IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA 
                           (Sezione Terza) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  2015  del  2009,  proposto  da:  D'Errico   Olga,
rappresentata e difesa  dall'avv.  Pasquale  Fornaro,  con  il  quale
elettivamente domicilia in  Napoli,  via  Chiatamone  n.  55,  presso
l'avv. Tommaso Perpetua; 
    Contro: Comune di Sant'Anastasia,  in  persona  del  Sindaco  pro
tempore, rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Antonietta  Colantuoni,
presso la quale elettivamente domicilia in Napoli,  via  Villari,  n.
44; 
    Per l'annullamento: 
    del provvedimento n.  195  del  7  gennaio  2009  del  Comune  di
Sant'Anastasia, di rigetto della richiesta n. 26068  del  5  dicembre
2008, per il rilascio del permesso di costruire un  edificio  per  lo
svolgimento di attivita' di artigianato, sul fondo sito nel Comune di
Sant'Anastasia, alla via Santa Chiara, riportato in catasto al foglio
4, particella 1398, di mq. 32.586; 
    di ogni altro atto, presupposto, conseguente. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in   giudizio   di   Comune   di
Sant'Anastasia; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2015 il dott.
Gianmario  Palliggiano  e  uditi  per  le  parti  i  difensori   come
specificato nel verbale; 
    1. - La ricorrente e' proprietaria di un fondo sito nel Comune di
Sant'Anastasia, via Santa Chiara, riportato in catasto al  foglio  4,
particella 1398 (ex 72) di mq 32.586 
    In data 5 dicembre 2008, aveva presentato richiesta  -  acquisita
al prot. n. 26068 del comune - per ottenere il permesso di  costruire
un edificio, da adibire ad attivita' artigianali. 
    L'Amministrazione comunale - con  nota  prot.  n.  26703  del  12
dicembre 2008 -  notificava  preavviso  di  rigetto,  in  quanto  "la
volumetria  prevista   in   progetto   eccede   notevolmente   quella
realizzabile nel predetto fondo ricadente in zona divenuta bianca per
il decorso dei  cinque  anni  dall'approvazione  del  PRG,  ai  sensi
dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/01". 
    2. - Con provvedimento n. 195  del  7  gennaio  2009,  il  comune
rigettava la richiesta. 
    D'Errico  Olga  ha  impugnato  il  predetto   provvedimento   con
l'odierno ricorso, notificato  il  12  marzo  2009  e  depositato  il
successivo 10 aprile. 
    Si e' costituita in giudizio l'amministrazione comunale con  atto
depositato il 23 giugno 2011. 
    Con memoria difensiva depositata il 20 aprile 2015, ha chiesto il
rigetto del ricorso. 
    Alla camera di consiglio del 23 giugno  2011,  la  ricorrente  ha
rinunciato alla richiesta di sospensione cautelare. 
    Alla pubblica udienza del 25  maggio  2015,  la  causa  e'  stata
introitata per la decisione. 
    3. - Va premesso che, sotto il profilo urbanistico, la particella
-  secondo  il  vigente  Piano  regolatore  generale  del  comune  di
Sant'Anastasia - e' inserita in zona F1, Zone di uso pubblico. 
    Per il decorso dei cinque anni dall'approvazione del  P.R.G.,  le
prescrizioni indicate dal suddetto strumento urbanistico hanno  perso
efficacia, con la conseguenza che la predetta zona F1 e'  attualmente
classificabile  come  "zona  bianca"  e,  pertanto,   soggetta   alle
prescrizioni di legge, in particolare dell'art. 9, comma  1,  lettera
b), del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380/2001  (Testo
unico dell'edilizia-TUE), norma  che  cosi'  recita:  "Salvi  i  piu'
restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle
norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n.  490,  nei
comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: fuori dal
perimetro dei centri abitati, gli interventi  di  nuova  edificazione
nel limite della densita' massima fondiaria di 0,03  metri  cubi  per
metro quadro; in caso di interventi  a  destinazione  produttiva,  la
superficie coperta non puo' comunque superare un decimo dell'area  di
proprieta'". 
    4. - Con l'odierno ricorso, la ricorrente  rileva  essenzialmente
che   il   diniego   opposto   dall'amministrazione    comunale    di
Sant'Anastasia si fondi sull'erroneo presupposto che, per  realizzare
un edificio destinato ad attivita'  artigianale  insistente  in  zona
bianca, viga  il  doppio  limite  -  di  superficie  e  di  volume  -
prescritto  dal  menzionato  art.  9  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001. 
    In sintesi, ed anticipando quanto piu'  approfonditamente  verra'
illustrato  in  seguito,  la  ricorrente  deduce  censure   volte   a
dimostrare, nell'ordine: 
    la non applicabilita' dell'art. 9 decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001, posto che la regola di riferimento, nel  caso
di specie, andrebbe correttamente individuata nell'art. 9 della legge
regionale Campania 11 agosto 2005, n. 15 che prescrive una norma piu'
restrittiva di quella statale; 
    in subordine, nel caso  si  ritenesse  al  contrario  applicabile
l'art. 9 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001,  questo
andrebbe correttamente letto nel senso della non vigenza  del  doppio
limite; 
    in ulteriore subordine, nel  caso  di  applicazione  dell'art.  9
decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380/2001,  interpretato
secondo la regola del doppio limite, la norma presenterebbe, per piu'
profili, profili di illegittimita' costituzionale. 
    5. - Cio' premesso, puo' passarsi ai singoli motivi di doglianza,
il cui  esame  e'  pregiudiziale  al  giudizio  di  rilevanza  e  non
manifesta    infondatezza    delle    prospettate    questioni     di
costituzionalita'. 
    5.1. - La ricorrente, con il primo motivo di censura,  deduce  la
violazione e la falsa applicazione degli articoli 2 e 9  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001; dell'art. 9 legge  regionale
Campania 11 agosto 2005, n.  15;  degli  articoli  76  e  117  Cost.;
l'eccesso di potere per sviamento. 
    A suo avviso, l'amministrazione comunale fonda  il  provvedimento
di diniego sull'erroneo presupposto dell'applicabilita'  al  caso  di
specie  dell'art.  9  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001. In cio', l'amministrazione cadrebbe in errore  perche'  non
considera affatto che la norma statale in parola contiene una precisa
clausola di cedevolezza, la quale subordina espressamente la  propria
efficacia all'inesistenza di norme regionali contenenti  limiti  piu'
restrittivi. 
    Come  sopra  illustrato,  il  menzionato  art.  9   decreto   del
Presidente della Repubblica n. 380/2001, al comma 1, lettera b) - con
riferimento ai comuni sprovvisti di strumenti urbanistici - consente,
al di fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova
edificazione nel limite della  densita'  massima  fondiaria  di  0,03
metri cubi per metro quadro; qualora sia prevista la  costruzione  di
un'opera a destinazione produttiva, la superficie  coperta  non  puo'
comunque superare un decimo dell'area  di  proprieta'.  La  norma  fa
comunque salvi i piu' restrittivi limiti eventualmente fissati  dalle
leggi regionali (e sempre  nel  rispetto  delle  norme  previste  dal
d.lgs. n. 490/1999). 
    La Regione Campania - allo scopo di adeguarsi  alle  prescrizioni
della legge statale - ha emanato la legge regionale 11 agosto 2005 n.
15, il cui art. 9, comma 2, ha sostituito l'art. 4,  comma  2,  della
legge regionale  20  marzo  1982  n.  17;  ne  e'  nata  la  seguente
disposizione:  "le  superfici  coperte   di   complessi   produttivi,
all'esterno dei centri abitati definiti ai sensi dell'art.  3  [legge
reg. n. 18/1982], non possono superare  un  sedicesimo  dell'area  di
proprieta'" . 
    Orbene, la nuova previsione  della  legge  regionale  dettata  in
materia se, da un lato, appare piu'  restrittiva  di  quella  statale
perche', rispetto a questa, riduce da un ottavo ad un sedicesimo,  il
limite della superficie massima realizzabile  di  copertura  rispetto
all'area  disponibile  (contro  un  decimo   del   limite   statale),
dall'altro non detta alcuna prescrizione in ordine al cumulo dei  due
limiti che, anzi, sembrano viaggiare disgiunti. Da cio' discende  che
l'amministrazione comunale, in virtu' della clausola di  cedevolezza,
avrebbe dovuto fare riferimento  a  tale  nuova  previsione,  con  la
conseguenza che  l'unico  limite  da  osservare,  nell'analisi  della
richiesta, sarebbe stato quello del sedicesimo  della  superficie  di
copertura, non anche quello relativo al volume, posto  che  la  norma
regionale - riguardo all'edificazione a scopi produttivi - non fissa,
al contrario di quella statale,  alcuna  prescrizione  in  merito  al
limite di densita' massima fondiaria. 
    Ad ulteriore conforto delle tesi esposte, la ricorrente  richiama
anche l'art. 2 decreto del Presidente della Repubblica  n.  380/2001,
secondo cui: "le disposizioni anche di dettaglio, del presente  testo
unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti,  operano
direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario,  fino  a
quando esse non si adeguano ai principi medesimi". 
    5.2. - La censura non e' condivisibile. 
    Occorre infatti considerare che la regola restrittiva  introdotta
dalla disciplina legislativa  regionale  riguarda  solo  lo  sviluppo
massimo della superficie di copertura; ne consegue che, in assenza di
diversa  regola  piu'  restrittiva  anche  sul  limite  di  cubatura,
continua ad applicarsi, esclusivamente per questo, l'art.  9  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    Ed invero, la condizione di restrittivita', in virtu' della quale
trova applicazione la clausola di cedevolezza della normativa statale
in favore di quella regionale, per avere una sua  logica  attuazione,
richiede  che  il  confronto  tra  le  due   norme   venga   condotto
singolarmente per ciascuna delle prescrizioni, attinenti di volta  in
volta al limite di copertura della superficie ed a quello del volume. 
    Diversamente, ove si ritenesse che, ai fini del realizzarsi della
condizione di restrittivita' e, quindi,  dell'applicazione  integrale
della norma regionale in luogo di quella statale, sia sufficiente che
la prima disponga una misura piu' penalizzante con riferimento ad uno
solo dei due limiti, omettendo del tutto l'altro - o  anche  fissando
per questo parametri ampliativi rispetto a  quelli  introdotti  dalla
norma statale -  si  arriverebbe,  in  definitiva,  al  paradosso  di
applicare una norma con regole nel complesso maggiormente concessive,
in palese contrasto con la lettera e la ratio dell'art. 9 decreto del
Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    E' del tutto evidente, infatti, il  carattere  in  astratto  piu'
favorevole di  una  norma  che,  pur  riducendo  le  possibilita'  di
sviluppo della superficie di copertura,  lasci  libero  quello  della
cubatura o viceversa. 
    Alla luce di quanto sopra il motivo e' infondato; lo  stesso,  in
quanto infondato, si palesa peraltro inammissibile  perche',  ove  si
applicasse, nei termini sopra descritti, l'invocata norma  regionale,
questa finirebbe per essere contrastante con l'interesse della stessa
ricorrente. 
    6. - Col secondo ordine  di  censure  la  ricorrente  deduce,  in
subordine, sotto altro profilo, la violazione e la falsa applicazione
degli articoli 2 e 9  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001; dell'art. 9 legge regionale Campania 11 agosto 2005, n. 15;
degli articoli 76 e  117  Cost.;  nonche'  l'eccesso  di  potere  per
sviamento. 
    6.1. - Pur volendo  ammettere  che,  nel  caso  in  esame,  trovi
applicazione l'art. 9 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001,  la  norma   statale   e'   stata   tuttavia   erroneamente
interpretata  nel  punto  in   cui   l'amministrazione   comunale   -
trattandosi di intervento edilizio a  destinazione  produttiva  -  ha
considerato di dovere cumulare i due limiti, relativi  alla  cubatura
ed superficie di copertura, in essa previsti. 
    A suo  avviso,  invece,  per  le  zone  sprovviste  di  strumenti
urbanistici generali, fuori del perimetro dei centri abitati, occorre
comunque distinguere tra costruzioni a vario scopo  (tra  cui  quello
residenziale),  per  le  quali  e'  fissato  l'indice  massimo  dello
sviluppo di cubatura (metri cubi 0,03, per  metro  quadrato  di  area
edificabile), e costruzioni a destinazione produttiva, per  le  quali
le superfici coperte non possono  superare  un  decimo  dell'area  di
proprieta'. 
    La ricorrente supporta la sua tesi con un'analisi letterale della
norma, peraltro gia' sostenuta da risalente giurisprudenza, anche  di
questo tribunale amministrativo regionale (cfr. Sez. II, 21  dicembre
2004, n. 19574). 
    Osserva, a questo riguardo, la non rilevanza: 
    della  struttura  letterale  della  disposizione  che   riunisce,
nell'unica lettera b), i due limiti di edificazione  previsti  al  di
fuori dei centri abitati per gli interventi di qualsiasi genere e per
quelli aventi specifica destinazione produttiva; 
    dell'utilizzo di un punto e virgola, in luogo del punto,  fra  il
periodo  che  disciplina  in  generale  gli   interventi   di   nuova
edificazione e quello che disciplina in  particolare  gli  interventi
aventi destinazione produttiva; 
    infine,   dell'utilizzo,   in   tale   secondo   periodo,   della
congiunzione  "comunque"  prima  dell'indicazione   dei   limiti   di
superficie previsti. 
    Rammenta  che  questa  linea  interpretativa  sarebbe  avvalorata
dall'analisi,  fornita  da   giurisprudenza   costante,   in   merito
all'abrogato  art.  4  (Caratteristiche  della  concessione),  ultimo
comma, lettera a) e c), legge 28 gennaio 1977, n. 10,  che  distingue
tra limiti di cubatura e  limiti  di  copertura,  a  seconda  che  si
tratti,  rispettivamente,  di  edificazione  residenziale  ovvero  di
quella produttiva. 
    6.2. - Anche questo assunto non e' condivisibile. 
    In primo luogo, il  tenore  letterale  dell'art.  9  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380/2001 e'  visibilmente  diverso  da
quello contenuto all'art. 4 legge n. 10/1977. 
    Invero quest'ultima norma prescriveva che: 
        "A decorrere dal 1° gennaio 1979, ...(omissis)..., nei comuni
sprovvisti degli strumenti urbanistici  generali  e  in  mancanza  di
norme  regionali  e  fino  all'entrata  in  vigore  di   queste,   la
concessione deve osservare i seguenti limiti: 
    a) fuori del perimetro  dei  centri  abitati  definito  ai  sensi
dell'art. 17 della legge 6 agosto  1967,  n.  765,  l'edificazione  a
scopo residenziale non puo' superare l'indice di metri cubi 0,03, per
metro quadrato di area edificabile; 
    b) ...(omissis)... 
    c) le superfici coperte degli edifici o dei complessi  produttivi
non possono superare un decimo dell'area di proprieta'.". 
    Il fatto che l'art. 4 legge  n.  10/1977  disciplinasse  con  due
distinte lettere - a) e c) - rispettivamente, le edificazioni a scopo
residenziale e quelle a  scopo  produttivo,  poneva  una  plastica  e
chiara separazione tra i due casi, per ognuno dei  quali  vigeva  una
regola specifica. 
    Pertanto,   le   soluzioni    interpretative    adottate    dalla
giurisprudenza riguardo al menzionato art. 4 legge 10/1977  non  sono
esportabili per l'art. 9 decreto del Presidente della  Repubblica  n.
380/2001. 
    6.3. - Cio' chiarito, per risolvere il  problema  circa  l'esatto
contenuto di quest'ultima norma, va in  primo  luogo  individuato  il
principio al quale  deve  conformarsi  la  corretta  esegesi  di  una
disposizione, quale quella oggetto del presente scrutinio. 
    Tale  principio  si  rinviene  nell'art.  12,  comma   1,   delle
disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi), il  quale,  con
valenza vincolante per l'interprete, prescrive che  alla  norma  deve
attribuirsi il senso fatto palese dalle parole usate dal legislatore,
secondo la loro connessione,  e  che  resta,  dunque,  preclusa  ogni
interpretazione  che  conduca  all'attribuzione  di  un   significato
diverso da quello rivelato dalle espressioni testuali contenute nella
disposizione. 
    Questa regola - riassunta nel noto brocardo  in  claris  non  fit
interpretatio - ha dunque valore generale e  prioritario,  nel  senso
che la stessa costituisce il primo canone nel processo interpretativo
della  norma  laddove  gli  altri  criteri  -  che  si  fondano,   in
successione,   sulla   ricerca   dell'intenzione   del   legislatore,
sull'indagine  logica  del  significato  del  precetto  e  sulla  sua
armonizzazione   sistematica   -   sono   sussidiari   e   recessivi;
utilizzabili, in altri termini, solo nelle ipotesi in cui il criterio
letterale si  riveli,  di  per  se',  insufficiente  (in  quanto,  ad
esempio, il dato testuale resti ambiguo ed equivoco). 
    In coerenza con la regola appena illustrata, e' agevole  rilevare
che la formulazione testuale della disposizione  di  cui  all'art.  9
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/20001  induce  a
leggerla nel senso del concorso e non della natura alternativa tra  i
due limiti descritti al comma 1, lettera b). 
    L'uso del punto e virgola tra la prima e la seconda  frase  della
disposizione indica, in particolare, in maniera chiara, che l'ipotesi
contemplata nella seconda parte (e, cioe', il caso  di  interventi  a
destinazione   produttiva)   rinviene   una   frazione   della    sua
regolamentazione nella disciplina contenuta nella frase precedente il
segno di interpunzione  (altrimenti  le  due  frasi  sarebbero  state
staccate da un punto). 
    Decisivo e' poi l'avverbio "comunque", il cui uso non e'  casuale
ma rivela che il secondo limite e' stabilito in aggiunta,  e  non  in
sostituzione,  al  primo  parametro;  diversamente  il  suo  utilizzo
sarebbe del tutto privo di senso. 
    6.3. - L'analisi del dato testuale della disposizione rivela,  in
definitiva, la soggezione degli interventi produttivi sia  al  limite
(generale) prescritto dalla prima frase per tutti gli interventi, sia
a  quello  (speciale)  riferito,  nella  seconda   frase,   ai   soli
insediamenti della specie; questi ultimi, pertanto,  oltre  a  dovere
rispettare l'indice volumetrico, non possono, in ogni caso,  eccedere
l'ulteriore vincolo dell'utilizzo di una superficie  superiore  a  un
decimo dell'area di proprieta'. 
    D'altronde, riguardo  a  quest'ultima  norma,  la  giurisprudenza
ormai costante considera cumulabili i due limiti in essa rinvenibili,
nonostante non siano mancate, in passato, differenti conclusioni. 
    Questo  tribunale  amministrativo  regionale  -  con  la   citata
sentenza n. 19574/2004 -  andando  di  contrario  avviso  ad  un  suo
precedente (cfr., Sez. IV, 23 dicembre 2003, n. 15535) aveva ritenuto
applicabile, in caso di attivita' edilizia per  fini  produttivi,  il
solo limite di copertura superficiaria, non anche quello di cubatura,
ricollegandosi proprio all'art. 4, legge n. 10/1977. 
    Sennonche', in riforma della citata  sentenza,  il  Consiglio  di
Stato (Sez. IV, 22 giugno 2006 n. 3872) - nel  contestare  il  metodo
interpretativo  seguito  dall'appellata  sentenza  del   TAR,   tutto
orientato a  superare  il  dato  testuale  e  privilegiare  l'analisi
sistematica e della ratio  della  disposizione  in  esame  -  ha,  di
contro, ritenuto conforme  al  tenore  letterale  della  disposizione
l'applicazione congiunta del limite di superficie e di volumetria. 
    Il  diritto  vivente,  espresso  nelle  decisioni   del   giudice
amministrativo  di   appello,   ha   successivamente   ribadito   "la
legittimita' del diniego del permesso di costruire, richiesto per  la
realizzazione di un insediamento produttivo in 'zona bianca' e  fuori
dal perimetro del centro abitato, che non rispetti il  doppio  limite
previsto dalla citata  disposizione,  riferito  sia  alla  soglia  di
cubatura consentita, sia alla misura massima della superficie coperta
realizzabile ... " (cfr., Cons. St.,  sez.  IV,  12  marzo  2010,  n.
1461). 
    Per  quanto  sopra,  il  secondo  ordine  di  censure  si  palesa
infondato. 
    7. - La reiezione dell'istanza  presentata  dalla  ricorrente  e'
essenzialmente imputabile all'applicazione  dei  suddetti  limiti  di
legge. Va quindi disattesa anche la  censura,  formulata  col  quarto
motivo di ricorso, che per ragioni  di  ordine  argomentativo  riceve
precedenza nello scrutinio, relativa al difetto di motivazione. 
    Al  contrario  di   quanto   sostenuto   dalla   ricorrente,   la
determinazione  impugnata  e'   sufficientemente   ed   adeguatamente
sorretta dalla enunciazione dei presupposti di  fatto  e  di  diritto
ostativi al rilascio del richiesto permesso di costruire;  la  stessa
e', per giunta, in linea con gli arresti giurisprudenziali registrati
in merito all'interpretazione  dell'art.  9  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001 (cfr. Cons. St., sez. IV, 3 maggio 2011,
n. 2616). 
    8. -  Deve  quindi  pervenirsi  all'esame  del  terzo  motivo  di
ricorso, col quale la  ricorrente  prospetta  molteplici  profili  di
illegittimita' costituzionale della disposizione  in  questione,  con
riferimento agli articoli 3, 41, 42, 76, 117 della Costituzione. 
    8.1. - In particolare, ad avviso della ricorrente, l'applicazione
congiunta  dei  due  limiti,  infatti,  violerebbe  il  principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), nonche' il diritto di proprieta' e  di
iniziativa economica (articoli 41 e 42 Cost.), in quanto limiterebbe,
eccessivamente, lo ius edificandi, per finalita' produttive. 
    La stessa clausola di cedevolezza, di cui al  primo  periodo  del
primo comma (salvi i piu' restrittivi  limiti,  fissati  dalle  leggi
regionali), violerebbe l'art. 117  Cost.,  in  quanto,  da  un  lato,
comprimerebbe la potesta' legislativa spettante  alla  Regioni,  alla
luce della  riforma  del  Titolo  V,  e,  dall'altro,  eluderebbe  il
generale divieto, per lo Stato, di  dettare  norme  specifiche  o  di
dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, tra  cui  rientra
il governo del territorio. 
    Ad essere violato sarebbe altresi' l'art. 76 Cost.. Sul punto, il
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' stato  emanato
in attuazione dell'art. 7 legge 8 marzo  1999,  n.  50  il  quale  ha
disposto il riordino delle  norme  legislative  e  regolamentari  che
disciplinano le fattispecie elencate  nell'art.  4,  comma  4,  della
legge 15 marzo 1997, n. 59 (tra le quali  rientrano  il  rilascio  di
concessioni edilizie  e  del  certificato  di  agibilita'),  mediante
l'emanazione di testi unici, con cui il  Governo  deve  procedere  al
coordinamento  formale  del   testo   delle   disposizioni   vigenti,
apportando le modifiche necessarie, per garantire la coerenza  logica
e sistematica della normativa.  Trattandosi  di  un  testo  unico  di
riordino, il Governo non avrebbe potuto introdurre limiti  ulteriori,
rispetto a quelli gia' previsti, in particolare dall'art. 4, legge n.
10/1977, che prevede per l'edilizia con finalita' produttiva, il solo
limite di copertura della superficie. 
    8.2. - Il Collegio evidenzia  in  via  preliminare  la  rilevanza
dell'incidente di costituzionalita'  -  con  riferimento  all'art.  9
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001  (recante  il
"Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia edilizia. Testo A"), nonche' del corrispondente  art.  9  del
decreto legislativo 6 luglio  2001,  n.  378  (recante  "Disposizioni
legislative in materia edilizia. Testo B") - ai fini della  decisione
del ricorso in epigrafe. 
    L'eventuale  accoglimento  dell'incidente  di  costituzionalita',
infatti, comporterebbe un esito positivo del  giudizio,  considerando
il tenore delle censure avanzate; per  contro,  l'infondatezza  delle
eccezioni determinerebbe la reiezione dell'impugnativa proposta. 
    Pertanto, una volta respinte tutte le altre censure,  quella  che
solleva il dubbio di conformita' costituzionale del richiamato art. 9
diventa decisivo per la soluzione della controversia. 
    8.3. -  Cio'  premesso,  i  rilevati  profili  di  illegittimita'
costituzionale  non  si   palesano   nel   complesso   manifestamente
infondati. 
    8.3.1. - Riguardo alla violazione dell'art. 76 Cost., si  osserva
che, con la legge n. 50/1999, il legislatore statale  ha  rimesso  al
Governo la redazione di testi unici, in  apposite  materie,  tra  cui
quella dell'edilizia, con la finalita' di coordinare le  disposizioni
vigente,  apportando  eventuali  modifiche   solo   se   strettamente
necessarie a garantire coerenza logica e sistematica alla normativa. 
    Tra le disposizioni da prendere in considerazione - ai  fini  del
riscontro di non  palese  infondatezza  della  questione  -  rientra,
certamente, il  menzionato  art.  4,  legge  n.  10/1977,  il  quale,
all'ultimo comma, detta i limiti delle concessioni  di  edificazione.
Nello  specifico,  come  sopra   piu'   ampiamente   illustrato,   la
disposizione individua, alla lettera a), il limite di cubatura  (0.03
mq per area edificabile), per l'edificazione  residenziale,  e,  alla
lettera c), il limite di copertura (1/10  dell'area  di  proprieta'),
per l'edificazione produttiva. Per come e' concepita la norma,  ormai
abrogata, non sussistono quindi dubbi circa l'applicabilita'  in  via
alternativa dei due limiti. 
    Al contrario, l'art. 9, comma 1,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001, consente, alla lettera b), gli interventi  di
nuova edificazione, nel limite della densita'  massima  fondiaria  di
0,03  metri  cubi  per  metro  quadro;  in  caso  di   interventi   a
destinazione produttiva, la  superficie  coperta  non  puo'  comunque
superare un decimo dell'area di proprieta',  imponendo,  come  detto,
l'applicabilita' congiunta dei limiti, per l'edificazione produttiva. 
    La diversita' di prescrizione vincolante tra le due  disposizioni
sembra  porsi  in  contrasto  con  le  finalita'  di  mero   riordino
normativo, di cui all'art. 7, legge n. 50/1999,  perche',  di  fatto,
introduce - rispetto ai limiti fissati in via alternativa dal  citato
art. 4, legge n. 10/1977 - una sostanziale novella normativa che,  da
un lato, non trova  alcuna  giustificazione  in  chiave  di  coerenza
logica e sistematica e, dall'altro, non e' ammissibile, atteso che la
legge delega n. 50/1999 non reca sul  punto  i  criteri  direttivi  e
principi, indispensabili per autorizzare il Governo ad esercitare, in
una data materia, il  potere  legislativo  delegato  di  modifica  ed
integrazione. 
    Alla luce di quanto illustrato, si prospetta il dubbio di eccesso
di delega  della  disposizione  di  legge  in  esame,  con  possibile
contrasto con l'art. 76 Cost. 
    8.3.2. - Riguardo alla violazione dell'art. 117 Cost., l'art.  4,
legge n. 10/1977 prevede l'applicazione  dei  limiti  individuati  al
rilascio del certificato di  edificabilita',  in  mancanza  di  norme
regionali e fino all'entrata in vigore di queste. 
    Il Collegio  osserva  che  anche  il  tenore  della  clausola  di
cedevolezza e' stato modificato dall'art. 9  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 380/2001, il quale fa ora  salva,  non  piu'  una
diversa normativa regionale, ma  solo  "i  piu'  restrittivi  limiti,
fissati dalle leggi regionali". 
    La piu' rigida  clausola  di  cedevolezza  appena  citata  appare
quindi contrastante con l'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione,
nella parte in cui limita il potere  legislativo  delle  Regioni,  in
merito al governo del territorio, materia di competenza concorrente. 
    Piu' in particolare, l'art. 117, 3 comma, Cost.,  elenca  in  via
tassativa le materie di competenza concorrente e affida alle  Regioni
la potesta' legislativa generale, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. 
    Coerentemente con la norma  costituzionale  appena  indicata,  lo
stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001,  all'art.
2, comma 3, dispone, in  sostanziale  antitesi  con  quanto  previsto
dall'art. 9 in parola, che le disposizioni  anche  di  dettaglio  del
testo unico, attuative dei principi di riordino  in  esso  contenuti,
operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto  ordinario,
fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi. 
    La Regione Campania, in materia, e' intervenuta in due  occasioni
dopo l'entrata in vigore del testo unico dell'edilizia. 
    Piu'  precisamente,  l'art.  38,  comma  3,  legge  regionale  22
dicembre 2004 n. 16 dispone che, a seguito della scadenza dei vincoli
di cui al comma 1 (termine quinquennale di efficacia delle previsioni
PUC, che prevedono limiti edificatori),  si  applicano  i  limiti  di
edificabilita' previsti dalla legge regionale 20 marzo 1982,  n.  17.
Quest'ultima, all'art. 4, comma 1, lettera b), statuisce un limite di
cubatura, pari a 0.03 mc per ogni metro  quadro,  per  l'edificazione
per scopi residenziali, mentre, al comma 2, un  limite  di  copertura
superficiaria (un ottavo dell'area di proprieta'),  per  i  complessi
produttivi. L'art. 9 della legge regionale n.  15  del  2005  ha  poi
inciso in senso peggiorativo su tale limite di copertura, riducendolo
ad un sedicesimo. 
    Come gia' sopra ampiamente illustrato, la legislazione  regionale
contempla, dunque, per gli interventi a destinazione  produttiva,  un
limite di copertura superficiaria  attualmente  piu'  restrittivo  di
quello previsto dall'art. 9 decreto del Presidente  della  Repubblica
n. 380/2001, ma alcun  limite  riguardo  alla  cubatura,  quindi  per
questo singolo aspetto la legge regionale sarebbe piu' favorevole. 
    Orbene, per effetto della clausola di cedevolezza  che  l'art.  9
decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001  restringe  alle
sole  norme   regionali   piu'   restrittive,   resterebbe   comunque
applicabile la regola del  doppio  limite,  imposto  dal  legislatore
statale, con violazione delle prerogative regionali. 
    In altri termini, continuerebbero a trovare applicazione norme di
dettaglio statali, in una materia concorrente, qual e' il governo del
territorio, benche' la regione abbia provveduto  ad  emanare  proprie
norme. 
    Per questo, si pongono problemi di  conformita'  della  normativa
statale al dettato di cui all'art. 117, comma 3, Cost. 
    8.3.3. - L'art. 9 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001 sembra infine violare il principio di ragionevolezza, il cui
addentellato  costituzionale   si   individua   nell'art.   3   della
Costituzione  nonche'  le  garanzie  previste  per  il   diritto   di
proprieta' e l'iniziativa economica privata, di cui agli articoli  41
e 42 della Costituzione. 
    Riguardo  alla  violazione  del  principio   di   ragionevolezza,
l'applicazione congiunta dei limiti  di  cubatura  e  di  superficie,
infatti, sembra penalizzare oltre modo l'attivita' di produzione e di
scambio di beni e servizi, perche' di fatto finisce col richiedere la
disponibilita' di un'area molto estesa per consentire la  costruzione
di edifici  dotati  di  una  cubatura  minima,  idonea  per  svolgere
qualsiasi tipo di attivita' economica. 
    Come ben evidenziato dalla ricorrente,  l'applicazione  congiunta
dei limiti in parola ad  una  superficie,  ad  esempio,  di  1000  mq
consentirebbe  di  realizzare  un  edificio,  con  riferimento   alla
superficie, di 10 metri di base e 10 metri  di  profondita'  ma,  con
riferimento al volume, di soli 30 cm di altezza . La  conclusione  e'
all'evidenza irragionevole e tale da non consentire  alcuna  proficua
utilizzazione, in senso produttivo, dell'immobile. 
    8.3.4. - Anche per questo, la  norma  statale  sembra  comprimere
indirettamente, ma comunque in modo significativo e non razionale, la
liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41, comma 1,  Cost.,
tanto piu' perche' prevede il cumulo dei  limiti  esclusivamente  per
gli edifici aventi destinazione produttiva. In tal senso, la concreta
impossibilita' di realizzare una costruzione adatta allo  svolgimento
di un'attivita' produttiva, per  effetto  di  restrittive  previsioni
legislative,  rende  di  fatto  piu'  complicato  lo  svolgimento  di
iniziative imprenditoriali. 
    8.3.5. - Da ultimo, ma non meno rilevanti, si pongono i dubbi  di
legittimita' costituzionale dell'art. 9 decreto del Presidente  della
Repubblica  n.  380/2001  con  riferimento  all'art.  42  Cost.,   in
particolare commi 2 e 3, a fronte della significativa limitazione che
si impone allo ius aedificandi connesso al diritto di proprieta'. 
    Giova  osservare  che,  nel  caso  di  specie,   non   si   versa
nell'ipotesi di assenza totale di un qualsiasi strumento  urbanistico
ma in quella del decorso dei cinque anni dall'approvazione  del  PRG,
senza che le prescrizioni in esso contenute abbiano trovato  concreta
attuazione, con la conseguenza che le stesse hanno  perso  efficacia,
sicche' la zona nella quale ricadrebbe l'intervento (F1 - zone di uso
pubblico) deve essere considerata "zona bianca"  ed  in  quanto  tale
soggetta alle prescrizioni di cui all'art. 9 menzionato. 
    E' utile sul punto ricondursi alla nota sentenza 29  maggio  1968
n. 55, con la quale la Corte costituzionale dichiaro' illegittimi gli
articoli 7 e 40 della legge urbanistica (legge  17  agosto  1942,  n.
1150),  nel  punto  in  cui  consentivano  all'autorita'  urbanistica
d'imporre,  a   tempo   indeterminato,   vincoli   d'inedificabilita'
(definitiva e in vista di una possibile futura espropriazione), senza
che ai proprietari fosse dovuto alcun indennizzo. 
    Per porre riparo alla situazione determinatasi per effetto  della
pronuncia della Consulta, la legge 19 novembre 1968, n.  1187  fisso'
un limite di durata di cinque anni per i vincoli di piano  regolatore
generale (art. 2,  comma  1:  "Le  indicazioni  di  piano  regolatore
generale,  nella  parte  in  cui  incidono  su  beni  determinati  ed
assoggettano i beni stessi a vincoli  preordinati  all'espropriazione
od  a  vincoli  che  comportino  l'inedificabilita',   perdono   ogni
efficacia qualora entro cinque anni dalla data  di  approvazione  del
piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi  piani
particolareggiati   od   autorizzati   i   piani   di   lottizzazione
convenzionati. L'efficacia  dei  vincoli  predetti  non  puo'  essere
protratta oltre il termine di attuazione dei piani  particolareggiati
e di lottizzazione). 
    Ne' la situazione e' mutata, l'indomani  dell'entrata  in  vigore
della legge n. 28 gennaio 1977 n. 10 sull'edificabilita'  dei  suoli.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 5  del  1980,  fu  chiara
nell'affermare che detta nuova  legge  continuava  a  riconoscere  al
proprietario lo ius aedificandi. 
    Di conseguenza, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che,
anche dopo la menzionata legge n. 10/1977,  rimanesse  in  vigore  il
citato art. 2, comma 1, legge n. 1187/1968 (cfr., ad es., Sez. V,  30
aprile 1997 n. 411); al riguardo ha affermato che "L'inutile  decorso
del termine quinquennale di cui all'art. 2 della  legge  19  novembre
1968  n.  1187,  comporta  non  la  reviviscenza   della   previgente
disciplina urbanistica interessante l'area, ma  l'applicazione  degli
standards contemplati dall'art.  4,  ultimo  comma,  della  legge  28
gennaio 1977 n. 10" (Sez. IV, 8 maggio 1990, n. 351). 
    Si pone allora il dubbio se il doppio limite  all'edificabilita',
introdotto  dal  legislatore  statale,  abbia  effetti  di  eccessiva
compressione  sulle  concrete  possibilita'  realizzative  dello  ius
aedificandi  in  spregio  alle  conclusioni  alle  quali   la   Corte
costituzionale e' pervenuta, volte a  preservare  uno  dei  contenuti
fondamentali   del   diritto   dominicale,   in   quanto   tali   non
surrettiziamente espropriabili. 
    9. - Alla luce di quanto sopra,  attesa  la  rilevanza,  ai  fini
della definizione del ricorso in epigrafe  e  la  sua  non  manifesta
infondatezza, il Collegio ritiene necessario  sottoporre  alla  Corte
costituzionale   le    questioni    incidentali    di    legittimita'
costituzionale, sollevate in merito all'art. 9, comma 1, lettera  b),
d.lgs. n. 378/2001 e decreto del Presidente della Repubblica  n.  380
del 2001, ai sensi dell'art. 134 Cost. e dell'art. 1, legge Cost.  n.
1 del 1948. 
    Ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge 11 marzo  1953  n.  87,  il
giudizio  e'  sospeso  fino  alla   definizione   dell'incidente   di
costituzionalita'. 
    Ai sensi dell'art. 23, comma 4, legge 11 marzo  1953  n.  87,  la
presente ordinanza  sara'  notificata  alle  parti  costituite  e  al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Appare opportuno regolare il regime delle spese processuali  alla
definizione del presente giudizio.