IL TRIBUNALE 
 
    Premesso che la societa' Alkimia S.r.l., con  ricorso  depositato
il 4 dicembre 2012, ha avanzato ai suoi creditori  una  proposta  che
sinteticamente prevede il pagamento di tutte le spese di procedura ed
il pagamento integrale dei creditori privilegiati diversi dall'Erario
in relazione all'iva; 
        il pagamento dell'Erario per credito  iva  nella  misura  del
38,02% oltre ad un'ulteriore percentuale del 5% a mezzo di apporto di
finanza di terzi; 
        il pagamento dei creditori chirografari fornitori, con  mezzi
apportati da terzi, nella misura del 20,75% ed una banca nella misura
del 99% pagata sempre con mezzi apportati da terzi; 
        osservato che la questione del pagamento parziale dell'Erario
per crediti iva, alla luce dei recente orientamento giurisprudenziale
della Cassazione (Cass. S.U. 23 gennaio  2013  n.  1521)  costituisce
questione attinente  alla  possibilita'  giuridica  di  ammettere  la
societa' al concordato; 
        che, pertanto, rientra nei  poteri  esclusivi  del  Tribunale
l'obbligo  di  valutare  l'ammissibilita'  della  proposta  sotto  il
profilo giuridico; 
        che l'interpretazione del combinato disposto dell'art. 160  e
182-ter l.f. per cui, come in sede di transazione fiscale,  anche  in
sede di concordato preventivo, non puo' essere proposto il  pagamento
parziale dell'iva, rappresenta diritto vivente  a  seguito  non  solo
delle pronunce gemelle della Cassazione 4 novembre 2011 nn.  22931  e
22932 ma anche di Cass. 16 maggio 2012 n. 7667; 
        che va osservato che l'interpretazione  della  Cassazione  di
equiparare la transazione fiscale ed il concordato preventivo  appare
fondata sull'attribuzione della  natura  di  norma  sostanziale  alla
previsione contenuta nell'art. 182-ter 1.f.; 
        che,  pertanto,  non  puo'  condividersi  la  decisione   del
Tribunale di Como del 29 gennaio 2013 in II caso.it 8561 per il quale
la previsione del  pagamento  integrale  dell'iva  deve  considerarsi
operante  solo  nella  transazione  fiscale  e  non  nel   concordato
preventivo, non solo perche' cio' risulta in aperto contrasto con  le
citate   decisioni   della   Cassazione   ma   soprattutto    perche'
l'orientamento della  Suprema  Corte  di  equiparazione  tra  le  due
fattispecie trova fondamento oggettivo ed indiscutibile nel fatto che
anche la transazione fiscale persegue il fine  di  trovare  soluzione
extra  fallimentare  alla  crisi   dell'azienda   all'interno   della
procedura di concordato preventivo; 
        che, nella specie, ai sensi dell'art.  160,  II  co  l.f.  la
relazione giurata depositata con la domanda ha assunto che in caso di
fallimento, in ragione della  collocazione  del  privilegio  concesso
allo  Stato  per  i  crediti  iva,  non  sarebbe   possibile   alcuna
soddisfazione per l'Erario; 
        che la proposta prevede che al pagamento di tutti i creditori
privilegiati (e delle spese di procedura), per un complessivo importo
di euro 132.034 mediante apporto esterno  effettuato  dal  socio  che
metterebbe a disposizione dei creditori, ma senza  conferimento  alla
procedura, l'importo ricavato dalla vendita di un suo immobile; 
        che al creditore Erario, per iva (il cui importo e'  di  euro
280.000),  verrebbe  corrisposto  l'importo  di  euro  106.467  (pari
all'intero valore dei patrimonio  della  societa'  proponente)  oltre
euro 8.677 (pari al  5%  del  residuo  credito  residuo  degradato  a
chirografo,  e  costituente  classe  a  se')  con   una   presumibile
percentuale  di  soddisfazione   del   41,12%;   mentre   gli   altri
chirografari verrebbero inseriti in due diverse classi: 1)  fornitori
(per un totale di euro 359.222) soddisfatti  al  20%;  2)  banca  che
verrebbe soddisfatta al 99%; 
        che anche i creditori chirografari nelle percentuali indicate
verrebbero soddisfatti con l'apporto  del  terzo  (che  metterebbe  a
disposizione del liquidatore,  come  gia'  specificato,  il  ricavato
della vendita di un suo bene personale) e  non  delle  risorse  della
societa' proponente; 
        che le classi rispondono a criteri adeguati di formazione; 
        che in  estrema  sintesi  il  piano  prevede,  pertanto,  una
soddisfazione del creditore Erario per iva per  un  importo  pari  al
patrimonio della proponente e certamente superiore a  quello  che  la
liquidazione   fallimentare   permetterebbe   di   acquisire,   anche
escludendo le spese di procedura che, comunque, anche  se  in  misura
pari ad almeno 11.000 (pari al minimo),  dovrebbero  essere  poste  a
carico della massa; 
    infatti, a fronte di un valore  dei  beni  della  societa'  (euro
106.467) troverebbero collocazione  prioritaria  rispetto  all'Erario
per credito iva: 
        le spese di procedura per euro 11.000; i dipendenti per  euro
15.272; i professionisti per  euro  51.592  con  la  conseguenza  che
all'Erario potrebbe essere  attribuito  al  piu'  l'importo  di  euro
28.603 (a fronte di un credito di euro  280.000)  per  un  totale  di
circa  il  10%  a  fronte  della  proposta  di  una  percentuale   di
soddisfazione di poco piu' del 40%; 
        che, invece, nessuna percentuale di soddisfazione  potrebbero
conseguire i creditori chirografari; 
        che la necessaria applicazione delle indicate disposizioni di
legge, cosi' come interpretate dalla Cassazione, nel caso di  specie,
determinerebbe la declaratoria de  plano  di  inammissibilita'  della
proposta; 
        che ad avviso del Tribunale, accertata per tutte  le  ragioni
che  precedono  la  rilevanza  della  questione,  l'applicazione  del
diritto vivente potrebbe  determinare  la  violazione  del  principio
costituzionale del  buon  andamento  della  Pubblica  amministrazione
sancito dall'art. 97 della Costituzione; 
        che, infatti, la declaratoria de plano  dell'inammissibilita'
della proposta impedirebbe alla Pubblica amministrazione di  valutare
in concreto la  convenienza  del  piano,  attribuendo  alla  Pubblica
amministrazione un trattamento deteriore rispetto a tutti  gli  altri
creditori privilegiati che, in base alle previsioni del novellato ad.
160 l.f., possono, in concreto, optare per la soluzione concordataria
piuttosto che quella fallimentare quando non sia ad  essi  attribuito
un grado di soddisfazione inferiore a  quello  ipotizzabile  in  sede
liquidatoria; 
        che e' ovviamente interesse  della  Pubblica  amministrazione
(anche  e  soprattutto  per  i  tributi  che  costituiscono   risorse
dell'Unione europea)  ottenere  il  massimo  grado  di  soddisfazione
possibile; 
        che l'interpretazione della Cassazione non  si  e'  spinta  a
ritenere che, data la natura di norma sostanziale della  disposizione
dell'art. 182-ter l.f., anche in sede  fallimentare  al  credito  iva
debba essere garantito il  pagamento  integrale  a  detrimento  della
posizione di tutti gli altri creditori privilegiati; 
        che  il  principio  del   buon   andamento   della   Pubblica
amministrazione  nonche'  il  principio  di  parita'  di  trattamento
implicano che la stessa debba  essere  messa  in  grado  di  valutare
autonomamente la convenienza delle proposte ad essa effettuate quando
appaiono   dirette   al   soddisfacimento   dell'interesse   generale
all'acquisizione  delle  risorse  per  lo  svolgimento  dei   compiti
istituzionali dello Stato; 
        che la valutazione della convenienza non puo' essere compiuta
su base astratta con riferimento al parametro ipotetico  che  preveda
il pagamento integrale ma va effettuata con riferimento alle concrete
situazioni (che nella specie, non essendo giuridicamente  praticabile
la soluzione concordataria, vedrebbe la soddisfazione dell'Erario  in
misura largamente inferiore a quella proposta); 
        che la disposizione di legge  (combinato  disposto  dell'art.
160 e 182-ter  legge  fallimentare)  cosi'  come  interpretata  dalla
Cassazione,   sottrarrebbe,    pertanto,    all'Amministrazione    la
possibilita' di valutare in concreto (esprimendo il voto,  ovviamente
per  il  suo  credito)  la  proposta,  impedendole  di  valutare   la
convenienza della stessa rispetto a quella fallimentare (che  sarebbe
sulla base dei dati acquisiti, peggiore in ragione del fatto che  per
la stessa Cassazione la previsione del  pagamento  integrale  non  si
estenderebbe alla procedura di fallimento); 
        che naturalmente e' ben noto al Tribunale che  la  previsione
legislativa  oggetto  di  censura  in  questa  sede   trova   diretto
fondamento nella nota pronuncia della Corte di Giustizia  Europea  17
luglio  2008  c  132/06  che  ha   sancito   l'incompatibilita'   con
l'ordinamento  comunitario  di   ogni   rinuncia   indiscriminata   e
generalizzata; 
        che la valutazione in concreto dell'opportunita' di  ottenere
quanto  piu'  possibile  non   costituisce,   pero',   una   rinuncia
generalizzata alla pretesa iva ma piuttosto la  razionale  (e  quindi
costituzionale) massimazione possibile della pretesa tanto  piu'  che
per la Cassazione (Cass. 17 febbraio 2010 n.  3676)  non  costituisce
violazione dei principi posti dall'indicata sentenza della  Corte  di
Giustizia la possibilita' concessa dall'art. 16 della legge  289  del
2002 di definire una lite pendente in materia di iva con il pagamento
di una somma inferiore a quanto  dovuto  in  funzione  del  vantaggio
dipendente dalla chiusura della lite in corso; 
        che,  infatti,  la  compatibilita'  della   normativa   sulla
chiusura delle liti pendenti e' stata riconosciuta  dalla  Cassazione
in quanto non determina una rinuncia all'accertamento; 
        che a conclusioni non dissimili  e'  giunta  anche  la  Corte
Europea di Giustizia nella decisione 29 marzo 2012 500/10 Belvedere; 
        che  nemmeno  la  valutazione  da  parte  dell'ufficio  della
convenienza della proposta ha l'effetto di paralizzare l'accertamento
ma solo di individuare, in concreto, il migliore mezzo di definizione
del debito fiscale in base alle contingenti situazioni del debitore; 
        che naturalmente non va taciuto che  l'ammissibilita'  di  un
proposta che permettesse un grado di soddisfazione dell'Iva inferiore
al totale (come oggi imposto dall'art. 182-ter l.f.) potrebbe  aprire
la strada ad un  sostanziale  svuotamento  delle  pretese  creditorie
dell'Erario le volte in cui, l'Erario, in relazione al  credito  iva,
fosse  inserito  in  una  classe  apposita,  inidonea  a  determinare
autonomamente l'approvazione della proposta  in  ragione  del  numero
delle altre  classi  previste  dalla  proposta  ovvero  in  relazione
all'entita' del suo credito (come nella  specie  in  cui  sono  state
previste tre classi ed in cui il credito iva non costituisce, di  per
se' solo valutato, la maggioranza dei crediti); 
        che nella specie, pero', tale rischio non si corre atteso che
la  proposta  prevede  l'attribuzione  all'Erario,  in  relazione  al
credito iva dell'intero attivo della ricorrente (e  la  soddisfazione
piena di tutti gli altri creditori  privilegiati  con  mezzi,  pero',
esterni alla procedura); 
        che, pertanto, nella specie il piano e la proposta  prevedono
un grado di soddisfacimento dell'Erario per credito  iva  esattamente
pari e comunque non inferiore  alla  piu'  favorevole  delle  ipotesi
immaginabili  che  potrebbe  verificarsi  solo  se,   ai   fini   del
soddisfacimento   della    sua    pretesa,    l'Erario    promuovesse
espropriazione  individuale  non   concorrendo   con   nessun   altro
creditore; 
        che,   infatti,   secondo    l'attestazione,    correttamente
formulata, il credito Iva, verrebbe soddisfatto in misura superiore a
quello che l'Erario potrebbe ottenere dalla liquidazione fallimentare
(che costituirebbe la sola diversa ipotesi se il concordato non fosse
ammissibile); 
        che,  invece,  non   appare   rilevante   la   questione   di
illegittimita' costituzionale  sollevata  dalla  parte  in  relazione
all'art.  3  della  Costituzione   con   riferimento   alla   pretesa
attribuzione di una sorta di privilegio iva  applicabile  solo  nelle
procedure concordatarie e non nelle procedure fallimentari; 
        che in linea generale non vi sono preclusioni  a  che  taluni
crediti possano  risultare  privilegiati  solo  verificandosi  alcune
condizioni; 
        che neppure puo' apprezzarsi  un  ingiustificato  trattamento
tra i creditori delle procedure concorsuali e quelli delle  procedure
individuali poiche' in entrambi i casi la  graduazione  del  ricavato
dovrebbe essere effettuata secondo il  rispetto  delle  regole  della
graduazione dei titoli di  prelazione  (essendo  circostanza  casuale
l'intervento di uno o piu' creditori privilegiati o chirografari); 
        che  pertanto,  appare  non   infondata   la   questione   di
illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt.  160
e 182-ter l.f. con riferimento all'art. 97 della  Costituzione  nella
parte in cui,  rendendo  necessariamente  inammissibile  la  proposta
concordataria che non preveda il pagamento  integrale  dell'Iva,  non
consente alla Pubblica amministrazione di  valutare  in  concreto  la
convenienza della  proposta  formulata  che  prospetti  un  grado  di
soddisfazione  del  suo  credito  in  misura  pari  al  valore  delle
attivita' del proponente ed in misura superiore  a  quella  derivante
dalla liquidazione fallimentare violando il principio  costituzionale
del buon andamento della  Pubblica  amministrazione  che  obbliga  la
stessa a seguire criteri di  economicita'  e  di  massimazione  delle
risorse nonche' in relazione  all'art.  3  della  Costituzione  nella
parte  in   cui   non   consente   alla   Pubblica   amministrazione,
contrariamente a quanto accade per tutti i creditori privilegiati, di
accettare un pagamento inferiore al credito  ma  superiore  a  quello
ricavabile dalla liquidazione del patrimonio del debitore;