IL TRIBUNALE Letti gli atti dell'emarginato processo a carico di Natale Farina, nato a San Pellegrino Terme il 6 febbraio 1951, elettivamente domiciliato presso l'avv. Antonino Crea del Foro di Monza, di fiducia difeso dall'avv. Antonio Crea del Foro di Monza e dall'avv. Giuseppe Moretta del Foro di Palmi, pronuncia la seguente ordinanza. Natale Farina e' accusato di avere, nella sua qualita' di legale rappresentante della Farina Natale e C. s.n.c. e della Grassi Anna Maria e C. s.n.c., omesso il versamento della imposta I.V.A. risultante dalla dichiarazione per l'anno 2008 in ragione di euro 87.475 per la prima societa' e di euro 58.431 per la seconda societa', entro il termine (27 dicembre 2009) di versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo. La istruttoria dibattimentale ha, dal punto di vista oggettivo, dimostrato il superamento della soglia di penale rilevanza pari ad euro 50.000 prevista, in relazione all'art. 10-bis decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, dal successivo art. 10-ter che, per il delitto in esame, prevede pena da sei mesi a due anni di reclusione. Nel corso della discussione, la difesa dell'imputato ha eccepito la illegittimita' costituzionale della norma, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza, per l'ingiustificato trattamento deteriore dalla stessa previsto rispetto alle piu' gravi ipotesi di cui agli articoli 4 e 5 dello stesso decreto, nella formulazione anteriore al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre 2011, n. 148. Ritiene chi scrive che la eccezione, oltre che rilevante - atteso che il giudizio non puo' essere definito dalla risoluzione della questione, dovendo derivare dalla eventuale dichiarazione di illegittimita' della norma il proscioglimento dell'imputato - non sia manifestamente infondata. Prima della modifica introdotta in virtu' del richiamato decreto-legge n. 138/2011, gli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 74/2000 prevedevano rispettivamente che la dichiarazione infedele e la omessa dichiarazione fossero penalmente rilevanti solo con il superamento della soglia di punibilita' stabilita rispettivamente in euro 103.291 ed in euro 77,468 di imposta evasa. Da cio' derivava - e deriva tuttora, atteso che, nel caso di specie, in ragione della data del commesso reato, occorre tenere conto della disciplina vigente anteriormente alla entrata in vigore del decreto-legge n. 138/2011 - la paradossale conseguenza per cui l'odierno imputato, quale legale rappresentate della Grassi Anna Maria e C. s.n.c., se invece di presentare regolarmente la dichiarazione I.V.A. e non versare l'imposta dovuta in base ad essa (euro 58.431), avesse omesso di presentare la relativa dichiarazione, non avrebbe commesso alcun reato, atteso che il delitto di omessa presentazione della dichiarazione prevedeva soglia di penale rilevanza pari ad euro 77.468. Analogamente, ed altrettanto paradossalmente, se l'odierno imputato, quale legale rappresentate della Farina Natale e C. s.n.c., anziche' presentare regolarmente la dichiarazione I.V.A. e non versare l'imposta dovuta in base ad essa (euro 87.475), avesse presentato una infedele dichiarazione volta all'occultamento della imposta (ed a prescindere dalla ricorrenza della seconda condizione richiesta dall'art. 4, lettera b), decreto legislativo n. 74/2000), non avrebbe commesso alcun reato, atteso che il delitto di dichiarazione infedele prevedeva soglia di penale rilevanza pari ad euro 103.291. Con la conseguenza che la condotta piu' insidiosa e di ostacolo all'accertamento (e, cosi', da combattere, secondo la ratio e lo spirito del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), quale la omissione della presentazione della dichiarazione I.V.A. o la presentazione della dichiarazione infedele, con evasione di imposta per l'ammontare oggi in discussione, nell'anno 2008 non sarebbe stata punita, contrariamente a quella, evidentemente piu' trasparente dell'imputato che, raffigurando regolarmente la propria posizione fiscale, ha omesso il versamento dell'importo dichiarato. La evidente convenienza, per l'agente, di omettere la dichiarazione o di presentarla in modo infedele (quanto la imposta evasa fosse superiore ad euro 50.000, ma inferiore rispettivamente ad euro 77.468 e ad euro 103.291), introduce, allora, un trattamento discriminatorio e contraddittorio e le relative norme non possono non impingere con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Invero, se condotte di uguale gravita' debbono essere punite in modo eguale, condotte di minore gravita' non possono trovare trattamento deteriore rispetto a condotte di maggiore gravita', addirittura esenti da pena. E, tale manifesta irragionevolezza, non puo' essere superata in nome della nota discrezionalita' del legislatore che, nel caso di specie, urta irrimediabilmente con il libero arbitrio, tanto palese che i piu' volte citati limiti di rilevanza penale sono stati ridotti dal decreto-legge n. 138/2011 rispettivamente ad euro 50.000 per l'art. 4 e ad euro 30.000 per l'art. 5. Appare, in definitiva, necessario il vaglio di costituzionalita' delle norma oggi in contestazione nella ipotesi in cui, come nel caso di specie, la imposta I.V.A. non versata non sia superiore ai limiti di rilevanza penale previsti dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nella formulazione anteriore al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con legge 14 settembre 2011, n. 148.