ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 303, comma 4,
 del codice di procedura penale, promossi con  ordinanze emesse il  17
 dicembre,  il  23  novembre  (n.  2 ordinanze), il 7 dicembre e il 23
 novembre 1998 dal Tribunale di Napoli, il 26 marzo 1999  dalla  Corte
 di  assise  di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  il  13  novembre  (n. 2
 ordinanze)  e  il  23  dicembre  1998  dal   Tribunale   di   Napoli,
 rispettivamente  iscritte  ai  nn. 194, 216, 217, 260, 293, 324, 335,
 336 e 384 del registro ordinanze 1999  e  pubblicate  sulla  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  14, 16, 19, 21, 23, 24 e 28, prima
 serie speciale, dell'anno 1999.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 ottobre 1999 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
   Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Napoli,  con  otto  ordinanze  di
 contenuto  pressoche'  identico,  e la Corte di assise di Santa Maria
 Capua Vetere,  hanno  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 303,
 comma  4, cod. proc.  pen., nella parte in cui non prevede che, oltre
 al  superamento  del  termine  complessivo,  possa  essere  causa  di
 scarcerazione  anche  il  superamento del doppio del termine di fase,
 allorche' si verifichi la situazione  descritta  nel  comma  2  dello
 stesso art. 303;
     che  al  riguardo i giudici rimettenti hanno evidenziato che, non
 condividendo le affermazioni poste a  fondamento  della  sentenza  di
 questa  Corte  n.  292  del  1998,  con la quale venne dichiarata non
 fondata "nei sensi di cui in motivazione" l'identica questione a  suo
 tempo  sollevata  dal  Tribunale  di  Reggio Calabria, e tenuto conto
 dell'efficacia che occorre riconoscere alle decisioni  interpretative
 di rigetto secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite penali della
 Corte  di  cassazione,  si  imponeva la riformulazione del quesito di
 costituzionalita' negli stessi  termini e per le stesse ragioni  gia'
 prospettate  nella  ordinanza  di  rimessione  allora pronunciata dal
 Tribunale di Reggio Calabria;
     che in alcuni  dei  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo che la questione sia  dichiarata  non
 fondata.
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano l'identica
 questione e che, pertanto,  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
 essere definiti con un unico provvedimento;
     che  le  doglianze  prospettate  dai giudici rimettenti, anziche'
 concentrarsi sulla disposizione formalmente  attinta  dal  dubbio  di
 costituzionalita',  si  diffondono  nel contestare la validita' degli
 argomenti sviluppati nella sentenza "interpretativa" di questa  Corte
 n. 292 del 1998;
     che  a  tal  proposito  i giudici a quibus, nel sottolineare come
 ciascuno di tali argomenti possa essere  ribaltato  sul  piano  della
 ricostruzione  ermeneutica,  ritengono  insuperabile  il dato offerto
 dalla  collocazione  della  specifica  norma  dettata  dal  comma   6
 dell'art.    394  cod.  proc.  pen.,  sicche'  la  stessa  troverebbe
 applicazione soltanto nel caso di sospensione dei termini di custodia
 cautelare;  conclusione, questa, che i rimettenti ritengono essere in
 linea, non  soltanto  con  la  lunga  e  travagliata  "storia"  della
 disciplina  che  viene  qui  in  esame,  ma  anche  con  i  valori di
 razionalita' intrinseca  del  sistema,  che  la  norma,  diversamente
 interpretata, soddisferebbe appieno;
     che   la   soluzione   interpretativa   prospettata  dai  giudici
 rimettenti, pur se degna di ogni attenzione, non sfugge  agli  stessi
 rilievi  di  cui  e'  stata  fatto  oggetto la richiamata sentenza di
 questa Corte, giacche' ciascuno  degli  argomenti  giuridici  addotti
 puo'  essere  invertito nei risultati, ove se ne contesti la premessa
 fondante (affermare, ad esempio, che l'avverbio  "comunque"  varrebbe
 soltanto  "a  sottolineare  la correlazione tra la norma sui ''limiti
 finali'' e tutte le varie ipotesi di sospensione dei termini previste
 nei cinque commi che precedono", equivale null'altro che ad affermare
 un giudizio ipotetico sul piano interpretativo, dotato di un tasso di
 persuasivita' astrattamente identico alla ipotesi reciproca);
     che al contrario deve qui riaffermarsi che e'  proprio  l'uso  di
 quell'avverbio  dal  valore  assoluto e non condizionato a imporre di
 ritenere, come soluzione  ermeneutica  costituzionalmente  obbligata,
 "che  il  superamento  di  un  periodo di custodia pari al doppio del
 termine stabilito per la fase presa in considerazione,  determina  la
 perdita di efficacia della custodia, anche se quei termini sono stati
 sospesi,  prorogati  o  -  per stare al caso che qui interessa - sono
 cominciati a decorrere nuovamente a  seguito  della  regressione  del
 processo";
     che, pertanto, non essendo stati addotti argomenti di concludenza
 tale  da  indurre  questa  Corte  a  mutare  le  affermazioni poste a
 fondamento della citata sentenza n. 292 del 1998,  la  questione  ora
 proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.