LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria Il Giudice Unico delle Pensioni, Cons. Quirino Lorelli ha pronunciato la seguente ordinanza N. 27/2015 sul ricorso in materia di pensioni civili, iscritto al n. 20392 del registro di segreteria, proposto da GENTILE Domenico, nato a Panettieri (CS), il 30 agosto 1924, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni C. Sciacca, Piero D'Amelio e Erika Chiodo, nei confronti dell'I.N.P.S., in persona del legale rapp.te pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti G. Greco e F. Muscari Tomaioli; Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato presso la segreteria della Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria il 12 agosto 2014, recante la richiesta di corresponsione del trattamento pensionistico senza assoggettamento al contributo di solidarieta' e la restituzione di quanto trattenuto a tal titolo a far data dalla applicazione del contributo; Visto il provvedimento presidenziale di assegnazione del giudizio; Visti gli artt. 71 e segg. del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; Visti gli artt. 13 e 62 e segg. del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214; Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161; Visto il D.L. 15 novembre 1993, n. 453; Vista la legge 21 luglio 2000 n. 205; Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale; Uditi nell'udienza del 15 dicembre 2014 l'avvocato E. Chiodo per delega per il ricorrente e l'avv.to G. Greco per l'Inps; F a t t o Con ricorso giurisdizionale depositato il 12/8/2014, il dr. Domenico Gentile, premesso di essere magistrato amministrativo a riposo, chiedeva a questa Corte dei conti, giudice delle pensioni, la corresponsione del proprio trattamento pensionistico senza assoggettamento al contributo di solidarieta' introdotto dall'art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 e la restituzione di quanto trattenuto a tal titolo a far data dalla applicazione del contributo (gennaio 2014), previa remissione alla Corte costituzionale del giudizio per manifesta illegittimita' costituzionale della predetta norma, contrastante con gli artt. 2, 3 e 53 Cost. e del precedente comma 483 della medesima, concernente la rivalutazione automatica delle pensioni, per contrasto con gli artt. 3, 53, 36 e 38 Cost., nonche' art. 117, primo comma, per violazione degli artt. 6, 21, 25, 33 e 34 della C.E.D.U. Precisa il ricorrente che la legge di stabilita' per il 2014 (L. n. 147/2013) avrebbe riproposto in senso peggiorativo il contributo c.d. di solidarieta' di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, cosi' come ulteriormente modificato dall'articolo 24, comma 31-bis del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della Corte costituzionale n. 116/2013. Ritiene il ricorrente - riportando ampi passi della pronuncia predetta - che vi sia una sostanziale identita' delle due fattispecie normative e che il legislatore avrebbe cercato di superare attraverso un mero espediente lessicale posto che il contributo di solidarieta' di cui alla nuova norma costituirebbe una "vera e propria imposta". Rileva ancora il ricorrente che la decurtazione del trattamento pensionistico sarebbe stata imposta in via unilaterale ed autoritativa, che la doverosita' della prestazione sarebbe stabilita' con legge in assenza di un rapporto sinallagmatico e che esisterebbe un collegamento del contributo di solidarieta' con la spesa pubblica, posto che il relativo introito incrementerebbe le risorse apprestate dallo Stato a favore degli esodati senza diritto a pensione di cui alla c.d. legge Fornero. In tal ultimo senso rileva ancora il ricorrente che la indeterminatezza della formulazione letterale del comma 486 dell'art. 1 della Legge n. 147/2013 costituirebbe un ulteriore indizio della sua irrazionalita', posto che non sarebbe chiaro a cosa risulterebbero destinate le somme derivanti dai contributi di solidarieta'. In ogni caso ove la norma fosse finalizzata ad un riequilibrio tra pensioni liquidate col sistema contributivo e quelle liquidate col sistema retributivo, essa sarebbe comunque non applicabile a quelle categorie di personale che, come il ricorrente, sono state collocate a riposo all'eta' di 75 anni, quindi ben dopo l'eta' media di collocamento a riposo delle restanti categorie di lavoratori: infatti i soggetti collocati a riposo a 75 anni, cioe' ben dopo i restanti lavoratori, avrebbero gia' versato un monte contributivo ben superiore degli altri e, dunque, gia' ampiamente concorso a quei fini di solidarieta' sottesi alla norma. Rappresenta ancora il ricorrente che la norma di cui al citato comma 486 finisce con il colpire non qualunque reddito, bensi' solo i trattamenti pensionistici complessivi lordi, ma non i trattamenti economici di attivita' di altri lavoratori, finendo con il tradire il fine di solidarieta' che, al contrario, vi sarebbe sotteso ed immanente: infatti dalla applicazione del contributo deriverebbe una arbitraria diminuzione delle retribuzioni differite dei lavoratori in quiescenza, con irragionevole deroga ai principi fondamentali di eguaglianza a parita' di reddito, di universalita' dell'imposizione e di concorso agli oneri pubblici in proporzione alle rispettive capacita' retributiva. Rileva poi il ricorrente come anche le successive disposizioni di cui ai commi 487 e 590 dell'art. 1 della Legge n. 147/2013, renderebbero palese la incostituzionalita' della previsione, posto che, per un verso, quanto ai dipendenti delle Regioni e delle Province autonome la norma si applicherebbe solo quale disposizione di principio e, quindi, solo previa trasposizione della stessa nei rispettivi ordinamenti regionali e provinciali, finendo con il tradursi in una (ulteriore) causa di disparita' di trattamento tra categorie di lavoratori pubblici (quelli dipendenti dallo Stato o, comunque, disciplinati dalla legislazione statale e quelli regolati dalla legislazione regionale), con violazione degli artt. 3 e 53 Cost.; sotto altro profilo anche il successivo comma 590 risulterebbe lesivo dell'art. 53, comma 1, Cost., laddove prevederebbe che, ai fini del raggiungimento del limite di 300.000,00 euro - oltre i quali il contributo di solidarieta' e' pari al 3%, secondo quanto previsto gia' dall'art. 2, comma 2 del D.L. n. 138/2011, prorogato all'intero triennio 2014-2016 dal richiamato comma 590 - si debba tener conto anche dei trattamenti pensionistici percepiti, sui quali pero' non si applica il contributo nella misura del 3% ma quello molto maggiore del 18% stabilito dal precedente comma 486 della medesima disposizione. Inoltre la norma violerebbe anche il secondo comma della medesima disposizione costituzionale: mentre infatti il comma 486 colpisce i pensionati con un c.d. contributo di solidarieta' fortemente progressivo articolato in tre aliquote, che raggiungono il 18% del trattamento complessivo lordo per la parte eccedente approssimativamente i 190 mila euro, il comma 590 incide su tutti gli altri percettori di redditi, esclusi i pensionati, con un contributo di solidarieta', al pari del primo destinato a far fronte a spese pubbliche, che contempla la sola aliquota, fissa e quindi non progressiva, del 3% per giunta deducibile, sul reddito superiore a 300 mila euro. Al raggiungimento di questo ultimo importo concorrono anche i trattamenti pensionistici, ma i pensionati ;non sono tenuti a corrispondere il contributo di solidarieta', previsto dal comma 590, con la logica implicazione che nel caso in cui i loro redditi complessivi, compresi quelli pensionistici, dovessero superare i 300 mila euro, essi sarebbero tenuti a versare non il 3%, ma dovrebbero continuare a pagare il 18% di cui si e' sopra detto: con palese violazione, oltre che del primo, anche del secondo comma dell'art. 53 Cost., che vuole il sistema tributario ispirato al principio di progressivita' e non di regressivita'. Si e' costituito in giudizio l'INPS, depositando memoria in data 19/11/2014, eccependo, preliminarmente, il difetto di giurisdizione della Corte dei conti, posto che il ricorso introduttivo qualificherebbe espressamente come tributario il prelievo operato sui ratei pensionistici, in applicazione della succitata previsione legislativa della quale viene lamentata, in via primaria e principale, la incostituzionalita'. In questo senso, infatti, la giurisdizione spetterebbe al giudice tributario ai sensi dell'art. 2 del D. Lgs. n. 546/1992. Anche ove volesse farsi riferimento al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non alla impostazione e qualificazione giuridica adottata nel ricorso introduttivo, difetterebbe, sempre a parere dell'ente previdenziale, la giurisdizione della Corte dei conti in favore di quella dell'A.G.O. e, precisamente, del giudice del lavoro. In punto di diritto secondo l'INPS l'assimilabilita' ad un tributo del contributo ,di solidarieta' sarebbe pero' possibile nei limiti in cui si ritenga di qualificare come tributo i contributi previdenziali, qualificazione pacifica in altri ordinamenti, ma contestata in Italia. Precisa al riguardo parte resistente che i contributi previdenziali non costituiscono una tassa od una imposta, sia perche' il versamento non e' posto a carico dei soli utenti del servizio, sia perche' non sono destinati genericamente alle casse dello Stato, ma finalizzati al mantenimento del sistema previdenziale-assistenziale (c.d. welfare). I contributi previdenziali avrebbero una finalita' specifica diretta al cofinanziamento del sistema previdenziale obbligatorio al cui sostentamento contribuirebbero insieme alla fiscalita' generale, a cui si associano, pur senza sostituirla: essi dunque risulterebbero legittimi e ad essi non potrebbero trovare applicazione i presupposti sanciti per i prelievi di tipo tributario. Sostiene quindi l'INPS che le somme trattenute ai pensionati, come nel caso di specie, vengono riversate direttamente al sistema previdenziale al fine specifico di garantirne la sostenibilita', l'aliquota contributiva verrebbe parametrata agli importi percepiti e l'importo trattenuto andrebbe ad abbattere l'imponibile IRPEF che quindi opera solo sugli importi nettizzati da tale trattenuta. La conseguenza di tale ragionamento e' che non si sarebbe di fronte ad una imposizione fiscale analoga a quella del contributo di perequazione, bensi' ad una prestazione di tipo patrimoniale, il che renderebbe inconcludente il ragionamento fatto dal ricorrente in ordine alla sostanziale identita' dei prelievi ad opera della norma dichiarata incostituzionale e di quella di cui si invoca la rimessione al giudice delle leggi per supposta incostituzionalita'. In data 28 novembre 2014 il ricorrente ha depositato memorie illustrative, nelle quali ribadisce la sussistenza della giurisdizione di questa Corte dei conti, sulla scorta di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 116/2013 e dalla stessa Sezione territoriale nella sentenza n. 372/2013. Puntualizza anche il ricorrente che la norma della quale si invoca il vaglio del giudice delle leggi avrebbe previsto un sistema di trattenute sui ratei di pensione che reitera, aggravandole, quelle gia' ritenute costituzionalmente illegittime con la surrichiamata sentenza n. 116/2013 e ribadisce tutte le proprie difese in punto di diritto, gia' spiegate nel ricorso introduttivo ed, in particolare, la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., sia sotto il profilo per il quale le trattenute de quibus si connoterebbero come un prelievo fiscale, sia sotto il diverso profilo della violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza fra i cittadini nonche' di generalita' e progressivita' dell'imposizione, come giudicato dalla sentenza n. 116/2013. Le medesime disposizioni costituzionali risulterebbero anche lese sotto l'ulteriore profilo della ingiustificata limitazione del novero dei soggetti passivi che renderebbe il tributo irragionevole. Rappresenta ancora il ricorrente nella memoria che sarebbero lesi gli artt. 1, 2 e 3 della Costituzione poiche' essendo le pensioni retribuzioni differite, sarebbero munite di una protezione preferenziale derivante dall'essere il lavoro il valore fondante della Repubblica ai sensi della norma di apertura della Carta Costituzionale. Sarebbe inoltre leso l'art. 2 della Costituzione essendo ignorato il dovere solidaristico cui debbono conformarsi tutte le prestazioni patrimoniali imposte; inoltre nella norma il principio di solidarieta' sarebbe invocato (nel nomen del prelievo) in maniera del tutto erronea in quanto verrebbero arbitrariamente diminuite le retribuzioni differite dei soli lavoratori in quiescenza, confondendosi le pensioni retributive con gli interventi di solidarieta' sociale. All'udienza del 15/12/2014 la causa e' stata trattenuta, con riserva di deposito entro i sessanta giorni del relativo provvedimento Diritto 1. Rileva in via preliminare questo Giudicante che presupposto della controversia - avente ad oggetto la richiesta di corresponsione integrale del trattamento pensionistico da parte di un magistrato in pensione, senza l'assoggettamento al contributo c.d. di solidarieta', nonche' la richiesta di rivalutazione del proprio trattamento pensionistico, modificata in pejus - e' rappresentato, per un verso, dalla (re)introduzione di detto contributo con l'art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014, pubblicata sul supplemento n. 87 della Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013), per altro verso, dalla modificazione in pejus del meccanismo rivalutativo di cui all'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ad opera dell'art. 1, comma 483, lett. e) della medesima Legge n. 147/2013. E' evidente che, senza la introduzione in sede legislativa di tale contributo e senza la riduzione del sistema rivalutativo, la richiesta del ricorrente non avrebbe alcuna ragion d'essere. E' quindi pacifico che: - a seguito della applicazione, a far data dal mese di maggio 2014, del contributo di solidarieta' di cui anzidetto, il trattamento pensionistico del ricorrente viene a subire una rilevante diminuzione, - a seguito della previsione di cui al comma 483 la rivalutazione automatica del trattamento pensionistico del ricorrente e' stata ridotta ed, in particolare, e' stata rideterminata, per il triennio 2014/2016, nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non e' stata riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Tali considerazioni consentono di poter affermare pienamente la giurisdizione della Corte dei conti, a termini dell'art. 71 del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, degli artt. 13 e 62 del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, dell' art. 6 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, conv. in Legge 14 gennaio 1994, n. 20 e dell'art. 5 della Legge 21 luglio 2000, n. 205. Le medesime considerazioni consentono poi di ritenere infondato il dubbio sulla esistenza della giurisdizione di questa Corte sollevato dall'Istituto previdenziale resistente, posto che non viene in questione l'applicazione di un tributo o tassa od imposta che vadano a colpire un reddito od un patrimonio, bensi' che trattasi di un prelievo eccezionale, autorizzato da espressa disposizione legislativa. La giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni ha carattere esclusivo, in quanto affidata al criterio di collegamento costituito dalla materia. In essa sono, dunque, comprese tutte le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisca elemento identificativo del petitum sostanziale ovvero sia comunque in questione la misura della prestazione previdenziale. La circostanza che il contributo di perequazione sia previsto da una norma "di natura tributaria" non trasformerebbe il rapporto tra enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario. Nella fattispecie tale rapporto, al quale e' estranea l'Amministrazione finanziaria - coerentemente non evocata in giudizio - non riguarda una contestazione diretta della debenza all'Erario della somma trattenuta, ovvero un rapporto tributario tra contribuente ed Amministrazione. Le controversie relative all'indebito pagamento dei tributi seguono, infatti, la regola della devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario soltanto allorche' si debba impugnare uno degli atti previsti dall'art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10 di tale decreto legislativo. Quando la controversia si svolga tra due soggetti privati in assenza di un provvedimento impugnabile soltanto dinanzi al giudice tributario, il giudice ordinario, quindi, si riappropria della giurisdizione, non rilevando che la composizione della lite necessiti della interpretazione di una norma tributaria. Quindi la natura tributaria della norma che prevede il contributo di perequazione non trasforma il rapporto tra enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e beneficiari dei relativi trattamenti pensionistici in un rapporto tributario, in quanto la devoluzione alla giurisdizione speciale del giudice tributario presuppone che sia impugnato uno degli atti previsti dall'art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e che il convenuto in senso formale sia uno dei soggetti indicati nell'art. 10 di tale decreto legislativo. 1.2. Si impone quindi che l'esame della controversia inizi dalla censura di illegittimita' costituzionale dell'introduzione (o reintroduzione) del contributo in questione con l'art. 1, comma 486 della legge 27 dicembre 2013, n. 147. La questione non e' manifestamente infondata posto che la disposizione in questione non solo non e' mai stata sottoposta al vaglio di costituzionalita' del giudice delle leggi, ma, soprattutto, ha natura palesemente ripropositiva di altra norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima; inoltre nel caso di specie la infondatezza della questione di costituzionalita' sollevata dal ricorrente non si palesa tale da poter essere rilevata in termini di semplice delibazione e con una cognizione sommaria da parte di questo Giudicante. Infine, nel caso di specie ed a supporto della rilevanza della questione, va precisato che non si verte in ipotesi di assenza di ogni minimo dubbio circa la costituzionalita' della disciplina legislativa relativa al caso trattato e, piu' precisamente, alla norma introduttiva del contributo, posto che sotto plurimi profili ed in relazione a diverse norme costituzionali, questo Giudicante dubita della piena conformita' della disposizione in questione rispetto al principio di uguaglianza, a quello di solidarieta', a quello di equita' nel prelievo di quote di reddito. 1.3. L'art. 1, commi 486 e 487, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, un contributo di solidarieta' sui trattamenti pensionistici corrisposti esclusivamente da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e sui vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto funzioni pubbliche elettive erogati dagli organi costituzionali, dalle Regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano. Tale contributo si applica ai trattamenti lordi complessivamente superiori quattordici volte il trattamento minimo, per la parte eccedente i limiti previsti. Il contributo opera a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie e le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali. Segnatamente il comma 486 stabilisce che: "486. A decorrere dall'1 gennaio 2014 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo INPS, e' dovuto un contributo di solidarieta' a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie, pari al 6 per cento della parte eccedente il predetto importo lordo annuo fino all'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS, nonche' pari al 12 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di venti volte il trattamento minimo INPS e al 18 per cento per la parte eccedente l'importo lordo annuo di trenta volte il trattamento minimo INPS. Ai fini dell'applicazione della predetta trattenuta e' preso at riferimento il trattamento pensionistico complessivo lordo per l'anno considerato. L'INPS, sulla base dei dati che risultano dal casellario centrale dei pensionati, istituito con decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1388, e' tenuto a fornire a tutti gli enti interessati i necessari elementi per l'effettuazione della trattenuta del contributo di solidarieta', secondo modalita' proporzionali ai trattamenti erogati. Le somme trattenute vengono acquisite dalle competenti gestioni previdenziali obbligatorie, anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo." Il successivo comma 487, prevede poi che: "487. I risparmi derivanti dalle misure di contenimento della spesa adottate, sulla base dei principi di cui al comma 486, dagli organi costituzionali, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, nell'esercizio della propria autonomia, anche in riferimento ai vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto finzioni pubbliche elettive, sono versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere destinati al Fondo di cui al comma 48" Le disposizioni sono state immediatamente impugnate dalla Regione Siciliana, con ricorso 5 marzo 2014, n. 17, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, la Serie Speciale - Corte Costituzionale n. 18 del 23 aprile 2014, ma limitatamente al profilo - totalmente estraneo al presente giudizio - della violazione dell'art. 4 dello Statuto Regionale, posto che "Nel caso della Regione Siciliana, e con riferimento quindi alle pensioni e vitalizi erogati dall'ARS, rispettivamente al personale e ai deputati, si rileva che la determinazione di tali trattamenti di quiescenza rientra nella potesta' regolamentare della stessa Assemblea Regionale Siciliana ai sensi dell'articolo 4 dello Statuto. L'eventuale obbligo di adottare una misura di contenimento della spesa, sulla base dei principi di cui al comma 486, lede la sfera di autonomia propria dell'ARS garantita da una norma di rango costituzionale quale quella contenuta nell'articolo 4 dello Statuto siciliano", 2. Negli ultimi anni il legislatore e' intervenuto ripetutamente sui trattamenti previdenziali di importo piu' elevato. In particolare vanno ricordati l'articolo 3, commi 102-103, della legge n. 350/2003, che ha previsto un contributo di solidarieta' del 3% sui trattamenti pensionistici corrisposti dagli enti gestori della previdenza obbligatoria con importi complessivamente superiori a 25 volte (170.914,25 euro) il trattamento minimo delle pensioni nel regime generale INPS (6.836,57 euro) stabilito secondo l'articolo 38, comma 1 della legge L n. 448/2001; l'articolo 1, comma 2, lettera u) primo e secondo periodo, della legge n. 243/2004, che ha disposto un contributo di solidarieta' del 4% per le pensioni elevate su importi maggiori di 25 volte il trattamento minimo, rivalutabile per gli anni successivi al 2007, in base alle variazioni integrali del costo della vita (c.d. pensioni d'oro); secondo i successivi periodi concorrono ai fini del contributo di solidarieta' i trattamenti integrativi per i soggetti con prestazioni aggiuntive o integrative (BI-UIC, enti pubblici creditizi, dipendenti pubblici, personale imposte consumo aziende gas esattorie e ricevitorie imposte dirette); l'articolo 1, commi 222-223 della legge 296/2006, che hanno previsto un contributo di solidarieta' a partire dal 1° gennaio 2007 del 15% sul TFR o il TFS e i trattamenti integrativi di importo complessivo superiore a 1,5 mln €; l'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98/2011, che ha introdotto un contributo di perequazione, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5% per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10% per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15% per la parte eccedente i 200.000 euro. Tale ultimo contributo, per come meglio in seguito precisato, e' stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 116/2013. 3. Questo Giudicante dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 486 della Legge n. 147/2013, per contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 Cost., quest'ultima con riferimento alla elusione del giudicato costituzionale di cui alla sentenza n. 116/2013. 3.1. Va rilevato come il nomen attribuito dal legislatore al prelievo reintrodotto dall'art. 1 , comma 486 della Legge n. 147/2013 sui redditi da pensione (contributo di solidarieta'), costituisca un vero e proprio artifizio retorico volto a veicolare nella pubblica opinione l'idea di una operazione di redistribuzione sociale dei redditi che, tuttavia, non corrisponde al vero. Tradizionalmente i contributi di solidarieta', per come ricostruiti sotto il profilo teleologico e giuridico dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 421/1995, 178/2000 e 121/2002, le quali hanno respinto le eccezioni di costituzionalita' delle relative norme istitutive, si configuravano come prelievi a carico dei datori di lavoro volti a rimpinguare fondi ed istituti previdenziali con evidenti finalita' di garanzia di livelli adeguati e sufficienti dei trattamenti pensionistici delle categorie sociali piu' deboli. Detti contributi dunque venivano a configurarsi come contropartite rispetto ad esoneri nei versamenti contributivi riconosciuti ai datori di lavoro, sicche' palese e chiara ne era la natura perequativa (sent. n. 369/1992), redistributiva e sociale contemplata dagli artt. 3, 4, 35, 36, 38 e 53 anche nella loro interpretazione unitaria ed adeguatrice. Nella sentenza n. 121/2002 appare cosi' illuminante il seguente passaggio "... il definitivo esonero dal pagamento degli ordinari contributi, per non porsi in contrasto con i principi di razionalita-equita' e di solidarieta', avrebbe dovuto necessariamente essere bilanciato da una contropartita, analoga al contributo di solidarieta'; e d'altra parte, la determinazione del contributo in misura notevolmente inferiore al debito originario, senza oneri accessori e con modalita' di pagamento rateale, costituisce un indubbio beneficio per i datori di lavoro". Nella norma di cui oggi si dubita invece non solo non esiste alcuna contropartita,. a favore del pensionato colpito, ma addirittura si va a colpire una sola ed unica categoria sociale - i titolari di trattamenti pensionistici - i quali dovrebbero essere i soggetti forniti di maggior tutela sociale, giuridica ed economica in ragione del principio generale dell'art. 38 Cost. Sotto questo profilo quindi il comma 486 appare lesivo degli artt. 3, 4, 35, 36, 38 e 53 Cost. 3.2. Un secondo singolare profilo di incostituzionalita', legato essenzialmente al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., e' rappresentato dal fatto che il contributo potrebbe essere diversamente disciplinato nel quantum dalle Regioni a Statuto speciale, come e' accaduto nel caso della Regione Sicilia che ha adottato apposita previsione legislativa (art. 22 della legge regionale 12 agosto 2014, n. 21, recante "Assestamento del bilancio della Regione per l'anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l'esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 'Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014. Legge di stabilita' regionale'. Disposizioni varie" e pubblicata sulla G.U.R.S., Parte I, n. 34 del 19 agosto 2014). E' evidente che rimettere alle singole legislazioni regionali la quantificazione e determinazione del contributo appare in antitesi rispetto al suo carattere perequativo finalizzato a rimpinguare il fondo nazionale INPS destinato agli esodati in quanto diversifica tra loro i medesimi soggetti passivi del contributo sulla base della loro residenza territoriale. Anche sotto tale profilo quindi la norma appare incostituzionale. 3.3. La giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale, con riferimento ai principali profili della materia (natura dei contributi previdenziali, adeguatezza delle prestazioni ai sensi dell'articolo 38 Cost., limitazione di benefici precedentemente riconosciuti e conseguente discrezionalita' del legislatore, tutela dell'affidamento dei singoli e sicurezza giuridica) riflette, sostanzialmente, l'evoluzione della legislazione pensionistica, segnata dall'inversione di tendenza operata a partire dagli anni '90 a fronte dell'esplosione della spesa e della necessita' di garantire la sostenibilita' di lungo periodo del sistema. Negli anni '60 e '70 la Corte e' stata impegnata soprattutto nel tentativo di dare razionalita' a un quadro normativo assai complesso e articolato (ereditato in parte dalla legislazione fascista), che si caratterizza per le numerose sentenze "additive" con le quali, assumendo a parametro l'articolo 3 della Costituzione (principio di uguaglianza formale e sostanziale), si procede ad adeguare le normative meno favorevoli a quelle piu' favorevoli, livellando verso l'alto prestazioni e benefici (tra le tante: sentenze n. 78 del 1967; n. 124 del 1968; n. 5 del 1969; n. 144 del 1971, n. 57 del 1973 e n. 240/1994). Per quanto concerne, specificamente, la possibilita' per il legislatore di modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, la giurisprudenza di questo periodo (sentenze n. 26/80 e 349/85), facendo leva sugli artt. 36 Cost. e 38 Cost., porta sostanzialmente a ritenere che il lavoratore abbia diritto a "una particolare protezione, nel senso che il suo trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza del rapporto di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa". A tale riguardo la Corte precisa, in particolare, che "proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze di vita non sono solo quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che, siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di appartenenza per effetto dell'attivita' lavorativa svolta" (sentenza n. 176/1986). A partire dalla seconda meta' degli anni '80, la Corte fornisce il proprio contributo per invertire le spinte espansionistiche insite nel sistema, valorizzando il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilita' economiche e finanziarie. Gia' nelle sentenze n. 180/1982 e n. 220/1988 la Corte afferma il principio della discrezionalita' del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali tenendo conto della disponibilita' delle risorse finanziarie. Le scelte del legislatore, volte a contenere la spesa (anche con misure peggiorative a carattere retroattivo), vengono tuttavia censurate dalla Corte laddove la normativa si presenti manifestamente irrazionale (sentenze n. 73/1992, n. 485/1992 e n. 347/1997). Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte, pur con una giurisprudenza non sempre lineare (frutto del compromesso tra la logica mutualistica e quella solidaristica che, allo stesso tempo, informano il nostro sistema previdenziale), ha affermato che "i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa, ma di tutti i lavoratori e, peraltro, in proporzione del reddito che si consegue, sicche' i lavoratori a redditi piu' alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi piu' bassi"; allo stesso tempo, pero', per quanto i contributi trascendano gli interessi dei singoli che li versano, "essi danno sempre vita al diritto del lavoratore di conseguire corrispondenti prestazioni previdenziali", cio' da cui discende che il legislatore non puo' prescindere dal principio di proporzionalita' tra contributi versati e prestazioni previdenziali (sentenza n. 173/1986; si vedano anche, a tale proposito, le sentenze n. 501/1988 e n. 96/1991). Per quanto concerne i trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla cristallizzazione normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilita' di intervenire con scelte discrezionali, purche' cio' non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente (sentenze n. 349/1985, n. 173/1986, n. 822/1988, n. 211/1997, n, 416/1999). Per quanto concerne, specificamente, la giurisprudenza costituzionale relativa ai contributi di solidarieta' sulle pensioni, si segnala, in primo luogo, la sentenza n. 146/1972, con cui la Corte ha rigettato la questione di costituzionalita' dell'articolo unico della legge n. 369/1968, che introduceva un contributo di solidarieta' progressivo (16% fino a 12 milioni; 32% da 12 a 18 milioni; 48% oltre 18 milioni), a carico dei trattamenti previdenziali superiori a 7.200.000 lire, finalizzato a contribuire all'istituzione delle pensioni sociali. In tale occasione la Corte osservava che la legittimita' del contributo, di cui evidenziava il carattere tributario in forza della progressivita' delle aliquote e dall'assenza di limiti temporali, si legava al nesso teleologico tra il contributo medesimo e "la destinazione del relativo provento alla realizzazione di un interesse pubblico, quale la collaborazione all'apprestamento dei mezzi per l'attuazione di quel principio generale di sicurezza sociale, sancito dal primo comma dell'articolo 38 Cost., cui e' appunto informata la istituzione delle pensioni sociali". Chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla stessa disposizione legislativa, con la sentenza n. 119/1981 la Corte, prendendo atto che nel frattempo il legislatore, dando attuazione all'articolo 53 Cost., aveva provveduto ad introdurre un'imposta personale progressiva (IRPEF, introdotta a decorrere dal 1° gennaio 1974), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del contributo di solidarieta' limitatamente alla sua applicazione successivamente al 1° gennaio 1974. La Corte osserva che "le pensioni assoggettate alla "ritenuta" sono state, nel biennio che intercorre tra il 1 gennaio 1974 (inizio dell'applicazione dell'IRPEF) ed il 1 gennaio 1976 (cessazione dell'efficacia delle disposizioni istitutive del contributo di solidarieta'), incise da un duplice prelievo per effetto di due concomitanti imposizioni, la cui progressivita', caratteristica di entrambe, non e' stata nemmeno coordinata. Appare in conseguenza vulnerato il principio dell'eguaglianza in relazione alla capacita' contributiva, sancito dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, atteso che, nei confronti dei titolari di altri redditi, e piu' specificamente di redditi da lavoro dipendente (cui la pensione, ai fini dell'applicazione dell'IRPEF, e' assimilata), i titolari delle pensioni su cui si e' applicato tanto l'IRPEF quanto la ritenuta a favore del Fondo sociale, sono stati, a parita' di reddito e di capacita' contributiva, colpiti in misura ingiustificatamente e notevolmente maggiore". Successivamente, la Corte (ordinanza n. 22/2003, confermata dall'ordinanza n. 160/2007) ha rigettato la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 37 della legge n. 488/1999, con cui era stato introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, un contributo di solidarieta' del 2 per cento sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori a un massimale annuo (123 milioni di lire). 3.4. L'art. 1, comma 486, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 ripropone, in senso peggiorativo per i pensionati, la disposizione di cui all'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, cosi' come ulteriormente modificato dall'articolo 24, comma 31-bis del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. In ambedue i casi si tratta di un contributo di solidarieta' imposto coattivamente per legge ai soli pensionati, diversamente dal contributo del 3% imposto nei confronti di tutti i contribuenti percettori di un reddito lordo superiore ad € 300.000, salva la deducibilita' dal reddito. Ma anche in questo secondo caso i pensionati, pur esentati dal suddetto contributo del 3% ai sensi del comma 590 della legge di stabilita', continuano a pagare il piu' elevato contributo del 18% previsto dal comma 486, restandone per di piu' esclusa la deducibilita' dal reddito. Poiche' le precedenti disposizioni, all'inizio riportate, furono dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 116/2013 e poiche' a prima vista quelle attuali sembrano nella sostanza riprodurle, si tratta di verificare se tale riproduzione configuri una violazione del citato giudicato costituzionale con riferimento all'art. 136 Cost. La sostanziale riproduzione di norme in precedenza dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale e la violazione delle stesse norme-parametro determinano, secondo la giurisprudenza della Corte (cfr. le sentenze nn. 73 del 1963, 88 del 1966, 223 del 1983, 922 del 1988, 350 del 2010 e 245 del 2012), l'ulteriore violazione dell'art. 136 della Costituzione, vale a dire la violazione di un precedente giudicato della stessa Corte costituzionale. Nella sentenza n. 73/1963 la Corte afferma il "rigore della norma dell'art. 136 della Costituzione, sulla quale poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima. E proprio in considerazione della fondamentale importanza per il nostro ordinamento giuridico di questo precetto costituzionale, la Corte trova altresi' opportuno porre in rilievo che esso non consente compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione". Nella sentenza n, 88/1966, la Corte afferma che "l'art. 136 sarebbe violato ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia, del pari contrastante col precetto costituzionale deve ritenersi una legge la quale, per il modo in cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, persegue e raggiunge, anche se indirettamente, lo stesso risultato". Infine, ancora nella sentenza n. 88/1966, la Corte, riferendosi all'art. 136, precisa che "La disposizione costituzionale, invero, pone un divieto che non puo' non operare erga omnes: essa, infatti, non solo comporta che la norma dichiarata illegittima non venga assunta a criterio di qualificazione di fatti, atti o situazioni, ma impedisce anche, e necessariamente, che attraverso una legge s'imponga che fatti, atti o situazioni siano valutati come se la dichiarazione di illegittimita' costituzionale non fosse intervenuta". La Corte costituzionale e' sinora stata estremamente severa nell'applicazione dell'art. 136, aderendo ad una nozione sostanzialistica del concetto di violazione del giudicato costituzionale, allo scopo di evitare che con modifiche meramente strumentali delle disposizioni in precedenza dichiarate illegittime il legislatore "raggiunga, anche se indirettamente, lo stesso risultato", cosi' aggirando l'art. 136 che, invece, "non consente compressioni o incrinature nella sua rigida applicazione". La violazione dell'art. 36 da parte del comma 486 dipende dunque, in astratto, dall'accertamento della sussistenza di due elementi: l'identita' della fattispecie normativa prevista dal comma 486 rispetto a quella dell'articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 a suo tempo dichiarata illegittimo dalla Corte e la violazione delle stesse norme parametro, vale a dire gli artt. 3 e 53 Cost. In realta' e' sufficiente accertare la sussistenza del primo elemento perche' da esso scaturisca automaticamente, a cascata, la violazione sia degli artt. 3 e 53, sia dell'art. 136. Il comma 486 ha per destinatari gli stessi soggetti (i pensionati) previsti dal vecchio comma 22-bis ed ha come oggetto un prelievo coattivo articolato su diverse fasce del reddito derivante da pensione secondo un meccanismo identico, ancorche' peggiorativo, a quello previsto dal vecchio comma 22-bis." Nei fatti tale prelievo potrebbe addirittura configurarsi come una vera e propria imposta anomala e mascherata sui soli redditi da pensione poiche', allora come oggi, ricorrono tutti i requisiti necessari alla sua definizione piu' volte indicati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. 3.5. La identita' tra la vecchia e la nuova fattispecie normativa - identita' che costituisce il presupposto dell'automatica applicabilita' degli argomenti addotti dalla Corte nella sentenza n. 116/2013 - non appare smentita dalla ricostruzione (pur prospettata nel presente giudizio dall'INPS) per la quale il comma 486 non introduce una imposta vera e propria poiche' il contributo di solidarieta' non viene acquisito al bilancio dello Stato ma e', invece, devoluto "a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie" (ed in particolare dell'INPS).... "anche al fine di concorrere al finanziamento degli interventi di cui al comma 191 del presente articolo" (il fondo per i cosiddetti esodati). Gia' la vaghezza della formulazione legislativa costituisce un indizio della sua irrazionalita' non essendo chiarito, ad esempio, quali siano i criteri attraverso i quali le somme derivanti dai contributi di solidarieta' saranno destinate ad aiutare i titolari di pensioni piu' basse ma con quali criteri oppure se serviranno anche per fronteggiare i disavanzi della disoccupazione e della cassa integrazione INPS che sono per lo piu' alimentati dallo Stato ovvero, ancora, se una parte del ricavato (peraltro indeterminata e mai quantificata) possa essere utilizzata per il cosiddetto Fondo INPS per gli esodati. In realta' la norma pare conferire agli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie una liberta' di scelta nell'uso di fondi pubblici (in quanto stabiliti da una legge dello Stato, ancorche' a carico di privati) che travalica di gran lunga il concetto di discrezionalita' amministrativa e che, sotto quest'aspetto, suscita ulteriori dubbi d'illegittimita', sotto il profilo della violazione dei precetti di cui agli artt. 81 e 97 Cast. 3.6. A confermare la sostanziale identita' delle due norme e, quindi, la violazione del giudicato costituzionale formatosi sulla prima, vi e' che da tempo immemore la dottrina ricorda come la legge - prevedendo un prelievo coattivo in mancanza di un rapporto sinallagmatico - non acquisisca al bilancio dello Stato il relativo introito ma lo destini invece ad altri soggetti pubblici secondo una specifica finalita', non altera la qualificazione del prelievo come una vera e propria imposta mascherata. In secondo luogo la Corte costituzionale ha affermato che una imposta e' tale anche quando l'introito da essa derivante non sia acquisito al bilancio statale ma sia invece direttamente devoluto ad un ente pubblico. Si tratta di tre sentenze in tema di ammissibilita' di referendum abrogativi con particolare riferimento alle leggi tributarie. Nella sentenza n. 11/1995 la Corte afferma che "gli elementi basilari per la qualificazione di mia legge come tributaria sono costituiti dalla ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente medesimo". Nella sentenza n. 26/1982 la Corte afferma che "mancano nella specie gli elementi basilari indispensabili alla qualificazione di una legge come tributaria, difettando sia l'elemento della ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico, sia la loro destinazione allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore...". Nella sentenza n. 37 del 1997 la Corte afferma che "nella fattispecie, invero, risultano sussistenti entrambi gli elementi indicati da altra giurisprudenza di questa Corte costituiti dalla ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario". Da cio' consegue che il contributo di solidarieta' di cui al comma 486 va qualificato come un'imposta vera e propria, sussistendo l'elemento dell'ablazione di somme con attribuzione delle stesse ad enti pubblici (gli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie) anche al fine (che il comma 486 implicitamente consente nella sua vaghezza di formulazione) di apprestare mezzi per il fabbisogno finanziario degli enti medesimi. Vi e' poi un terzo elemento di identita' tra le due norme rappresentato dalla platea dei soggetti passivi destinatari del contributo, posto che, anche in questo caso, la disposizione trova applicazione, in relazione alle erogazioni di trattamenti pensionistici obbligatori, sia in favore del personale del pubblico impiego, sia in relazione a tutti gli altri trattamenti corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatori, ivi incluse le forme pensionistiche che garantiscono prestazioni in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio (comprese quelle di cui al D. Lgs. 16 settembre 1996, n. 563, recante «Attuazione della delega conferita dall'articolo 2, comma 23, lettera b), della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di trattamenti pensionistici, erogati dalle forme pensionistiche diverse da quelle dell'assicurazione generale obbligatoria, del personale degli enti che svolgono le loro attivita' nelle materie di cui all'art. 1 del D. Lgs. C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691», al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, recante «Disposizioni sulla previdenza degli enti pubblici creditizi», al D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari»), nonche' i trattamenti che assicurano prestazioni definite dei dipendenti delle regioni a statuto speciale e degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), e successive modificazioni. In questo senso il legislatore del comma 486 non ha inteso dare ascolto alla censura di legittimita' costituzionale mossa nella sentenza n. 116/2013 alla opzione per la quale a fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessita' di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore non puo' trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici. La riproposizione di tale opzione, evidentemente, lede, in via principale, l'art. 53 Cost. e rappresenta una manifesta elusione dell'arresto costituzionale a mente dell'art. 136 Cost., con la conseguente illegittimita' costituzionale della stessa. 3.7. Un ultimo elemento, solo apparentemente secondario, che milita per la sostanziale identita' delle norme e della sottesa ratio, risiede nel contenuto del dossier della Camera dei Deputati relativo alla "nuova" norma ed in particolare alle quantificazioni del gettito stimato del comma 486, contenute nella parte dedicata al comma 590 (cfr, Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Servizio Bilancio dello Stato, LEGGE DI STABILITA' 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147), Volume II, Articolo 1, commi da 302 a 749, N. 6 - Marzo 2014, pagg. 191-192). Infatti nel quantificarsi la stima del gettito il dossier del Parlamento rinvia espressamente alle quantificazioni del precedente contributo dichiarato costituzionalmente illegittimo, evidenziando cosi' la natura eminentemente ripropositiva del "nuovo" contributo rispetto a quello cancellato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 116/2013. 3.8. Dimostrata l'identita' della fattispecie normativa prevista dal comma 486 con quella a suo tempo disciplinata dal comma 22-bis, le considerazioni compiute e gli argomenti addotti nella sentenza n. 116/2013 valgono senza dubbio anche nei confronti del contributo di solidarieta' nuovamente introdotto dal comma 486, determinando l'illegittimita' costituzionale di tale disposizione per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. In questo senso, sembra opportuno riportare alcuni tra i passi piu' significativi della sentenza n, 116. ".... I redditi derivanti dai trattamenti pensionistici non hanno, per questa loro origine, una natura diversa e minoris generis rispetto agli altri redditi presi a riferimento, ai fini dell'osservanza dell'art. 53 Cost., il quale non consente trattamenti in pejus di determinate categorie di redditi da lavoro. Questa Corte ha, anzi, sottolineato (sentenze n. 30 del 2004, n. 409 del 1995, n. 96 del 1991) la particolare tutela che il nostro ordinamento riconosce ai trattamenti pensionistici, che costituiscono, nei diversi sistemi che la legislazione contempla, il perfezionamento della fattispecie previdenziale conseguente ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti". Ebbene la disposizione (re)introdotta, della quale questo Giudicante dubita la conformita' alla Costituzione, colpisce negativamente il diritto a pensione inteso nella accezione nobile di cui alle pronunce della Corte costituzionale n. 203/1985 e 345/1999, come "situazione finale" sottratta "a conseguenze negative astrattamente collegabili all'inerzia del titolare in ragione delle esigenze di certezza e di stabilita' connesse alla sua finzione, attinente alla sopravvivenza della persona". I caratteri della certezza e stabilita' del relativo; trattamento, cosi' come la caratteristica di "situazione finale" - espressione certamente riferita ai proventi economici del trattamento pensionistico - vengono infatti ingiustamente compromessi dalla norma in questione, la quale ex abrupto e con il fine di rimpinguare il Fondo INPS c.d. esodati, non serve ad aggirare il problema della lesione del combinato disposto degli artt. 36 e 38 Cost. D'altro canto la Corte costituzionale ha gia' ricordato (sent. n. 349/1985) come non e' consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'. Appare allora significativa la lettura che la Corte fa dell'art. 38 Cost., in parallelo con il disposto dell'art. 36, per ricavarne criteri di verifica della congruita' dei trattamenti previdenziali allo stato di bisogno: criteri che si pongono in funzione di limite ai poteri discrezionali del legislatore (sent. n. 926/1988). Il collegamento fra gli art. 36 e 38, se non implica ex se che il livello della pensione debba necessariamente attingere il traguardo dell'integrale coincidenza Con la retribuzione goduta all'atto della cessazione del servizio (sent. n. 445/1988) comporta, d'altra parte, che la proporzionalita' e l'adeguatezza del trattamento di quiescenza devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo, ma vanno assicurate anche successivamente, in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta, con la conseguente esigenza di un costante adeguamento del trattamento stesso alle retribuzioni del servizio attivo (sent. n. 501/1988). Rimangono cosi' impregiudicate ed irrisolte tutte le questioni affrontate dalla sentenza n. 116/2013, che qui di seguito si elencano: "A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessita' di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha scelto di trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici: il contributo di solidarieta' si applica su soglie inferiori e con aliquote superiori, mentre per tutti gli altri cittadini la misura e' ai redditi oltre 300.000 euro lordi annui, con un'aliquota del 3 per cento, salva in questo caso la deducibilita' dal reddito. "Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all'art. 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., non puo', quindi, che essere ricondotto ad un «giudizio sull'uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta' dell'entita' dell'imposizione» (sentenza n. 111 del 1997). "Anche in questo caso, e' necessario analogamente rilevare l'identita' di ratio della norma oggi censurata rispetto sia all'analoga disposizione gia' dichiarata illegittima, sia al contributo di solidarieta' (l'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011) del 3 per cento sui redditi annui superiori a 300.000 euro, quest'ultimo assunto anche quale tertium comparationis. "Al fine di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore ha imposto ai soli titolari di trattamenti pensionistici, per la medesima finalita', l'Ulteriore speciale prelievo tributario oggetto di censura, attraverso una ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi. Va pertanto ribadito, anche questa volta, quanto gia' affermato nella citata sentenza n. 223 del 2012, e cioe' che tale sostanziale identita' di ratio dei differenti interventi "di solidarieta'", determina un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento riservato alla categoria colpita, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta' economica, anche modulando diversamente un "universale" intervento impositivo. "Nel caso di specie, peraltro, il giudizio di irragionevolezza dell'intervento settoriale appare ancor piu' palese, laddove si consideri che la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che il trattamento pensionistico ordinario ha natura di retribuzione differita (fra le altre sentenza n. 30 del 2004, ordinanza n. 166 del 2006); sicche' il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con piu' evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative gia' rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta piu' possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro". Da tutto quanto precede scaturisce automaticamente la violazione dell'art. 136, sussistendo i due elementi della identita' della fattispecie normativa, desumibile dalla riproduzione delle norme che, allora come oggi, la disciplinano, e la violazione delle stesse norme parametro, vale a dire gli artt. 3 e 53 Cost. La violazione del giudicato costituzionale, tuttavia, non sussiste soltanto per il tentativo non riuscito di superare le censure di costituzionalita' di cui alla sentenza n. 116/2013 ma soprattutto per l'indifferenza manifestata nei confronti del monito ricavabile dalle sentenze n. 223/2012 e n. 116/2013: abbandonare l'illegittima strada di imposizioni settoriali a carico di singole categorie di cittadini ed imboccare la via maestra di un "universale" intervento impositivo , eventualmente nel solco di quanto gia' previsto dall'art. 2 del d.l. n. 138/2011 relativamente all'imposta del 3% sui redditi annui superiori a 300.000 euro. 4. Questo Giudicante dubita anche della legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 1, comma 483 della Legge n. 147/2013, per contrasto con gli articoli 3, 53, 36 e 38 della Costituzione, nonche' con l'art. 117, primo comma, Cost. per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (artt. 6, 21, 25, 33, 34), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo, nei termini di cui appresso. Secondo tale disposizione "483. Per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e' riconosciuta: a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; b) nella misura del 95 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; c) nella misura del 75 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito, fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato; e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non e' riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Al comma 236 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il primo periodo e' soppresso, e al secondo periodo le parole: «Per le medesime finalita'» sono soppresse". 4.1. La perequazione automatica dei trattamenti pensionistici viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. In particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relativo all'anno precedente. L'art. 69, comma 1, della Legge n. 388/2000 prevede (a regime) che la perequazione automatica operi nella misura del 100% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 90% per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 75% per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS. Successivamente, l'articolo 18, comma 3, del D.L. n. 98/2011 ha previsto, per il biennio 2012-2013, limitazioni alla rivalutazione automatica sui trattamenti pensionistici di importo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS. Per tali trattamenti pensionistici la rivalutazione non era concessa, con esclusione della fascia di importo inferiore a 3 volte il trattamento minimo, con riferimento alla quale la rivalutazione era comunque applicata nella misura del 70%. L'art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011 (c.d. riforma Fornero), ha poi abrogato l'art. 18, comma 3, del D.L. n. 98/2011, disponendo che la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, per il biennio 2012 e 2013, venga riconosciuta, nella misura del 100%, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il trattamento minimo INPS. Il meccanismo di rivalutazione si applica, ai sensi dell'art. 34, comma 1, della Legge n. 448/1998, tenendo conto dell'importo complessivo dei diversi trattamenti pensionistici eventualmente percepiti dal medesimo soggetto. Con il comma 483 l'aumento derivante dalla rivalutazione viene attribuito, per ciascun trattamento, in misura proporzionale all'importo del medesimo trattamento rispetto all'ammontare complessivo. In particolare, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici opera nei seguenti termini percentuali: 100% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia pari o inferiore a 3 volte il trattamento minimo INPS (lettera a); 90% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 3 volte e pari o inferiore a 4 volte il predetto trattamento (lettera b); 75% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 4 volte e pari o inferiore a 5 volte il trattamento minimo (lettera c); 50% per i trattamenti pensionistici il cui importo complessivo sia superiore a 5 volte il medesimo minimo (ferma restando, per il 2014, la norma transitoria per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici superiore a 6 volte il minimo - vedi sopra) (lettera d). La misura percentuale si applica all'importo complessivo del trattamento pensionistico (o dei trattamenti) del soggetto, anziche' alle singole fasce di importo. 4.2. Con riferimento all'art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l'Emilia Romagna, Giudice unico delle pensioni, ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale con ordinanza del 13 maggio 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, la Serie Speciale, Corte Costituzionale, n. 41 del 1° ottobre 2014. La norma di cui si dubita in questa sede, ha la medesima ratio e per ambedue vale lo stesso ordine di considerazioni svolte dal remittente Giudice delle pensioni dell'Emilia Romagna che qui si intendono riproporre. In particolare anche la nuova disposizione di cui al comma 483 dissimula l'introduzione di una misura volta a realizzare un introito per l'Erario sotto forma di un risparmio realizzato forzosamente mediante la compressione di un diritto (quale quello all'adeguamento dei trattamenti) attribuito in via tendenziale ai pensionati; sicche' la misura avversata dagli interessati sembra sostanziarsi in realta' in una sorta di ulteriore prelievo fiscale settoriale (oltre a quello rappresentato dal contributo di solidarieta' di cui al comma 486), dissimulato, in quanto ontologicamente non differente da quello gia' oggetto della pronuncia demolitoria della Corte Costituzionale con la sent. n. 116/2013, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. 4.3. Parimenti sempre il comma 483 appare incostituzionale ove si consideri che la natura retributiva (differita) delle pensioni ordinarie e' stata ormai definitivamente statuita dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 116/2013 al punto 7.3. del Considerato in diritto. Anche nel caso in esame traspare un'ipotesi di lesione del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto la norma censurata limita i destinatari della stessa soltanto ad "una platea di soggetti passivi", e cioe' ai percettori del trattamento pensionistico, senza estenderla alla generalita' dei percettori di altre tipologie di reddito (ad esempio, reddito da lavoro privato ed autonomo) in violazione in particolare dell'art. 53 Cost., nei due commi di cui esso si compone, che tutela due interessi di pari rango, quello della collettivita' al concorso di tutti alle spese pubbliche, espressivo della funzione solidaristica che fa eco al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), che gia' aveva informato di se' l'art. 25 dello Statuto albertino e quello del singolo al rispetto della propria capacita' contributiva, espressivo della funzione garantistica della norma. Anche in questo caso, come in quelli decisi con le sentenze n. 223/2012 e n. 116/2013 della Corte costituzionale "la sostanziale identita' di ratio dei differenti , interventi "di solidarieta'" prelude essa stessa ad un giudizio di irragionevolezza ed arbitrarieta' del diverso trattamento riservato ai pubblici dipendenti, foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e piu' favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarieta' economica, anche modulando diversamente un "universale" intervento impositivo. Va precisato che anche in ordine alle modificazioni in pejus dei meccanismi perequativi la Corte costituzione tradizionalmente richiama i criteri di razionalita' e non arbitrarieta' nell'intervento normativo. In particolare ha osservato la Corte Costituzionale (sent. n. 349/1985) che nel nostro sistema costituzionale non e' interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni pero', al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. n. 36 del 1985 e n. 210 del 1971). Se quindi - in via di principio - rispetto alla fattispecie in esame deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che, nel rispetto dell'autonomia negoziale privata, modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non puo' pero' ammettersi che tale intervento sia assolutamente discrezionale. In particolare non potrebbe dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vinificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'. 4.4. Sulla base del disposto di cui all'art. 117, comma 1, della Costituzione, come introdotto dalla Legge Costituzionale n. 3/2001 (cfr. Corte cost. sentt. nn. 348 e 349/2007), ulteriore parametro evocabile, nella specie, e' la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (espressamente riconosciuta dall'Unione europea sulla base dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea), come interpretata dalla Corte di Strasburgo, avente natura di parametro interposto rispetto al citato art. 117, primo comma, Cost., in quanto la disposizione di legge censurata pare confliggere tanto con il principio della certezza del diritto come patrimonio comune di tradizioni degli Stati contraenti, che sopporta eccezioni solo se giustificate dal sopraggiungere di rilevanti circostanze di ordine sostanziale (cfr. sentenza della V sezione del 19/7/2007, nel ricorso 69533/01 della Corte di Strasburgo), quanto con altri diritti garantiti dalla Carta: il diritto dell'individuo alla liberta' e alla sicurezza (art. 6), il diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul "patrimonio" (art. 21), il diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente (art. 25), il diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale (art. 33), il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali (art. 34). 5. Questo Giudicante dubita, infine, della legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 1, collima 590 della Legge n. 147/2013, per contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione. Il comma 590 appare lesivo dell'art. 53, comma 1, Cost., laddove prevede che, ai fini del raggiungimento del limite di 300.000,00 euro - oltre i quali il contributo di solidarieta' e' pari al 3%, secondo quanto previsto gia' dall'art. 2, comma 2 del D.L. n. 138/2011, prorogato all'intero triennio 2014-2016 dal richiamato comma 590 - si debba tener conto anche dei trattamenti pensionistici percepiti, sui quali pero' non si applica il contributo nella misura del 3% ma quello molto maggiore del 18% stabilito dal precedente comma 486 della medesima disposizione. Inoltre la norma viola anche il secondo comma della medesima disposizione costituzionale; mentre infatti il comma 486 colpisce i pensionati con un c.d. contributo di solidarieta' fortemente progressivo articolato in tre aliquote, che raggiungono il 18% del trattamento complessivo lordo per la parte eccedente approssimativamente i 190 mila euro, il comma 590 incide su tutti gli altri percettori di redditi, esclusi i pensionati, con un contributo di solidarieta', al pari del primo destinato a far fronte a spese pubbliche, che contempla la sola aliquota, fissa e quindi non progressiva, del 3% per giunta deducibile, sul reddito superiore a 300 mila euro. Al raggiungimento di questo ultimo importo concorrono anche i trattamenti pensionistici, ma i pensionati non sono tenuti a corrispondere il contributo di solidarieta', previsto dal comma 590, con la logica implicazione che nel caso in cui i loro redditi complessivi, compresi quelli pensionistici, dovessero superare i 300 mila euro, essi sarebbero tenuti a versare non il 3%, ma dovrebbero continuare a pagare il 18% di cui si e' sopra detto: con palese violazione, oltre che del primo, anche del secondo comma dell'art. 53 Cost., che vuole il sistema tributario ispirato al principio di progressivita' e non di regressivita'. Sotto questo profilo il comma 590 appalesa quindi anche una violazione del principio di uguaglianza, in senso sostanziale, di cui all'art. 3 Cost., posto che finisce con il differenziare all'interno di coloro che percepiscono il medesimo quantum pensionistico la misura del contributo realmente da pagarsi. 6. Per quanto esposto sopra, ai sensi dell'art. 23 secondo comma, della Legge n. 87/1953, appaiono rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 486 e 487 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per contrasto con gli articoli 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97 e 136 della Costituzione e dell'art. 1, comma 482 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per contrasto con gli articoli 3, 36, 38, 53 e 136 della Costituzione, nonche' con Part. 117, primo comma, Cost. per violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6, diritto dell'individuo alla liberta' e alla sicurezza; art. 21, diritto di non discriminazione, che include anche quella fondata sul "patrimonio"; art. 25, diritto degli anziani, di condurre una vita dignitosa e indipendente; art. 33, diritto alla protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale; art. 34, diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali), come anche interpretata dalla Corte di Strasburgo.