IL TRIBUNALE Nei confronti di Pomara Filippo; Letti gli atti; esaminata la questione preliminare sollevata dalla difesa di Pomara Filippo, con la quale e' stato chiesto in via principale la nullita' del decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 555, comma 2 c.p.p. in relazione all'art. 364 cpv. c.p.p., in via secondaria la questione di legittimita' costituzionale del menzionato art. 555, comma 2, c.p.p. in riferimento agli artt. 24 e 3 Cost.: O s s e r v a In ordine alla prima questione sollevata dalla difesa e relativa alla nullita' del decreto di citazione a giudizio ritiene questo giudice che tale eccezione non meriti accoglimento; Invero, il riferimento normativo invocato dalla difesa del Pomara Filippo riguarda il comma 2 dell'art. 555 c.p.p., cosi' come novellato dalla legge 16 luglio 1997 n. 234, nella parte in cui prevede la nullita' del d. di cit. a giudizio se esso non e' preceduto dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3 c.p.p. in relazione all'art. 364 cpv. c.p.p. che invece disciplina e prevede non solo la nomina ma anche l'assistenza del difensore di fiducia o in mancanza d'ufficio nell'espletamento dell'atto istruttorio consistente nell'interrogatorio. Tali rilievi sollevati dal difensore avevano come presupposto la mancata presentazione del difensore regolarmente avvisato e nominato d'ufficio, all'interrogatorio dell'imputato regolarmente avvisato e comparso. L'assenza del difensore d'ufficio ha reso quindi nullo l'atto di indagine delegato dalla procura che secondo la difesa del Pomara avrebbe dovuto provocare la nullita' del d. di cit. a giudizio secondo quanto disposto dall'art. 555, comma 2 c.p.p. come recentemente novellato. Orbene ritiene codesto giudice che la nullita' dell'interrogatorio o comunque la sua irregolarita' stante l'assenza del difensore non possono refluire sulla nullita' del d. di cit. a giudizio e cio' avuto riguardo al tenore letterale dell'art. 555, comma 2 c.p.p. A conforto delle superiori considerazioni veda sul punto la sentenza emessa dalla Corte suprema di cassazione, sez. 3 penale n. 3355, in data 9 dicembre 1998 prodotta dalla difesa del Pomara e relativa ad altra medesima questione sollevata avanti il pretore di Cefalu', prodotta unitamente alle ordinanze del pretore di Cefalu' che disponeva la nullita' del d. di cit. a giudizio ed al ricorso conseguenziale presentato dalla procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Termini Imerese, che sulla questione cosi' si pronunciava "la nullita' connessa alle modalita' concrete di svolgimento dell'interrogatorio medesimo (reso dall'indagato in assenza del difensore), pertanto non riguarda il d. di cit. a giudizio, sicche' il pretore, in presenza di una valida instaurazione del dibattimento - dichiarando una inesistente nullita' del decreto e restituendo gli atti al p.m. - illegittimamente ha fatto regredire il procedimento alla fase anteriore dell'indagine preliminare, ormai ritualmente superata". In ordine alla seconda questione sollevata dalla difesa del Pomara, questo giudice, ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 555, comma 2 c.p.p. (nonche' di riflesso dell'art. 416 c.p.p.) in riferimento agli artt. 24 e 3 Cost., nella parte in cui non e' prevista la nullita' del decreto di citazione a giudizio oltre che, quando non e' preceduto dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3 c.p.p. "anche quando non e' stata data comunque la possibilita' all'indagato di sottoporsi liberamente e validamente all'interrogatorio", sospende il procedimento de quo, ed invia gli atti alla Corte costituzionale affinche' dirima la questione sollevata dalla difesa del Pomara e da questo giudice ritenuta fondata ed invero ritiene questo giudice, facendo proprie le considerazioni proposte dal difensore del Pomara che la norma in esame si presenta insufficiente e claudicante nella sua arida espressione letterale laddove, non esprimendo compiutamente e correttamente la ratio sottesa alla novella del 16 luglio 1997, n. 234, crea: 1) una mortificazione della pienezza del diritto alla difesa tutte le volte che il mero invito a presentarsi per rendere interrogatorio non garantisce al soggetto la necessaria assistenza tecnica in situazioni, quali quella oggetto del ns. esame, che allo stato sfuggono all'attuale formulazione normativa; 2) una irragionevole disparita' di trattamento fra quei soggetti che sono messi nella condizione di esercitare, senza vizio alcuno, il proprio diritto di difesa, attraverso l'estrinsecazione di quel fondamentale atto di garanzia costituito dall'interrogatorio, e coloro che, invece, rischiano di giungere alla fase processuale non avendo avuto la possibilita' di conoscere le accuse mosse a proprio carico. La disposizione in esame, inoltre, viola il principio di ragionevolezza e di razionale uniformita' del trattamnto normativo come si palesa dal confronto del suo contenuto con tutto l'impianto del c.p.p.. E' evidente, pertanto, a parere di questo giudice, che la novella normativa del 16 luglio 1997 n. 234 nella sua attuale ed arida formulazione legislativa, determina situazione di ineguaglianza tra i cittadini, a discapito di coloro che, non rendendo interrogatorio in situazioni quali quella oggi oggetto del ns. esame, vedono cosi' mortificato il proprio fondamentale diritto alla difesa a favore di un rigido formalismo letterale che puo' essere superato solo attraverso un intervento della Suprema Consulta, invocato in questa sede, che renda la norma piu' intellegibile e piu' coerente con la sua ratio.