Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, (C.F. 97163520584), rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso i cui uffici domiciliano in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 - Fax 06/96514000 pec ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it; Contro Regione Sardegna per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge Regionale Sardegna in data 7 agosto 2014, n. 16, pubblicata nel BUR n. 39 del 14 agosto 2014, recante norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale: agro biodiversita', marchio collettivo, distretti, segnatamente gli artt. 11 e da 15 a 24, con riferimento alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 e in relazione agli artt. 117, comma 1 e comma 2, lett. r) e 120, comma 1 Cost., nonche' agli artt. 34 e 35 TFUE. F a t t o Con la legge regionale n. 16 del 7 agosto 2014 la regione Sardegna ha dettato norme in materia di agricoltura e sviluppo rurale, agrobiodiversita', marchio collettivo, distretti. In particolare, per la parte che in questa sede interessa, con le disposizioni contenute nel Capo II (artt. da 15 a 24) - Istituzione del marchio collettivo di qualita' agroalimentare garantito dalla regione per la tracciabilita' e la promozione dei prodotti agricoli e agro-alimentari di qualita' - nonche' con l'art. 11, che disciplina il c.d. «Contrassegno», e' stata introdotta una specifica disciplina in materia di segni distintivi del settore agroalimentare regionale, definito «stategico» dall'art. 15 della stessa legge. Le citate disposizioni si pongono in contrasto con la disciplina costituzionale e comunitaria, indicata nell'epigrafe del presente atto, per i seguenti motivi in D i r i t t o Illegittimita' costituzionale degli artt. 11 e da 15 a 24 della legge regionale della Sardegna n. 16 del 7 agosto 2014, pubblicata nel BUR n. 39 del 14 agosto 2014, con riferimento alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 e in relazione agli artt. 117, comma 1 e comma 2, lett. r) e 120, comma 1 Cost. 1. Si premette che la Regione Sardegna, in base all'art. 3, primo comma, lettera d) dello Statuto speciale di autonomia, legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, gode di competenza legislativa primaria in materia di «agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario». Tale competenza, ai sensi della medesima norma statutaria, deve essere esercitata «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica». Cio' premesso, si osserva che l'art. 16, comma 1 e della legge regionale n. 16/2014, prevede che «Per il conseguimento delle finalita' di cui all'art. 15, la Regione autonoma della Sardegna, ai sensi del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprieta' industriale, a norma dell'art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), registra un marchio di qualita' a carattere collettivo dei prodotti agricoli e agro-alimentari, di seguito denominato "marchio" e ne e' titolare». L'istituzione, e la disciplina del citato marchio collettivo di qualita', da parte della Regione Sardegna, si pone in contrasto con il diritto dell'Unione europea, ed in particolare con gli artt. 34 e 35 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea), che fanno divieto agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione, nonche' qualsiasi misura di effetto equivalente, e, quindi, con l'art. 117, primo comma, della Costituzione, che richiede, nell'esercizio della potesta' legislativa anche regionale, il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Invero, la legge regionale in esame, con le disposizioni di cui in questa sede si discute, istituisce un marchio di qualita' regionale, recante un'indicazione di origine che fa riferimento alla Regione Sardegna, al fine di identificare come prodotti di qualita' quelli agroalimentari del territorio. Cio' in quanto, pur non essendo indicata l'esatta definizione del marchio, tuttavia il segno distintivo viene disciplinato con direttiva della Giunta regionale (art. 17). L'intenzione del legislatore di promuovere i prodotti locali e' chiaramente enunciata nell'art. 15 («La Regione considera strategico il settore agroalimentare regionale...») e il marchio e' rilasciato alle sole imprese con sede legale in Sardegna (art. 18, comma 2). In caso di produzioni primarie prodotte in Sardegna o di prodotti trasformati in Sardegna con materie prime sarde, si prevede l'indicazione in etichetta della dicitura «Prodotto in Sardegna» (art. 22), in aperto contrasto con quanto stabilito dalla direttiva 98/34/CE, che obbliga gli Stati membri a notificare i progetti delle regolamentazioni tecniche relative ai prodotti alla Commissione e agli Stati membri, prima della loro adozione, pena l'inapplicabilita' delle disposizioni adottate. L'art. 11 citato, come si e' detto, istituisce un contrassegno regionale da apporre sui prodotti costituiti, contenenti o derivati da materiale iscritto nei repertori regionali, al fine di favorire la piu' ampia conoscenza in ordine ai prodotti ottenuti da risorse genetiche (del territorio regionale). Si prevedono, poi, sanzioni amministrative per l'uso non autorizzato del marchio (art. 24). 2. Sul punto la Corte di Giustizia ha sottolineato che una legislazione nazionale che regoli o applichi misure di marcatura di origine - sia che si tratti di marchi obbligatori sia che si tratti di marchi volontari - e' contraria agli obiettivi del mercato interno, perche' puo' rendere piu' difficile la vendita, in uno Stato membro, della merce prodotta in un altro Stato membro, ostacolando gli scambi intracomunitari e facendo cosi' venir meno i benefici del mercato interno. Nella sentenza del 5 novembre 2002 (C-325/00), la Corte ha ritenuto che un sistema di marcatura, seppure facoltativo, nel momento in cui viene avocato all'autorita' pubblica, ha effetti, almeno potenzialmente, restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri, in quanto l'uso del marchio «favorisce, o e' atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene». E' incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualita' legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o parte del processo produttivo «la quale di per cio' stesso limita o svantaggia un processo produttivo le cui fasi si svolgono in tutto o in parte in altri Stati Membri» (Corte di Giustizia sentenza del 12 ottobre 1978, causa 13/78). Peraltro, la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di leggi regionali istitutive di marchi di qualita' (si veda Corte Cost., sentenza n. 86 del 2 aprile 2012, relativa alla legge della Regione Marche n. 7/2011; Corte Cost., sentenza n. 66 dell'8 aprile 2013, relativa alla legge della Regione Lazio n. 1/2012). Alla luce delle considerazioni che precedono la legge regionale della Sardegna, per la parte considerata, e', pertanto, costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, comma 1 Cost. 3. Le norme in esame contrastano, inoltre, con l'art. 120, comma 1, Cost., in quanto le misure adottate dalla Regione Sardegna ostacolano, nella sostanza, la libera circolazione delle merci, anche all'interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti sardi rispetto a quelli provenienti da altre Regioni. Non appare risolutiva, al riguardo, la disposizione di salvaguardia contenuta nel comma 3 del citato art. 16, nella parte in cui prevede che «I prodotti per i quali puo' essere concesso l'utilizzo del marchio sono realizzati nell'ambito di un sistema di qualita' trasparente, aperto a tutti i produttori, che assicuri la completa tracciabilita' dei prodotti e risponda alle esigenze del mercato e dei consumatori, agli standard di qualita' socioeconomica e ambientale adottati nei disciplinari di cui al comma 2, nel rispetto delle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci di cui agli articoli 34, 35 e 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea». Infatti, e' la stessa istituzione del marchio che viola i richiamati principi comunitari e nazionali. Sul punto si e' recentemente espressa la Corte Costituzionale, con la sentenza 8 aprile 2013, n. 66, la quale ha ribadito l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'istituzione di un marchio regionale (nella specie collettivo, di qualita', dei prodotti agricoli ed agroalimentari) e' incostituzionale, poiche' induce i consumatori a preferire i prodotti contraddistinti con il marchio in questione rispetto ad altri similari e, dunque, viola il divieto di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione e all'esportazione, previsto dal Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, oltre a comportare una sostanziale frammentazione del mercato interno nazionale. 4. Infine, con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 24, concernente le sanzioni amministrative previste in caso di uso non autorizzato del marchio, si rileva un contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. r) Cost., ai sensi del quale lo Stato ha legislazione esclusiva, fra le altre, in materia delle opere dell'ingegno e, quindi, in materia di proprieta' intellettuale, sia sotto il profilo del diritto d'autore, sia sotto il profilo del diritto industriale (cfr. Corte Cost., sentenza n. 368 del 14 novembre 2008). In particolare, i diritti di proprieta' industriale, segnatamente i marchi e gli altri segni distintivi, titolati e non, sono disciplinati a livello nazionale (Cfr. codice della proprieta' industriale decreto legislativo 10 Febbraio 2005. n. 30 - CPI, codice civile), comunitario ed internazionale, e si acquistano mediante registrazione o negli altri modi stabiliti dal codice (art. 2 CPI) o dalla legge, che prevede le diverse forme di tutela, anche penale, dalla contraffazione, alterazione o uso non autorizzato (cfr. artt. 473 e ss. del codice penale). La previsione di sanzioni amministrative pecuniarie a carattere regionale, nel caso di uso non autorizzato del marchio collettivo regionale, oltre a rischiare di essere scarsamente applicabile in relazione alla portata assorbente della norma penale nazionale sopra richiamata, e' chiaramente invasiva della potesta' legislativa esclusiva dello Stato in materia di proprieta' industriale. Pertanto, la norma regionale indicata, oltre alle violazioni in precedenza prospettate, viola anche l'art. 117, comma 2, lett. r) Cost., in quanto interferisce con la normativa nazionale e comunitaria sui marchi d'impresa ed altri segni distintivi, riservata alla competenza esclusiva dello Stato. Per le esposte ragioni il Presidente del Consiglio dei ministri, come in epigrafe rappresentato e difeso.