IL TRIBUNALE
   A  scioglimento  della  riserva  formulata  in  udienza,  vista  la
 richiesta di archiviazione avanzata dal p.m. in data 3  maggio  1999;
 rilevato  che  in esito alla stessa veniva instaurata la procedura di
 cui all'art.  409, comma 2 c.p.p.; sentite le parti e letti gli atti;
                             O s s e r v a
   Il 12 dicembre 1996  venivano  sequestrati  dal  procuratore  della
 Repubblica  di  Roma due scatoloni di documenti relativi ad indagini,
 svolte anni prima  da  agenti  della  polizia  in  forza  all'Ufficio
 centrale  investigazioni  generali  operazioni speciali (UCIGOS) e da
 funzionari del SISDE, in ordine a un cittadino straniero segnalato da
 servizi stranieri e sospettato di collegamento con una organizzazione
 terroristica  straniera  in  epoca  di  attentati  ad  obbiettivi  di
 pertinenza di Stato estero, siti sul nostro territorio.
   Il  27  gennaio  1997  venivano  interrogati  dal procuratore della
 Repubblica di Roma tre funzionari: due in servizio presso la  polizia
 di  Stato,  uno presso il SISDE. Quest'ultimo avvaleva della facolta'
 di non rispondere ad  alcune  domande  inerenti  alla  documentazione
 esibitagli  dichiarando  nella sostanza, anche se non formalmente, di
 opporre il segreto di Stato sulle delucidazioni richiestegli.
   Dopo di cio'  la  procura  della  Repubblica  emetteva  decreto  di
 esibizione  ex  art.  256  cod.  proc. pen., notificato il 5 febbraio
 1997, col quale disponeva l'acquisizione al procedimento di copia  di
 tutta  la  documentazione, ovunque custodita dal SISDE, relativa alla
 persona che era stata oggetto di indagini.
   Il SISDE  forniva  parte  della  documentazione,  mentre  su  altra
 opponeva  il  segreto  di  Stato. Ritenuta "pertinente" alle indagini
 preliminari in corso  la  documentazione  segretata,  il  procuratore
 della   Repubblica  interpellava  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri affinche' desse conferma del segreto opposto ai sensi  della
 legge n. 801 del 1977.
   Il  Presidente del Consiglio dei Ministri, con provvedimento del 12
 giugno  1997  dichiarava,  con  apposita  motivazione,  correttamente
 opposto   il   segreto   di   Stato.   Successivamente,  il  Comitato
 parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza  investito  ex
 art. 16 della legge n. 801 del 1977, con delibera unanime riteneva in
 data 22 luglio 1997 fondata la conferma del segreto opposta.
   La  procura  di  Roma, ricevuto il provvedimento del Presidente del
 Consiglio  e   ritenuta   la   propria   incompetenza   territoriale,
 trasmetteva  gli  atti, unitamente all'interpello e alla delibera del
 Presidente del Consiglio dei Ministri, al pubblico  ministero  presso
 il tribunale di Bologna.
   Questi  portava  avanti  le  indagini, notificando alla DIGOS della
 locale Questura, in data 8  luglio  1997,  ordine  di  esibizione  di
 documentazione  riguardante  le  indagini  svolte  a  suo tempo dalla
 polizia. La Questura, nel trasmettere il 15  luglio  1997  copia  dei
 documenti  richiesti,  precisava  che  sulle  modalita' operative era
 stato opposto il segreto di Stato.
   La procura, tra il 2 e il 4 agosto 1997, provvedeva ad  aprire  gli
 scatoloni  inizialmente  sequestrati, costituenti corpo di reato, che
 erano stati inviati fin dal 23 giugno 1997 dalla procura di Roma.
   Terminate  le  indagini,  il  pubblico  ministero,  in  data  19-27
 novembre  1997,  chiedeva l'emissione di decreto di rinvio a giudizio
 per i quattro soggetti imputati per i reati previsti dagli artt.  81,
 110,  615, cod. pen., 81, 110, 617, primo e terzo comma, cod. pen., e
 ancora 81, 110, 617-bis, primo e secondo comma, cod. pen.
   Veniva quindi fissata la data per  la  celebrazione  della  udienza
 preliminare.  Nelle more del procedimento il Presidente del Consiglio
 dei Ministri promuoveva conflitto di attribuzione avverso la  procura
 agente  per  avere esorbitato dalla proprie attribuzioni utilizzando,
 ai fini della richiesta di rinvio a giudizio in oggetto, atti coperti
 dal segreto di Stato.
   La   Corte   costituzionale,   con   sent.   110/1998,    disponeva
 l'annullamento della citata richiesta di rinvio a giudizio, motivando
 che  "l'opposizione  del segreto di Stato da parte del Presidente del
 Consiglio dei Ministri non ha l'effetto di impedire che  il  pubblico
 ministero  indaghi  sui  fatti  di  reato cui si riferisce la notitia
 criminis in suo possesso, ed eserciti se del caso l'azione penale, ma
 ha l'effetto di inibire  all'autorita'  giudiziaria  di  acquisire  e
 conseguentemente  di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova
 coperti dal segreto.
   Tale  divieto  riguarda  l'utilizzazione  degli  atti  e  documenti
 coperti da segreto sia in via diretta, ai fini cioe' di fondare su di
 essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne
 spunto  ai  fini  di  ulteriori  atti  di  indagine, le cui eventuali
 risultanze sarebbero a loro volta viziate  dall'illegittimita'  della
 loro origine.
   Fermo il principio di legalita', i rapporti tra Governo e autorita'
 giudiziaria  debbono  essere  ispirati  a  correttezza e lealta', nel
 senso  dell'effettivo  rispetto   delle   attribuzioni   a   ciascuno
 spettanti.   Entro questo quadro, non potrebbe ad esempio l'autorita'
 giudiziaria  aggirare  surrettiziamente  il   segreto   opposto   dal
 Presidente  del  Consiglio,  inoltrando  ad altri organi richieste di
 esibizione  di  documenti  dei  quali  le  sia  nota  la   segretezza
 formalmente opposta.
   Nel  caso  di specie, non appare conforme al dovere di lealta' e di
 correttezza il comportamento del procuratore della Repubblica  presso
 il  tribunale  di Bologna che, pur essendo a conoscenza dell'avvenuta
 opposizione del segreto, non ne ha di fatto tenuto conto,  rivolgendo
 al  Questore  di  Bologna  ordine  di  esibizione  di  documentazione
 riguardante le indagini svolte  a  suo  tempo  dalla  polizia  e  dai
 servizi.
   Risultano   pertanto   lese   le   attribuzioni  costituzionalmente
 riconosciute al Presidente del Consiglio, e  il  vizio  non  riguarda
 soltanto  l'acquisizione  di  atti  e  documenti del cui contenuto il
 procuratore della Repubblica di Bologna sia venuto a  conoscenza,  ma
 coinvolge  anche  l'eventuale  attivita' di indagine susseguentemente
 svolta avvalendosi di quelle conoscenze.
   Per  contro non e' precluso al pubblico ministero di procedere, ove
 disponga o possa acquisire per  altra  via  elementi  indizianti  del
 tutto  autonomi  e  indipendenti  dagli  atti  e documenti coperti da
 segreto. Spetta poi  al  giudice,  al  quale  il  pubblico  ministero
 formula le sue richieste, decidere se si debba dichiarare non doversi
 procedere  per  l'esistenza del segreto di Stato, allorquando ritenga
 essenziali prove la cui acquisizione e  utilizzazione  sono  impedite
 dal segreto medesimo.
   Nella  specie,  risulta,  in  base  a  quanto  si  e'  detto  nella
 precedente esposizione in fatto, che atti coperti  dal  segreto  sono
 stati  acquisiti  ed utilizzati; che da essi il pubblico ministero ha
 preso le mosse per ulteriori indagini e che la richiesta di rinvio  a
 giudizio  indica,  fra le fonti di prova dei reati contestati, alcuni
 documenti coperti al segreto legalmente opposto".
   Il g.i.p. disponeva la restituzione degli atti al p.m. e questi  in
 data  4  maggio  1998  formulava  una ulteriore richiesta di rinvio a
 giudizio espungendo dal novero  delle  fonti  di  prova  i  documenti
 trasmessi  dal  Questore  di  Bologna in data 15 luglio 1997. Fissata
 nuova udienza  preliminare,  veniva  nell'intertempo  proposto  nuovo
 conflitto  di  attribuzione assumendo la Presidenza del Consiglio che
 la  procura  di  Bologna  aveva  semplicemente  eluso  la  precedente
 pronuncia  della  Corte,  e  che  aveva  comunque  utilizzato atti di
 indagine basati sulla conoscenza delle fonti segretate.
   La questione sollevata si incentrava  sulla  utilizzabilita'  degli
 atti  assunti dallo procura bolognese sulla base della documentazione
 trasmessa  dalla  Questura  di  Bologna,  ed  in  particolare   sulla
 utilizzabilita' degli atti gia inizialmente sequestrati dalla procura
 di Roma prima che venisse mai opposto alcun segreto di Stato, nonche'
 prima della richiesta 7 luglio 1997 formulata dalla procura bolognese
 al  corrispondente  Questore,  atti  che buona parte erano i medesimi
 trasmessi dal Questore di Bologna.
   La Corte, con sent. 410/1998, accoglieva il ricorso  affermando  la
 non  utilizzabilita'  da  parte della procura di Bologna "di fonti di
 prova acquisite in violazione del segreto di Stato gia' accertato con
 sentenza della Corte costituzionale", ed  annullava  anche  la  nuova
 richiesta di rinvio a giudizio.
   Nella  motivazione, non sempre chiara e di agevole interpretazione,
 si dava atto che con la sentenza n. 110 del 1998,  "questa  Corte  ha
 riconosciuto  l'illegittimita' non solo della richiesta di esibizione
 rivolta al Questore di Bologna  -  in  quanto  diretta  ad  acquisire
 documentazione,  riguardante  le  indagini  svolte  a suo tempo dalla
 polizi'a  e  dai  servizi,  della  quale  era  nota   la   segretezza
 formalmente  opposta  gia' agli inquirenti della procura di Roma - ma
 anche dell'attivita' di indagine susseguentemente svolta  avvalendosi
 di  quelle  conoscenze,  gia'  poste  a base della prima richiesta di
 rinvio a giudizio.
   Da quanto precede - al di  la'  della  parziale,  ma  indubbiamente
 significativa,  coincidenza  riscontrata  tra  i  documenti acquisiti
 dalla Questura di Bologna e quelli trasmessi  dal  procuratore  della
 Repubblica  di  Roma - consegue che l'utilizzo, da parte del pubblico
 ministero resistente, della  documentazione  gia  in  possesso  della
 procura  romana,  al  fine  di  motivare  la  nuova,  quasi identica,
 richiesta di rinvio a giudizio, si appalesa illegittimo.
   La  rinnovata  richiesta  del  pubblico  ministero  risulta infatti
 inficiata dalla  utilizzazione  dei  documenti  -  provenienti  dalla
 Questura  di  Bologna - che questa Corte ha ritenuto illegittimamente
 acquisiti.
   Tale illegittima utilizzazione documentale rende la nuova richiesta
 di rinvio a giudizio  lesiva  delle  attribuzioni  costituzionalmente
 riconosciute  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri in tema di
 tutela del segreto di Stato".
   La procura di Bologna, preso atto della citata sentenza,  formulava
 la  presente  richiesta  di  archiviazione,  motivando  che "la Corte
 costituzionale purtroppo non  indica  esplicitamente  quali  siano  i
 documenti  provenienti  dalla  Questura  di  Bologna utilizzati nella
 seconda richiesta di rinvio a  giudizio  e  cio'  rende  praticamente
 impossibile  la  loro eliminazione ed una nuova richiesta di rinvio a
 giudizio. In tale situazione il p.m. ritiene di  essere  obbligato  a
 richiedere l'archiviazione dell'azione penale".
   In  fatto va ulteriormente precisato, trattandosi degli atti la cui
 valutazione e' essenziale ai fini del presente provvedimento:
     che allorche' fu formalmente opposto il segreto  di  Stato  sulla
 richiestaInvero,  come  si  e'  visto,  gia'  un  indagato in sede di
 interrogatorio aveva dichiarato di avvalersi della  facolta'  di  non
 rispondere  facendo comprendere che cio' faceva poiche' vincolato dal
 segreto di Stato.   Orbene, a prescindere  da  ogni  valutazione  sul
 fatto  se  in  tal  caso  possa  ritenersi  che  il segreto sia stato
 formalmente opposto, va rilevato che comunque trattasi di opposizione
 del tutto irrilevante sul piano giuridico. Infatti le norme in vigore
 (artt. 202 e 256 c.p.p.) prevedono che solo i testi ovvero  i  pp.uu.
 destinatari di una richiesta di esibizione possono opporre il segreto
 di  Stato.    Cio' per altro appare pienamente logico atteso che solo
 tali ultimi hanno l'obbligo di dare esito alle richieste della  a.g.,
 il  che  puo'  confliggere  con  il  segreto  loro  imposto a fini di
 sicurezza dello Stato, mentre cio' non e' per l'imputato o l'indagato
 che, nell'ambito delle garanzie difensive, ben puo'  avvalersi  della
 facolta'  di non rispondere. Del resto il p.m. di Roma, rispettoso di
 tale diritto dell'indagato, chiese la conferma  del  segreto  opposto
 unicamente  in  relazione  alla mancata esibizione da parte del SISDE
 "della documentazione  di  cui  all'allegato  C",  e  non  invece  in
 relazione  alla  dichiarazione  resa da detto indagato. di esibizione
 formulata dalla procura di Roma, lo stesso  atteneva  non  all'intera
 vicenda  oggetto  di  indagine  bensi'  unicamente ad una parte degli
 atti; ed infatti nella nota 11 aprile  1997  del  SISDE  con  cui  il
 segreto fu opposto si precisa che agli atti dell'ufficio richiesto vi
 erano  tre  gruppi di documenti (nominati all. A, B, e C,) venendo il
 segreto opposto solo relativamente agli atti di  cui  all'allegato  C
 ("Per  quanto  agli  atti  di  cui  all'elenco  in  allegato C ... si
 dichiara ai sensi dell'art. 256 comma 1 c.p.p.   che  le  notizie  in
 essi contenute sono coperte da segreto di Stato") - atti che venivano
 per  altro  specificamente  individuati  ed elencati, con indicazione
 della data e del numero di protocollo -, atteso che "la  divulgazione
 di  detti  documenti  confliggerebbe  con  la  necessita' di tutelare
 aspetti tipici del modus operandi del servizio, ...   e di  mantenere
 al    riparo    di   una   indebita   pubblicita'   l'identita'   dei
 protagonisti..." (cosi', tra l'altro si legge nella  nota  12  giugno
 1997 con cui il Presidente del Consiglio confermava l'opposizione del
 segreto di Stato).
   Da  quanto  ora  esposto  emerge  un  primo importante elemento: il
 segreto e' stato  opposto  unicamente  in  relazione  ad  alcuni  dei
 documenti (per altro esattamente identificati) in possesso del SISDE,
 e  non a tutti gli atti in possesso di detta amministrazione, essendo
 per altro compito precipuo di quest'ultima stabilire quali tra  detti
 atti  erano  da  tenersi segreti per far salve le esigenze di riserbo
 evidenziate (vedi C. cost. 86/77 secondo cui "la  individuazione  dei
 fatti,  degli  atti  e  della notizie... che possono compromettere la
 sicurezza dello Stato e devono quindi rimanere  segreti,  costituisce
 indubbiamente  il  frutto di una valutazione della autorita' preposta
 appunto a salvaguardare questa sicurezza").
   Va inoltre  sottolineato  che  occorre  tenere  distinti  l'oggetto
 dell'opposizione del segreto (e cioe' gli atti elencati nell'allegato
 e  la  motivazione  che  e' stata addotta per giustificare il ricorso
 all'istituto.
   In particolare, come si e' gia' visto, solo in sede di conferma del
 segreto da parte del Presidente del Consiglio  si  specifica  per  la
 prima volta che, tra l 'altro, si intendeva in tal modo "tutelare gli
 aspetti  tipici  del  modus  operandi  di  un servizio di sicurezza".
 Pertanto non e' dato confondere  l'uno  con  l'altro,  ritenendo  che
 oggetto   del   segreto  sia  direttamente  "il  modus  operandi  del
 servizio".
   Evidentemente  se  l'Autorita'  preposta  ha  delimitato  l'oggetto
 dell'opposizione solo ad un numero determinato e limitato di atti, ha
 ritenuto  che solo la diffusione di quegli atti fosse atta a porre in
 pericolo gli interessi alla sicurezza dello Stato.
     che la richiesta di esibizione della procura di Roma vedeva  come
 destinatario il Direttore del SISDE ed aveva ad oggetto "le attivita'
 compiute   anche   da  personale  del  SISDE"  nei  confronti  di  un
 determinato soggetto presumibilmente nel settembre 1991,  chiedendosi
 quindi  l'acquisizione  di  "tutta la documentazione relativa a detta
 attivita' ovunque custodita e segnatamente sia presso il Centro SISDE
 Roma 2 sia presso la Direzione del SISDE", nella nota 11 aprile  1997
 si  legge  poi  che  anche gli atti di cui all'allegato C erano stati
 "rinvenuti presso le citate strutture";
     che per contro il provvedimento di  richiesta  esibizione  emesso
 dal   p.m.  di  Bologna  atteneva  alla  acquisizione  "di  tutta  la
 documentazione esistente presso gli uffici della Questura di Bologna,
 tra cui la DIGOS", relativa alle attivita' svolte nei  confronti  del
 medesimo  soggetto dall'inizio di settembre al 14 settembre 1991 "con
 particolare riferimento alle operazioni di osservazioni e pedinamento
 dello stesso" in occasione del suo soggiorno  presso  un  albergo  di
 questa  citta',  con  richiesta  di trasmettere "le generalita' degli
 ufficiali ed agenti
  di p.g. dipendenti di  codesto  ufficio  che  hanno  collaborato  in
 qualsiasi  modo  alle  indagini".  La richiesta era quindi diretta ad
 ottenere documenti relativi  ad  una  attivita'  specifica  posta  in
 essere  dalla  p.g. (e non dal SISDE), e comunque si trattava di atti
 diversi (gli atti richiesti non erano atti SISDE, quali invece  tutti
 quelli di cui all'elenco sub C o quantomeno potenzialmente diversi da
 quelli di cui all'elenco di cui all'allegato C.
   Il  Questore  di  Bologna  con nota 15 luglio 1997, dopo aver preso
 contatto con i competenti organi  del  SISDELa  circostanza  e'  resa
 evidente,  oltre  che  dal  contenuto della nota in oggetto, anche da
 quella 24 novembre 1997 del  Dipartimento  della  pubblica  sicurezza
 diretta  al  Questore  di  Bologna  in  cui si richiama la precedente
 comunicazione datata 11 luglio 1997 in ordine  alla  sussistenza  del
 segreto  di  Stato  gia' opposto nel procedimento per cui si procede,
 trasmetteva copia di quanto  richiesto,  significando  che  il  SISDE
 aveva comunicato che era stato opposto il segreto di Stato "in ordine
 ai  dettagli  del modus operandi seguiti dal servizio nell'operazione
 antiterrorismo in questione": alcuno  degli  atti  trasmessi  rientra
 nell'ambito di quelli di cui all'elenco di cui all'allegato C.
   Orbene,  considerato,  come  piu'  sopra  motivato, che solo alcuni
 specifici degli atti della intera vicenda erano sottoposti a segreto,
 che solo alla p.a. competeva ed era in grado di valutare quali  erano
 da  tutelare  con tale riserbo, che cio' non e' avvenuto in relazione
 agli atti trasmessi dal questore di Bologna, il  quale  pure  era  in
 contatto  con  i  competenti organi del SISDE ed era a conoscenza del
 segreto in precedenza opposto,  pare  oggettivamente  che  non  possa
 ritenersi  altro  che  i  documenti  trasmessi  non  erano oggetto di
 segreto di Stato e pertanto potevano essere trasmessi alla p.g., come
 in  effetti  furonoDel  resto,  in  presenza  di  documenti  ritenuti
 segreti,  non vi era alcun obbligo di trasmissione per la Questura di
 Bologna, che ben avrebbe potuto - e dovuto - opporre  il  segreto  di
 Stato.    Ed  anzi in tal caso il comportamento tenuto dalla questura
 bolognese, avrebbe innanzitutto comportato una grave  violazione  del
 segreto di Stato con lesione della sicurezza dello Stato, ma potrebbe
 in  astratto  integrare  il  reato  di  cui all'art. 326 c.p. e forse
 sarebbe anche suscettibile di  essere  considerato  non  conforme  al
 dovere di "lealta'" nei rapporti tra le istituzioni di cui alla sent.
 Corte  cost.  110/1998.  Infatti la Questura di Bologna, ai sensi del
 codice, ove avesse ritenuto di esser in presenza di atti segreti  non
 avrebbe  dovuti  trasmetterli; per contro, trasmettendoli ha posto in
 essere le  condizioni  che  hanno  portato  a  far  ritenere  viziato
 l'intero  procedimento,  atteso  che, alla luce delle citate sentenze
 della Corte costituzionale, non possono piu' utilizzarsi nemmeno  gli
 atti   sequestrati   dalla  Questura  di  Roma  e  ad  essa  messi  a
 disposizione dalla Polizia di  Prevenzione.    Ne'  pare  sufficiente
 evidenziare  che  l'eventuale  irritualita'  del comportamento tenuto
 dalla Questura di Bologna era conseguente alla  ritenuta  illegittima
 richiesta  della procura bolognese, non essendo accettabile sul piano
 giuridico ritenere che, ove  quest'ultima  non  avesse  fatto  alcuna
 richiesta  di  esibizione,  tutto quanto gia' acquisito sarebbe stato
 utilizzabile, ma che invece, poiche' detta richiesta fu fatta ed  era
 viziata,  e gli atti sono stati trasmessi ancorche' cio' non fosse un
 comportamento obbligato e dovuto, diventa inutilizzabile  anche  cio'
 che originariamente non lo era..
   Ne'  del  resto rientravano nell'ambito di quelli di cui all'elenco
 all'allegato C che erano incisi dal segreto di Stato.
   Tale valutazione di fatto, che potrebbe fa ritenere  non  rilevante
 la  questione  di  costituzionalita'  che  si prospetta, non e' stata
 fatta  propria  dalla  Corte  costituzionale  con  le   surrichiamate
 sentenze, in cui si e' ritenuto che la procura di Bologna ha ottenuto
 "la  esibizione  di  atti  dei  quali  le  era nota la segretezza", o
 comunque compiuto "atti di indagine sulla base  di  atti  coperti  da
 segreto  di Stato".   "... nella specie, risulta, in base a quanto si
 e' detto nella precedente esposizione in fatto, che atti coperti  dal
 segreto sono stati acquisiti ed utilizzati" (C. cost. 110/1998).
   Questo  giudice non ritiene di poter disattendere detta statuizione
 per altro insindacabile e vincolante, e quindi non ritiene allo stato
 che si possano utilizzare gli atti suddetti  (nonche'  quelli  che  a
 giudizio   della   Corte   sono   conseguenti   a  detta  illegittima
 acquisizione, estendendosi gli stessi anche a  quelli  che  gia'  fin
 dall'inizio  facevano  parte  del  fascicolo ed erano originariamente
 stati legittimamente acquisiti). Di qui, la rilevanza della questione
 di costituzionalita' che si prospetta, non  potendo  il  procedimento
 essere  definito  indipendentemente  dalla sua risoluzione, come piu'
 oltre meglio si motivera'.
   Sulla nozione di segreto. La Corte costituzionale fin  dalla  sent.
 86/1977,  richiamata  anche  nella sentenza 110/1998, ha chiarito, in
 ordine ai rapporti tra opposizione del segreto di Stato  e  attivita'
 giudiziaria,  che  si  e' di fronte ad attivita' che trovano entrambe
 tutela costituzionale, e quindi quando si parla di segreto  di  Stato
 "si  pone  necessariamente un problema di raffronto o di interferenza
 con altri principi costituzionali"  e  viene  in  considerazione  "il
 bilanciamento  fra l'interesse alla sicurezza e quello alla giustizia
 nei casi in cui vengano in conflitto" operato nella Costituzione.
   E' poi evidente che il conflitto si pone solo quando il  fatto  che
 una  determinata  notizia o un determinato documento non possa essere
 propalato, e quindi sia segreto, renda  non  attuabile  la  attivita'
 giudiziaria,  il  che  ricorre  laddove la stessa non possa utilmente
 procedere senza quella conoscenza o quel documento (non conoscenza, e
 non conoscibilita' nel processo dell'atto segreto).
   In altri termini occorre da un lato la sussistenza di  qualcosa  di
 segreto,   e   dall'altro  la  impossibilita'  di  procedere  se  non
 conoscendo  quel  segreto.  In  tali  soli  casi  vi  e'   conflitto,
 altrimenti  il  problema  non  si  pone.  Il  codice  risolve  poi la
 situazione di conflitto disponendo che in tal caso  il  giudice  deve
 dichiarare  la  improcedibilita'  dell'azione, qualora il segreto sia
 stato  opposto  e  confermato  e  la  prova  sia  essenziale  per  la
 definizione del processo (artt. 256 e 202 c.p.p.).
   La succitata disciplina e' fondata sul presupposto che gia' il mero
 fatto  che  un determinata notizia possa essere conosciuta in sede di
 giustizia potrebbe essere pregiudizievole alla sicurezza dello  Stato
 e  pertanto  in  tali  casi e' dato, con l'opposizione del segreto di
 Stato,  non  far  nemmeno  pervenire  quella  conoscenza  alla   a.g.
 procedente.
   Del  resto  l'art.  12,  legge n. 801/1977 correla espressamente la
 ricorribilita' all'istituto del segreto di Stato alla  necessita'  di
 evitare  che  la  diffusione  di determinati atti, documenti, notizie
 possa  esser  pregiudizievole   per   la   integrita'   dello   Stato
 democratico.
   Parallelamente le norme del codice di procedura che disciplinano la
 materia  sono  strutturate in modo che, ove si sia in presenza di una
 di tali notizie, e' possibile far si' che le stesse  non  vengano  in
 radice a far parte delle conoscenze processuali.
   E  cosi', laddove sussista il segreto di Stato, il p.u. richiestone
 deve rifiutare la  esibizione  dei  documenti  e  gli  atti,  il  cui
 contenuto non viene quindi nemmeno a conoscenza della a.g. - art. 256
 c.p.p.    -;  parimenti il teste richiesto di deporre su fatti che sa
 essere  coperti da segreto di Stato, deve opporre il segreto e quindi
 rifiutare di rispondere, per cui anche in tal caso il  contenuto  del
 fatto segreto non viene a conoscenza della a.g., art. 202 c.p.p.
   Del  resto  segreto o c'e' o non c'e' nel caso di segreto di Stato,
 essendo in gioco la sicurezza dello Stato,  il  segreto  deve  essere
 assoluto  -  alcuno  deve  conoscerlo  al  di  fuori  dell'ambito del
 servizio e della autorita' ad esso preposte -, e quindi non esiste un
 segreto che possa invece avere una ambito piu ristretto  (ad  esempio
 limitatamente  alla sfera dei soggetti processuali e non all'esterno)
 di diffusibilita'.  Ne consegue che se l'informazione viene propalata
 al di fuori dell'ambito del servizio,  perde  immediatamente  la  sua
 connotazione di segretezza.
   In  conclusione  si  vuole  qui  sottolineare  che e' la segretezza
 (intesa come fatto storico)  di  un  determinato  atto  che  consente
 l'opposizione del segreto di Stato, con la conseguenza che quell'atto
 non  puo'  esser  conosciuto dalla a.g. Per contro non puo' ritenersi
 che la mera opposizione del segreto di Stato possa rendere segreto un
 atto che tale di per se' non sia, essendo gia' stato "diffuso".
   Radicalmente diverso  infatti  sembra  esser  il  caso  in  cui  il
 documento  o  la notizia non abbiano di fatto natura di segretezza in
 quanto trattasi di documenti o notizie gia' note  o  gia'  per  altre
 legittime vie acquisite al processo.
   In  tal  caso  non  si pone piu' alcun problema di conflitto tra la
 necessita' di preservare un segreto (che di fatto non esiste) e pieno
 svolgimento della attivita' giudiziaria.
   Ne consegue in via logica che se un segreto su dette notizie era in
 precedenza stato  formalmente  opposto,  lo  stesso  non  puo'  avere
 efficacia,  mentre  se,  il  segreto  non  e' stato ancora opposto lo
 stesso non puo' essere validamente opposto, e laddove lo  sia  e'  da
 ritenersi inefficace.
   Tale  appare la lettura delle norme piu' conforme alla Costituzione
 atteso che in tal modo si garantirebbe  il  pieno  svolgimento  della
 attivita'  giudiziaria  senza per altro porre in pericolo l'interesse
 alla sicurezza dello Stato, essendosi in presenza di notizie non piu'
 connotate da segretezza. Ne consegue in diritto che  ricorre  la  non
 manifesta infondatezza della questione che si solleva.
   Orbene  nel  caso  di  specie  e'  incontestabile che il mero fatto
 storico della trasmissione  degli  atti  da  parte  del  questore  di
 Bologna  alla  a.g.  procedente  abbia  di fatto, a prescindere dalle
 intenzioni della p.a., che pure sono leggibili in tal senso come piu'
 sopra si e' motivato (la valutazione sul punto non muta anche laddove
 si ritenga, aderendo agli assunti  difensivi,  che  la  consegna  dei
 documenti  da  parte del Questore di Bologna, dopo aver consultato il
 servizio sia avvenuta ... per errore), reso detti atti non segreti.
   A riprova di cio' bastera' considerare  che  non  solo  detti  atti
 divenivano  in  tal modo noti alla a.g. procedente, bensi' anche, nei
 modi e nei tempi disciplinati  dal  codice,  noti  anche  alle  parti
 processuali e non - art. 329 c.p.p.
   Del   resto   bastera'  considerare  che,  essendovi  nel  presente
 procedimento gia' state due fissazioni di  udienze  preliminari,  gli
 atti  sono  stati  depositati  integralmente  ai  sensi dell'art. 419
 c.p.p., e messi a disposizione delle parti  e  che  quindi  anche  la
 p.o.,  e  cioe'  la  persona  ritenuta contigua a gruppi terroristici
 stranieri  oggetto  di  osservazione,  e'  stata  posta  in  grado di
 prenderne piena conoscenza. Similmente e' avvenuto in occasione della
 fissazione  della  udienza  ex  art.  409  c.p.p.   in   esito   alla
 celebrazione della quale viene emesso il presente
  provvedimento.
   Sembra  pertanto non conforme ne' al principio di ragionevolezza di
 cui all'art. 3, comma 2 della Costituzione, ne' conforme alle norme a
 tutela della attivita' giudiziaria (in primis, artt. 101, comma 2,  e
 112 della Costituzione) l'art. 256 c.p.p. laddove consente di opporre
 il  segreto  di  Stato anche in relazione ad atti privi del connotato
 della segretezza in quanto gia' contenuti ed acquisiti  al  fascicolo
 processuale,   o   comunque  ad  atti  che,  venendo  contestualmente
 trasmessi alla a.g. perdono le loro  caratteristiche  di  segretezza,
 ovvero laddove non prevede che il segreto in precedenza ritualmente e
 correttamente  opposto  diventi  inefficace nel caso in cui l'atto da
 esso coperto abbia perso il suo carattere di segretezza.
   Tale e' il caso di specie laddove  si  sono  ritenuti  coperti  dal
 segreto  di Stato atti (quelli trasmessi dal Questore di Bologna) che
 contestualmente venivano portati a conoscenza della a.g. che anzi  in
 buona parte gia' erano in possesso della stessa (gli atti sequestrati
 all'inizio  del  procedimento  coincidenti  con  quelli trasmessi dal
 Questore di Bologna), atti tutti che allo stato non sono utilizzabili
 stante le citate  pronunce  della  Corte,  e  che  invece  potrebbero
 esserlo  laddove la questione costituzionale che qui si solleva fosse
 ritenuta fondata, e di qui la sua rilevanza.