Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici e'
legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Lombardia, in persona del suo  Presidente  p.t.
per la declaratoria della illegittimita' costituzionale dell'articolo
3, comma 1, lettera g); dell'articolo 4, comma  1;  dell'articolo  6,
commi 1, 2, 4, 5 e 13; dell'articolo 7, comma 6, lettera b)  e  comma
7, della legge della Regione Lombardia 19.2.2014, n.  11,  pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 8 del  20.2.2014,
come da delibera del Consiglio dei ministri in data 18.4.2014. 
 
                                Fatto 
 
    In data 20.2.2014,  sul  n.  8  del  Bollettino  Ufficiale  della
Regione Lombardia. e' stata pubblicata la legge regionale n.  11  del
19.2.2014, recante: «Impresa Lombardia: per la liberta'  di  impresa,
il lavoro e la competitivita'». 
    In  particolare,  al  fine  di  promuovere  la  crescita   e   le
innovazioni del  sistema  produttivo  regionale,  «nell'ambito  delle
potesta' e delle competenze regionali di cui alla parte II, titolo V,
della Costituzione», l'art. 3 individua gli  strumenti  a  mezzo  dei
quali perseguire i fini indicati prevedendo, tra  l'altro  (comma  1,
lett. g)), la istituzione del «riconoscimento del "made in Lombardia"
finalizzato alla certificazione della provenienza  del  prodotto,  da
attribuirsi secondo i requisiti definiti dalla Giunta  previo  parere
della commissione consiliare competente». 
    Con il successivo art. 4, con riferimento alle  facilitazioni  di
accesso al credito, si disciplina poi la possibilita' da parte  della
Regione di promuovere «la costituzione, in forma sperimentale, di  un
circuito di moneta complementare, da intendersi esclusivamente  quale
strumento elettronico di compensazione  multimediale  locale  per  lo
scambio di beni e servizi». 
    Indi,  all'art.  6,   in   un'ottica   di   semplificazione   dei
procedimenti idonea  a  facilitare  l'attivita'  imprenditoriale,  il
legislatore  regionale,  regolamentando  la  comunicazione  unica   e
l'efficacia degli accordi per  la  competitivita',  prevede  poi,  ai
commi l, 2, 4, 5 e 13, che «1. I procedimenti amministrativi relativi
all'avvio, svolgimento,  trasformazione  e  cessazione  di  attivita'
economiche, nonche' per  l'installazione,  attivazione,  esercizio  e
sicurezza di impianti e  agibilita'  degli  edifici  funzionali  alle
attivita'  economiche,  il  cui  esito  dipenda  esclusivamente   dal
rispetto  di  requisiti  e  prescrizioni  di  leggi,  regolamenti   o
disposizioni  amministrative  vigenti,   sono   sostituiti   da   una
comunicazione  unica  regionale  resa  al  SUAP,   sotto   forma   di
dichiarazione   sostitutiva   di   certificazione   o   dichiarazione
sostitutiva dell'atto di notorieta', dal proprietario dell'immobile o
avente titolo, ovvero dal legale rappresentante  dell'impresa  ovvero
dal titolare dell'attivita' economica che  attesti  il  possesso  dei
documenti sulla conformita' o la regolarita' degli interventi o delle
attivita'. L'avvio dell'attivita' e' contestuale  alla  comunicazione
unica regionale alla  quale  non  devono  essere  allegati  documenti
aggiuntivi, il cui onere di conservazione in fase di prima attuazione
resta in capo al dichiarante presso l'unita' locale ovvero depositato
nel fascicolo informatico d'impresa conservato presso  la  camera  di
commercio  a   seguito   della   piena   attuazione   del   principio
dell'interoperativita' entro sei mesi dall'entrata  in  vigore  della
presente  legge.  Nel  caso  in  cui   tale   comunicazione   risulti
formalmente incompleta l'ufficio competente, per il tramite del SUAP,
richiede le  integrazioni  necessarie  da  trasmettersi  a  cura  del
richiedente entro i successivi quindici  giorni,  pena  la  decadenza
della comunicazione unica regionale. 2.  Entro  sessanta  giorni  dal
ricevimento della comunicazione unica regionale,  le  amministrazioni
competenti, verificata la  regolarita'  della  stessa,  effettuano  i
controlli almeno nella misura minima indicata dalla Giunta  regionale
e fissano, ove necessario, un termine  non  inferiore  a  centottanta
giorni  per  ottemperare  alle  relative  prescrizioni,   salvo   non
sussistano irregolarita' tali da determinare gravi  pericoli  per  la
popolazione, con riferimento alla  salute  pubblica,  all'ambiente  e
alla sicurezza  sui  luoghi  di  lavoro.  Qualora  l'interessato  non
provveda nel termine assegnato, l'amministrazione  competente  emette
il provvedimento di inibizione al proseguimento dell'attivita'. [...]
4. L'accordo di cui all'articolo  2,  comma  1,  lettera  a),  previa
comunicazione al comitato congiunto di cui all'articolo 3,  comma  2,
ha efficacia  sostitutiva  di  tutti  i  provvedimenti  autorizzativi
comunque  denominati  necessari   all'esercizio   dell'attivita'   di
impresa. In sede di controllo le autorita' amministrative competenti,
qualora rilevino delle difformita', invitano il titolare dell'impresa
a regolarizzare la sua posizione entro un congruo  termine,  comunque
non  inferiore  a  centottanta  giorni.  Qualora  l'interessato   non
provveda nel termine assegnato, l'amministrazione  competente  emette
il provvedimento di inibizione al  proseguimento  dell'attivita'.  5.
Resta salvo quanto previsto  sulle  dichiarazioni  mendaci  ai  sensi
degli articoli 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa). [...] 13.
Le disposizioni di cui al  presente  articolo  non  si  applicano  ai
procedimenti riguardanti le  medie  e  grandi  strutture  di  vendita
disciplinate dagli articoli 8 e 9 del decreto  legislativo  31  marzo
1998, n. 114  (Riforma  della  disciplina  relativa  al  settore  del
commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4,  della  legge  15  marzo
1997, n. 59) e dalla legge regionale 2 febbraio  2010,  n.  6  (Testo
unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), nonche'
ai procedimenti in cui la necessita' di un regime  di  autorizzazione
sia giustificata dai motivi di interesse generale di cui all'articolo
8, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 26 marzo 2010, n.  59
(Attuazione della  direttiva  2006/123/CE  relativa  ai  servizi  nel
mercato interno)». 
    L'art. 7 (Amministrazione unica), infine, nel disciplinare taluni
profili del funzionamento dello  Sportello  Unico  per  le  Attivita'
Produttive-SUAP,  dispone  che,  «1.  Al  fine  di   uniformare   sul
territorio regionale i livelli di servizio per le imprese  dei  SUAP,
di facilitare l'interscambio informativo tra  questi  e  il  registro
delle imprese tenuto dalle camere di commercio, nonche' di dare piena
attuazione  all'informatizzazione  dei  processi  amministrativi,  la
Giunta  regionale,  in  accordo  con  il  Ministero  dello   sviluppo
economico, verifica il possesso dei requisiti previsti  dall'allegato
tecnico al D.P.R. n. 160/2010 presso tutti i SUAP iscritti all'elenco
del relativo  portale  e  provvede  alla  trasmissione  dei  dati  di
monitoraggio al Ministero dello sviluppo  economico.  2.  La  Regione
favorisce l'adeguamento  dei  SUAP  e  promuove  la  riqualificazione
professionale, con particolare riferimento ai sistemi informatici non
conformi alle specifiche inerenti le funzioni di compilazione in  via
telematica, creazione, invio e accettazione telematica della pratica,
pagamento telematico degli oneri  connessi,  invio  automatico  della
ricevuta  e  implementazione  dell'interscambio  informativo  con  il
registro   delle   imprese.   La   Regione   favorisce   e   promuove
l'interoperabilita' tra i sistemi informativi  delle  amministrazioni
coinvolte anche mediante la stipulazione di convenzioni. 3.  Al  fine
di dare completa attuazione  alla  previsione  dell'articolo  19  del
decreto-legge 6 luglio 2012,  n.  95  (Disposizioni  urgenti  per  la
revisione  della  spesa  pubblica  con  invarianza  dei  servizi   ai
cittadini) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto  2012,
n. 135, la Giunta regionale, sulla base degli esiti del  monitoraggio
del sistema dei SUAP, entro tre mesi dalla data di entrata in  vigore
della  presente  legge  individua  i  parametri   organizzativi   per
garantire la massima  efficienza,  efficacia  ed  economicita'  degli
sportelli unici associati per le attivita' produttive e definisce gli
interventi per la riqualificazione professionale del personale. 4. La
Giunta regionale, entro  sei  mesi  dall'approvazione  dei  parametri
organizzativi di cui al comma 3, verifica il rispetto  dei  requisiti
individuati dalle disposizioni regionali, promuovendo  l'adozione  di
appositi piani di  adeguamento.  I  comuni  che,  alla  scadenza  del
termine stabilito  dal  relativo  piano  di  adeguamento,  non  hanno
istituito il SUAP associato nel rispetto  dei  requisiti  individuati
dalle  disposizioni  regionali,  esercitano  le   relative   funzioni
delegandole alle camere di commercio, nel rispetto  dell'articolo  4,
comma 11, del  D.P.R.  n.  160/2010.  5.  La  domanda  di  avvio  del
procedimento e' presentata esclusivamente in via telematica al  SUAP.
Entro quindici giorni lavorativi dal ricevimento, il SUAP, sulla base
delle verifiche effettuate in via telematica dagli uffici competenti,
puo'  richiedere  all'interessato  la   documentazione   integrativa;
decorso tale termine la domanda si intende completa  e  correttamente
presentata. 6. Verificata la  completezza  della  documentazione,  il
SUAP: a)  adotta  il  provvedimento  conclusivo  entro  dieci  giorni
lavorativi,  decorso  il  termine  di  cui  al  comma  5  ovvero  dal
ricevimento delle integrazioni, qualora non sia necessario acquisire,
esclusivamente in via telematica, pareri, autorizzazioni o altri atti
di assenso comunque denominati di amministrazioni diverse  da  quella
comunale; b) convoca entro sette giorni dal decorso  del  termine  di
cui al  comma  5,  ovvero  dal  ricevimento  delle  integrazioni,  la
conferenza di servizi da svolgersi  in  seduta  unica  anche  in  via
telematica entro i successivi quindici giorni lavorativi, qualora sia
necessario acquisire pareri, autorizzazioni o altri atti  di  assenso
comunque denominati, di amministrazioni diverse da  quella  comunale.
In caso di mancata partecipazione dei soggetti  invitati,  ovvero  in
caso di mancata  presentazione  di  osservazioni  entro  la  data  di
svolgimento della conferenza stessa i pareri, le autorizzazioni e gli
altri provvedimenti dovuti si intendono positivamente espressi, ferma
restando la responsabilita' istruttoria dei  soggetti  invitati  alla
conferenza.  7.  Qualora  l'intervento  sia  soggetto  a  valutazione
d'impatto ambientale (VIA)  o  a  valutazione  ambientale  strategica
(VAS), verifica di VIA, verifica di VAS, alle procedure  edilizie  di
cui agli articoli 38 e 42 della L.R. 12/2005, a quelle  previste  per
le aziende a rischio d'incidente rilevante (ARIR) di cui all'articolo
8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n.  334  (Attuazione  della
direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei  pericoli  di  incidenti
rilevanti connessi con determinate  sostanze  pericolose),  a  quelle
previste per gli impianti assoggettati  ad  autorizzazione  integrata
ambientale (AIA) di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152
(Norme in materia ambientale), i termini di cui alla lettera b),  del
comma 6, decorrono dalla comunicazione  dell'esito  favorevole  delle
relative procedure. 8. Qualora i  progetti  presentati  risultino  in
contrasto con il piano di governo del territorio (PGT) ovvero con  il
piano regolatore generale (PRG), si applicano  le  procedure  di  cui
all'articolo  97  della  L.  R.  12/2005.  9.  Il   procedimento   e'
espressamente concluso con provvedimento  di:  a)  accoglimento,  che
costituisce titolo per la  realizzazione  dell'intervento  o  per  lo
svolgimento dell'attivita'; b) accoglimento condizionato,  quando  il
progetto necessita di modifiche o integrazioni  risolvibili  mediante
indicazione specifica o rinvio al rispetto della relativa  norma.  Il
provvedimento costituisce titolo per la realizzazione dell'intervento
o per lo svolgimento  dell'attivita'  alla  condizione  del  rispetto
delle prescrizioni poste; c) rigetto, che puo'  essere  adottato  nei
soli  casi  di  motivata  impossibilita'  ad  adeguare  il   progetto
presentato per la presenza di vizi o carenze tecniche insanabili. 10.
Decorsi dieci giorni lavorativi dal termine di cui  alla  lettera  a)
del comma 6, ovvero dalla seduta della conferenza di servizi  di  cui
alla lettera  b)  del  comma  6,  senza  che  sia  stato  emanato  il
provvedimento  conclusivo,  il  procedimento  si   intende   concluso
positivaniente.   L'efficacia   del   provvedimento   conclusivo   e'
subordinata al pagamento dei corrispettivi eventualmente dovuti.  11.
Sono escluse dall'applicazione del  presente  articolo  le  procedure
edilizie di cui agli articoli 38 e 42 della L.R. 12/2005 non connesse
alla realizzazione di insediamenti produttivi e, in ogni caso, quelle
afferenti le medie e le grandi  strutture  di  vendita  di  cui  agli
articoli 8 e 9 e alle disposizioni di cui alla L.R. 6/2010 e relativi
provvedimenti attuativi, nonche' quelle  previste  per  gli  impianti
assoggettati ad autorizzazione  unica  ambientale  (AUA)  di  cui  al
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  13  marzo  2013,  n.  59
(Regolamento  recante   la   disciplina   dell'autorizzazione   unica
ambientale e la  semplificazione  di  adempimenti  amministrativi  in
materia ambientale gravanti sulle piccole e  medie  imprese  e  sugli
impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma
dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35)». 
    Le norme sopra riprodotte eccedono dalle competenze  regionali  e
sono  violative  di  previsioni  costituzionali  e   illegittimamente
invasive  delle   competenze   dello   Stato,   come   si   chiarira'
dettagliatamente in prosieguo. 
    La legge regionale n. 11 del 19.2.2014  della  Regione  Lombardia
deve  pertanto  essere  impugnata,  come   con   il   presente   atto
effettivamente  la  si  impugna,  affinche'  ne  sia  dichiarata   la
illegittimita' costituzionale con riferimento alle norme in  epigrafe
specificate, con conseguente annullamento, sulla base delle  seguenti
considerazioni in punto di 
 
                               Diritto 
 
    1. Come visto, l'articolo 3, comma  1,  lettera  g)  della  legge
della Regione Lombardia 19.2.2014, n.  11,  attribuisce  alla  Giunta
Regionale il compito di istituire «il  riconoscimento  del  "Made  in
Lombardia", finalizzato alla  certificazione  della  provenienza  del
prodotto». 
    Orbene, tale  disposizione  viola  l'art.  117,  comma  1,  della
Costituzione,  in  quanto  in  contrasto  con  i  «vincoli  derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
    Invero, disposizioni analoghe sono state in passato contenute  in
altre disposizioni regionali, successivamente caducate: 
      la legge Regione Marche n. 7/2011 (Legge comunitaria  regionale
2011), che, con l'articolo 21, sostituiva l'articolo 34 della L.R. n.
20/2003 sancendo il diritto di talune imprese artigiane «di avvalersi
del marchio di origine e di qualita'  denominato  «Marche  Eccellenza
Artigiana (MEA)»; 
      la legge Regione Piemonte n.  10/2011  (Disposizioni  collegate
alla legge finanziaria per l'anno 2011), istitutiva (art. 2, comma 7)
di un «marchio di  valorizzazione»  per  i  prodotti  del  territorio
regionale; 
      la legge  Regione  Lazio  n.  9/2011  (Istituzione  dell'elenco
regionale Made in Lazio - Prodotto in Lazio). 
    Invero, con la sentenza 5.11.2002 (C-325/00:  Commissione  contro
Repubblica Federale di Germania), la Corte di  Giustizia  dell'Unione
aveva ravvisato nella  apposizione  di  un  marchio  di  qualita'  ai
prodotti  di  quel  Paese  da  parte  di  un  soggetto  pubblico  una
violazione  dell'ordinamento  comunitario,  atteso  che  «un   simile
sistema di marcatura, seppur facoltativo, nel momento in cui esso  e'
imputabile ad autorita' pubblica, ha effetti, almeno  potenzialmente,
restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra  Stati  membri,
in quanto l'uso del marchio favorisce,  o  e'  atto  a  favorire,  lo
smercio dei prodotti  in  questione  rispetto  ai  prodotti  che  non
possono fregiarsene». 
    Successivamente, codesta Ecc.ma Corte, con riferimento  al  sopra
richiamato marchio «Made in Lazio» (sentenza n. 191/2012), richiamata
la giurisprudenza comunitaria (oltre alla ora citata 5 novembre 2002,
in causa C-325/2000, anche Corte di giustizia, sentenze 6 marzo 2003,
in  causa  C-6/2002,  Commissione  delle  Comunita'  europee   contro
Repubblica Francese), ha osservato che la  detta  legge,  «mirando  a
promuovere i prodotti realizzati in  ambito  regionale,  garantendone
siffatta  origine,  produce,  quantomeno   "indirettamente"   o   "in
potenza", gli effetti restrittivi  sulla  libera  circolazione  delle
merci che, anche al legislatore regionale, e' inibito  di  perseguire
per vincolo dell'ordinamento comunitario». 
    Ne ha pertanto dichiarato la  incostituzionalita'  per  contrasto
con l'ordinamento europeo. 
    Non vi e' ragione per discostarsi oggi da tale orientamento. 
    La norma  impugnata,  come  altre  analoghe,  in  quanto  tesa  a
promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale,  deve  pertanto
essere dichiarata incostituzionale  per  contrasto  con  l'art.  117,
comma 1, della Carta, in  quanto  suscettibile  di  produrre  effetti
restrittivi sulla libera circolazione delle merci. 
    2. L'articolo 4, comma 1  della  legge  della  Regione  Lombardia
19.2.2014,  n.  11,  come  in  precedenza  richiamato,  «promuove  la
costituzione,  in  forma  sperimentale,  di  un  circuito  di  moneta
complementare». 
    Malgrado le limitazioni ivi  previste,  la  disposizione  prevede
innegabilmente la costituzione di un vero e proprio sistema monetario
su base locale. 
    Ma, come noto, la materia della moneta  rientra,  secondo  quanto
previsto dall'art. 117,  comma  2,  lettera  e)  della  Costituzione,
nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva statale. 
    La disposizione impugnata e' pertanto invasiva di tale competenza
e dovra' anch'essa essere dichiarata incostituzionale. 
    3.  Con  l'articolo  6  della  legge  della   Regione   Lombardia
19.2.2014, n. 11 il  legislatore  regionale  introduce  con  distinti
interventi, misure atte a disciplinare una procedura semplificata per
l'avvio, lo svolgimento e la trasformazione di attivita' economiche a
livello regionale. 
    Le previsioni sopra richiamate (e, in particolare, i commi 1,  2,
4,   5,    13)    presentano    tuttavia    evidenti    profili    di
incostituzionalita'. 
    3.1. I commi 1 e 2 dell'articolo  6  della  legge  della  Regione
Lombardia 19.2.2014, n.  11  introducono  un  iter  semplificato  per
taluni aspetti delle attivita' economiche. 
    La disciplina statale in materia e' posta  dall'art.  19,  L.  n.
241/1990, il quale prevede che la Segnalazione Certificata di  Inizio
Attivita' (SCIA) sia corredata  dalle  dichiarazioni  sostitutive  di
certificazione e dell'atto di  notorieta'  per  quanto  riguarda  gli
stati, le qualita' personali e i fatti previsti dagli articoli  46  e
47 del d.P.R. n. 445 del 2000, nonche',  ove  espressamente  previsto
dalla  normativa  vigente,  dalle  attestazioni  e  asseverazioni  di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformita' da parte
dell'Agenzia delle imprese. Tali attestazioni  e  asseverazioni  sono
corredate da elaborati tecnici necessari per consentire le  verifiche
di competenza dell'amministrazione. 
    Rispetto  alla  disciplina  statale,  il  procedimento  regionale
appare fortemente semplificato, essendo  il  complesso  di  attivita'
indicate nella richiamata legge da «una comunicazione unica regionale
resa  al  SUAP,  sotto  forma   di   dichiarazione   sostitutiva   di
certificazione o dichiarazione sostitutiva dell'atto  di  notorieta'»
che attesta  «il  possesso  dei  documenti  sulla  conformita'  o  la
regolarita' degli interventi  o  delle  attivita'»,  senza  onere  di
allegazione dei documenti medesimi. 
    La presentazione della comunicazione consente l'avvio contestuale
dell'attivita'. 
    La normativa regionale,  inoltre,  prevede  che  «entro  sessanta
giorni dal  ricevimento  della  comunicazione  unica  regionale»,  le
Amministrazioni competenti, verificata la regolarita'  della  stessa,
«effettuano i controlli almeno nella  misura  minima  indicata  dalla
Giunta regionale e fissano, ove necessario, un termine non  inferiore
a centottanta giorni per ottemperare le relative prescrizioni». 
    L'art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990, per contro, dispone che
«in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti ... nel
termine di  sessanta  giorni  dal  ricevimento  della  segnalazione»,
l'Amministrazione  «adotta  motivati  provvedimenti  di  divieto   di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione  degli  eventuali  effetti
dannosi di essa, salvo che, ove  cio'  sia  possibile,  l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente  detta  attivita'  ed  i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione,  in  ogni
caso non inferiore a trenta giorni». 
    E' dunque evidente il contrasto  tra  la  normativa  regionale  e
quella contenuta nella disciplina statale regolante la SCIA. 
    Ma la materia rientra nella competenza esclusiva statale  di  cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  m),  della  Costituzione  in
materia di determinazione dei livelli  essenziali  delle  prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali. 
    Codesta Ecc.ma Corte, invero, con le sentenze nn.164  e  203  del
2012 ha chiarito che «la disciplina  della  SCIA  ben  si  presta  ad
essere ricondotta al parametro di cui all'art.  117,  secondo  comma,
lettera  m),  Cost.   Tale   parametro   permette   una   restrizione
dell'autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di
assicurare un livello uniforme di  godimento  dei  diritti  civili  e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione» (sent. ult, cit.). 
    Conseguentemente, secondo quanto  previsto  dall'art.  29,  comma
2-quater, della L. n. 241/1990, le Regioni possono discostarsi  dalla
normativa nazionale solo per prevedere «livelli ulteriori di tutela». 
    Nel caso di specie, la comunicazione unica regionale,  lungi  dal
rappresentare un'ulteriore semplificazione, aggrava a ben vedere  gli
adempimenti a carico dell'impresa, cui  e'  richiesto  di  attestare,
attraverso dichiarazioni sostitutive di certificazione o di  atto  di
notorieta',  il  possesso  di  documenti  sulla  conformita'   o   la
regolarita' degli interventi o delle attivita', che  comunque  devono
essere detenuti e conservati; inoltre, aggrava i controlli successivi
da  parte  delle   amministrazioni,   che   per   essere   effettuati
presuppongono  l'acquisizione  dei  documenti  sulla  conformita'   o
regolarita'  degli  interventi  di  cui  l'impresa  ha  attestato  il
possesso. 
    La disposizione censurata, inoltre, nella parte in cui omette  di
escludere l'applicazione della comunicazione unica regionale ai  casi
in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o  culturali,  si
pone in contrasto con l'art. 19, comma 1, L.  n.  241/1990  e  quindi
viola l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione  (tutela
dell'ambiente e dei beni culturali). 
    E, invero, l'avvio contestuale dell'attivita', con la  previsione
di un controllo minimo ed ex post, e' suscettibile di determinare  la
grave ed irreversibile  lesione  del  delicatissimo  bene  ambientale
tutelato, vanificando cosi' la  funzione  di  tutela  prevista  dalla
normativa nazionale. 
    Il   termine   non   inferiore   a   centottanta    giorni    che
l'amministrazione deve concedere all'interessato affinche'  ottemperi
alle prescrizioni impartite, derogabile  soltanto  nel  caso  in  cui
sussistano «gravi pericoli»  per  l'ambiente,  appare  eccessivamente
lungo e potenzialmente idoneo ad aggravare il danno ambientale. 
    Ne' la clausola di esclusione di cui al comma 13 (secondo cui  la
comunicazione unica  non  si  applica  ai  «procedimenti  in  cui  la
necessita' di un regime di autorizzazione sia giustificata dai motivi
di interesse generale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h)  del
d.lgs. n. 59/2010») sembra idonea a ritenere esclusi  dall'ambito  di
applicazione della norma  tutti  i  casi  in  cui  vi  siano  vincoli
ambientali, visto il riferimento ai «motivi imperativi  di  interesse
generale». 
    Sotto tale aspetto, anzi, la previsione contenuta al comma 13  si
pone in contrasto  con  il  principio  della  certezza  del  diritto,
poiche' risulta essere alquanto generica e di difficile applicazione,
attesa la mancata ricognizione dei regimi autorizzatori  esistenti  e
l'individuazione di  quelli  che  possono  essere  mantenuti  perche'
«giustificati da motivi imperativi di  interesse  generale»,  secondo
quanto disposto dall'art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 59/2010. 
    La disposizione, inoltre, contrasta con l'articolo  2,  comma  4,
del D.P.R. n.  160/2010  nella  parte  in  cui  omette  di  escludere
dall'ambito  di  applicazione   della   comunicazione   al   SUAP   i
procedimenti  relativi  a   «gli   impianti   e   le   infrastrutture
energetiche,  le  attivita'  connesse  all'impiego  di  sorgenti   di
radiazioni ionizzanti e di materie radioattive, gli impianti nucleari
e di smaltimento di rifiuti radioattivi, le attivita' di prospezione,
ricerca e coltivazione  di  idrocarburi,  nonche'  le  infrastrutture
strategiche e gli insediamenti produttivi di cui agli articoli 161  e
seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163». 
    I commi 1 e 2 dell'art. 6 della  legge  della  Regione  Lombardia
19.2.2014, n. 11 devono pertanto essere  dichiarati  incostituzionali
per le ragioni fin qui illustrate. 
    3.2. Censure analoghe a quelle da ultimo  svolte  debbono  essere
formulate con riferimento alla previsione di cui al successivo  comma
4, che attribuisce ai su richiamati «accordi per  la  competitivita'»
disciplinati  all'articolo  2,  comma  1,  lettera   a),   «efficacia
sostitutiva  di  tutti  i   provvedimenti   amministrativi   comunque
denominati, necessari per l'attivita'  di  impresa»,  senza  tuttavia
escludere dall'ambito di applicabilita' dei suddetti accordi  i  casi
in cui sussistano vincoli ambientali. 
    E' evidente, infatti, che la discrezionalita' nel  coinvolgimento
di amministrazioni diverse dalla Regione e la natura negoziale  degli
accordi sono incompatibili con tutti quei casi nei quali sussistono i
detti vincoli, per la cui  tutela  esiste  una  competenza  esclusiva
dello Stato. 
    Pertanto, anche in questo caso la disposizione viola l'art.  117,
comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    3.3. Infine, il comma 5 dell'art. 6  della  legge  della  Regione
Lombardia 19.2.2014,  n.  11,  prevedendo  che  «resta  salvo  quanto
previsto sulle dichiarazioni mendaci ai sensi degli articoli 75 e  76
del decreto del Presidente della  Repubblica  28  dicembre  2000,  n.
445», contrasta con l'art. 19, comma 6, l. n.  241/1990,  secondo  il
quale «ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni che corredano la segnalazione di  inizio
attivita', dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti  e
dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da  uno
a tre anni». 
    La  disposizione  regionale  censurata,  prevedendo   un   regime
sanzionatorio meno severo rispetto a quello statale per  le  medesime
fattispecie, viola l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione
(che pone una competenza statale esclusiva in materia di  ordinamento
penale). 
    In   proposito,   giova   rammentare   che   l'inasprito   regime
sanzionatorio posto dalla normativa statale  e'  volto  a  bilanciare
l'ulteriore semplificazione procedimentale connessa alla SCIA. 
    Pertanto, se si considera che le sanzioni penali in caso di false
attestazioni sono funzionali a disincentivare  abusi  nel  ricorso  a
forme procedimentali semplificate, e' evidente  che  la  disposizione
impugnata  ha  l'ulteriore  conseguenza  di  determinare  un  livello
inferiore  di  tutela  dell'interesse  pubblico  rispetto  a   quello
previsto dalla legge statale. 
    4. Da ultimo, non sfuggono a censura  le  disposizioni  contenute
nell'articolo 7, comma 6, lettera b) e  comma  7  della  legge  della
Regione Lombardia 19.2.2014, n. 11, le  quali,  nel  disciplinare  il
ricorso alla  conferenza  di  servizi  nell'ambito  del  procedimento
svolto dal SUAP, amplia l'ambito di applicazione del silenzio-assenso
ad ipotesi espressamente escluse dalla normativa statale  in  materia
di tutela dell'ambiente e dei beni culturali, e pertanto viola ancora
una volta l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    La lettera b) del comma 6, in particolare, prevede come visto che
«in caso di mancata partecipazione dei soggetti invitati,  ovvero  in
caso di mancata  presentazione  di  osservazioni  entro  la  data  di
svolgimento della conferenza stessa i pareri, le autorizzazioni e gli
altri provvedimenti dovuti si intendono positivamente espressi». 
    Il comma 7 precisa che i termini previsti dal  comma  6,  lettera
b), ai fini dell'indizione  della  conferenza  di  servizi  decorrono
dalla comunicazione dell'esito favorevole delle procedure previste in
materia di  VIA,  VAS,  verifica  di  VIA,  verifica  di  VAS,  delle
procedure edilizie di cui  agli  articoli  38  e  42  della  L.R.  n.
12/2005, delle  procedure  previste  per  le  aziende  a  rischio  di
incidenti rilevanti (ARIR)  di  cui  all'articolo  8  del  D.Lgs.  n.
334/1999 e delle procedure in  materia  di  Autorizzazione  Integrata
ambientale di cui al D. Lgs. n. 152/2006. 
    Le  disposizioni  richiamate  omettono  tuttavia   di   escludere
l'applicazione  del  silenzio  assenso   per   i   procedimenti   che
coinvolgano vincoli di tipo ambientale, paesaggistico o culturale (in
contrasto con l'art. 14-ter, comma 7 e 20, L. n. 241/1990), nel  caso
di autorizzazione unica per i nuovi  impianti  di  smaltimento  e  di
recupero dei rifiuti (articolo 208, comma 4, lettera b) del d.lgs. n.
152/2006), nonche' di autorizzazioni per gli impianti  alimentati  ad
energia rinnovabile  (al  riguardo,  l'art.  5,  D.Lgs.  n.  28/2011,
assoggetta la costruzione e  l'esercizio  dei  suddetti  impianti  di
energia e  delle  opere  connesse  all'autorizzazione  unica  di  cui
all'articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003). 
    Appare dunque anche qui di piena evidenza la  incostituzionalita'
della disposizione impugnata.