LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria 
 
    Il  Giudice  Unico  delle  Pensioni,  Cons.  Quirino  Lorelli  ha
pronunciato la seguente ordinanza N. 27/2015 sul ricorso  in  materia
di pensioni civili, iscritto al n. 20392 del registro di  segreteria,
proposto da GENTILE Domenico, nato a Panettieri (CS),  il  30  agosto
1924, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni C. Sciacca,  Piero
D'Amelio e Erika Chiodo, nei confronti dell'I.N.P.S., in persona  del
legale rapp.te pro-tempore, rappresentato e difeso  dagli  avv.ti  G.
Greco e F. Muscari Tomaioli; 
    Visto l'atto  introduttivo  del  giudizio  depositato  presso  la
segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione  Calabria  il
12  agosto  2014,  recante  la  richiesta   di   corresponsione   del
trattamento pensionistico  senza  assoggettamento  al  contributo  di
solidarieta' e la restituzione di quanto trattenuto a  tal  titolo  a
far data dalla applicazione del contributo; 
    Visto  il  provvedimento  presidenziale   di   assegnazione   del
giudizio; 
    Visti gli artt. 71 e segg. del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; 
    Visti gli artt. 13 e 62 e segg. del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214; 
    Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161; 
    Visto il D.L. 15 novembre 1993, n. 453; 
    Vista la legge 21 luglio 2000 n. 205; 
    Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale; 
    Uditi nell'udienza del 15 dicembre 2014 l'avvocato E. Chiodo  per
delega per il ricorrente e l'avv.to G. Greco per l'Inps; 
 
                              F a t t o 
 
    Con ricorso  giurisdizionale  depositato  il  12/8/2014,  il  dr.
Domenico Gentile, premesso  di  essere  magistrato  amministrativo  a
riposo, chiedeva a questa Corte dei conti, giudice delle pensioni, la
corresponsione   del   proprio   trattamento   pensionistico    senza
assoggettamento al contributo di solidarieta' introdotto dall'art. 1,
comma 486 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e la  restituzione  di
quanto trattenuto a tal titolo a  far  data  dalla  applicazione  del
contributo   (gennaio   2014),   previa   remissione    alla    Corte
costituzionale   del   giudizio    per    manifesta    illegittimita'
costituzionale della predetta norma, contrastante con gli artt. 2,  3
e 53 Cost. e del precedente comma 483 della medesima, concernente  la
rivalutazione automatica delle pensioni, per contrasto con gli  artt.
3, 53, 36 e 38 Cost., nonche' art. 117, primo comma,  per  violazione
degli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della C.E.D.U. 
    Precisa il ricorrente che la legge di stabilita' per il 2014  (L.
n. 147/2013) avrebbe riproposto in senso peggiorativo  il  contributo
c.d. di solidarieta' di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 6
luglio 2011, n. 98,  convertito  con  modificazioni  dalla  legge  15
luglio  2011,   n.   111,   cosi'   come   ulteriormente   modificato
dall'articolo 24, comma 31-bis del D.L.  6  dicembre  2011,  n.  201,
convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre  2011,  n.  214,
norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della
Corte costituzionale n. 116/2013. Ritiene il ricorrente -  riportando
ampi passi della pronuncia predetta -  che  vi  sia  una  sostanziale
identita' delle  due  fattispecie  normative  e  che  il  legislatore
avrebbe cercato di superare attraverso un mero  espediente  lessicale
posto che il contributo di  solidarieta'  di  cui  alla  nuova  norma
costituirebbe  una  "vera  e  propria  imposta".  Rileva  ancora   il
ricorrente che la decurtazione del trattamento pensionistico  sarebbe
stata imposta in via unilaterale ed autoritativa, che la  doverosita'
della prestazione sarebbe stabilita'  con  legge  in  assenza  di  un
rapporto  sinallagmatico  e  che  esisterebbe  un  collegamento   del
contributo di solidarieta'  con  la  spesa  pubblica,  posto  che  il
relativo introito incrementerebbe le risorse apprestate dallo Stato a
favore degli esodati senza diritto a pensione di cui alla c.d.  legge
Fornero. In tal ultimo senso  rileva  ancora  il  ricorrente  che  la
indeterminatezza della formulazione letterale del comma 486 dell'art.
1 della Legge n. 147/2013 costituirebbe un  ulteriore  indizio  della
sua  irrazionalita',  posto   che   non   sarebbe   chiaro   a   cosa
risulterebbero  destinate  le  somme  derivanti  dai  contributi   di
solidarieta'. In ogni caso ove  la  norma  fosse  finalizzata  ad  un
riequilibrio tra pensioni liquidate col sistema contributivo e quelle
liquidate  col  sistema  retributivo,  essa  sarebbe   comunque   non
applicabile a quelle categorie di personale che, come il  ricorrente,
sono state collocate a riposo all'eta' di 75 anni,  quindi  ben  dopo
l'eta' media di collocamento a riposo  delle  restanti  categorie  di
lavoratori: infatti i soggetti collocati a riposo a  75  anni,  cioe'
ben dopo i restanti  lavoratori,  avrebbero  gia'  versato  un  monte
contributivo ben superiore degli altri  e,  dunque,  gia'  ampiamente
concorso a quei fini di solidarieta' sottesi alla norma. 
    Rappresenta ancora il ricorrente che la norma di  cui  al  citato
comma 486 finisce con il colpire non qualunque reddito, bensi' solo i
trattamenti pensionistici complessivi lordi,  ma  non  i  trattamenti
economici di attivita' di altri lavoratori, finendo con il tradire il
fine di  solidarieta'  che,  al  contrario,  vi  sarebbe  sotteso  ed
immanente: infatti dalla applicazione del contributo deriverebbe  una
arbitraria diminuzione delle retribuzioni differite dei lavoratori in
quiescenza, con irragionevole  deroga  ai  principi  fondamentali  di
eguaglianza a parita' di reddito, di universalita' dell'imposizione e
di concorso  agli  oneri  pubblici  in  proporzione  alle  rispettive
capacita' retributiva. 
    Rileva poi il ricorrente come anche le successive disposizioni di
cui ai  commi  487  e  590  dell'art.  1  della  Legge  n.  147/2013,
renderebbero palese la incostituzionalita'  della  previsione,  posto
che, per un  verso,  quanto  ai  dipendenti  delle  Regioni  e  delle
Province autonome la norma si applicherebbe solo  quale  disposizione
di principio e, quindi, solo previa trasposizione  della  stessa  nei
rispettivi  ordinamenti  regionali  e  provinciali,  finendo  con  il
tradursi in una (ulteriore) causa di disparita'  di  trattamento  tra
categorie di lavoratori pubblici (quelli dipendenti  dallo  Stato  o,
comunque, disciplinati dalla legislazione statale e  quelli  regolati
dalla legislazione regionale), con violazione  degli  artt.  3  e  53
Cost.; sotto altro profilo anche il successivo comma 590 risulterebbe
lesivo dell'art. 53, comma 1, Cost.,  laddove  prevederebbe  che,  ai
fini del raggiungimento del limite di 300.000,00 euro - oltre i quali
il contributo di solidarieta' e' pari al 3%, secondo quanto  previsto
gia' dall'art. 2, comma 2 del D.L. n. 138/2011, prorogato  all'intero
triennio 2014-2016 dal richiamato comma 590 - si  debba  tener  conto
anche dei trattamenti pensionistici percepiti, sui quali pero' non si
applica il contributo nella misura del 3% ma  quello  molto  maggiore
del  18%  stabilito  dal  precedente   comma   486   della   medesima
disposizione. 
    Inoltre la norma violerebbe anche il secondo comma della medesima
disposizione costituzionale: mentre infatti il comma 486  colpisce  i
pensionati  con  un  c.d.  contributo  di   solidarieta'   fortemente
progressivo articolato in tre aliquote, che raggiungono  il  18%  del
trattamento   complessivo    lordo    per    la    parte    eccedente
approssimativamente i 190 mila euro, il comma 590 incide su tutti gli
altri percettori di redditi, esclusi i pensionati, con un  contributo
di solidarieta', al pari del primo destinato a  far  fronte  a  spese
pubbliche, che  contempla  la  sola  aliquota,  fissa  e  quindi  non
progressiva, del 3% per giunta deducibile, sul  reddito  superiore  a
300 mila euro. Al raggiungimento di questo ultimo importo  concorrono
anche i trattamenti pensionistici, ma i pensionati ;non sono tenuti a
corrispondere il contributo di solidarieta', previsto dal comma  590,
con la logica implicazione  che  nel  caso  in  cui  i  loro  redditi
complessivi, compresi quelli pensionistici, dovessero superare i  300
mila euro, essi sarebbero tenuti a versare non il 3%,  ma  dovrebbero
continuare a pagare il 18% di cui  si  e'  sopra  detto:  con  palese
violazione, oltre che del primo, anche del secondo comma dell'art. 53
Cost., che vuole il  sistema  tributario  ispirato  al  principio  di
progressivita' e non di regressivita'. Si e' costituito  in  giudizio
l'INPS,  depositando   memoria   in   data   19/11/2014,   eccependo,
preliminarmente, il difetto di giurisdizione della Corte  dei  conti,
posto che il ricorso introduttivo qualificherebbe espressamente  come
tributario  il  prelievo  operato   sui   ratei   pensionistici,   in
applicazione della succitata previsione legislativa della quale viene
lamentata, in via primaria e principale, la  incostituzionalita'.  In
questo  senso,  infatti,  la  giurisdizione  spetterebbe  al  giudice
tributario ai sensi dell'art. 2 del D. Lgs. n.  546/1992.  Anche  ove
volesse farsi riferimento al rapporto sostanziale dedotto in giudizio
e non alla  impostazione  e  qualificazione  giuridica  adottata  nel
ricorso  introduttivo,  difetterebbe,  sempre  a   parere   dell'ente
previdenziale, la giurisdizione della Corte dei conti  in  favore  di
quella dell'A.G.O. e, precisamente, del giudice del lavoro. 
    In punto  di  diritto  secondo  l'INPS  l'assimilabilita'  ad  un
tributo del contributo ,di solidarieta' sarebbe pero'  possibile  nei
limiti in cui si ritenga di qualificare  come  tributo  i  contributi
previdenziali,  qualificazione  pacifica  in  altri  ordinamenti,  ma
contestata in Italia. 
    Precisa  al  riguardo   parte   resistente   che   i   contributi
previdenziali non costituiscono una tassa od una imposta, sia perche'
il versamento non e' posto a carico dei soli utenti del servizio, sia
perche' non sono destinati genericamente alle casse dello  Stato,  ma
finalizzati al mantenimento del  sistema  previdenziale-assistenziale
(c.d. welfare). I contributi previdenziali  avrebbero  una  finalita'
specifica  diretta  al  cofinanziamento  del  sistema   previdenziale
obbligatorio  al  cui  sostentamento  contribuirebbero  insieme  alla
fiscalita' generale, a cui si associano, pur senza sostituirla:  essi
dunque risulterebbero legittimi e  ad  essi  non  potrebbero  trovare
applicazione i presupposti sanciti per i prelievi di tipo tributario.
Sostiene quindi l'INPS che le somme trattenute  ai  pensionati,  come
nel  caso  di  specie,  vengono  riversate  direttamente  al  sistema
previdenziale al fine  specifico  di  garantirne  la  sostenibilita',
l'aliquota contributiva verrebbe parametrata agli importi percepiti e
l'importo trattenuto andrebbe ad  abbattere  l'imponibile  IRPEF  che
quindi opera solo sugli importi nettizzati  da  tale  trattenuta.  La
conseguenza di tale ragionamento e' che non si sarebbe di  fronte  ad
una  imposizione  fiscale  analoga  a  quella   del   contributo   di
perequazione, bensi' ad una prestazione di tipo patrimoniale, il  che
renderebbe inconcludente il  ragionamento  fatto  dal  ricorrente  in
ordine alla sostanziale identita' dei prelievi ad opera  della  norma
dichiarata  incostituzionale  e  di  quella  di  cui  si  invoca   la
rimessione al giudice delle leggi per supposta incostituzionalita'. 
    In data 28 novembre 2014  il  ricorrente  ha  depositato  memorie
illustrative,   nelle   quali   ribadisce   la   sussistenza    della
giurisdizione di questa Corte  dei  conti,  sulla  scorta  di  quanto
affermato dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  116/2013  e
dalla  stessa  Sezione  territoriale  nella  sentenza  n.   372/2013.
Puntualizza anche il ricorrente che la norma della quale si invoca il
vaglio del  giudice  delle  leggi  avrebbe  previsto  un  sistema  di
trattenute sui ratei di pensione che  reitera,  aggravandole,  quelle
gia' ritenute costituzionalmente  illegittime  con  la  surrichiamata
sentenza n. 116/2013 e ribadisce tutte le proprie difese in punto  di
diritto, gia' spiegate nel ricorso introduttivo ed,  in  particolare,
la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., sia sotto il profilo  per  il
quale le trattenute de quibus  si  connoterebbero  come  un  prelievo
fiscale, sia sotto il diverso profilo della violazione  dei  principi
di ragionevolezza  e  di  uguaglianza  fra  i  cittadini  nonche'  di
generalita' e progressivita' dell'imposizione, come  giudicato  dalla
sentenza  n.  116/2013.  Le  medesime   disposizioni   costituzionali
risulterebbero   anche   lese   sotto   l'ulteriore   profilo   della
ingiustificata  limitazione  del  novero  dei  soggetti  passivi  che
renderebbe il tributo irragionevole. 
    Rappresenta ancora il ricorrente nella memoria che sarebbero lesi
gli artt. 1, 2 e 3 della Costituzione  poiche'  essendo  le  pensioni
retribuzioni  differite,   sarebbero   munite   di   una   protezione
preferenziale derivante dall'essere  il  lavoro  il  valore  fondante
della Repubblica  ai  sensi  della  norma  di  apertura  della  Carta
Costituzionale. Sarebbe inoltre  leso  l'art.  2  della  Costituzione
essendo ignorato il  dovere  solidaristico  cui  debbono  conformarsi
tutte le prestazioni patrimoniali imposte;  inoltre  nella  norma  il
principio di solidarieta' sarebbe invocato (nel nomen  del  prelievo)
in maniera del tutto erronea  in  quanto  verrebbero  arbitrariamente
diminuite  le  retribuzioni  differite   dei   soli   lavoratori   in
quiescenza, confondendosi le pensioni retributive con gli  interventi
di solidarieta' sociale. 
    All'udienza del 15/12/2014 la  causa  e'  stata  trattenuta,  con
riserva  di  deposito  entro   i   sessanta   giorni   del   relativo
provvedimento 
 
                               Diritto 
 
    1. Rileva in via preliminare questo  Giudicante  che  presupposto
della controversia - avente ad oggetto la richiesta di corresponsione
integrale del trattamento pensionistico da parte di un magistrato  in
pensione, senza l'assoggettamento al contributo c.d. di solidarieta',
nonche'  la  richiesta  di  rivalutazione  del  proprio   trattamento
pensionistico, modificata in pejus - e' rappresentato, per un  verso,
dalla (re)introduzione di detto contributo con l'art.  1,  comma  486
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge  di  stabilita'
2014, pubblicata sul supplemento n. 87 della  Gazzetta  Ufficiale  n.
302 del 27 dicembre 2013), per altro verso,  dalla  modificazione  in
pejus del meccanismo rivalutativo di cui all'articolo  34,  comma  1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ad  opera  dell'art.  1,  comma
483, lett. e) della medesima Legge n. 147/2013. 
    E' evidente che, senza la introduzione  in  sede  legislativa  di
tale contributo e senza la riduzione  del  sistema  rivalutativo,  la
richiesta del ricorrente non avrebbe alcuna ragion d'essere. 
    E' quindi pacifico che: 
    - a seguito della applicazione, a far data  dal  mese  di  maggio
2014, del contributo di solidarieta' di cui anzidetto, il trattamento
pensionistico  del  ricorrente   viene   a   subire   una   rilevante
diminuzione, 
    - a seguito della previsione di cui al comma 483 la rivalutazione
automatica del trattamento  pensionistico  del  ricorrente  e'  stata
ridotta ed, in particolare, e' stata rideterminata, per  il  triennio
2014/2016, nella misura del 40 per cento, per l'anno  2014,  e  nella
misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016,  per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti  medesimi  e,  per  il  solo  anno  2014,  non  e'  stata
riconosciuta con riferimento alle fasce di importo  superiori  a  sei
volte il trattamento minimo INPS. 
    Tali considerazioni consentono di poter affermare  pienamente  la
giurisdizione della Corte dei conti, a termini dell'art. 71 del  R.D.
13 agosto 1933, n. 1038, degli artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934,
n. 1214, dell' art. 6 del D.L. 15 novembre 1993,  n.  453,  conv.  in
Legge 14 gennaio 1994, n. 20 e dell'art.  5  della  Legge  21  luglio
2000, n. 205. 
    Le medesime considerazioni consentono poi di  ritenere  infondato
il  dubbio  sulla  esistenza  della  giurisdizione  di  questa  Corte
sollevato dall'Istituto previdenziale resistente, posto che non viene
in questione l'applicazione di un tributo  o  tassa  od  imposta  che
vadano a colpire un reddito od un patrimonio, bensi' che trattasi  di
un  prelievo  eccezionale,  autorizzato  da   espressa   disposizione
legislativa. 
    La giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni  ha
carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio  di  collegamento
costituito dalla materia. In essa sono,  dunque,  comprese  tutte  le
controversie in cui il rapporto  pensionistico  costituisca  elemento
identificativo  del  petitum  sostanziale  ovvero  sia  comunque   in
questione la misura della prestazione previdenziale. 
    La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto  da
una norma "di natura tributaria" non trasformerebbe il  rapporto  tra
enti gestori di forme di previdenza obbligatorie  e  beneficiari  dei
relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario. 
    Nella  fattispecie  tale   rapporto,   al   quale   e'   estranea
l'Amministrazione finanziaria - coerentemente non evocata in giudizio
- non riguarda una contestazione  diretta  della  debenza  all'Erario
della  somma  trattenuta,   ovvero   un   rapporto   tributario   tra
contribuente ed Amministrazione. 
    Le  controversie  relative  all'indebito  pagamento  dei  tributi
seguono, infatti, la  regola  della  devoluzione  alla  giurisdizione
speciale del giudice tributario soltanto allorche' si debba impugnare
uno degli atti previsti dall'art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413) e il convenuto in senso formale sia uno  dei  soggetti  indicati
nell'art. 10 di tale decreto legislativo. Quando la  controversia  si
svolga tra due  soggetti  privati  in  assenza  di  un  provvedimento
impugnabile  soltanto  dinanzi  al  giudice  tributario,  il  giudice
ordinario, quindi, si riappropria della giurisdizione, non  rilevando
che la composizione della lite necessiti della interpretazione di una
norma tributaria. 
    Quindi la natura tributaria della norma che prevede il contributo
di perequazione non trasforma il rapporto tra enti gestori  di  forme
di previdenza obbligatorie e  beneficiari  dei  relativi  trattamenti
pensionistici in un rapporto tributario,  in  quanto  la  devoluzione
alla giurisdizione speciale del giudice tributario presuppone che sia
impugnato uno degli  atti  previsti  dall'art.  19  del  D.  Lgs.  31
dicembre 1992, n. 546 e che il convenuto in senso formale sia uno dei
soggetti indicati nell'art. 10 di tale decreto legislativo. 
    1.2. Si impone quindi che l'esame della controversia inizi  dalla
censura  di  illegittimita'   costituzionale   dell'introduzione   (o
reintroduzione) del contributo in questione con l'art. 1,  comma  486
della legge 27 dicembre 2013, n. 147. 
    La  questione  non  e'  manifestamente  infondata  posto  che  la
disposizione in questione non solo non e'  mai  stata  sottoposta  al
vaglio di costituzionalita' del giudice delle leggi, ma, soprattutto,
ha natura palesemente ripropositiva di altra  norma  gia'  dichiarata
costituzionalmente  illegittima;  inoltre  nel  caso  di  specie   la
infondatezza  della  questione  di  costituzionalita'  sollevata  dal
ricorrente non si palesa tale da poter essere rilevata in termini  di
semplice delibazione e con una cognizione sommaria da parte di questo
Giudicante. 
    Infine, nel caso di specie ed a supporto  della  rilevanza  della
questione, va precisato che non si verte in  ipotesi  di  assenza  di
ogni  minimo  dubbio  circa  la  costituzionalita'  della  disciplina
legislativa relativa al caso  trattato  e,  piu'  precisamente,  alla
norma introduttiva del contributo, posto che sotto plurimi profili ed
in relazione a diverse norme costituzionali, questo Giudicante dubita
della piena conformita' della disposizione in questione  rispetto  al
principio di uguaglianza, a  quello  di  solidarieta',  a  quello  di
equita' nel prelievo di quote di reddito. 
    1.3. L'art. 1, commi 486 e 487, della Legge 27 dicembre  2013  n.
147, istituisce, a decorrere  dal  1°  gennaio  2014  e  fino  al  31
dicembre  2016,  un  contributo  di  solidarieta'   sui   trattamenti
pensionistici corrisposti esclusivamente da enti gestori di forme  di
previdenza obbligatorie e sui vitalizi previsti per coloro che  hanno
ricoperto  funzioni   pubbliche   elettive   erogati   dagli   organi
costituzionali, dalle Regioni e dalle province autonome di  Trento  e
Bolzano. 
    Tale contributo si applica ai trattamenti lordi  complessivamente
superiori quattordici volte  il  trattamento  minimo,  per  la  parte
eccedente i limiti previsti. 
    Il  contributo  opera  a  favore  delle  gestioni   previdenziali
obbligatorie e le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti
gestioni previdenziali. Segnatamente il comma 486 stabilisce che: 
    "486. A decorrere dall'1 gennaio 2014 e per  un  periodo  di  tre
anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti
gestori  di  forme  di   previdenza   obbligatorie   complessivamente
superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS,  e'  dovuto
un contributo di solidarieta' a favore delle  gestioni  previdenziali
obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente  il  predetto
importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di  venti  volte  il
trattamento minimo INPS, nonche' pari al 12 per cento  per  la  parte
eccedente l'importo lordo annuo di venti volte il trattamento  minimo
INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo  lordo  annuo
di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini dell'applicazione
della predetta trattenuta e'  preso  at  riferimento  il  trattamento
pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla
base dei dati che risultano dal casellario centrale  dei  pensionati,
istituito con decreto del Presidente  della  Repubblica  31  dicembre
1971, n. 1388, e' tenuto a fornire a tutti  gli  enti  interessati  i
necessari  elementi  per   l'effettuazione   della   trattenuta   del
contributo  di  solidarieta',  secondo  modalita'  proporzionali   ai
trattamenti erogati. Le  somme  trattenute  vengono  acquisite  dalle
competenti gestioni previdenziali  obbligatorie,  anche  al  fine  di
concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191  del
presente articolo." 
    Il successivo comma 487, prevede poi che: 
    "487. I risparmi derivanti dalle  misure  di  contenimento  della
spesa adottate, sulla base dei principi di cui al  comma  486,  dagli
organi costituzionali, dalle regioni e  dalle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano, nell'esercizio della propria autonomia, anche in
riferimento ai vitalizi  previsti  per  coloro  che  hanno  ricoperto
finzioni pubbliche elettive, sono versati  all'entrata  del  bilancio
dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma 48" 
    Le disposizioni sono state immediatamente impugnate dalla Regione
Siciliana, con ricorso 5 marzo 2014, n. 17, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale, la Serie Speciale - Corte  Costituzionale  n.  18  del  23
aprile 2014, ma limitatamente al profilo  -  totalmente  estraneo  al
presente giudizio  -  della  violazione  dell'art.  4  dello  Statuto
Regionale, posto  che  "Nel  caso  della  Regione  Siciliana,  e  con
riferimento  quindi  alle  pensioni  e  vitalizi  erogati   dall'ARS,
rispettivamente  al  personale  e  ai  deputati,  si  rileva  che  la
determinazione  di  tali  trattamenti  di  quiescenza  rientra  nella
potesta' regolamentare della stessa Assemblea Regionale Siciliana  ai
sensi dell'articolo 4 dello Statuto. 
    L'eventuale obbligo di adottare una misura di contenimento  della
spesa, sulla base dei principi di cui al comma 486, lede la sfera  di
autonomia  propria  dell'ARS  garantita  da  una   norma   di   rango
costituzionale quale quella contenuta nell'articolo 4  dello  Statuto
siciliano", 
    2. Negli ultimi anni il legislatore e' intervenuto  ripetutamente
sui trattamenti previdenziali di importo piu' elevato. In particolare
vanno ricordati l'articolo 3, commi 102-103, della legge n. 350/2003,
che ha previsto un contributo di solidarieta' del 3% sui  trattamenti
pensionistici  corrisposti  dagli  enti  gestori   della   previdenza
obbligatoria  con  importi  complessivamente  superiori  a  25  volte
(170.914,25 euro) il trattamento minimo  delle  pensioni  nel  regime
generale INPS (6.836,57 euro) stabilito secondo l'articolo 38,  comma
1 della legge L n. 448/2001; l'articolo 1, comma 2, lettera u)  primo
e secondo periodo, della  legge  n.  243/2004,  che  ha  disposto  un
contributo di solidarieta' del 4% per le pensioni elevate su  importi
maggiori di 25 volte il trattamento minimo, rivalutabile per gli anni
successivi al 2007, in base alle variazioni integrali del costo della
vita (c.d. pensioni d'oro); secondo i successivi  periodi  concorrono
ai fini del contributo di solidarieta' i trattamenti integrativi  per
i soggetti con prestazioni aggiuntive  o  integrative  (BI-UIC,  enti
pubblici creditizi, dipendenti pubblici,  personale  imposte  consumo
aziende gas esattorie e ricevitorie imposte dirette);  l'articolo  1,
commi 222-223 della legge 296/2006, che hanno previsto un  contributo
di solidarieta' a partire dal 1° gennaio 2007 del 15% sul  TFR  o  il
TFS e i trattamenti integrativi di importo  complessivo  superiore  a
1,5 mln €; l'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98/2011,  che  ha
introdotto un contributo di perequazione, a decorrere dal  1°  agosto
2011 e fino  al  31  dicembre  2014,  sui  trattamenti  pensionistici
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari
al 5% per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui,  del  10%
per la parte eccedente  i  150.000  euro  e  del  15%  per  la  parte
eccedente i 200.000 euro. Tale ultimo contributo, per come meglio  in
seguito precisato, e' stato dichiarato incostituzionale  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 116/2013. 
    3. Questo Giudicante  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 486 della Legge n. 147/2013, per contrasto con gli
artt. 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97  e  136  Cost.,  quest'ultima  con
riferimento alla elusione del giudicato costituzionale  di  cui  alla
sentenza n. 116/2013. 
    3.1. Va rilevato come il  nomen  attribuito  dal  legislatore  al
prelievo reintrodotto dall'art. 1 , comma 486 della Legge n. 147/2013
sui redditi da pensione (contributo di solidarieta'), costituisca  un
vero e proprio artifizio retorico volto a  veicolare  nella  pubblica
opinione l'idea di una  operazione  di  redistribuzione  sociale  dei
redditi che, tuttavia, non corrisponde al vero. 
    Tradizionalmente  i  contributi   di   solidarieta',   per   come
ricostruiti sotto il profilo  teleologico  e  giuridico  dalla  Corte
costituzionale nelle sentenze n. 421/1995, 178/2000  e  121/2002,  le
quali hanno respinto le eccezioni di costituzionalita' delle relative
norme istitutive, si configuravano come prelievi a carico dei  datori
di lavoro volti a rimpinguare fondi  ed  istituti  previdenziali  con
evidenti finalita' di garanzia di livelli adeguati e sufficienti  dei
trattamenti pensionistici delle categorie sociali piu' deboli. 
    Detti   contributi   dunque   venivano   a   configurarsi    come
contropartite  rispetto  ad  esoneri  nei   versamenti   contributivi
riconosciuti ai datori di lavoro, sicche' palese e chiara ne  era  la
natura perequativa (sent.  n.  369/1992),  redistributiva  e  sociale
contemplata dagli artt. 3, 4, 35,  36,  38  e  53  anche  nella  loro
interpretazione unitaria ed adeguatrice. Nella sentenza  n.  121/2002
appare cosi' illuminante il seguente  passaggio  "...  il  definitivo
esonero dal pagamento degli ordinari contributi,  per  non  porsi  in
contrasto con i principi di razionalita-equita'  e  di  solidarieta',
avrebbe   dovuto   necessariamente   essere   bilanciato    da    una
contropartita, analoga  al  contributo  di  solidarieta';  e  d'altra
parte,  la  determinazione  del  contributo  in  misura  notevolmente
inferiore al debito originario, senza oneri accessori e con modalita'
di pagamento rateale, costituisce un indubbio beneficio per i  datori
di lavoro". 
    Nella norma di cui oggi si dubita  invece  non  solo  non  esiste
alcuna  contropartita,.  a  favore   del   pensionato   colpito,   ma
addirittura si va a colpire una sola ed unica categoria sociale  -  i
titolari di trattamenti pensionistici - i quali dovrebbero  essere  i
soggetti forniti di maggior tutela sociale, giuridica ed economica in
ragione del principio generale dell'art. 38 Cost. 
    Sotto questo profilo quindi il  comma  486  appare  lesivo  degli
artt. 3, 4, 35, 36, 38 e 53 Cost. 
    3.2. Un secondo singolare profilo di incostituzionalita',  legato
essenzialmente al principio di uguaglianza di cui all'art.  3  Cost.,
e'  rappresentato  dal  fatto  che  il  contributo  potrebbe   essere
diversamente  disciplinato  nel  quantum  dalle  Regioni  a   Statuto
speciale, come e' accaduto nel caso  della  Regione  Sicilia  che  ha
adottato  apposita  previsione  legislativa  (art.  22  della   legge
regionale 12 agosto 2014, n. 21, recante "Assestamento  del  bilancio
della Regione per l'anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio  di
previsione della Regione per l'esercizio finanziario 2014 e modifiche
alla  legge  regionale  28   gennaio   2014,   n.   5   'Disposizioni
programmatiche e correttive per  l'anno  2014.  Legge  di  stabilita'
regionale'. Disposizioni varie" e pubblicata sulla G.U.R.S., Parte I,
n. 34 del 19 agosto 2014). 
    E' evidente che rimettere alle singole legislazioni regionali  la
quantificazione e determinazione del contributo  appare  in  antitesi
rispetto al suo carattere perequativo finalizzato  a  rimpinguare  il
fondo nazionale INPS destinato agli esodati in quanto diversifica tra
loro i medesimi soggetti passivi del contributo sulla base della loro
residenza territoriale. Anche sotto  tale  profilo  quindi  la  norma
appare incostituzionale. 
    3.3. La giurisprudenza costituzionale in  materia  previdenziale,
con riferimento ai  principali  profili  della  materia  (natura  dei
contributi previdenziali,  adeguatezza  delle  prestazioni  ai  sensi
dell'articolo  38  Cost.,  limitazione  di  benefici  precedentemente
riconosciuti e conseguente discrezionalita' del  legislatore,  tutela
dell'affidamento  dei  singoli  e  sicurezza   giuridica)   riflette,
sostanzialmente,  l'evoluzione  della   legislazione   pensionistica,
segnata dall'inversione di tendenza operata a partire dagli anni  '90
a fronte dell'esplosione della spesa e della necessita' di  garantire
la sostenibilita' di lungo periodo del sistema. 
    Negli anni '60 e '70 la Corte e' stata impegnata soprattutto  nel
tentativo di dare razionalita' a un quadro normativo assai  complesso
e articolato (ereditato in parte dalla legislazione fascista), che si
caratterizza per  le  numerose  sentenze  "additive"  con  le  quali,
assumendo a parametro l'articolo 3 della Costituzione  (principio  di
uguaglianza  formale  e  sostanziale),  si  procede  ad  adeguare  le
normative meno favorevoli a quelle piu' favorevoli, livellando  verso
l'alto prestazioni e benefici (tra le tante: sentenze n. 78 del 1967;
n. 124 del 1968; n. 5 del 1969; n. 144 del 1971, n. 57 del 1973 e  n.
240/1994). 
    Per quanto  concerne,  specificamente,  la  possibilita'  per  il
legislatore  di  modificare  in  senso  peggiorativo  i   trattamenti
pensionistici, la giurisprudenza di questo periodo (sentenze n. 26/80
e 349/85), facendo leva sugli  artt.  36  Cost.  e  38  Cost.,  porta
sostanzialmente a ritenere che il lavoratore  abbia  diritto  a  "una
particolare  protezione,  nel  senso  che  il  suo   trattamento   di
quiescenza, al pari della  retribuzione  percepita  in  costanza  del
rapporto di lavoro, del quale lo stato di  pensionamento  costituisce
un prolungamento ai fini  previdenziali,  deve  essere  proporzionato
alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e deve, in  ogni  caso,
assicurare al lavoratore ed alla sua  famiglia  mezzi  adeguati  alle
esigenze di vita per  una  esistenza  libera  e  dignitosa".  A  tale
riguardo la Corte precisa, in particolare,  che  "proporzionalita'  e
adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano
i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che,  siano  idonei  a
realizzare le esigenze relative al tenore di  vita  conseguito  dallo
stesso lavoratore in rapporto al reddito ed  alla  posizione  sociale
raggiunta  in  seno  alla  categoria  di  appartenenza  per   effetto
dell'attivita' lavorativa svolta" (sentenza n. 176/1986). 
    A partire dalla seconda meta' degli anni '80, la  Corte  fornisce
il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite
nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento  complessivo
degli  interessi  costituzionali  nel  quadro  delle   compatibilita'
economiche e finanziarie.  Gia'  nelle  sentenze  n.  180/1982  e  n.
220/1988 la Corte afferma il  principio  della  discrezionalita'  del
legislatore nella  determinazione  dell'ammontare  delle  prestazioni
sociali tenendo conto della disponibilita' delle risorse finanziarie.
Le scelte del legislatore, volte a  contenere  la  spesa  (anche  con
misure  peggiorative  a  carattere  retroattivo),  vengono   tuttavia
censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente
irrazionale (sentenze n. 73/1992, n. 485/1992 e n. 347/1997). 
    Quanto alla natura dei contributi previdenziali,  la  Corte,  pur
con una giurisprudenza non sempre lineare (frutto del compromesso tra
la logica mutualistica e quella solidaristica che, allo stesso tempo,
informano il nostro  sistema  previdenziale),  ha  affermato  che  "i
contributi non vanno a vantaggio del singolo  che  li  versa,  ma  di
tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione  del  reddito  che  si
consegue, sicche' i lavoratori a redditi piu' alti  concorrono  anche
alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi
piu' bassi"; allo  stesso  tempo,  pero',  per  quanto  i  contributi
trascendano gli interessi dei singoli che  li  versano,  "essi  danno
sempre vita al diritto del lavoratore  di  conseguire  corrispondenti
prestazioni previdenziali", cio' da cui discende che  il  legislatore
non puo' prescindere dal principio di proporzionalita' tra contributi
versati e prestazioni previdenziali (sentenza n. 173/1986; si  vedano
anche, a tale proposito, le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991). 
    Per  quanto  concerne  i  trattamenti  peggiorativi  con  effetto
retroattivo, la Corte ha escluso, in  linea  di  principio,  che  sia
configurabile   un   diritto   costituzionalmente   garantito    alla
cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi  al  legislatore  la
possibilita' di intervenire con scelte  discrezionali,  purche'  cio'
non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo
eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza  giuridica  con
riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa  precedente
(sentenze n. 349/1985, n. 173/1986,  n.  822/1988,  n.  211/1997,  n,
416/1999). 
    Per   quanto   concerne,   specificamente,   la    giurisprudenza
costituzionale relativa ai contributi di solidarieta' sulle pensioni,
si segnala, in primo luogo, la sentenza n. 146/1972, con cui la Corte
ha rigettato la questione di  costituzionalita'  dell'articolo  unico
della  legge  n.  369/1968,  che   introduceva   un   contributo   di
solidarieta' progressivo (16% fino a 12  milioni;  32%  da  12  a  18
milioni;  48%  oltre  18   milioni),   a   carico   dei   trattamenti
previdenziali superiori a 7.200.000 lire, finalizzato  a  contribuire
all'istituzione delle pensioni sociali. In tale  occasione  la  Corte
osservava che la legittimita' del contributo, di cui  evidenziava  il
carattere tributario in forza della progressivita' delle  aliquote  e
dall'assenza di limiti temporali, si legava al nesso teleologico  tra
il contributo medesimo e "la destinazione del relativo provento  alla
realizzazione di  un  interesse  pubblico,  quale  la  collaborazione
all'apprestamento  dei  mezzi  per  l'attuazione  di  quel  principio
generale di sicurezza sociale, sancito dal primo comma  dell'articolo
38 Cost., cui e' appunto  informata  la  istituzione  delle  pensioni
sociali". 
    Chiamata a  pronunciarsi  nuovamente  sulla  stessa  disposizione
legislativa, con la sentenza n. 119/1981 la Corte, prendendo atto che
nel frattempo il legislatore, dando attuazione all'articolo 53 Cost.,
aveva  provveduto  ad  introdurre  un'imposta  personale  progressiva
(IRPEF, introdotta a decorrere dal 1° gennaio  1974),  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  del  contributo   di   solidarieta'
limitatamente alla sua applicazione  successivamente  al  1°  gennaio
1974. La Corte osserva che "le pensioni assoggettate alla  "ritenuta"
sono state, nel biennio che intercorre tra il 1 gennaio 1974  (inizio
dell'applicazione  dell'IRPEF)  ed  il  1  gennaio  1976  (cessazione
dell'efficacia  delle  disposizioni  istitutive  del  contributo   di
solidarieta'), incise da un  duplice  prelievo  per  effetto  di  due
concomitanti imposizioni, la cui  progressivita',  caratteristica  di
entrambe, non e' stata  nemmeno  coordinata.  Appare  in  conseguenza
vulnerato il principio dell'eguaglianza in relazione  alla  capacita'
contributiva, sancito dagli artt. 3 e 53 della  Costituzione,  atteso
che,  nei  confronti  dei  titolari  di   altri   redditi,   e   piu'
specificamente di redditi da lavoro dipendente (cui la  pensione,  ai
fini dell'applicazione dell'IRPEF, e' assimilata), i  titolari  delle
pensioni su cui si e' applicato tanto l'IRPEF quanto  la  ritenuta  a
favore del Fondo sociale, sono stati,  a  parita'  di  reddito  e  di
capacita'  contributiva,  colpiti  in  misura  ingiustificatamente  e
notevolmente maggiore". 
    Successivamente,  la  Corte  (ordinanza  n.  22/2003,  confermata
dall'ordinanza n. 160/2007) ha rigettato la questione di legittimita'
costituzionale dell'articolo 37 della legge n. 488/1999, con cui  era
stato introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di
tre anni, un contributo di solidarieta' del 2 per cento sugli importi
dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di
previdenza obbligatorie complessivamente  superiori  a  un  massimale
annuo (123 milioni di lire). 
    3.4. L'art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre  2013,  n.  147
ripropone, in senso peggiorativo per i pensionati, la disposizione di
cui all'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 6  luglio  2011,  n.  98,
convertito con modificazioni dalla legge  15  luglio  2011,  n.  111,
cosi' come ulteriormente modificato dall'articolo  24,  comma  31-bis
del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni  dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214. 
    In ambedue i casi si tratta  di  un  contributo  di  solidarieta'
imposto coattivamente per legge ai soli pensionati, diversamente  dal
contributo del 3% imposto  nei  confronti  di  tutti  i  contribuenti
percettori di un reddito lordo  superiore  ad  €  300.000,  salva  la
deducibilita'  dal  reddito.  Ma  anche  in  questo  secondo  caso  i
pensionati, pur esentati dal suddetto contributo del 3% ai sensi  del
comma 590 della legge di stabilita',  continuano  a  pagare  il  piu'
elevato contributo del 18% previsto dal comma 486, restandone per  di
piu' esclusa la deducibilita' dal reddito. 
    Poiche' le precedenti disposizioni, all'inizio riportate,  furono
dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con la sentenza  n.
116/2013 e poiche'  a  prima  vista  quelle  attuali  sembrano  nella
sostanza riprodurle, si tratta di  verificare  se  tale  riproduzione
configuri una violazione  del  citato  giudicato  costituzionale  con
riferimento all'art. 136 Cost. 
    La sostanziale riproduzione di  norme  in  precedenza  dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale e la violazione  delle  stesse
norme-parametro determinano, secondo la  giurisprudenza  della  Corte
(cfr. le sentenze nn. 73 del 1963, 88 del 1966, 223 del 1983, 922 del
1988, 350 del 2010 e 245 del 2012), l'ulteriore violazione  dell'art.
136 della Costituzione, vale a dire la violazione  di  un  precedente
giudicato della stessa Corte costituzionale. 
    Nella sentenza n. 73/1963 la Corte afferma il "rigore della norma
dell'art. 136 della Costituzione, sulla  quale  poggia  il  contenuto
pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in  quanto
essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma  illegittima.  E
proprio in considerazione della fondamentale importanza per il nostro
ordinamento giuridico di questo  precetto  costituzionale,  la  Corte
trova altresi' opportuno porre  in  rilievo  che  esso  non  consente
compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione". 
    Nella sentenza n, 88/1966,  la  Corte  afferma  che  "l'art.  136
sarebbe  violato  ove  espressamente  si  disponesse  che  una  norma
dichiarata  illegittima  conservi  la   sua   efficacia,   del   pari
contrastante col precetto costituzionale deve ritenersi una legge  la
quale, per  il  modo  in  cui  provvede  a  regolare  le  fattispecie
verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge,
anche se indirettamente, lo stesso risultato". 
    Infine, ancora nella sentenza n. 88/1966, la  Corte,  riferendosi
all'art. 136, precisa che "La  disposizione  costituzionale,  invero,
pone un divieto che non puo' non operare erga omnes:  essa,  infatti,
non solo comporta che  la  norma  dichiarata  illegittima  non  venga
assunta a criterio di qualificazione di fatti, atti o situazioni,  ma
impedisce  anche,  e  necessariamente,  che  attraverso   una   legge
s'imponga che fatti, atti o situazioni  siano  valutati  come  se  la
dichiarazione   di   illegittimita'    costituzionale    non    fosse
intervenuta". 
    La Corte  costituzionale  e'  sinora  stata  estremamente  severa
nell'applicazione   dell'art.   136,   aderendo   ad   una    nozione
sostanzialistica   del   concetto   di   violazione   del   giudicato
costituzionale, allo scopo di evitare  che  con  modifiche  meramente
strumentali delle disposizioni in precedenza  dichiarate  illegittime
il  legislatore  "raggiunga,  anche  se  indirettamente,  lo   stesso
risultato", cosi' aggirando l'art. 136  che,  invece,  "non  consente
compressioni o incrinature nella sua rigida applicazione". 
    La violazione dell'art. 36 da parte del comma 486 dipende dunque,
in astratto, dall'accertamento della  sussistenza  di  due  elementi:
l'identita'  della  fattispecie  normativa  prevista  dal  comma  486
rispetto a quella dell'articolo 18, comma 22-bis, del D.L.  6  luglio
2011, n. 98 a suo tempo  dichiarata  illegittimo  dalla  Corte  e  la
violazione delle stesse norme parametro, vale a dire gli artt. 3 e 53
Cost. 
    In realta' e' sufficiente  accertare  la  sussistenza  del  primo
elemento perche' da esso scaturisca automaticamente,  a  cascata,  la
violazione sia degli artt. 3 e 53, sia dell'art. 136. 
    Il  comma  486  ha  per  destinatari  gli  stessi   soggetti   (i
pensionati) previsti dal vecchio comma 22-bis ed ha come  oggetto  un
prelievo coattivo articolato su diverse fasce del  reddito  derivante
da pensione secondo un meccanismo identico, ancorche' peggiorativo, a
quello previsto dal vecchio comma 22-bis." Nei  fatti  tale  prelievo
potrebbe addirittura configurarsi come una  vera  e  propria  imposta
anomala e mascherata sui soli redditi  da  pensione  poiche',  allora
come oggi, ricorrono tutti i requisiti necessari alla sua definizione
piu' volte indicati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    3.5. La identita' tra la vecchia e la nuova fattispecie normativa
-  identita'   che   costituisce   il   presupposto   dell'automatica
applicabilita' degli argomenti addotti dalla Corte nella sentenza  n.
116/2013 - non appare smentita dalla ricostruzione  (pur  prospettata
nel presente giudizio dall'INPS)  per  la  quale  il  comma  486  non
introduce una  imposta  vera  e  propria  poiche'  il  contributo  di
solidarieta' non viene acquisito  al  bilancio  dello  Stato  ma  e',
invece, devoluto "a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie"
(ed in particolare dell'INPS).... "anche al  fine  di  concorrere  al
finanziamento degli interventi di  cui  al  comma  191  del  presente
articolo" (il fondo per i cosiddetti esodati). 
    Gia' la vaghezza della formulazione  legislativa  costituisce  un
indizio della sua irrazionalita' non essendo  chiarito,  ad  esempio,
quali siano i criteri attraverso  i  quali  le  somme  derivanti  dai
contributi di solidarieta' saranno destinate ad aiutare i titolari di
pensioni piu' basse ma con quali criteri oppure se  serviranno  anche
per fronteggiare i  disavanzi  della  disoccupazione  e  della  cassa
integrazione INPS che sono per lo piu' alimentati dallo Stato ovvero,
ancora, se una parte  del  ricavato  (peraltro  indeterminata  e  mai
quantificata) possa essere utilizzata per il  cosiddetto  Fondo  INPS
per gli esodati. 
    In realta' la norma pare conferire agli enti gestori di forme  di
previdenza obbligatorie una liberta'  di  scelta  nell'uso  di  fondi
pubblici (in quanto stabiliti da una legge dello Stato,  ancorche'  a
carico di privati)  che  travalica  di  gran  lunga  il  concetto  di
discrezionalita' amministrativa e che, sotto  quest'aspetto,  suscita
ulteriori dubbi d'illegittimita', sotto il profilo  della  violazione
dei precetti di cui agli artt. 81 e 97 Cast. 
    3.6. A confermare la sostanziale identita'  delle  due  norme  e,
quindi, la violazione del giudicato  costituzionale  formatosi  sulla
prima, vi e' che da tempo immemore la dottrina ricorda come la  legge
-  prevedendo  un  prelievo  coattivo  in  mancanza  di  un  rapporto
sinallagmatico - non acquisisca al bilancio dello Stato  il  relativo
introito ma lo destini invece ad altri soggetti pubblici secondo  una
specifica finalita', non altera la qualificazione del  prelievo  come
una vera e propria imposta mascherata. 
    In secondo luogo la Corte costituzionale  ha  affermato  che  una
imposta e' tale anche quando l'introito da  essa  derivante  non  sia
acquisito al bilancio statale ma sia invece direttamente devoluto  ad
un ente pubblico. Si tratta di tre sentenze in tema di ammissibilita'
di referendum  abrogativi  con  particolare  riferimento  alle  leggi
tributarie. Nella sentenza n.  11/1995  la  Corte  afferma  che  "gli
elementi basilari per la qualificazione di mia legge come  tributaria
sono costituiti dalla ablazione delle somme  con  attribuzione  delle
stesse ad un ente pubblico e  la  loro  destinazione  allo  scopo  di
apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario  dell'ente  medesimo".
Nella sentenza n. 26/1982 la Corte afferma che "mancano nella  specie
gli elementi basilari indispensabili alla qualificazione di una legge
come tributaria, difettando  sia  l'elemento  della  ablazione  delle
somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico, sia la  loro
destinazione allo scopo di  apprestare  i  mezzi  per  il  fabbisogno
finanziario dell'ente impositore...". Nella sentenza n. 37  del  1997
la  Corte  afferma  che   "nella   fattispecie,   invero,   risultano
sussistenti entrambi gli elementi indicati da altra giurisprudenza di
questa Corte costituiti dalla ablazione delle somme con  attribuzione
delle stesse ad un ente pubblico e la loro destinazione allo scopo di
apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario". 
    Da cio' consegue che il contributo  di  solidarieta'  di  cui  al
comma 486 va qualificato come un'imposta vera e propria,  sussistendo
l'elemento dell'ablazione di somme con attribuzione delle  stesse  ad
enti pubblici (gli enti gestori di forme di previdenza  obbligatorie)
anche al fine (che il comma 486  implicitamente  consente  nella  sua
vaghezza di formulazione)  di  apprestare  mezzi  per  il  fabbisogno
finanziario degli enti medesimi. 
    Vi e' poi un  terzo  elemento  di  identita'  tra  le  due  norme
rappresentato dalla  platea  dei  soggetti  passivi  destinatari  del
contributo, posto che, anche in questo caso,  la  disposizione  trova
applicazione,   in   relazione   alle   erogazioni   di   trattamenti
pensionistici obbligatori, sia in favore del personale  del  pubblico
impiego, sia in relazione a tutti gli altri  trattamenti  corrisposti
da enti gestori di forme di previdenza obbligatori,  ivi  incluse  le
forme pensionistiche che garantiscono prestazioni in  aggiunta  o  ad
integrazione del  trattamento  pensionistico  obbligatorio  (comprese
quelle di  cui  al  D.  Lgs.  16  settembre  1996,  n.  563,  recante
«Attuazione della delega conferita dall'articolo 2, comma 23, lettera
b), della legge 8 agosto 1995, n.  335,  in  materia  di  trattamenti
pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse  da  quelle
dell'assicurazione generale obbligatoria, del  personale  degli  enti
che svolgono le loro attivita' nelle materie di cui all'art. 1 del D.
Lgs. C.P.S. 17 luglio  1947,  n.  691»,  al  decreto  legislativo  20
novembre 1990, n. 357, recante «Disposizioni sulla  previdenza  degli
enti pubblici creditizi», al D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, recante
«Disciplina delle forme  pensionistiche  complementari»),  nonche'  i
trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti  delle
regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla  legge  20  marzo
1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del
rapporto  di  lavoro  del   personale   dipendente),   e   successive
modificazioni. 
    In questo senso il legislatore del comma 486 non ha  inteso  dare
ascolto alla  censura  di  legittimita'  costituzionale  mossa  nella
sentenza n. 116/2013 alla opzione per la quale a fronte di un analogo
fondamento impositivo, dettato dalla necessita' di  reperire  risorse
per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore non puo'  trattare
diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici. 
    La riproposizione di tale opzione, evidentemente,  lede,  in  via
principale, l'art. 53 Cost.  e  rappresenta  una  manifesta  elusione
dell'arresto costituzionale a  mente  dell'art.  136  Cost.,  con  la
conseguente illegittimita' costituzionale della stessa. 
    3.7. Un ultimo  elemento,  solo  apparentemente  secondario,  che
milita per la sostanziale  identita'  delle  norme  e  della  sottesa
ratio, risiede nel contenuto del dossier della  Camera  dei  Deputati
relativo alla "nuova" norma ed in  particolare  alle  quantificazioni
del gettito stimato del comma 486, contenute nella parte dedicata  al
comma 590 (cfr,  Camera  dei  Deputati,  XVII  Legislatura,  Servizio
Bilancio dello Stato, LEGGE DI STABILITA'  2014  (Legge  27  dicembre
2013, n. 147), Volume II, Articolo 1, commi da 302  a  749,  N.  6  -
Marzo 2014, pagg. 191-192). 
    Infatti nel quantificarsi la stima del  gettito  il  dossier  del
Parlamento rinvia espressamente alle quantificazioni  del  precedente
contributo dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  evidenziando
cosi' la natura eminentemente ripropositiva  del  "nuovo"  contributo
rispetto a  quello  cancellato  dalla  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 116/2013. 
    3.8. Dimostrata l'identita' della fattispecie normativa  prevista
dal comma 486 con quella a suo tempo disciplinata dal  comma  22-bis,
le considerazioni compiute e gli argomenti addotti nella sentenza  n.
116/2013 valgono senza dubbio anche nei confronti del  contributo  di
solidarieta'  nuovamente  introdotto  dal  comma  486,   determinando
l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione  per  violazione
degli articoli 3 e 53 della Costituzione.  In  questo  senso,  sembra
opportuno riportare alcuni  tra  i  passi  piu'  significativi  della
sentenza n, 116. 
    ".... I  redditi  derivanti  dai  trattamenti  pensionistici  non
hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris  generis
rispetto  agli  altri  redditi   presi   a   riferimento,   ai   fini
dell'osservanza dell'art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti
in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa  Corte
ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995,  n.
96  del  1991)  la  particolare  tutela  che  il  nostro  ordinamento
riconosce  ai  trattamenti  pensionistici,  che  costituiscono,   nei
diversi sistemi che la  legislazione  contempla,  il  perfezionamento
della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e
contributivi richiesti". 
    Ebbene  la  disposizione  (re)introdotta,  della   quale   questo
Giudicante  dubita  la  conformita'   alla   Costituzione,   colpisce
negativamente il diritto a pensione inteso nella accezione nobile  di
cui alle pronunce della Corte costituzionale n. 203/1985 e  345/1999,
come  "situazione   finale"   sottratta   "a   conseguenze   negative
astrattamente collegabili all'inerzia del titolare in  ragione  delle
esigenze di certezza e di  stabilita'  connesse  alla  sua  finzione,
attinente  alla  sopravvivenza  della  persona".  I  caratteri  della
certezza e  stabilita'  del  relativo;  trattamento,  cosi'  come  la
caratteristica  di  "situazione  finale"  -  espressione   certamente
riferita  ai  proventi  economici  del  trattamento  pensionistico  -
vengono infatti ingiustamente compromessi dalla norma  in  questione,
la quale ex abrupto e con il fine di rimpinguare il Fondo  INPS  c.d.
esodati,  non  serve  ad  aggirare  il  problema  della  lesione  del
combinato disposto degli artt. 36 e 38 Cost. 
    D'altro canto la Corte costituzionale ha gia' ricordato (sent. n.
349/1985) come non e' consentita una modificazione  legislativa  che,
intervenendo in una fase avanzata  del  rapporto  di  lavoro,  ovvero
quando addirittura e' subentrato lo stato di quiescenza,  peggiorasse
senza un'inderogabile esigenza,  in  misura  notevole  e  in  maniera
definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante,  con
la  conseguente,  irrimediabile   vanificazione   delle   aspettative
legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo  successivo  alla
cessazione della propria attivita'. 
    Appare allora significativa la lettura che la Corte fa  dell'art.
38 Cost., in parallelo con il disposto dell'art.  36,  per  ricavarne
criteri di verifica della congruita'  dei  trattamenti  previdenziali
allo stato di bisogno: criteri che si pongono in funzione  di  limite
ai poteri discrezionali del legislatore (sent. n. 926/1988). 
    Il collegamento fra gli art. 36 e 38, se non implica ex se che il
livello della pensione debba necessariamente attingere  il  traguardo
dell'integrale coincidenza Con la retribuzione goduta all'atto  della
cessazione del servizio (sent. n. 445/1988) comporta, d'altra  parte,
che la proporzionalita' e l'adeguatezza del trattamento di quiescenza
devono sussistere non solo al momento del collocamento a  riposo,  ma
vanno assicurate anche successivamente, in relazione ai mutamenti del
potere di acquisto della moneta, con la conseguente  esigenza  di  un
costante adeguamento del trattamento  stesso  alle  retribuzioni  del
servizio attivo (sent. n. 501/1988). 
    Rimangono cosi' impregiudicate ed irrisolte  tutte  le  questioni
affrontate  dalla  sentenza  n.  116/2013,  che  qui  di  seguito  si
elencano: 
    "A fronte di un  analogo  fondamento  impositivo,  dettato  dalla
necessita' di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il
legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari
di  trattamenti  pensionistici:  il  contributo  di  solidarieta'  si
applica su soglie inferiori e  con  aliquote  superiori,  mentre  per
tutti gli altri cittadini la misura e' ai redditi oltre 300.000  euro
lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la
deducibilita' dal reddito. 
    "Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi  di
cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio
di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., non puo', quindi, che  essere
ricondotto ad un «giudizio  sull'uso  ragionevole,  o  meno,  che  il
legislatore stesso abbia  fatto  dei  suoi  poteri  discrezionali  in
materia tributaria, al fine di verificare la coerenza  interna  della
struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la
non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del
1997). 
    "Anche  in  questo  caso,  e'  necessario  analogamente  rilevare
l'identita'  di  ratio  della  norma  oggi  censurata  rispetto   sia
all'analoga  disposizione  gia'  dichiarata   illegittima,   sia   al
contributo di solidarieta' (l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del  3
per cento sui redditi annui superiori a  300.000  euro,  quest'ultimo
assunto anche quale tertium comparationis. 
    "Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione  finanziaria,
il  legislatore  ha  imposto  ai   soli   titolari   di   trattamenti
pensionistici,  per  la  medesima  finalita',  l'Ulteriore   speciale
prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata
limitazione della platea dei soggetti passivi. 
    Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto  gia'  affermato
nella citata sentenza n. 223 del 2012, e cioe' che  tale  sostanziale
identita' di  ratio  dei  differenti  interventi  "di  solidarieta'",
determina  un  giudizio  di  irragionevolezza  ed  arbitrarieta'  del
diverso  trattamento  riservato  alla  categoria   colpita,   foriero
peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe  potuto  essere  ben
diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse
rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di  solidarieta'
economica, anche modulando diversamente  un  "universale"  intervento
impositivo. 
    "Nel caso di specie, peraltro, il  giudizio  di  irragionevolezza
dell'intervento settoriale  appare  ancor  piu'  palese,  laddove  si
consideri che la  giurisprudenza  della  Corte  ha  ritenuto  che  il
trattamento  pensionistico  ordinario  ha  natura   di   retribuzione
differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del
2006); sicche' il  maggior  prelievo  tributario  rispetto  ad  altre
categorie risulta con piu' evidenza discriminatorio, venendo  esso  a
gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati  a
prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno  esaurito  la
loro vita lavorativa, rispetto ai quali non  risulta  piu'  possibile
neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro". 
    Da tutto quanto precede scaturisce automaticamente la  violazione
dell'art. 136, sussistendo  i  due  elementi  della  identita'  della
fattispecie normativa, desumibile dalla riproduzione delle norme che,
allora come oggi, la disciplinano, e la violazione delle stesse norme
parametro, vale a dire gli artt. 3 e 53 Cost. 
    La  violazione  del  giudicato  costituzionale,   tuttavia,   non
sussiste soltanto per  il  tentativo  non  riuscito  di  superare  le
censure di costituzionalita' di cui  alla  sentenza  n.  116/2013  ma
soprattutto per l'indifferenza manifestata nei confronti  del  monito
ricavabile dalle sentenze n.  223/2012  e  n.  116/2013:  abbandonare
l'illegittima strada di imposizioni settoriali a  carico  di  singole
categorie di cittadini ed imboccare la via maestra di un "universale"
intervento impositivo  ,  eventualmente  nel  solco  di  quanto  gia'
previsto dall'art. 2 del d.l. n. 138/2011  relativamente  all'imposta
del 3% sui redditi annui superiori a 300.000 euro. 
    4.   Questo   Giudicante   dubita   anche   della    legittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art. 1, comma 483  della
Legge n. 147/2013, per contrasto con gli articoli  3,  53,  36  e  38
della Costituzione, nonche' con l'art. 117, primo  comma,  Cost.  per
violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt.  6,
21, 25, 33, 34), come anche interpretata dalla Corte  di  Strasburgo,
nei termini di cui appresso. 
    Secondo tale disposizione "483.  Per  il  triennio  2014-2016  la
rivalutazione automatica dei trattamenti  pensionistici,  secondo  il
meccanismo stabilito  dall'articolo  34,  comma  1,  della  legge  23
dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: 
    a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici
complessivamente pari o inferiori a tre volte il  trattamento  minimo
INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre  volte  il  predetto
trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota
di rivalutazione automatica spettante sulla base di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    b) nella misura del 95 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo  INPS  e
pari o inferiori a quattro  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    c) nella misura del 75 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS
e pari o inferiori a cinque volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto  trattamento
minimo  e  inferiore  a  tale  limite  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito, fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti  pensionistici
complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo  INPS
e pari o inferiori  a  sei  volte  il  trattamento  minimo  INPS  con
riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per  le
pensioni di importo superiore a sei  volte  il  predetto  trattamento
minimo e  inferiore  a  tale  limite,  incrementato  della  quota  di
rivalutazione automatica spettante  sulla  base  di  quanto  previsto
dalla  presente  lettera,  l'aumento  di  rivalutazione  e'  comunque
attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; 
    e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura
del 45 per cento,  per  ciascuno  degli  anni  2015  e  2016,  per  i
trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei  volte  il
trattamento minimo INPS con riferimento all'importo  complessivo  dei
trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014,  non  e'  riconosciuta
con riferimento alle fasce  di  importo  superiori  a  sei  volte  il
trattamento minimo INPS. Al comma 236 dell'articolo 1 della legge  24
dicembre 2012, n. 228, il primo periodo e' soppresso,  e  al  secondo
periodo le parole: «Per le medesime finalita'» sono soppresse". 
    4.1. La perequazione  automatica  dei  trattamenti  pensionistici
viene attribuita sulla base della variazione del  costo  della  vita,
con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo
a  quello  di  riferimento.  In  particolare,  la  rivalutazione   si
commisura al rapporto percentuale tra  il  valore  medio  dell'indice
ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie  di  operai  e  impiegati
relativo all'anno di riferimento  e  il  valore  medio  del  medesimo
indice relativo all'anno precedente. 
    L'art. 69, comma 1, della Legge n. 388/2000  prevede  (a  regime)
che la perequazione automatica operi nella misura  del  100%  per  la
fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino  a  3  volte  il
trattamento minimo INPS; nella  misura  del  90%  per  la  fascia  di
importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3  e  5  volte  il
trattamento minimo INPS; nella  misura  del  75%  per  la  fascia  di
importo dei trattamenti superiore a 5  volte  il  trattamento  minimo
INPS. Successivamente, l'articolo 18, comma 3, del D.L. n. 98/2011 ha
previsto, per il biennio 2012-2013,  limitazioni  alla  rivalutazione
automatica sui trattamenti pensionistici di  importo  superiore  a  5
volte il trattamento minimo INPS. Per tali trattamenti  pensionistici
la rivalutazione non era concessa, con  esclusione  della  fascia  di
importo inferiore a 3 volte il trattamento  minimo,  con  riferimento
alla quale la rivalutazione era comunque applicata nella  misura  del
70%. 
    L'art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011 (c.d. riforma Fornero),
ha poi abrogato l'art. 18, comma 3, del D.L. n.  98/2011,  disponendo
che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, per il
biennio 2012 e 2013,  venga  riconosciuta,  nella  misura  del  100%,
esclusivamente ai trattamenti pensionistici  di  importo  complessivo
fino a 3 volte il trattamento minimo INPS. 
    Il meccanismo di rivalutazione si applica, ai sensi dell'art. 34,
comma  1,  della  Legge  n.  448/1998,  tenendo  conto   dell'importo
complessivo  dei  diversi  trattamenti  pensionistici   eventualmente
percepiti dal medesimo soggetto. 
    Con il comma 483 l'aumento derivante  dalla  rivalutazione  viene
attribuito,  per  ciascun  trattamento,   in   misura   proporzionale
all'importo   del   medesimo   trattamento   rispetto   all'ammontare
complessivo. 
    In particolare, la rivalutazione  dei  trattamenti  pensionistici
opera nei seguenti termini percentuali: 
    100% per i trattamenti pensionistici il cui  importo  complessivo
sia pari o inferiore a 3 volte il trattamento  minimo  INPS  (lettera
a); 
    90% per i trattamenti pensionistici il  cui  importo  complessivo
sia superiore a 3 volte e pari o inferiore  a  4  volte  il  predetto
trattamento (lettera b); 
    75% per i trattamenti pensionistici il  cui  importo  complessivo
sia superiore a 4 volte e pari o inferiore a 5 volte  il  trattamento
minimo (lettera c); 
    50% per i trattamenti pensionistici il  cui  importo  complessivo
sia superiore a 5 volte il medesimo minimo (ferma  restando,  per  il
2014, la norma transitoria per la fascia di importo  dei  trattamenti
pensionistici superiore a 6 volte il minimo -  vedi  sopra)  (lettera
d). 
    La misura percentuale  si  applica  all'importo  complessivo  del
trattamento pensionistico (o dei trattamenti) del soggetto,  anziche'
alle singole fasce di importo. 
    4.2. Con riferimento all'art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011,
la Corte dei conti, Sezione  giurisdizionale  per  l'Emilia  Romagna,
Giudice unico delle pensioni, ha sollevato questione  incidentale  di
legittimita'  costituzionale  con  ordinanza  del  13  maggio   2014,
pubblicata  sulla  Gazzetta  Ufficiale,  la  Serie  Speciale,   Corte
Costituzionale, n. 41 del 1° ottobre 2014. 
    La norma di cui si dubita in questa sede, ha la medesima ratio  e
per ambedue vale  lo  stesso  ordine  di  considerazioni  svolte  dal
remittente Giudice delle pensioni  dell'Emilia  Romagna  che  qui  si
intendono riproporre. 
    In particolare anche la nuova disposizione di cui  al  comma  483
dissimula l'introduzione di una misura volta a realizzare un introito
per l'Erario sotto forma  di  un  risparmio  realizzato  forzosamente
mediante la compressione di un diritto (quale quello  all'adeguamento
dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati; sicche'
la misura avversata dagli interessati sembra sostanziarsi in  realta'
in una sorta di ulteriore prelievo fiscale settoriale (oltre a quello
rappresentato dal contributo di solidarieta' di cui  al  comma  486),
dissimulato, in quanto ontologicamente non differente da quello  gia'
oggetto della pronuncia demolitoria della Corte Costituzionale con la
sent. n. 116/2013, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. 
    4.3. Parimenti sempre il comma 483 appare incostituzionale ove si
consideri  che  la  natura  retributiva  (differita)  delle  pensioni
ordinarie  e'  stata  ormai  definitivamente  statuita  dalla   Corte
costituzionale con la citata sentenza n. 116/2013 al punto  7.3.  del
Considerato in diritto. 
    Anche nel caso  in  esame  traspare  un'ipotesi  di  lesione  del
combinato disposto di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma
censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad  "una  platea
di  soggetti  passivi",  e  cioe'  ai  percettori   del   trattamento
pensionistico, senza estenderla alla generalita'  dei  percettori  di
altre tipologie di reddito (ad esempio, reddito da lavoro privato  ed
autonomo) in violazione in particolare dell'art. 53  Cost.,  nei  due
commi di cui esso si compone, che tutela due interessi di pari rango,
quello della collettivita' al concorso di tutti alle spese pubbliche,
espressivo della funzione solidaristica che fa eco  al  principio  di
uguaglianza (art. 3 Cost.), che gia' aveva informato di se' l'art. 25
dello Statuto albertino  e  quello  del  singolo  al  rispetto  della
propria   capacita'   contributiva,   espressivo    della    funzione
garantistica della norma. Anche in questo caso, come in quelli decisi
con le sentenze n. 223/2012 e n. 116/2013 della Corte  costituzionale
"la sostanziale identita' di ratio dei differenti  ,  interventi  "di
solidarieta'" prelude essa stessa ad un giudizio di  irragionevolezza
ed  arbitrarieta'  del  diverso  trattamento  riservato  ai  pubblici
dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che  avrebbe
potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove  il
legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini
e  di  solidarieta'  economica,  anche  modulando   diversamente   un
"universale" intervento impositivo. 
    Va precisato che anche in ordine alle modificazioni in pejus  dei
meccanismi  perequativi  la   Corte   costituzione   tradizionalmente
richiama   i   criteri   di   razionalita'   e   non    arbitrarieta'
nell'intervento normativo. 
    In particolare ha osservato la  Corte  Costituzionale  (sent.  n.
349/1985) che nel nostro sistema costituzionale non e' interdetto  al
legislatore   di   emanare   disposizioni   le   quali    modifichino
sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di  durata,  anche  se  il
loro oggetto sia costituito da diritti  soggettivi  perfetti,  salvo,
qualora  si   tratti   di   disposizioni   retroattive,   il   limite
costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma,  Cost.).
Dette disposizioni pero', al pari di qualsiasi precetto  legislativo,
non   possono   trasmodare   in   un   regolamento   irrazionale    e
arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere
da  leggi  precedenti,  frustrando  cosi'  anche  l'affidamento   del
cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  che   costituisce   elemento
fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. n. 36
del 1985 e n. 210 del 1971). 
    Se quindi - in via di principio - rispetto  alla  fattispecie  in
esame deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo  che,  nel
rispetto dell'autonomia negoziale  privata,  modifichi  l'ordinamento
pubblicistico delle pensioni, non  puo'  pero'  ammettersi  che  tale
intervento sia assolutamente discrezionale. 
    In particolare non potrebbe dirsi  consentita  una  modificazione
legislativa che, intervenendo in una fase avanzata  del  rapporto  di
lavoro,  ovvero  quando  addirittura  e'  subentrato  lo   stato   di
quiescenza, peggiorasse senza  un'inderogabile  esigenza,  in  misura
notevole e in maniera  definitiva  un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vinificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita'. 
    4.4. Sulla base del disposto di cui all'art. 117, comma 1,  della
Costituzione, come introdotto dalla Legge  Costituzionale  n.  3/2001
(cfr. Corte cost. sentt. nn. 348  e  349/2007),  ulteriore  parametro
evocabile, nella  specie,  e'  la  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (espressamente riconosciuta dall'Unione europea sulla  base
dell'art. 6 del  Trattato  sull'Unione  europea),  come  interpretata
dalla Corte di Strasburgo,  avente  natura  di  parametro  interposto
rispetto al citato  art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  la
disposizione  di  legge  censurata  pare  confliggere  tanto  con  il
principio della  certezza  del  diritto  come  patrimonio  comune  di
tradizioni degli Stati contraenti, che  sopporta  eccezioni  solo  se
giustificate dal sopraggiungere di rilevanti  circostanze  di  ordine
sostanziale (cfr. sentenza della V sezione del 19/7/2007, nel ricorso
69533/01  della  Corte  di  Strasburgo),  quanto  con  altri  diritti
garantiti dalla Carta: il diritto dell'individuo alla liberta' e alla
sicurezza (art. 6), il diritto di non  discriminazione,  che  include
anche quella fondata sul "patrimonio" (art.  21),  il  diritto  degli
anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25),  il
diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico
e sociale (art. 33),  il  diritto  di  accesso  alle  prestazioni  di
sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34). 
    5.  Questo  Giudicante   dubita,   infine,   della   legittimita'
costituzionale della disposizione di  cui  all'art.  1,  collima  590
della Legge n. 147/2013, per contrasto con gli articoli 3 e 53  della
Costituzione. 
    Il comma 590 appare lesivo dell'art. 53, comma 1, Cost.,  laddove
prevede che, ai fini del raggiungimento del limite di 300.000,00 euro
- oltre i quali il contributo di solidarieta' e' pari al 3%,  secondo
quanto previsto gia' dall'art. 2,  comma  2  del  D.L.  n.  138/2011,
prorogato all'intero triennio 2014-2016 dal richiamato comma 590 - si
debba tener conto anche dei trattamenti pensionistici percepiti,  sui
quali pero' non si applica il  contributo  nella  misura  del  3%  ma
quello molto maggiore del 18%  stabilito  dal  precedente  comma  486
della medesima disposizione. 
    Inoltre la norma viola anche  il  secondo  comma  della  medesima
disposizione costituzionale; mentre infatti il comma 486  colpisce  i
pensionati  con  un  c.d.  contributo  di   solidarieta'   fortemente
progressivo articolato in tre aliquote, che raggiungono  il  18%  del
trattamento   complessivo    lordo    per    la    parte    eccedente
approssimativamente i 190 mila euro, il comma 590 incide su tutti gli
altri percettori di redditi, esclusi i pensionati, con un  contributo
di solidarieta', al pari del primo destinato a  far  fronte  a  spese
pubbliche, che  contempla  la  sola  aliquota,  fissa  e  quindi  non
progressiva, del 3% per giunta deducibile, sul  reddito  superiore  a
300 mila euro. Al raggiungimento di questo ultimo importo  concorrono
anche i trattamenti pensionistici, ma i pensionati non sono tenuti  a
corrispondere il contributo di solidarieta', previsto dal comma  590,
con la logica implicazione  che  nel  caso  in  cui  i  loro  redditi
complessivi, compresi quelli pensionistici, dovessero superare i  300
mila euro, essi sarebbero tenuti a versare non il 3%,  ma  dovrebbero
continuare a pagare il 18% di cui  si  e'  sopra  detto:  con  palese
violazione, oltre che del primo, anche del secondo comma dell'art. 53
Cost., che vuole il  sistema  tributario  ispirato  al  principio  di
progressivita' e non di regressivita'. Sotto questo profilo il  comma
590  appalesa  quindi  anche  una   violazione   del   principio   di
uguaglianza, in senso sostanziale, di cui all'art. 3 Cost., posto che
finisce con il differenziare all'interno di coloro  che  percepiscono
il medesimo quantum pensionistico la misura del contributo  realmente
da pagarsi. 
    6. Per quanto esposto sopra, ai sensi dell'art. 23 secondo comma,
della Legge n.  87/1953,  appaiono  rilevanti  e  non  manifestamente
infondate le questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
commi 486 e 487 della legge 27 dicembre 2013, n. 147,  per  contrasto
con gli  articoli  3,  4,  35,  36,  38,  53,  81,  97  e  136  della
Costituzione e dell'art. 1, comma 482 della legge 27  dicembre  2013,
n. 147, per contrasto con gli articoli 3, 36,  38,  53  e  136  della
Costituzione,  nonche'  con  Part.  117,  primo  comma,   Cost.   per
violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo  (art.  6,
diritto dell'individuo alla  liberta'  e  alla  sicurezza;  art.  21,
diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata  sul
"patrimonio"; art. 25, diritto degli anziani, di  condurre  una  vita
dignitosa e indipendente; art.  33,  diritto  alla  protezione  della
famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art.  34,  diritto
di accesso  alle  prestazioni  di  sicurezza  sociale  e  ai  servizi
sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.