensione,
 che rimane quindi superata ed assorbita dalla definizione della lite,
 che  assicura,  come  decisione finale (procedurale o di merito), una
 effettivita' e completezza di tutela giurisdizionale,  con  esercizio
 dello stesso potere di cognizione del giudizio ordinario.
   Ne' vi e' sul piano costituzionale l'esigenza che tale facolta' del
 giudice  di  decisione immediata del ricorso debba essere subordinata
 ad una specifica e concorde richiesta delle parti o ad  una  separata
 fissazione della discussione del ricorso (per l'esame delle questioni
 preliminari  e  del  merito).  Infatti  e' la stessa norma di legge a
 prevedere preventivamente che, per determinate materie, la fissazione
 della camera di consiglio per l'esame  della  domanda  di  sospensiva
 comporti,  di  diritto,  che  il  giudice  possa chiudere il giudizio
 (naturalmente  se  sia  maturo   per   la   decisione),   definendolo
 immediatamente  con  sentenza,  in  modo  da  rendere  irrilevante la
 pronuncia sulla fase cautelare, trattandosi di sentenza provvista  di
 esecutivita'.
   La  pronuncia  nella  fase  interinale e cautelare della sospensiva
 (dell'atto impugnato o della sentenza appellata) viene resa superflua
 da una  tutela  ancora  piu'  piena  ed  immediata  (senza  ulteriore
 esigenza  di  ordinanza che valuti l'esistenza di periculum in mora).
 Tale alternativita', con assorbimento nella  sollecita  e  tempestiva
 pubblicazione  del  dispositivo  della  sentenza nei sette giorni, si
 puo' verificare  solo  se,  esistendo  tutti  gli  altri  presupposti
 (contraddittorio,  sufficienza  delle  prove  acquisite, ecc.), venga
 emessa sentenza che definisca il  giudizio,  essendo,  in  tutti  gli
 altri  casi,  il  giudice  tenuto  a  pronunciarsi  sulla  domanda di
 sospensione, in base agli ordinari  poteri  cautelari,  ivi  compreso
 l'esercizio  di  potere  di  sospensione  a  tempo, ovvero parziale o
 collegato a determinati adempimenti processuali.
   Di conseguenza non si puo' affatto configurare  una  limitazione  o
 una  soppressione  del diritto delle parti di chiedere ed ottenere un
 provvedimento interinale e cautelare, ricevendo queste una  immediata
 pronuncia  che definisce la lite, rendendosi superflua ed irrilevante
 una specifica tutela cautelare.
   Ne'  si  puo'  parlare  di  concentrazione  del  potere  di impulso
 processuale  nel  giudice,  sottratto  alle  parti,  in   quanto   il
 ricorrente   nel   processo  amministrativo  non  puo'  avanzare  una
 richiesta  di  sola  decisione  cautelare,  dovendo  la  domanda   di
 sospensione  per  il carattere incidentale, seguire o accompagnare un
 ricorso per una decisione definitiva della lite.
   Nelle ipotesi considerate dall'art. 19 del d.-l. n. 67 del 1997, in
 presenza  dei  presupposti  sopra  enunciati,  il  giudice  definisce
 immediatamente  il procedimento giurisdizionale principale, decidendo
 il ricorso, con una sentenza che ha tutte le caratteristiche, per  il
 tipo  di cognizione piena e gli effetti, della ordinaria sentenza che
 chiude il processo, escluso ogni carattere di "procedura sommaria".
   Del resto ogni procedimento giurisdizionale, che  assicuri  con  la
 definizione  della  lite la immediata ed effettiva tutela definitiva,
 in tempi sostanzialmente equivalenti ad un  intervento  cautelare  ed
 interinale  del  giudice,  rende  superflua  e  assorbe la fase della
 sospensiva, superando, dal punto di vista temporale e degli  effetti,
 l'adozione di provvedimenti provvisori e cautelari.
   4.  -  Sotto  un  diverso  profilo  viene sollevata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 19 (comma 3), per contrasto con
 gli artt.  3, 24, 103, primo comma, 113  e  125  della  Costituzione,
 nella  parte  in  cui riduce a meta' tutti i termini processuali, ivi
 compreso  il  termine  di  decadenza  di  sessanta  giorni   per   la
 proposizione  del  ricorso, di cui all'art. 21 della legge 6 dicembre
 1971, n. 1034.
   La  denunciata  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione   non
 sussiste,  poiche'  l'art.  19  delinea  un sistema derogatorio della
 disciplina processuale, finalizzato a realizzare - come gia' rilevato
 -  precisi  obiettivi  di  accelerazione  della   definizione   delle
 controversie  in  materia di opere pubbliche o di pubblica utilita' e
 di attivita' e procedure connesse. La diversita' e peculiarita' della
 materia giustifica - anche per tale profilo -  la  deroga  al  regime
 ordinario  del  processo,  seguendosi  un  sistema gia' collaudato in
 altri settori normativi, per i  quali  il  legislatore  ha  parimenti
 ritenuto  necessario  dettare  disposizioni  speciali  improntate  ad
 obiettivi di celerita' processuale.
   In sostanza da un canto non sussiste una ingiustificata  disparita'
 di   trattamento   rispetto   a  situazioni  di  identico  contenuto,
 dall'altro deve negarsi l'esistenza  di  un  principio  generale  che
 imponga  l'identita'  dei  termini processuali, potendo questi essere
 differenziati secondo la tipologia delle azioni fatte valere.
   Deve altresi' escludersi che  abbia  qualsiasi  pertinenza  con  la
 questione  in  esame  il richiamo agli artt. 103, primo comma, e 125,
 secondo comma, della Costituzione, i quali riguardano rispettivamente
 l'ambito della giurisdizione amministrativa e il carattere  regionale
 delle   circoscrizioni   territoriali   degli   organi  di  giustizia
 amministrativa di primo grado.
   5.  -  Un  separato  approfondimento,  per  le  esigenze   di   una
 interpretazione  della  norma  denunciata  conforme  a  Costituzione,
 richiede l'esame della questione di costituzionalita'  sollevata  con
 riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione.
   Il  tema  della  violazione  dei diritti di difesa deve, anzitutto,
 essere affrontato con riferimento al termine per proporre il  ricorso
 introduttivo  del  giudizio, trattandosi della questione esaminata in
 via principale dal giudice rimettente. Questi, in particolare,  muove
 dal  presupposto  che la regola che prescrive la riduzione a meta' di
 "tutti i termini processuali" sia applicabile  anche  al  termine  di
 decadenza stabilito per la notifica del ricorso di primo grado.
   La  fissazione  di  un  termine  di trenta giorni non e' lesiva del
 diritto di difesa costituzionalmente garantito, poiche'  non  implica
 modalita'   di   esercizio   dell'azione  cosi'  gravose  da  rendere
 impossibile od estremamente difficile l'esercizio della difesa  e  lo
 svolgimento della connessa attivita' processuale.
   In  primo  luogo,  l'ordinamento  gia'  conosce numerose leggi che,
 avvertendo l'esigenza di una  rapida  definizione  del  giudizio,  in
 particolari  e  delicate  materie,  e  di tempestiva salvaguardia dei
 relativi interessi (individuali e collettivi) coinvolti, stabiliscono
 un termine di trenta  giorni  per  proporre  il  ricorso  al  giudice
 amministrativo,  ovvero  prevedono  la  riduzione  a meta' di tutti i
 termini processuali.
   Nel primo senso si possono  richiamare  in  particolare  l'art.  6,
 comma  5,  della  legge  11  agosto 1991, n. 266 in tema di diniego o
 cancellazione  dai  registri   generali   delle   organizzazioni   di
 volontariato;  l'art. 25, comma 5, della legge 7 agosto 1990, n. 241,
 in materia di diritto di accesso; l'art.  42,  secondo  comma,  della
 legge  24  gennaio 1979, n. 18, in materia di proclamazione di eletti
 al Parlamento europeo; l'art. 5 della legge 8 luglio 1975, n. 306, in
 materia  di  accertamento  dei  requisiti   delle   associazioni   di
 produttori agricoli; l'art. 10, quarto comma, della legge 21 novembre
 1967,  n.  1185  con  norme  sui  passaporti; l'art. 34 della legge 3
 febbraio 1964, n. 3, l'art. 23 della legge 5 agosto 1962, n. 1257, in
 materia   di   operazioni   elettorali   del   Consiglio   regionale,
 rispettivamente del Friuli-Venezia Giulia e della Valle d'Aosta.
   Nel secondo senso possono richiamarsi, tra l'altro, l'art. 1, comma
 27,  della  gia'  citata  legge 31 luglio 1997, n. 249, in materia di
 provvedimenti dell'Autorita' per  le  garanzie  nelle  comunicazioni;
 l'art.  5,  comma 5 - ormai abrogato - del d.-l. 30 dicembre 1989, n.
 416, convertito in legge 28 febbraio  1990,  n.  49,  in  materia  di
 diniego  del  riconoscimento dello status di rifugiato, di espulsione
 dal territorio dello Stato di cittadini extracomunitari e di  diniego
 e revoca del permesso di soggiorno; l'art. 83/12 del d.P.R. 16 maggio
 1960,  n.  570  in  materia  di  controversie  elettorali,  nel testo
 risultante dalle modifiche introdotte  dall'art.  2  della  legge  23
 dicembre  1966,  n.  1147,  e l'art. 29, secondo comma, della legge 6
 dicembre 1971, n. 1034.
   In ogni caso, la previsione di un  termine  di  trenta  giorni  per
 notificare  il ricorso non comprime, oltre i limiti di ragionevolezza
 ed effettivita', il diritto di cui all'art.  24  della  Costituzione,
 poiche' non riduce i tempi di preparazione delle necessarie difese al
 punto  da  pregiudicarne  l'efficacia  e la completezza, lasciando al
 ricorrente un congruo margine di valutazione (Corte  cost.,  sentenze
 n.  111  del  1998; n. 238 del 1983; n. 56 del 1979; ordinanza n. 270
 del 1991).
   La specialita' della materia  ben  puo'  conformare  la  disciplina
 legislativa del diritto di difesa alle speciali caratteristiche della
 struttura  dei  singoli procedimenti, anche in relazione alla materia
 del contendere, purche' non sia pregiudicato lo scopo e  la  funzione
 del  processo  e  non  sia  compromessa  l'effettivita'  della tutela
 giurisdizionale  (sentenze  n.  141 del 1998; n. 111 del 1998; n. 119
 del 1995; n. 220 del 1994).
   Senza dubbio l'art. 19 del d.-l. n. 67  del  1997  (convertito  con
 modificazioni in legge n. 135 del 1997) ha ad oggetto una materia ben
 definita   ed   appresta   per   essa  una  innovazione  processuale,
 contrassegnata, per le esigenze innanzi  ricordate,  da  disposizioni
 procedurali  speciali,  tali  da consentire un autonomo e piu' snello
 percorso processuale per la definizione delle relative liti.
   La congruita' di un termine processuale  in  rapporto  all'art.  24
 della  Costituzione,  ha altresi' precisato questa Corte, deve essere
 valutata non solo in rapporto all'interesse  di  chi  ha  l'onere  di
 osservarlo,  ma anche con riguardo alla funzione assegnata al termine
 nell'ordinamento (sentenze n. 284 del 1985; n. 31 del 1977).  Orbene,
 il  termine introduttivo, pur ridotto a trenta giorni, appare congruo
 anche perche' e' funzionale alla rapida definizione del giudizio  nel
 delicato settore delle opere pubbliche.
   Queste  considerazioni  sono  sufficienti per la infondatezza della
 sollevata questione di  costituzionalita'  anche  in  relazione  alla
 dimidiazione  di  altri termini processuali, espressamente richiamati
 nell'ordinanza del giudice rimettente: in specie, il termine  per  il
 deposito  del  ricorso, il termine per la perenzione del giudizio, il
 termine per il deposito dei documenti, il termine per la riassunzione
 a seguito  di  interruzione,  il  termine  per  l'appello  e  per  la
 revocazione, nonche' il termine per i motivi aggiunti.
   6.  -  Lo  speciale  sistema  di definizione del giudizio modellato
 dall'art.  19,  tuttavia,  puo'  incidere  in  maniera   ancor   piu'
 significativa  sulla  posizione  delle  parti processuali diverse dal
 ricorrente. L'applicazione della regola di dimidiazione  di  tutti  i
 termini  si combina con quella che consente al giudice la definizione
 immediata del giudizio e cio' rende possibile, in  concreto,  che  la
 decisione  venga  assunta  "immediatamente" nella camera di consiglio
 fissata per la decisione cautelare  (e  con  la  rapidita'  per  essa
 prevista),  quando  ancora non sono trascorsi i termini a difesa, pur
 dimezzati, concessi all'Amministrazione  resistente  e  ad  eventuali
 controinteressati. Per la precisione, e' possibile che la definizione
 del  giudizio  sopravvenga  prima della scadenza dei termini previsti
 per la costituzione in giudizio,  per  la  proposizione  del  ricorso
 incidentale,  del  regolamento  di competenza, degli eventuali motivi
 aggiunti.
   Ed invero, ai sensi dell'art. 36 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, e
 dell'art. 2 del d.lgs. 5 maggio 1948, n. 642, il giudice si pronunzia
 sulla  domanda  di  sospensione  dell'atto  nella  prima  camera   di
 consiglio  successiva alla scadenza del termine di dieci giorni dalla
 notifica  del  ricorso:  sicche',  considerata  anche  l'eventualita'
 dell'abbreviazione dei termini per riconosciuti motivi di urgenza, e'
 possibile - in linea meramente teorica - che l'udienza di trattazione
 della  fase  cautelare  venga celebrata a soli sei giorni di distanza
 dalla notifica del ricorso introduttivo.
   Questa evenienza ripropone il problema se la  disciplina  in  esame
 sia   compatibile   con   il  diritto  di  difesa  costituzionalmente
 garantito.
   La  questione  del  rapporto  tra  le   modalita'   abbreviate   di
 definizione  del  giudizio  e  la  salvaguardia  dei termini a difesa
 appare strettamente collegata al piu' generale problema dei limiti di
 attuazione di un sistema processuale basato sull'anticipata decisione
 del merito della controversia.
   Siffatto  sistema,  invero,  non  puo'  prescindere  dal necessario
 rispetto di alcuni valori  processuali,  tra  cui,  in  primo  luogo,
 l'integrita'  del  contraddittorio e la completezza e sufficienza del
 quadro probatorio ai fini della sentenza da adottare.  La  decisione,
 in forma abbreviata, immediatamente nella camera di consiglio fissata
 per  la  trattazione  della domanda cautelare, non puo' aver luogo se
 non sono state chiamate in giudizio tutte le parti interessate ovvero
 se queste non si siano costituite in pendenza del  relativo  termine,
 ovvero  se  la  parte  ricorrente,  a seguito di nuova documentazione
 acquisita al giudizio, proponga o manifesti la volonta' di presentare
 motivi aggiunti rilevanti ai fini della decisione del ricorso o se la
 causa non e' matura per la decisione, essendo necessario procedere ad
 ulteriori acquisizioni istruttorie.
   Quest'ultimo aspetto, peraltro, e' particolarmente delicato  in  un
 sistema  processuale che, per la formazione del materiale probatorio,
 non  si  affida  al  principio  dispositivo  puro,  ma   ne   prevede
 l'applicazione corretta dal c.d. metodo acquisitivo, con l'intervento
 diretto del giudice nell'attivita' di ricerca della prova.
   Occorre pertanto armonizzare queste esigenze con la disposizione di
 legge,  che pure prevede la possibilita' di definizione immediata del
 giudizio.
   Appare estranea alla ratio legis e non conforme all'interpretazione
 sistematica dell'art. 19 una soluzione che finisca  col  negare  ogni
 possibilita'  di  immediata  definizione  del  giudizio  prima  della
 compiuta decorrenza di tutti i termini a difesa sopra enunciati.
   Piuttosto, e' necessario cercare un  punto  di  equilibrio  tra  le
 norme  che  impongono  speciali  oneri alle parti, tra una disciplina
 orientata  alla  piu'  celere  trattazione   della   controversia   e
 l'imprescindibile salvaguardia dei diritti di difesa, dell'integrita'
 del  contraddittorio e della completezza dell'istruttoria. Il garante
 di questo equilibrio non puo' che essere il giudice, al quale  spetta
 un  potere  di  direzione  del  processo,  nel rispetto del principio
 dispositivo e dei diritti di difesa secondo le regole generali  della
 giustizia amministrativa.
   La  norma,  nella  parte  in  cui  prevede  che il tribunale "puo'"
 definire immediatamente la controversia,  affida  la  scelta  ad  una
 valutazione del giudice, tenuto a seguire le ordinarie regole logiche
 processuali,   che  consentono  di  non  accogliere  una  istanza  di
 differimento dell'udienza o una richiesta di termine  per  compimento
 di  attivita' di difesa, quando risulti esclusa, in maniera certa, la
 rilevanza  dell'attivita'  richiesta  in  relazione  al  tipo  e   al
 contenuto  della  adottanda  decisione  della  controversia  e  della
 posizione di interesse della  parte  che  ha  avanzato  la  richiesta
 anzidetta.
   Il  requisito dell'"immediatezza" della decisione del giudizio, non
 costituisce un vincolo inderogabile per  il  giudice.  Quando  questi
 infatti ritenga che il contraddittorio deve estendersi ad altre parti
 o  che  devono  disporsi  mezzi  istruttori,  necessari ai fini della
 pronuncia sulla domanda di sospensiva e  a  maggior  ragione  per  la
 decisione sul merito della causa, non puo' definire immediatamente il
 giudizio  ed  e'  tenuto  a  provvedere  anche  d'ufficio  attraverso
 l'esercizio  del  potere-dovere  di  pronuncia   sulla   domanda   di
 sospensione  o  di  concessione  di  un  differimento della camera di
 consiglio per gli adempimenti necessari.
   Del pari, le parti costituite che vogliono avvalersi  di  strumenti
 difensivi  rientranti  nel  loro  potere  dispositivo  e  comportanti
 termini,  sia  pure  abbreviati,  che  eccedono  dalla  sequenza   di
 immediatezza  scandita  dall'art.  19,  avranno  l'onere di esternare
 nella stessa camera di consiglio il loro intento, proponendo apposita
 e motivata istanza di rinvio (anche semplicemente  verbalizzata),  ed
 esternando  la  volonta' di proporre ricorso incidentale, regolamento
 di competenza,  di  depositare  ulteriori  documenti  o  memorie,  di
 proporre motivi aggiunti e, piu' in generale, di esercitare attivita'
 di difesa rilevante per la trattazione del merito della controversia.
   Tale  istanza,  peraltro,  non  produce  un effetto di automatica e
 vincolante paralisi  della  facolta'  di  definizione  immediata  del
 giudizio  demandata  al  giudice,  il quale, anche in questo caso, e'
 tenuto, nell'esercizio dei suoi poteri valutativi, all'osservanza dei
 principi generali del processo amministrativo.
   Ne segue che l'istanza  di  rinvio  potra'  essere  disattesa  solo
 quando  risulti  irrilevante,  ai  fini  della decisione da adottare,
 ovvero  sia  processualmente  inammissibile  la  specifica  attivita'
 difensiva annunciata dalla parte.
   Tale  verifica  giudiziale,  coinvolgendo alcuni valori processuali
 primari,  deve  essere  particolarmente  puntuale   sulla   specifica
 richiesta   avanzata   dalla   parte   e  rimane  condizionata  dalla
 definizione della controversia in relazione all'interesse della parte
 che ha avanzato l'istanza.
   Inoltre, la decisione con cui  il  giudice  disattende  l'esplicita
 richiesta di differimento della parte e definisce "immediatamente" il
 giudizio,   in   sede   di   trattazione  della  fase  cautelare,  e'
 suscettibile di essere  sindacata  nell'eventuale  secondo  grado  di
 giudizio,  essendo  sempre  salva  la facolta' della parte di dedurre
 quale specifico motivo di  gravame  il  non  corretto  esercizio  dei
 poteri  del  giudice  di  primo  grado, comportante la violazione dei
 diritti di difesa o del principio di integrita' del contraddittorio.