e 112. IL TRIBUNALE MILITARE Nel procedimento penale a carico di Padalino Mario, nato il 5 novembre 1976 a Caserta e residente a Genova, in via E. Salgari, comune 2 classe in ufficio locale Marittimo in Sestri Levante, imputato del reato di "violata consegna da parte di militare di servizio" (art. 120, comma 1 c.p.m.p.) perche', all'epoca dei fatti militare effettivo all'ufficio locale marittimo di Sestri Levante, ivi, il 14 marzo 1999, essendo comandato di servizio di guardia giornaliera h 24, violava le consegne avute, svolgendo il servizio predetto in abiti civili e non indossando, come prescritto la divisa. Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 120 c.p.m.p. in relazione agli artt. 25, secondo comma, 24, secondo comma, 112, 3, 13 della Costituzione; O s s e r v a In data 16 luglio 1999 il pubblico ministero esercitava l'azione penale nei confronti del marinaio sopra generalizzato e chiedeva a questo giudice emettersi decreto penale di condanna alla multa di lire 3.375.000 per il delitto sopra descritto di "violata consegna da parte di militare di servizio" (art. 120 c.p.m.p.). Si dubita, pero', della legittimita' costituzionale della fattispecie incriminatrice contestata con riferimento ai parametri costituzionali sopra evidenziati. Infatti, dallo studio degli atti d'investigazione del pubblico ministero emergono tutti i dubbi che la dottrina e la migliore giurisprudenza di merito hanno evidenziato relativamente alla costituzionalita' di siffatta fattispecienormativa, caratterizzata dall'essere una tipica norma penale in bianco in cui il legislatore ha omesso di indicare all'amministrazione, che deve integrare il precetto con fonte normativa di rango secondario, quali debbano essere i contenuti, i presupposti i caratteri ed i limiti dei comandi costituenti consegna. Dall'analisi delle fonti di prova raccolte dal pubblico ministero quali elementi per imputare al marinaio sopra generalizzato di avere violato la consegna avuta affiorano tutti i dubbi e le censure della norma, data la labilita' della formula impiegata dal legislatore; rimane la incerta nozione penale di consegna, in particolar modo le nozioni di consegna quale prescrizione implicita e quale prescrizione di dettaglio rispetto alle finalita' tipiche del servizio specificatamente richiesto al militare. E' d'uopo, pertanto, riferirsi brevemente al caso oggetto dell'odierna causa penale per poi, passare ad analizzare i censurati profili d'incostituzionalita' della norma incriminatrice. I. - I fatti si sono verificati all'interno dell'ufficio marittimo di Sestri Levante, dipendenti dall'ufficio circondariale marittimo di Santa Margherita Ligure, Ente dipendente dal Ministero dei trasporti e della navigazione ove svolgono servizio di vigilanza militari appartenenti alla Marina militare. Per comune esperienza e' noto che in siffatti Enti, competenti non alla difesa della Patria con le armi bensi' a numerosi compiti di polizia marittima, i servizi militari che normalmente negli Enti dipendenti dal Ministero della difesa vengono svolti con armi e con vestiario ed equipaggiamento idoneo a sostenere eventuali ingaggi vengono adempiuti senza armi. Ed infatti, il 14 marzo '99 il marinaio di leva sopra generalizzato ebbe ad essere comandato di vigilanza non armata all'area portuale di Sestri Levante; servizio che veniva adempiuto regolarmente tant'e' che vi e' prova in atti che l'imputato ebbe ad allertare per un'ispezione anche il piantone di servizio. Si imputa al militare solo di avere svolto il servizio non in divisa bensi', in abiti civili. E' evincibile in atti prova di un tentativo del pubblico ministero di apprendere le consegne cola' vigenti e disciplinanti il servizio di guardia giornaliera, consegna che si assume sin dalla notizia di reato e allegati essere stata trasmessa al militare (la prescrizione penale implica un "tradere"). Pero', di consegne scritte in atti non v'e' traccia ed il sott.le responsabile dell'Ente cosi' si esprime a proposito dei precetti costituenti consegna che sarebbero stati violati dall'imputato: ".... i militari preposti a tale servizio si alternano nello svolgimento dei vari compiti, compiti previsti da varie normative come ad esempio il Codice della navigazione e varie ordinanze emesse dall'Autorita' marittima. Il servizio di guardia giornaliera deve essere svolto in divisa, perche', in caso di necessita', essendo anche agenti di polizia giudiziaria, gli stessi devono essere immediatamente riconosciuti da chiunque" (f. 23 atti). Avendo il pubblico ministero esercitato l'azione penale, e' ovvio dedurre che si sia condiviso l'indirizzo giurisprudenziale costante per cui le prescrizioni la cui violazione da parte del militare integrano la condotta delittuosa di violata consegna possono benissimo essere anche prescrizioni di dettaglio rispetto alle principali dovendo pero' attenere direttamente alle finalita' tipiche del servizio richiesto al militare (nel caso che ci occupa il servizio richiesto era quello di vigilare l'area e non certo quello disciplinante le modalita' di vestiario da indossare per l'accertato servizio non armato). Ma, dall'esame testimoniale del responsabile dell'Ente si evince come la particolare prescrizione violata, integrante la condotta criminosa contestata, sarebbe da dedursi implicitamente dalle caratteristiche essenziali del servizio; in altri termini, non sarebbe una prescrizione espressamente impartita ma, logicamente desumibile dalle caratteristiche tipiche del servizio comandato: In realta', basterebbe pensare ai numerosi servizi di polizia giudiziaria che i militari svolgono "in borghese" per capire come sia preoccupante il dato emergente da cui si e' ricavata un ipotesi di consegna implicita e, cio', perche', fondantesi su dato labile imposto dal legislatore che concede all'interprete l'arbitrio di sussumere o meno un fatto sotto la fattispecie incriminatrice di cui oggi si dubita circa la sua costituzionalita'. Al riguardo l'interprete dispone della definizione legale contenuta nell'art. 26 del vigente regolamento di disciplina militare secondo cui "la consegna e' costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l'adempimento di un particolare servizio". Tale nozione disciplinare di consegna e' tradizionalmente accettata dalla giursprudenza penale militare; pero', essa non risolve affatto i dubbi circa la determinatezza e tassativita' della nozione indicata dal legislatore nella fattispecie incriminatrice ("il militare che viola la consegna avuta") poiche', la tecnica normativa e' stata tale per cui l'illecito e' stato costruito come semplice difetto di osservanza a qualsiasi precetto impartito dall'autorita' militare per l'adempimento di un servizio; una sorta di illecito di mera disobbedienza in cui il legislatore ha inteso sanzionare penalmente comportamenti disancorati dalla effettiva lesione di un bene giuridico. In siffatto contesto la nozione disciplinare aumenta solo l'incertezza giacche', la fonte regolamentare si impone per dati opposti ove il disgiuntivo "o" fra una definizione e l'altra ancor piu' rende l'idea di nozioni opposte irreversibilmente antitetiche, in sintesi la nozione disciplinare di consegna e' tutto e niente allo stesso tempo. Premesso cio', con riferimento, al principio costituzionale di riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, che costituisce il primo contenuto del principio di legalita'. La riserva di legge in materia penale cosi' come riconosciuto dalla migliore dottrina penalistica deve intendersi di carattere assoluto: cio' lo si desume dalla collocazione sistematica dell'art. 25, secondo comma della Costituzione nella Parte l, del titolo 1, concernente non tanto l'organizzazione dei poteri dell'ordinamento della Repubblica, quanto i diritti e doveri dei cittadini; in tale quadro la legge in senso formale e' atto normativo che offre le maggiori garanzie per liberta' personale, riconosciuta come bene inviolabile proprio dall'art. 13 della Costituzione, e cio' sia dal punto di vista tecnico, per l'iter vagliato ed approfondito da cui scaturisce, sia dal lato politico perche' espressione di equilibrio parlamentare e controllo delle minoranze sulle maggioranze dell'esecutivo. E' la sistemistica costituzionale che in primis depone per il carattere assoluto della riserva di legge costituendo questa garanzia del cittadino nell'esplicazione dello status libertatis. Ora il legislatore del 1941, in periodo di guerra ed in ambito di costituzione elastica, ebbe, per quanto attiene alla norma di cui oggi si dubita della costituzionalita' a delegare totalmente all'amministrazione la descrizione del precetto mediante integrazione successiva. Il legislatore ha previsto solo la sanzione demandando all'esecutivo la definizione di consegna e, persino la disciplina delle ipotesi in cui rileverebbe quale illecito penale privativo della liberta' personale l'inottemperanza alla stessa. Trattasi di norma penale in bianco perche' il precetto e' totalmente integrato da atti normativi sottordinati nella gerarchia delle fonti del diritto, quali il provvedimento dei comandi militari (financo il piu' sperduto comando di distaccamento). Tale tecnica di strutturazione della norma viola il principio costituzionale della riserva di legge perche', conformemente all'ideologia autoritaria di delega all'esecutivo della disciplina dei fatti ritenuti lesivi all'ordine costitutivo, il legislatore si e' totalmente spogliato nella scelta sua tipica di politica criminale-militare di definire presupposti, contenuto e limiti della consegna e della sua violazione. E, cio', con tutte le conseguenze in tema di certezza della fattispecie penale poiche', e' ben noto che nella legislazione militare vigente la nozione di consegna viene ad abbracciare anche i provvedimenti limitativi della liberta' personale mediante, appunto, l'irrogazione delle consegne di rigore e semplici da parte del comandante di Corpo. Nel caso che si occupa il precetto penale risulta costituito dalla generica imposizione di obbedienza a qualsiasi atto che qualsiasi comandante militare definisca quale consegna con la abnorme possibilita' che un fatto perda di rilevanza penale solo perche' la medesima autorita' amministrativa revochi una consegna emessa cosi', realizzandosi disparita' di trattamento fra cittadini militari a seconda che la loro inottemperanza a certi obblighi si sia consumata prima o dopo la suddetta revoca dell'atto amministrativo. Nel contesto di cui ora ci occupiamo e' estraneo l'aspetto della cd. integrazione tecnico-scientifica del precetto ad opera dell'amministrazione, ipotesi in cui sarebbe salvaguardato il principio costituzionale, poiche', come gia' detto, ivi rileva la completa integrazione e descrizione del precetto penale da parte di fonte del diritto di carattere secondario. Ma, anche qualora il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale fosse ritenuti di carattere relativo come sembrerebbe desumersi da precedenti pronunciamenti della Corte costituzionale, pur tuttavia il legislatore penale in questione ha omesso di determinare in modo sufficiente i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell'amministrazione specificativi dell'astratta e generica nozione di consegna. Se con le sentenze nn. 26/1966 e 282/1990 il giudice delle leggi ha introdotto il criterio della cd "sufficiente determinazione legale" cui dovrebbe sottostare il legislatore nella tecnica di strutturazione normativa, nel descrivere il delitto di cui l'art. 120 c.p.m.p. vi e' una totale omissione di quei dati caratterizzanti una ponderata scelta di politica criminale, delegandosi all'esecutivo ed ai suoi rami periferici l'arbitrio, collegato anche alla capacita' o meno di utilizzare appropriata terminologia giuridica, la scelta che fra sanzionare penalmente oppure disciplinarmente i casi di violazione ai doveri. Ma, come gia' evidenziato, ivi vi e' un totale rinvio all'atto amministrativo subordinato da parte della legge penale, nella persistenza del potere dell'amministrazione di modificare l'atto stesso e, cio' equivale a rinvio da parte della legge al potere subordinato ed e', pertanto, chiaramente violativo della riserva di legge ex art. 25, secondo comma della Costituzione (ved. Corte costituzionale 11 giugno 1990, n. 282). Il legislatore quando ha creato la fattispecie incriminatrice oggi impugnata ha, in sintesi, demandato all'amministrazione la determinazione dei termini normativi rilevanti per l'individuazione del fatto tipico ovvero, il nucleo fondante il contenuto d'illecito. Con riferimento al principio costituzionale di tassativita' (o determinatezza) di cui all'art. 25, secondo comma della Costituzione, che costituisce il secondo contenuto del principio di legalita'. La rilevanza costituzionale del principio di tassativita' e' desumibile dalla ratio dell'art. 25, secondo comma della Carta fondamentale, dato che la garanzia stabilita sul piano delle fonti verrebbe svuotata ed aggirata in sede applicativa da formulazioni indeterminate e vaghe. Gia' si e' precedentemente detto della indeterminatezza ed incertezza della nozione di consegna e di violazione di consegna di cui all'art. 120 c.p.m.p. quando si e' discorso in premessa del fatto concreto sottoposto all'esame di questo giudice. Gia' si e' detto di come la giurisprudenza estenda la nozione di consegna fino a ricomprendere le consegne di dettaglio e le consegne implicite rispetto a quelle principali che disciplinano il servizio tipico comandato al militare e, gia' si e' discorso di come il caso sottoposto all'esame di questo giudice sembra sussumersi sotto queste ultime ipotesi di consegna. La situazione consegue al difetto strutturale nella descrittivita' del precetto. Nel momento in cui questo e' indeterminato perche' il legislatore rinvia per le sua determinazione a futuri interventi di organi amministrativi senza prescrivere presupposti, contenuti, limiti ne deriva un'incertezza congenita. E rilevato che il principio costituzionale obbliga il legislatore a formulare il precetto penale con chiarezza in modo che sia univocamente desumibile la norma-comando sicche', il cittadino medio (anche militare) possa facilmente orientarsi fra cio' che non e' penalmente vietato e cio' che, invece, e' penalmente vietato ed il giudice non addivenga a godere di arbitrio nel reprimere i comportamenti umani, la norma in questione nella sua descrittivita' non assicura la certezza della legge laddove non definisce la nozione di consegna penalmente rilevante. Il legislatore non offre dei parametri di valutazione cui riferirsi. Arduo e' definire la condotta vietata ed essendo nullo il margine positivo o negativo sicurezza diventa regola il margine di decisioni giurisprudenziali opposte. Il giudice diventa arbitro assoluto potendo ricorrere nella attivita' interpretativa a fattori essenziali, magari legati al contesto socio-politico cosi' creando per esempio anche la figura (aberrante) della consegna implicita con una sorta di imputazione oggettiva al militare che ebbe la trasmissione della consegna principale e generale. Cosi' si arriva, infine, a discorrere delle violazioni costituzionali di cui agli artt. 24, secondo comma, e 112. Illustrati i motivi che fanno ritenere non sia manifestamente infondata l'ipotesi della violazione della fattispecie incriminatrice in questione rispetto ai principi di riserva di legge e di passativita', consegue anche un pregiudizio al diritto di difesa che spetta all'imputato e dell'obbligo spettante al pubblico ministero di esercitare l'azione penale. Infatti, il cittadino militare non puo' conoscere cio' che e' vietato penalmente da cio' che consentito, od al massimo costituente semplice illecito disciplinare per inottemperanza a doveri, onde, non puo' decidere con coscienza e volonta' il proprio comportamento. Viene a scemarsi il sistema delle garanzie processuali dato che alla contestazione da parte di un giudice di una consegna di dettaglio e implicita (come avverrebbe nel caso de quo con l'emissione del decreto penale di condanna) il cittadino militare non puo' opporre valide argomentazioni ma, al massimo, difformi indirizzi giurisprudenziali. Il diritto alla difesa viene frustrato. Lo stesso pubblico ministero non ha le possibilita' di conoscere con certezza i comportamenti da reprimere dagli altri che sono consentiti. In relazione all'art. 3 della Costituzione che esprime il principio di eguaglianza: profilo a): le violazioni del principio di legalita' sembrano comportare necessariamente la ulteriore violazione del principio in questione poiche', giustificano possibili decisioni difformi del giudice in presenza di identiche situazioni di fatto. Viene meno l'eguaglianza dei cittadini militari a parita' di condotta. profilo b): da quanto evidenziato in questa ordinanza, stabilito che relativamente alla fattispecie incriminatrice che ci occupa il legislatore ha delegato "in bianco" alla amministrazione la descrittivita' del precetto, deriva che e' quest'ultima (financo il comandante del piu' sperduto Ente militare) a stabilire con l'emissione di atti amministrativi costituenti consegna cio' che e' delitto o meno ed, a stabilire con la revoca o l'annullamento degli stessi cio' che non e' piu' reato. Cosi' sottoponendosi i cittadini militari, per quanto attiene alla propria liberta' personale, all'arbitrio assoluto dell'esecutivo ed a sperequazioni di fatto dato che fino ad un certo momento nello stesso Ente militare si puo' essere denunciati (e successivamente imputati) per violata consegna e, poi, magari per circostanze del tutto voluttuarie (del resto incontrollabili dal giudice) essere immuni da sanzione penale pur avendo tenuto la stessa condotta. In riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 13 della Costituzione raffiguranti anche il principio costituzionale della necessaria offensivita' del reato a beni di rilievo costituzionale. Gia' si e' detto che entrambi i principi, sia di legalita', sia quello tutelante lo status libertatis sono posti sullo stesso piano dovendosi quindi, da parte del legislatore penale operare un corretto bilanciamento di interessi fra beni di pari rilievo costituzionale per elidere il favor libertatis di cui deve godere qualsiasi cittadino, compreso quello alle armi. In un'ottica costituzionale il diritto penale deve essere la extrema ratio e, solo laddove il diritto amministrativo punitivo non ha spazio di efficacia. Ecco perche' le singole figure di reato devono essere costruite in funzione offensiva di ben determinata oggettivita' giuridica procedendosi con una sorta di tipizzazione delle offese. Il sistema penale deve essere armonico rispetto anche alla Carta fondamentale in modo da esser applicato solo a fatti concretamente offensivi in misura apprezzabile di beni di rilevanza costituzionale. E nell'ottica di tali principi non trovano spazio i reati di pericolo presunto giacche', punire per un pericolo non accertabile con un giudizio ex ante alla condotta e, ove nessun pericolo fu preaccertato esistente degradare la fattispecie di reato a pericolo di astratta disubbidienza al precetto. E la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 120 c.p.m.p. per unanime dottrina e giurisprudenza e' un esempio di delitto di pericolo presunto, un illecito penale di mera disubbidienza in cui il legislatore ha inteso sanzionare penalmente comportamenti disancorati dalla effettiva lesione di un bene giuridico. Il militare viene punito con la reclusione militare e, quindi, con una sanzione privativa della liberta' personale solo per avere disobbedito a doveri impartiti dal legislatore (anzi dall'amministrazione visto che vi e' una delega "in bianco"). La costruzione della fattispecie censurata e', per di piu', priva di "clausole negative" dalle quali possa evincersi se al momento della condotta sia da escludersi una lesione a qualche bene, giuridico di rilievo costituzionale. Le questioni prospettate sembrano tutte non manifestamente infondate ed anche rilevanti giacche', coinvolgono la stessa norma incriminatrice contestata in imputazione.