Ricorso per il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  (C.F.
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    Contro Regione Sardegna per la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale della legge Regionale Sardegna in data 7 agosto  2014,
n. 16, pubblicata nel BUR n. 39 del 14 agosto 2014, recante norme  in
materia di agricoltura e sviluppo rurale: agro biodiversita', marchio
collettivo, distretti, segnatamente gli artt. 11 e da 15  a  24,  con
riferimento alla legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  3  e  in
relazione agli artt. 117, comma 1 e comma 2, lett. r) e 120, comma  1
Cost., nonche' agli artt. 34 e 35 TFUE. 
 
                              F a t t o 
 
    Con la legge regionale  n.  16  del  7  agosto  2014  la  regione
Sardegna ha dettato  norme  in  materia  di  agricoltura  e  sviluppo
rurale, agrobiodiversita', marchio collettivo, distretti. 
    In particolare, per la parte che in questa sede interessa, con le
disposizioni contenute nel Capo II (artt. da 15 a 24)  -  Istituzione
del marchio collettivo di  qualita'  agroalimentare  garantito  dalla
regione per la tracciabilita' e la promozione dei prodotti agricoli e
agro-alimentari di qualita' - nonche' con l'art. 11,  che  disciplina
il c.d. «Contrassegno», e' stata introdotta una specifica  disciplina
in materia di segni distintivi del settore agroalimentare  regionale,
definito «stategico» dall'art. 15 della stessa legge. 
    Le citate disposizioni si pongono in contrasto con la  disciplina
costituzionale e comunitaria,  indicata  nell'epigrafe  del  presente
atto, per i seguenti motivi in 
 
                            D i r i t t o 
 
Illegittimita' costituzionale degli artt. 11 e da 15 a 24 della legge
regionale della Sardegna n. 16 del 7 agosto 2014, pubblicata nel  BUR
n. 39 del 14 agosto 2014, con riferimento alla  legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 3 e in relazione agli artt. 117, comma 1 e comma
2, lett. r) e 120, comma 1 Cost. 
    1. Si premette che la Regione Sardegna, in base all'art. 3, primo
comma,  lettera  d)  dello  Statuto  speciale  di  autonomia,   legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, gode di competenza legislativa
primaria in materia di «agricoltura e foreste;  piccole  bonifiche  e
opere di miglioramento agrario  e  fondiario».  Tale  competenza,  ai
sensi della medesima norma statutaria,  deve  essere  esercitata  «in
armonia con la Costituzione e i principi  dell'ordinamento  giuridico
della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica». 
    Cio' premesso, si osserva che l'art. 16, comma 1  e  della  legge
regionale  n.  16/2014,  prevede  che  «Per  il  conseguimento  delle
finalita' di cui all'art. 15, la Regione autonoma della Sardegna,  ai
sensi del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30  (Codice  della
proprieta' industriale, a norma dell'art. 15 della legge 12  dicembre
2002, n. 273), registra un marchio di qualita' a carattere collettivo
dei  prodotti  agricoli  e  agro-alimentari,  di  seguito  denominato
"marchio" e ne e' titolare». 
    L'istituzione, e la disciplina del citato marchio  collettivo  di
qualita', da parte della Regione Sardegna, si pone in  contrasto  con
il diritto dell'Unione europea, ed in particolare con gli artt. 34  e
35 del TFUE (Trattato sul  Funzionamento  dell'Unione  Europea),  che
fanno divieto agli  Stati  membri  di  porre  in  essere  restrizioni
quantitative all'importazione e all'esportazione,  nonche'  qualsiasi
misura di effetto equivalente,  e,  quindi,  con  l'art.  117,  primo
comma,  della  Costituzione,  che  richiede,   nell'esercizio   della
potesta'  legislativa  anche  regionale,  il  rispetto  dei   vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    Invero, la legge regionale in esame, con le disposizioni  di  cui
in  questa  sede  si  discute,  istituisce  un  marchio  di  qualita'
regionale, recante un'indicazione di origine che fa riferimento  alla
Regione Sardegna, al fine di identificare come prodotti  di  qualita'
quelli agroalimentari del territorio. Cio' in quanto, pur non essendo
indicata  l'esatta  definizione  del  marchio,  tuttavia   il   segno
distintivo viene disciplinato con direttiva  della  Giunta  regionale
(art. 17). 
    L'intenzione del legislatore di promuovere i prodotti  locali  e'
chiaramente enunciata nell'art. 15 («La Regione considera  strategico
il settore agroalimentare regionale...») e il marchio  e'  rilasciato
alle sole imprese con sede legale in Sardegna (art. 18, comma 2). 
    In caso di produzioni primarie prodotte in Sardegna o di prodotti
trasformati  in  Sardegna  con  materie  prime  sarde,   si   prevede
l'indicazione in etichetta  della  dicitura  «Prodotto  in  Sardegna»
(art. 22), in aperto contrasto con quanto stabilito  dalla  direttiva
98/34/CE, che obbliga gli Stati membri a notificare i progetti  delle
regolamentazioni tecniche relative ai  prodotti  alla  Commissione  e
agli Stati membri, prima della loro adozione, pena l'inapplicabilita'
delle disposizioni adottate. 
    L'art. 11 citato, come si e' detto,  istituisce  un  contrassegno
regionale da apporre sui prodotti costituiti, contenenti  o  derivati
da materiale iscritto nei repertori regionali, al fine di favorire la
piu' ampia conoscenza in  ordine  ai  prodotti  ottenuti  da  risorse
genetiche (del territorio regionale). 
    Si  prevedono,  poi,  sanzioni  amministrative  per   l'uso   non
autorizzato del marchio (art. 24). 
    2. Sul punto la  Corte  di  Giustizia  ha  sottolineato  che  una
legislazione nazionale che regoli o applichi misure di  marcatura  di
origine - sia che si tratti di marchi obbligatori sia che  si  tratti
di marchi  volontari  -  e'  contraria  agli  obiettivi  del  mercato
interno, perche' puo' rendere piu' difficile la vendita, in uno Stato
membro, della merce prodotta in un altro  Stato  membro,  ostacolando
gli scambi intracomunitari e facendo cosi' venir meno i benefici  del
mercato interno. 
    Nella sentenza del  5  novembre  2002  (C-325/00),  la  Corte  ha
ritenuto che  un  sistema  di  marcatura,  seppure  facoltativo,  nel
momento in cui viene  avocato  all'autorita'  pubblica,  ha  effetti,
almeno potenzialmente, restrittivi sulla  libera  circolazione  delle
merci tra Stati membri, in quanto l'uso del marchio «favorisce, o  e'
atto a favorire, lo smercio dei prodotti  in  questione  rispetto  ai
prodotti che non possono fregiarsene». 
    E' incompatibile con il mercato unico la presunzione di  qualita'
legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o  parte
del processo produttivo  «la  quale  di  per  cio'  stesso  limita  o
svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgono in tutto  o
in parte in altri Stati Membri» (Corte di Giustizia sentenza  del  12
ottobre 1978, causa 13/78). 
    Peraltro,  la   stessa   Corte   costituzionale   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale  di  leggi  regionali  istitutive  di
marchi di qualita' (si veda Corte Cost., sentenza n. 86 del 2  aprile
2012, relativa alla legge  della  Regione  Marche  n.  7/2011;  Corte
Cost., sentenza n. 66 dell'8 aprile 2013, relativa alla  legge  della
Regione Lazio n. 1/2012). 
    Alla luce delle considerazioni che precedono la  legge  regionale
della   Sardegna,   per   la   parte   considerata,   e',   pertanto,
costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, comma  1
Cost. 
    3. Le norme in esame contrastano, inoltre, con l'art. 120,  comma
1, Cost.,  in  quanto  le  misure  adottate  dalla  Regione  Sardegna
ostacolano, nella sostanza, la libera circolazione delle merci, anche
all'interno  del  mercato  nazionale,  inducendo  i   consumatori   a
preferire i prodotti sardi rispetto a  quelli  provenienti  da  altre
Regioni. 
    Non  appare  risolutiva,  al   riguardo,   la   disposizione   di
salvaguardia contenuta nel comma 3 del citato art. 16, nella parte in
cui prevede  che  «I  prodotti  per  i  quali  puo'  essere  concesso
l'utilizzo del marchio sono realizzati nell'ambito di un  sistema  di
qualita' trasparente, aperto a tutti i produttori,  che  assicuri  la
completa tracciabilita' dei prodotti e  risponda  alle  esigenze  del
mercato e dei consumatori, agli standard di qualita' socioeconomica e
ambientale adottati nei disciplinari di cui al comma 2, nel  rispetto
delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci di  cui
agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento  dell'Unione
europea». Infatti, e' la stessa istituzione del marchio che  viola  i
richiamati principi comunitari e nazionali. 
    Sul punto si e' recentemente espressa  la  Corte  Costituzionale,
con  la  sentenza  8  aprile  2013,  n.  66,  la  quale  ha  ribadito
l'orientamento giurisprudenziale  secondo  cui  l'istituzione  di  un
marchio regionale (nella specie collettivo, di qualita', dei prodotti
agricoli ed agroalimentari) e'  incostituzionale,  poiche'  induce  i
consumatori a preferire i prodotti contraddistinti con il marchio  in
questione rispetto ad altri similari e, dunque, viola il  divieto  di
misure   di   effetto   equivalente   a   restrizioni    quantitative
all'importazione  e  all'esportazione,  previsto  dal  Trattato   sul
Funzionamento dell'Unione Europea, oltre a comportare una sostanziale
frammentazione del mercato interno nazionale. 
    4. Infine, con riferimento alla disposizione contenuta  nell'art.
24, concernente le sanzioni amministrative previste in  caso  di  uso
non autorizzato del marchio, si rileva un contrasto con  l'art.  117,
comma 2, lett. r) Cost., ai sensi del quale lo Stato ha  legislazione
esclusiva, fra le altre,  in  materia  delle  opere  dell'ingegno  e,
quindi, in materia di proprieta' intellettuale, sia sotto il  profilo
del diritto d'autore, sia sotto il profilo  del  diritto  industriale
(cfr. Corte  Cost.,  sentenza  n.  368  del  14  novembre  2008).  In
particolare, i diritti  di  proprieta'  industriale,  segnatamente  i
marchi  e  gli  altri  segni  distintivi,  titolati   e   non,   sono
disciplinati  a  livello  nazionale  (Cfr.  codice  della  proprieta'
industriale decreto legislativo 10 Febbraio 2005. n. 30 - CPI, codice
civile), comunitario ed  internazionale,  e  si  acquistano  mediante
registrazione o negli altri modi stabiliti dal codice (art. 2 CPI)  o
dalla legge, che prevede le diverse forme di  tutela,  anche  penale,
dalla contraffazione, alterazione o uso non autorizzato  (cfr.  artt.
473 e ss. del codice penale). 
    La previsione di sanzioni amministrative pecuniarie  a  carattere
regionale, nel caso di uso non  autorizzato  del  marchio  collettivo
regionale, oltre a rischiare di  essere  scarsamente  applicabile  in
relazione alla portata assorbente della norma penale nazionale  sopra
richiamata,  e'  chiaramente  invasiva  della  potesta'   legislativa
esclusiva dello Stato in materia di proprieta' industriale. Pertanto,
la norma regionale indicata,  oltre  alle  violazioni  in  precedenza
prospettate, viola anche l'art. 117, comma  2,  lett.  r)  Cost.,  in
quanto interferisce con la  normativa  nazionale  e  comunitaria  sui
marchi d'impresa ed altri segni distintivi, riservata alla competenza
esclusiva dello Stato. 
    Per le esposte ragioni il Presidente del Consiglio dei  ministri,
come in epigrafe rappresentato e difeso.