IL TRIBUNALE DI NAPOLI 
 
    Il Giudice per  le  Indagini  Preliminari  dott.  Tullio  Morello
sciogliendo la riserva di decidere espressa all'udienza celebrata  in
camera di consiglio il 19 maggio 2015 osserva: 
        F. G., nato a N. il ..., e' stato sottoposto alla  misura  di
sicurezza provvisoria del ricovero in OPG ai sensi degli artt. 312  e
313 c.p.p. con provvedimento del 28 maggio 2005 in esecuzione dal  29
luglio 2005 (confermato nel corso degli anni a causa delle permanente
grave pericolosita' sociale dell'internato) per i reati di  cui  agli
artt. 337, 582, 61, n. 2, 635, comma 2,  c.p.,  con  sospensione  del
processo ai sensi dell'art. 71 c.p.p. con provvedimento del 1° agosto
2005, ed e'  tuttora  internato,  per  «stato  di  necessita'»,  come
risulta dalla esposizione che segue, oltre  il  termine  del  massimo
della pena per il reato per cui la misura e'  stata  applicata,  come
dispone l'art. 3-ter, d.l. n. 211 del 2011, conv. con modif. in legge
n. 9 del 2012, modificato dal d.l. n. 52 del 2014, conv.  con  modif.
in legge n. 81 del 2014, che al  comma  8-quater  stabilisce  che  le
misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive, compreso  il
ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di  sicurezza,
non possono durare oltre il tempo stabilito  per  la  pena  detentiva
prevista per  il  reato  commesso,  avuto  riguardo  alla  previsione
massima (...); dopo aver disposto nel comma 4 che gli OPG sono chiusi
dal 31 marzo 2015 e che le misure di sicurezza del ricovero in OPG  e
dell'assegnazione ad una  casa  di  cura  e  custodia  sono  eseguite
esclusivamente delle strutture  sanitarie  di  cui  al  comma  2  (da
attuare dal Ministero della salute e le Regioni), se le persone  sono
ancora socialmente pericolose, aggiungendo che il giudice dispone per
l'infermo ed il seminfermo di mente l'applicazione di una  misura  di
sicurezza, anche provvisoria, diversa dal ricovero in OPG o  in  casa
di cura e custodia, salvo quando siano acquisiti elementi  dai  quali
risulta che ogni misura diversa non  e'  idonea  ad  assicurare  cure
adeguate ed a far fronte alla sua pericolosita' sociale (...). 
    Si ritiene generalmente che nella fattispecie del predetto  comma
8-quater, nel caso di persistenza della pericolosita' sociale,  possa
applicarsi una misura di sicurezza  non  detentiva,  precisamente  la
liberta' vigilata che preveda obbligatoriamente la frequenza del  DSM
e di uno stretto controllo da parte delle Forze di polizia. 
    La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 367  del  2004,
aveva dichiarato la  incostituzionalita'  dell'art.  206  c.p.  nella
parte in cui non consente  al  giudice  di  disporre,  in  luogo  del
ricovero in OPG, una misura  di  sicurezza  non  detentiva,  prevista
dalla legge, idonea ad assicurare alla persona inferma di mente  cure
adeguate ed a contenere la sua pericolosita' sociale. 
    La  misura  di  sicurezza  non  detentiva  prevista  dalla  legge
applicabile al caso di specie puo' essere solo quella della  liberta'
vigilata (art. 215, comma 3 c.p.). 
    Ma la gravita'  della  pericolosita'  sociale  dell'internato  in
esame collide profondamente con la misura sostitutiva  non  detentiva
appena  indicata  per  le  gravissime  conseguenze   che   potrebbero
derivarne, perche' la liberta' vigilata e' pur sempre «liberta'», sia
pure con  gli  sporadici  controlli  che,  anche  se  eccezionalmente
intensificati, non saranno funzionali allo scopo; ne',  caricando  la
liberta' vigilata con  altre  restrizioni,  potra'  «spacciarsi»  una
misura di sicurezza detentiva (che tale diventerebbe se non si voglia
essere ipocriti) per liberta' vigilata. Ed il F. e' una persona  sola
e senza casa,  essendo  rifiutato  dalla  famiglia,  che  non  e'  in
condizioni  di  accudirlo,  sorvegliarlo  e  difendersi   dalla   sua
pericolosita'. 
    La sua grave malattia mentale e' risalente nel tempo,  risultando
dagli atti che egli e' titolare di un decreto di  invalidita'  civile
con totale inabilita' lavorativa in quanto  affetto  da  schizofrenia
disorganizzata  con  ipertensione  arteriosa,  broncopatia  asmatica,
tabagismo cronico e obesita' grave, e che il suo nucleo familiare  e'
composto dal padre affetto da psicosi cronica, dalla madre e  da  due
sorelle in a.b.s., e che gia' dal 2000 il F. era seguito dal Servizio
psichiatrico per la predetta schizofrenia con anamnesi  positiva  per
uso di cocaina, piu' volte ricoverato presso strutture  psichiatriche
private convenzionate. 
    Lo stato  psichico  attuale  di  persona  socialmente  pericolosa
dell'internato predetto e' del tutto  preoccupante.  Dalla  relazione
semestrale del Dipartimento di salute  mentale  dell'OPG  di  Napoli,
area sanitaria, del 4 ottobre 2014  risulta  che  il  F.  e'  tuttora
affetto  da:  psicosi  cronica  con   sintomatologia   delirante   di
grandezza, fenomeni  allucinatori,  disorganizzazione  del  pensiero,
assenza dei poteri di critica e  di  giudizio,  eteroaggressivita'  e
condotte   compulsive   alla   base   dell'iperfagia   alimentare   e
dell'episodica  ingestione  di  sostanze  non  commestibili   (pica),
ipertensione  arteriosa,  broncopatia  asmatica,  tabagismo  cronico,
obesita' grave (all'ingresso oltre  kg.  200),  disturbi  strutturali
della coscienza (disorientamento, distraibilita',  disturbi  mnesici,
incoerenza ideativa), mancata autonomia alla cura di se' e dei propri
spazi. 
    Nella nota del 16 gennaio 2015  la  direzione  dell'OPG,  facendo
notare che la nuova normativa non consentiva  l'ulteriore  permanenza
dell'internato nell'OPG, faceva presente che in caso di scarcerazione
il predetto doveva essere affidato ai Servizi territoriali competenti
con permanenza presso una adeguata  struttura  esterna,  non  essendo
egli assolutamente in grado di raggiungere autonomamente  la  propria
residenza ne' di provvedere alle proprie esigenze personali. 
    Dal  verbale  della  riunione  del  Gruppo  di   osservazione   e
trattamento allargato GOTA  del  29  gennaio  2015  risulta  che  «le
condizioni  del  F.  sono  sicuramente  migliorate,  benche'  sia  un
paziente grave e ancora rifiuta di interfacciarsi con  gli  operatori
del territorio». Il miglioramento e' confermato  dalla  dott.ssa  L.,
che  attribuisce  tale  miglioramento  al  suo  internamento,  ed  e'
confermato dai tecnici della riabilitazione dott. D. M. e  dott.  D.,
che  non  condividono  pero'  gli   «artefici»   di   tale   generico
miglioramento, che invece per loro sarebbe avvenuto  proprio  «grazie
ad un'azione destituzionalizzante» operata da loro e da altre  figure
sanitarie. 
    Ma tali  dichiarazioni,  peraltro  di  generico  «miglioramento»,
trovano chiara opposizione da parte del  dott.  D.  F.  del  DSM  ASL
Napoli  3,  secondo   cui   «e'   necessario   constatare   ulteriori
miglioramenti clinici per poter ipotizzare le dimissioni di  un  caso
come quello del F.»; nonche' nelle dichiarazioni degli operatori  del
territorio  di  appartenenza,  secondo   cui   «appare   fondamentale
costruire percorsi  intramurari  condivisi  prima  di  ipotizzare  la
dimissione di un caso tanto problematico». 
    La successiva relazione psichiatrica  del  D.S.M.  del  25  marzo
2015, dopo aver premesso le informazioni prima riportate sullo  stato
mentale  pregresso  del  F.  e  sulla  composizione  del  suo  nucleo
familiare, aggiungeva che attualmente  emerge  una  disorganizzazione
ideo-comportamentale    con    incongruita'    ideativa,    bizzarrie
comportamentali e conseguente scadimento del  funzionamento  globale,
interpersonale e dell'assetto cognitivo e che la terapia  a  cui  era
stato sottoposto nell'OPG non aveva prodotto alcuna  «restituitio  ad
integrum»  della  condizione  psichica,   ma   solo   assicurato   il
contenimento  delle  incongruita'  ideo-comportamentali.   Aggiungeva
ancora  che  il  F.   permane   in   una   condizione   di   gravita'
psicopatologica con rilevante gravosita'  assistenziale,  ma  che  ad
ogni modo possa giovarsi di una adeguata allocazione  alternativa  in
prosieguo della modalita' assistenziale individualizzata attenta e di
massimo  impegno  per  gli  operatori  di  prossimita',  in  uno  con
l'indispensabile continuita' del controllo clinico  e  della  pratica
farmacoterapeutica. Concludeva la predetta  relazione  che  resta  la
potenziale pericolosita' psico-comportamentale  tesa  il  piu'  delle
volte alla immediatezza della soddisfazione dei bisogni primari e che
allo stato non e' in grado di comprendere  gli  aspetti  prescrittivi
della misura di sicurezza, come finora non ha compreso le motivazioni
detentive  subite,  per  cui   l'eleggibilita'   di   una   struttura
residenziale alternativa deve configurarsi con le caratteristiche  di
alta intensita' assistenziale e congrua disponibilita'  di  personale
specializzato. 
    Tuttavia gia' da tempo, con provvedimento del 16 gennaio 2015, fu
tentato di affidare il F. ad una  struttura  segnalata  in  un  primo
momento dall'OPG, ma il tentativo falli' e, come risulta dal  verbale
del Gruppo di osservazione GOTA dell'OPG del 29 gennaio 2015, «non ci
sono strutture sul territorio disponibili all'accoglienza del  F.,  e
la famiglia e' indisponibile ad accoglierlo in  casa»  (evidentemente
anche timorosa della gravi iniziative  violente  che  il  figlio,  un
energumeno di circa 170 chilogrammi di peso e socialmente pericoloso,
potrebbe prendere in  loro  danno).  La  mancanza  di  strutture  per
ricevere il F. veniva confermata dalla Relazione psichiatrica del  25
marzo 2015. 
    Ora la nuova legge in materia dispone che nei  casi  come  quelli
del F. la persona  ancora  socialmente  pericolosa  non  puo'  essere
curata e sorvegliata in strutture di restrizione e nemmeno ricoverata
nelle residenze per l'esecuzione di  misure  di  sicurezza,  ma  deve
andare in liberta' (sia pure saltuariamente vigilata). 
    Ma la Corte costituzionale nella sentenza prima menzionata n. 367
del 2004, aprendo la  strada  all'applicazione  di  altra  misura  di
sicurezza  non  detentiva  prevista  dalla  legge   in   sostituzione
dell'OPG, precisava che tale misura deve essere idonea  non  solo  ad
assicurare alla persona inferma di mente cure adeguate,  ma  anche  a
contenere la sua pericolosita' sociale. 
    Certamente la liberta' vigilata, comunque eseguita, non e' idonea
a contenere la pericolosita' sociale del F., come  prima  evidenziata
dagli esperti che lo tengono in cura e custodia. 
    E se, anche per pura ipotesi,  volesse  ritenersi  il  contrario,
mancano anche le condizioni previste dalla legge  per  l'applicazione
del provvedimento di liberta' vigilata, risultando dalla  nota  prima
richiamata del D.S.M. del 25 marzo 2015 che il F. come non  e'  nelle
condizioni mentali di comprendere lo svolgimento del processo,  tanto
che si e' dovuto sospenderlo, cosi' non e' in grado di comprendere la
sottoposizione alla liberta' vigilata, con tutte  le  conseguenze  in
caso di violazione delle prescrizioni che gli  sarebbero  imposte.  E
resterebbe, poi, pur sempre il problema a chi affidarlo,  considerato
che e' un uomo solo. 
    Deve, pertanto, prendersi  atto  che  la  disposizione  dell'art.
3-ter, d.l. n. 211 del 2011, conv. con modif. in legge n. 9 del 2012,
modificato dal d.l. n. 52 del 2014, conv. con modif. in legge  n.  81
del 2014, comma 8-quater,  il  quale  stabilisce  che  le  misure  di
sicurezza detentive, provvisorie o definitive, compreso  il  ricovero
nelle residenze per  l'esecuzione  delle  misure  di  sicurezza,  non
possono durare  oltre  il  tempo  stabilito  per  la  pena  detentiva
prevista per  il  reato  commesso,  avuto  riguardo  alla  previsione
massima   (...),   e'    sospetta    di    incostituzionalita'    per
«irragionevolezza» della stessa norma, in quanto, come gia' affermato
dalla Corte costituzionale in  vicende  analoghe  (ad  esempio  nella
sentenza n. 41 del 1999), tale condizione si riscontra ogni volta che
una   disposizione   normativa,   il   cui   fondamento   riposa   su
interpretazioni delle vicende sociali, vengono in fatto  a  rivelarsi
fallaci in quanto divergenti dagli accadimenti della quotidianita'. 
    Nel caso in esame, infatti,  la  citata  disposizione  del  comma
8-quater, ancorando la cessazione della misura di sicurezza detentiva
alla pena edittale  del  reato  per  il  quale  e'  stata  applicata,
anziche'  alla   cessazione   della   pericolosita'   sociale,   come
saggiamente disposto dall'art.  206,  comma  2  c.p.  (implicitamente
abrogato «in parte qua» dalla  predetta  legge  successiva),  applica
alle misure di sicurezza un principio che e' proprio delle misure  di
custodia cautelare, secondo cui  la  misura  cautelare  applicata  va
sostituita quando non appare piu' proporzionata alla sanzione che  si
ritiene possa essere irrogata (art. 299, comma 2, c.p.p.), ovvero che
la custodia cautelare perde efficacia quando e' pronunciata  sentenza
di condanna, ancorche' sottoposta ad impugnazione, se la durata della
custodia gia' subita non e' inferiore alla pena irrogata  (art.  300,
comma 4, c.p.p.), e quindi, a maggior  ragione,  quando  la  custodia
cautelare sia superiore alla pena edittale massima prevista per  quel
reato. 
    Ma le misure cautelari hanno una funzione diversa da quella delle
misure di sicurezza, nelle prime  essendo  loro  funzione  quella  di
scongiurare l'inquinamento probatorio,  il  pericolo  di  fuga  o  la
reiterazione dei reati; nelle seconde invece la funzione e' quella di
curare  il  malato  di  mente  la  cui  malattia  determina  la   sua
pericolosita' sociale. 
    Ne consegue che le misure  cautelari  devono  cessare  quando  il
periodo di custodia cautelare superi la pena che  sara'  inflitta  in
concreto, mentre le misure di sicurezza devono cessare  quando  cessa
la pericolosita' sociale (nel caso  delle  misure  di  sicurezza  del
ricovero in OPG o simile, derivante dalla malattia mentale). 
    L'avere la predetta disposizione del comma 8-quater equiparato le
due situazioni predette del tutto diverse tra loro sembra determinare
un contrasto con il principio di cui all'art. 3, comma 1, Cost., che,
richiedendo l'uguaglianza davanti alla legge  di  tutti  i  cittadini
senza  distinzione  di  (...)   condizioni   personali   e   sociali,
contemporaneamente ed implicitamente  contiene  anche  l'affermazione
del principio contrario, cioe' il «ragionevole»  trattamento  diverso
di situazioni diverse. 
    Nel caso in esame sembra che la disposizione del  comma  8-quater
citato si caratterizzi per «irragionevolezza», per i  motivi  esposti
ed inoltre perche' non prevede in alcun modo l'applicazione di  altre
misure idonee, anche detentive, se del caso, come in quello in esame,
ad assicurare alla persona  inferma  di  mente  cure  adeguate  ed  a
contenere la pericolosita' sociale, misure di sicurezza previste  (al
di fuori della  fattispecie  del  comma  8-quater)  dal  comma  4  da
eseguirsi nelle strutture sanitarie previste dal comma  2  fino  alla
cessazione della pericolosita' sociale. 
    La predetta questione di legittimita'  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 23 legge n. 87 del 1953, comma 2,  e'  anche  assolutamente
rilevante nel procedimento in oggetto, che non puo'  essere  definito
indipendentemente  dalla  sua  risoluzione,  dovendosi   allo   stato
scegliersi tra l'inosservanza della legge su  citata,  sia  pure  per
stato di necessita', e non piu' procrastinabile per la chiusura degli
OPG, e la messa in liberta' (sia pure saltuariamente controllata)  di
persona oltremodo  pericolosa  socialmente  e  che  gli  esperti  che
l'hanno in cura e custodia sconsigliano in ogni modo se non si voglia
mettere in grave pericolo la sicurezza dei cittadini. 
    Le conseguenze giuridiche appena esposte non  mutano  in  seguito
alla pubblicazione della sentenza della Corte  costituzionale  n.  45
del 2015 (pubbl. nella Gazzetta Ufficiale del 1° aprile 2015), che ha
dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 159, comma 1, c.p.,  nella
parte in  cui,  ove  lo  stato  mentale  dell'imputato  sia  tale  da
impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo  venga
sospeso, non esclude la  sospensione  della  prescrizione  quando  e'
accertato che tale stato e' irreversibile. 
    Dalle esposizione precedente risulta con evidenza  che  nel  caso
del F. ci  si  trovi  di  fronte  ad  uno  stato  mentale  patologico
irreversibile,  durando  da  ben  prima  del  2000  e  non   superato
nonostante le cure terapeutiche ed il  lungo  internamento,  per  cui
deve ritenersi che ricorra il caso dei c.d. «eterni  giudicabili»  di
cui si e' occupata la predetta sentenza della Corte costituzionale. 
    Pertanto deve prendersi atto che  nel  caso  in  esame  e'  ormai
maturata la prescrizione del reato, la quale va dichiarata  ai  sensi
dell'art. 129 c.p.p. e degli artt. 70, comma 1 e 71, comma 1, c.p.p. 
    Ma in tal caso andrebbe comunque applicata la misura di sicurezza
a norma dell'art. 205, comma 1,  c.p.,  per  cui  il  problema  della
incostituzionalita' della disposizione del comma  8-quater  del  d.l.
citato non e' comunque superato  e  va  di  conseguenza  proposta  la
questione di legittimita' costituzionale, come prima esposto.