ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 58-quater della
 legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
 sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
 promosso  con  ordinanza  emessa il 6 aprile 1998 dal Tribunale per i
 minorenni di Palermo, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 1999  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 4, prima
 serie speciale, dell'anno 1999.
   Udito nella camera di consiglio del  13  ottobre  1999  il  giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Tribunale  per  i  minorenni di Palermo, investito di un
 reclamo avverso la concessione  ad  un  condannato  minorenne  di  un
 permesso  premio  -  che,  stante  l'avvenuta  revoca,  a  carico del
 detenuto, dell'affidamento in prova al servizio sociale, si  assumeva
 concesso  in violazione dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge
 26 luglio 1975, n.    354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
 sull'esecuzione  delle misure privative e limitative della liberta'),
 ai cui sensi non puo' fruire di assegnazione al  lavoro  all'esterno,
 di  permessi premio e di affidamento in prova il condannato a cui sia
 stata  revocata  una  misura  alternativa  (affidamento   in   prova,
 detenzione  domiciliare,  semiliberta'),  per  la  durata di tre anni
 dalla revoca medesima - ha  sollevato,  con  ordinanza  emessa  il  6
 aprile 1998, pervenuta a questa Corte il 4 gennaio 1999, questione di
 legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli articoli 27 e 31
 della Costituzione, di detto art. 58-quater, nella parte in cui  esso
 si applica ai condannati di eta' minore.
   Il  remittente,  dopo  aver  ricordato  che  ai  sensi dell'art. 79
 dell'ordinamento penitenziario le norme di quest'ultimo si applicano,
 fino a quando non si sia provveduto con  apposita  legge,  anche  nei
 confronti   dei  condannati  minorenni,  rileva  che  il  divieto  in
 questione, se  applicato  ai  minori,  confligge  con  i  principi  -
 garantiti  dagli  artt.  27  e 31 della Costituzione e tutelati dalla
 dichiarazione dell'ONU del 20 novembre  1959  e  dall'art.  40  della
 convenzione  sui  diritti  del  fanciullo  del 20 novembre 1989 - che
 ispirano  il   diritto   minorile,   volto   al   recupero   e   alla
 risocializzazione  dei  minori devianti, esigenze che comporterebbero
 la necessita' di differenziare il trattamento dei  medesimi  rispetto
 ai  detenuti  adulti,  ed  escluderebbero  che  si possa applicare ai
 medesimi un rigido automatismo.
   Il giudice a quo invoca in  proposito  quanto  statuito  da  questa
 Corte,  in relazione ad analoghe questioni, nelle sentenze n. 125 del
 1992 e n. 109 del 1997,  secondo  cui  l'assoluta  parificazione  tra
 adulti e minori in questa materia puo' confliggere con le esigenze di
 specifica  individualizzazione e di flessibilita' del trattamento dei
 detenuti minorenni: esigenze compromesse da un rigido automatismo che
 non consenta al giudice alcuna valutazione in concreto della condotta
 del  minore  ed  una  prognosi  individualizzata  circa   l'efficacia
 risocializzante, in concreto, della misura proposta.
   2.  -  Non  vi  e'  stata  costituzione di parti ne' intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sollevata investe l'art. 58-quater della legge 26
 luglio   1975,   n.   354  (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e
 sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
 e  specificamente  -  ancorche' cio' non risulti in modo espresso dal
 dispositivo dell'ordinanza, ma dalla sua motivazione  -  il  disposto
 dei  commi 2 e 3 di detto articolo, ai cui sensi al detenuto al quale
 sia stata revocata una misura alternativa (affidamento  in  prova  ai
 servizi  sociali,  detenzione  domiciliare, semiliberta') non possono
 essere concessi, per un periodo  di  tre  anni  dalla  emissione  del
 provvedimento  di  revoca,  l'assegnazione  al  lavoro all'esterno, i
 permessi premio, l'affidamento in prova "ordinario" (di cui  all'art.
 47  dell'ordinamento  penitenziario),  la detenzione domiciliare e la
 semiliberta'. Piu' precisamente, la  questione  proposta  investe  la
 statuizione del comma 2, che sancisce la predetta preclusione, mentre
 il  comma 3, che determina solo la durata della preclusione medesima,
 non e' oggetto di  autonome  censure.    Il  dubbio  di  legittimita'
 costituzionale  riguarda  tale norma nella parte in cui si applica ai
 condannati minorenni.
   Il Tribunale  remittente  ritiene  che  il  divieto,  applicato  ai
 minori,  sia in contrasto con i principi di rieducativita' della pena
 e di protezione dei minori, di cui agli articoli 27, terzo  comma,  e
 31,  secondo comma, della Costituzione, in quanto introduce un rigido
 automatismo, impedendo una valutazione in  concreto  in  ordine  alla
 concedibilita'  della  misura,  e cosi' compromettendo le esigenze di
 individualizzazione e di flessibilita' che, secondo la giurisprudenza
 di questa Corte, e  anche  alla  luce  della  dichiarazione  ONU  dei
 diritti del fanciullo in data 20 novembre 1959 e della convenzione in
 data  20  novembre  1989 sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in
 Italia con la  legge  27  maggio  1991,  n.  176  (art.  40),  devono
 caratterizzare  la disciplina dell'esecuzione della pena nei riguardi
 del minore.
   2. - L'art. 58-quater dell'ordinamento penitenziario  -  introdotto
 dall'art. 1 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con
 modificazioni,  dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successivamente
 integrato dall'art. 14 del decreto legge 8  giugno  1992,  n.  306  -
 dispone al comma 1 il divieto di concessione di una serie di benefici
 penitenziari  (assegnazione  al  lavoro all'esterno, permessi premio,
 affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti  dall'art.
 47,  detenzione  domiciliare, semiliberta') al condannato per delitti
 previsti dall'art. 4-bis, comma  1,  dello  stesso  ordinamento,  che
 abbia  posto  in  essere  una condotta punibile a norma dell'art. 385
 cod. pen., concernente il reato di evasione. Il comma 2 a  sua  volta
 prevede  che  la  disposizione  del  comma  1  "si  applica  anche al
 condannato nei cui confronti e'  stata  disposta  la  revoca  di  una
 misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter,
 comma  6,  o  dell'art.   51, primo comma": le ipotesi di revoca sono
 relative  all'affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  e   alla
 detenzione  domiciliare,  quando il comportamento del soggetto appaia
 "incompatibile con la prosecuzione" della prova o della misura;  alla
 semiliberta',   quando   "il  soggetto  non  si  appalesi  idoneo  al
 trattamento". Il comma 3, relativo ad entrambe le ipotesi  dei  primi
 due commi, stabilisce che il divieto opera per un periodo di tre anni
 dal  momento  in  cui  e' ripresa l'esecuzione della custodia o della
 pena o e' stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2.
   Il  Tribunale remittente non si sofferma a precisare la portata del
 comma 2, ma, date le caratteristiche del caso ad esso sottoposto,  si
 deve  supporre  che esso abbia aderito all'interpretazione, sostenuta
 in giurisprudenza e discussa in dottrina, secondo cui il divieto  ivi
 stabilito  concerne  tutti  i condannati, e non solo i condannati per
 delitti  di   cui   all'art.   4-bis,   comma   1,   dell'ordinamento
 penitenziario,  cui  si  riferisce invece il comma 1. In ogni caso, e
 quale  che  sia  la  portata  della  norma,  la  questione  proposta,
 concernente  l'applicabilita'  della  stessa  ai  minori, deve essere
 affrontata  nel  merito,  stante   la   non   implausibilita'   della
 interpretazione accennata.
   Benche'   poi,   nella   specie,  il  divieto  fosse  invocato  per
 contrastare la concessione di un permesso premio ad un  detenuto  cui
 era  stato revocato l'affidamento in prova, la questione e' sollevata
 dal giudice a quo con riguardo al disposto dei commi 2 e 3  dell'art.
 58-quater   nel   suo   complesso   (sempre  limitatamente  alla  sua
 applicabilita' ai condannati minorenni): e d'altra parte si tratta di
 una previsione che considera  congiuntamente,  senza  distinzioni  di
 sorta, da un lato le tre misure alternative la cui revoca fa scattare
 la   preclusione   triennale,   dall'altro   l'insieme  dei  benefici
 penitenziari la cui concessione resta temporaneamente preclusa.  Onde
 la  pronuncia  di  questa  Corte  deve  aver  riguardo  al  contenuto
 normativo citato, nella sua portata complessiva: il che  non  esclude
 che  eventuali  divieti  piu'  puntuali  - come ad esempio quello che
 riguardasse solo una nuova concessione della stessa misura  revocata,
 prima  che sia trascorso un certo tempo - ove ipoteticamente disposti
 dal legislatore, possano essere oggetto di diversa considerazione.
   3. - La questione e' fondata.
   Piu' volte questa Corte ha dovuto censurare, nella parte in cui  si
 applicavano  indiscriminatamente  anche  ai detenuti minorenni, norme
 dell'ordinamento penitenziario, o di  altre  leggi,  che  stabilivano
 specifiche preclusioni alla concessione di benefici penitenziari o di
 sanzioni  alternative, in quanto, per detta parte, esse apparivano in
 contrasto con i principi costituzionali in tema di applicazione e  di
 esecuzione  delle  pene  e delle misure restrittive nei confronti dei
 minori,  che,  nelle  situazioni  prese  in  esame,   esigevano   una
 disciplina fondata su valutazioni flessibili e individualizzate circa
 la  idoneita' e la opportunita' delle diverse misure per perseguire i
 fini di risocializzazione del condannato minore, nel  rispetto  delle
 specifiche  caratteristiche  della sua personalita' (cfr. sentenze n.
 168 del 1994, n. 109 e n.  403 del 1997, n. 16, n. 324 e n.  450  del
 1998).
   Per  quanto  riguarda,  in particolare, l'applicazione delle misure
 alternative  e  degli  altri   benefici   previsti   dall'ordinamento
 penitenziario,  da tempo questa Corte ha avvertito come l'esigenza di
 una  disciplina  speciale  per  i  minori  -   solo   occasionalmente
 introdotta  dal  legislatore (cfr. ad esempio l'art. 30-ter, comma 2,
 del medesimo ordinamento, in tema di durata dei permessi  premio)  -,
 sia  contraddetta dalla perdurante inerzia legislativa nel dar vita a
 quella "apposita legge", nella cui attesa l'art. 79  della  legge  n.
 354  del 1975, richiamato anche dal Tribunale remittente, prevede che
 le norme della stessa legge si applichino  anche  nei  confronti  dei
 minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali.
   Di  tale  situazione,  nata  come  transitoria in vista della legge
 esplicitamente preannunciata, ma protratta nella  sua  attualita'  in
 forza  dell'omissione  legislativa, questa Corte ha gia' anni or sono
 denunciato  la  disarmonia  rispetto   ai   principi   costituzionali
 (sentenza  n. 125 del 1992; e cfr. anche sentenze n. 168 del 1994, n.
 107  del  1997).  Poiche'   peraltro   l'applicabilita'   ai   minori
 dell'ordinamento  penitenziario  "generale" discende, normativamente,
 non tanto dalla clausola citata della legge n. 354 del  1975,  quanto
 dall'assenza di una legislazione ad hoc nella cui mancanza si espande
 naturalmente  la portata generale delle norme di quell'ordinamento, e
 poiche' non puo'  questa  Corte  ovviare  all'assenza  dell'"apposita
 legge",  operando  le  scelte  necessarie per dar vita ad un organico
 ordinamento penitenziario minorile, non resta  -  fino  a  quando  il
 legislatore non adempia all'obbligo di emanare la legge preannunciata
 ormai  da  venti  anni  - che continuare ad intervenire sulle singole
 disposizioni dell'ordinamento penitenziario comune incompatibili  con
 le esigenze costituzionali del diritto penale minorile.
   4.  -  Siffatta  incompatibilita'  sussiste  anche a riguardo della
 norma oggi denunciata.
   Un divieto generalizzato e  automatico,  di  durata  triennale,  di
 concessione di tutti i benefici penitenziari elencati, in conseguenza
 della    revoca   di   una   qualunque   delle   misure   alternative
 dell'affidamento in  prova,  della  detenzione  domiciliare  e  della
 semiliberta',    contrasta    in    effetti    con    il    criterio,
 costituzionalmente   vincolante,   che   esclude   siffatti    rigidi
 automatismi,  e  richiede  sia  resa possibile invece una valutazione
 individualizzata e  caso  per  caso,  in  presenza  delle  condizioni
 generali  costituenti  i presupposti per l'applicazione della misura,
 della idoneita' di questa a conseguire  le  preminenti  finalita'  di
 risocializzazione   che   debbono  presiedere  all'esecuzione  penale
 minorile. Puo' bene essere infatti che, nonostante  la  revoca  della
 misura  alternativa,  intervenuta  in  quanto  il  comportamento  del
 soggetto sia apparso "incompatibile con la prosecuzione della  prova"
 (art.  47,  comma  11)  o  "incompatibile  con  la prosecuzione delle
 misure" (art. 47-ter, comma 6), ovvero in quanto il soggetto  non  si
 sia  palesato "idoneo al trattamento" di semiliberta' (art. 51, primo
 comma)  -  a  seguito  dunque  di  valutazioni  inerenti  solo   alla
 compatibilita'   della  singola  misura  revocata  -,  la  situazione
 concreta del giovane  condannato  faccia  ritenere  utile  ed  adatta
 l'applicazione di una od altra delle misure previste dall'ordinamento
 al  fine  di  favorire  il  reinserimento  sociale  dei detenuti, che
 sarebbero invece precluse, per un lungo periodo,  dall'operare  della
 norma censurata in questa sede. Cio', ben s'intende, ove sussistano i
 presupposti e le condizioni richiesti in via generale dalla legge per
 l'applicazione  di  tale misura, e sempre che l'autorita' giudiziaria
 competente pervenga ad un apprezzamento  positivo  nell'ambito  delle
 valutazioni discrezionali ad essa demandate.
   5.   -   Deve   pertanto   essere   dichiarata   la  illegittimita'
 costituzionale  del  comma  2  dell'art.  58-quater  dell'ordinamento
 penitenziario  -  da  cui  discende  il  divieto di concessione delle
 misure di cui al comma 1 ai condannati nei cui  confronti  sia  stata
 revocata  una  delle  misure alternative previste dal comma 2, per il
 periodo triennale stabilito dal comma 3 -,  nella  parte  in  cui  si
 riferisce  ai minorenni.  Una volta caduto, in parte qua, il comma 2,
 il successivo comma 3, pure compreso nell'oggetto della questione, ma
 che  si  limita  a  fissare la durata della  preclusione prevista dai
 commi 1 e 2, sopravvive con un contenuto  non  piu'  riferibile  alla
 preclusione  di  cui  al  comma  2  nei confronti dei minori, espunta
 dall'ordinamento in forza della presente pronuncia di  illegittimita'
 costituzionale.