Ricorso della Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona
del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f.  80224030587  per
il    ricevimento    degli    atti,    fax    06/96514000    e    PEC
roma@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici e'  legalmente
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Basilicata (c.f. 80002950766)  in  persona  del
Presidente  della  Giunta  Regionale  pro  tempore,  Viale   Vincenzo
Verrastro, 4 - Potenza - 85100. 
    Per la declaratoria  della  illegittimita'  costituzionale  della
legge della Regione Basilicata  n.  53/2015  del  26  novembre  2015,
pubblicata nel BUR n. 49 del 26 novembre 2015, recante  «Disposizioni
urgenti per l'applicazione dell'art. 14 della legge 30 ottobre  2014,
n. 161», in particolare, all'art. 2, comma 1,  lettere  a)  e  c),  e
all'art. 3, come da delibera del Consiglio dei Ministri  in  data  15
gennaio 2016. 
    La legge della  Regione  Basilicata  26  novembre  2015,  n.  53,
recante «Disposizioni urgenti  per  l'applicazione  dell'articolo  14
della legge 30 ottobre 2014, n. 161.», in materia di orario di lavoro
dei medici e del personale del SSN (art. 2), nonche'  in  materia  di
reclutamento di personale  a  tempo  determinato  (art.  3)  presenta
profili d'illegittimita' costituzionale, con riferimento all'art.  2,
comma 1, lettere a)  e  c),  e  all'art.  3,  per  contrasto  con  la
disciplina nazionale: 
    a) l'art.  2  della  L.R.  Basilicata  n.  53/2015  contrasta  in
particolare, con il d.lgs. n. 66/2003 (artt. 4 e 7) e con la legge n.
161/2014 (in particolare,  l'art.  14),  con  conseguente  violazione
dell'art. 117, primo comma, e secondo comma, lett. l), Cost. 
    b) l'art. 3  della  L.R.  Basilicata  n.  53/2015  contrasta  con
l'articolo 2, commi 71 e 72, della legge  n.  191/2009,  nonche'  con
l'articolo 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010, in materia di limiti  al
reclutamento del personale, con conseguente violazione dell'art. 117,
terzo  comma  Cost.  -  coordinamento  della  finanza  pubblica  -  e
dell'art. 81 Cost. limiti di bilancio. 
    1)  L'art.  2,  comma  1,  lett.  a),  che  reca  la   disciplina
transitoria  dell'orario  di  lavoro  del  personale  sanitario   del
Servizio sanitario nazionale, stabilisce che «per  il  calcolo  della
durata massima settimanale di 48 ore dell'orario  di  lavoro  di  cui
all'art. 4 del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, periodo di riferimento e'
di mesi dodici in linea con quanto previsto dal comma 4 del  predetto
articolo». 
    Tale previsione si pone in contrasto proprio con l'art. 4,  comma
2, del menzionato d.lgs. n. 66/2003, il quale, nel dare attuazione  a
varie  Direttive  europee  (tra  le  quali  le  Direttive  93/104/CE,
2000/34/CE, e 2003/88/CE), prevede che la durata media dell'orario di
lavoro non puo' in ogni caso superare,  per  ogni  periodo  di  sette
giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro  straordinario,
e che tale durata media dell'orario di lavoro deve  essere  calcolata
con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. 
    Il medesimo articolo prevede inoltre, al comma 4, che i contratti
collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare tale limite fino  a
sei mesi ovvero fino a dodici mesi a  fronte  di  ragioni  obiettive,
tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, specificate  negli
stessi contratti collettivi. 
    La disposizione regionale in esame  pertanto  viola  l'art.  117,
primo comma, e secondo comma, lett. l), Cost., in quanto non rispetta
i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, e invade la materia
dell'ordinamento civile riservata alla competenza statale. 
    2)  L'art.  2,  comma  1,  lett.  c),  che  reca  la   disciplina
transitoria  del  riposo  giornaliero  del  personale  sanitario  del
Servizio sanitario  nazionale,  prevede  che  «i  riposi  giornalieri
inferiori  ad  undici  ore  sono  possibili  in  presenza  di  eventi
eccezionali e non prevedibili o assenze improvvise che non consentano
di  garantire  la  continuita'  dell'assistenza  come  accertati  dai
responsabili dei servizi sanitari interessati». 
    Tale previsione si pone in contrasto con l'articolo 7 del  d.lgs.
n. 66/2003, il quale, nel dare attuazione alle  menzionate  Direttive
europee, prevede che «Ferma restando la  durata  normale  dell'orario
settimanale,  il  lavoratore  ha  diritto  a  undici  ore  di  riposo
consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve  essere
fruito in modo consecutivo fatte salve le attivita' caratterizzate da
periodi di lavoro frazionati durante  la  giornata  o  da  regimi  di
reperibilita'». 
    La disposizione regionale in esame  pertanto  viola  l'art.  117,
primo comma, e secondo comma, lett. l), Cost., in quanto non rispetta
i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, e invade la materia
dell'ordinamento civile riservata alla competenza statale. 
    Al riguardo appare opportuno segnalare che le norme statali sopra
menzionate erano state  dichiarate  «non  applicabili»  al  personale
sanitario del Servizio sanitario nazionale dall'art.  41,  comma  13,
del decreto-legge n.  112/2008  e  dall'art.  17,  comma  6-bis,  del
decreto legislativo n. 66/2003  (introdotto  dall'art.  3,  comma  85
della legge n. 244/2007). 
    Tuttavia le deroghe cosi' introdotte hanno determinato l'apertura
di una apposita procedura di infrazione, da parte  della  Commissione
europea, contro l'Italia in  quanto  le  disposizioni  rispetto  alle
quali si poneva la deroga (artt. 4 e 7 del piu' volte  citato  d.lgs.
n.  66/2003),  erano,  come  sopra   evidenziato,   attuative   delle
menzionate direttive europee vigenti in materia,  ed  in  particolare
degli articoli 6 e 3 della direttiva 2003/88/CE. 
    Segnatamente, l'articolo  4  del  d.lgs.  n.  66/2003,  attuativo
dell'articolo 6  della  direttiva  2003/88/CE,  nel  disciplinare  la
durata massima dell'orario di lavoro, fissa  in  quarantotto  ore  la
durata media dello stesso, per ogni periodo di  sette  giorni  (comma
2). 
    Il comma 3 del medesimo articolo prevede che  tale  durata  media
settimanale deve essere calcolata con riferimento a  un  periodo  non
superiore a quattro mesi; periodo che, a fronte di ragioni obiettive,
tecniche  o  inerenti  all'organizzazione  del  lavoro,  puo'  essere
aumentato a sei o a dodici mesi, ma solo dai contratti collettivi  di
lavoro (secondo quanto previsto dal comma 4). 
    Sono,  infatti,  i  contratti  collettivi  di  lavoro   a   dover
stabilire, nel  rispetto  dei  limiti  indicati,  la  durata  massima
settimanale dell'orario di lavoro (comma 1 del citato articolo 4  del
d.lgs. n. 66/2003). 
    L'articolo  7  del  richiamato  d.lgs.  n.   66/2003,   attuativo
dell'articolo 3 della direttiva 2003/88/CE, stabilisce invece che  il
lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. 
    Ebbene, proprio al fine  di  risolvere  positivamente  la  citata
procedura di infrazione, legislatore e' intervenuto con il richiamato
art. 14 della legge n. 161/2014 (non a caso intitolata  «disposizioni
per  l'adempimento   degli   obblighi   derivanti   dall'appartenenza
dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2013-bis.»), abrogando
le citate norme di deroga. 
    Tuttavia,  in  considerazione  del  fatto   che   il   ripristino
automatico dei diritti in materia di orario di lavoro,  di  cui  alla
predetta  direttiva  europea,   avrebbe   potuto   determinare,   ove
l'abrogazione  delle  norme  derogatorie  fosse  stata  di  immediata
efficacia - e tenuto conto dei limiti  normativi  all'assunzione  del
personale  -  talune  criticita'  in  ordine  alla   garanzia   della
continuita'  nell'erogazione  dei  servizi  sanitari  e  dei  livelli
essenziali delle prestazioni, il comma 1 dell'art. 14 della legge  n.
161/2014 ha disposto che l'abrogazione delle norme derogatorie di cui
si e' detto avvenisse decorsi  dodici  mesi  dall'entrata  in  vigore
della legge medesima; tale termine e' scaduto il 25 novembre 2015. 
    Detta  norma  transitoria  era  finalizzata  a  consentire   alle
regioni, come disposto al comma 2, di realizzare, entro tale termine,
appositi  processi  di  riorganizzazione  finalizzati  ad  una   piu'
efficiente   allocazione   delle   risorse   umane,   disponibili   a
legislazione  vigente,  tenendo  anche  conto  di   quanto   previsto
dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del  decreto-legge  6  luglio
2012, n. 95, cui e' stata data attuazione con il decreto del Ministro
della salute 2 aprile 2015, n. 70 («Regolamento  recante  definizione
degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici  e  quantitativi
relativi all'assistenza ospedaliera»). 
    Il comma 3 del  menzionato  art.  14  della  legge  n.  161/2014,
inoltre, ha previsto, conformemente a quanto consentito dall'articolo
17, paragrafo 3, lettera c), della richiamata  direttiva  2003/88/CE,
che, al fine di garantire la continuita' nell'erogazione dei  livelli
essenziali delle prestazioni, i  contratti  collettivi  nazionali  di
lavoro del comparto sanita' disciplinano le deroghe alle disposizioni
in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario
nazionale  preposto  ai   servizi   relativi   all'accettazione,   al
trattamento e/o alle cure, prevedendo altresi' equivalenti periodi di
riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo  di  lavoro
da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la  concessione  di
tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per
ragioni  oggettive,  adeguate  misure  di  protezione  del  personale
stesso. 
    Il medesimo comma ha previsto, infine, che nelle more del rinnovo
dei contratti collettivi vigenti,  le  disposizioni  contrattuali  in
materia  di  riposo  giornaliero  e  di  durata  massima  settimanale
dell'orario  di  lavoro,  attuative  delle   norme   abrogate,   sono
disapplicate a decorrere dalla data di abrogazione. 
    Va, peraltro, segnalato che, a seguito della pubblicazione  della
citata legge n. 161/2014, la  predetta  procedura  di  infrazione  e'
stata archiviata. 
    Tanto premesso in ordine alla normativa  statale  ed  europea  di
riferimento, si ribadisce che la legge regionale in esame reca alcune
disposizioni che, intervenendo in materia  di  orario  di  lavoro,  e
prevedendo talune deroghe alle richiamata normativa,  attengono  alla
materia dell'ordinamento civile, che,  ai  sensi  dell'articolo  117,
secondo comma, lettera  l)  della  Costituzione,  e'  riservata  alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato e, dunque, non puo' essere
disciplinata con legge regionale. 
    In particolare, mentre l'articolo 1 della citata legge regionale,
come detto, enuncia che la finalita' della legge e'  quella  di  dare
attuazione al piu'  volte  richiamato  articolo  14  della  legge  n.
161/2014  -  il  quale,  tuttavia,  prevedeva  che  i   processi   di
riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture  e  dei  servizi
dovessero  concludersi,  da  parte  delle  regioni,  entro  12   mesi
dall'entrata in vigore della legge  stessa  -  peraltro  rinviando  a
successivi  e  non  meglio  specificati   provvedimenti   di   Giunta
regionale, l'articolo 2 detta una disciplina transitoria che presenta
i citati profili di illegittimita' costituzionale. 
    In particolare, tale articolo 2 dispone, al comma 1, lettera  a),
che, nelle more della definizione della nuova disciplina contrattuale
nazionale, in relazione alle disposizione  contenute  nel  d.lgs.  n.
66/2003, «per il calcolo della durata massima settimanale di  48  ore
dell'orario di lavoro di cui all'articolo 4 del d.lgs. n. 66/2003  il
periodo di riferimento  e'  di  mesi  dodici,  in  linea  con  quanto
previsto dal comma 4 del predetto articolo». 
    In tal modo, la citata norma regionale pone una palese  deroga  a
quanto previsto dal richiamato articolo 4, comma  2,  del  d.lgs.  n.
66/2003, ai sensi del quale, come visto, la durata media  dell'orario
di lavoro settimanale, fissata in 48 ore, deve essere  calcolata  con
riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi. 
    Deve, peraltro, essere contestata la  dichiarata  conformita'  al
comma 4 del d.lgs. n. 66/2003, cui fa riferimento la norma  regionale
in argomento, in quanto  tale  articolo,  ancorche'  preveda  che  il
predetto  periodo  di  quattro  mesi  possa,  a  fronte  di   ragioni
obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro,  essere
elevato a sei mesi o  a  dodici  mesi,  riserva  la  possibilita'  di
prevedere tale innalzamento esclusivamente ai contratti collettivi di
lavoro,  che  peraltro  devono  dar  conto  delle  predette   ragioni
giustificatrici. 
    Non e' dunque legittima una legge  regionale  che  intervenga  in
tale materia. 
    La lettera c) del citato articolo  2  della  legge  regionale  in
esame, inoltre, prevede che i riposi giornalieri inferiori ad  undici
ore  sono  possibili  in  presenza  di  eventi  eccezionali   e   non
prevedibili o assenze improvvise che non consentano di  garantire  la
continuita' dell'assistenza,  come  accertati  dai  responsabili  dei
servizi sanitari interessati. 
    Tale previsione, come sopra evidenziato, si pone in contrasto con
l'articolo 7 del d.lgs.  n.  66/2003,  che  prevede  il  diritto  del
lavoratore ad undici ore di  riposo  consecutivo,  ogni  ventiquattro
ore. 
    L'articolo  17,  comma  l,  del  medesimo  decreto   legislativo,
inoltre, prevede che eventuali  deroghe  a  tale  previsione  possano
essere disposte, anche in  tal  caso,  esclusivamente  dai  contratti
collettivi  stipulati  a  livello  nazionale  con  le  organizzazioni
sindacali comparativamente piu' rappresentative (ovvero, in  mancanza
di disciplina collettiva, mediante una procedura speciale di  livello
nazionale, regolamentata al comma 2), specificando, inoltre, al comma
4, che tale deroga e' ammessa solo a condizione che «ai prestatori di
lavoro siano accordati periodi equivalenti di riposo compensativo  o,
in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti
di riposo compensativo non sia  possibile  per  motivi  oggettivi,  a
condizione che ai lavoratori interessati sia accordata una protezione
appropriata». 
    Si tratta di riserve (alla contrattazione collettiva) e di limiti
espressamente ribaditi, tra l'altro, anche dallo stesso  articolo  14
della legge n. 161/2014, di cui pure la legge regionale in  esame  si
dichiara attuativa. 
    Come anticipato, infatti, il comma 3 di tale articolo 14  prevede
che a al fine di garantire la continuita' nell'erogazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, i  contratti  collettivi  nazionali  di
lavoro del comparto sanita' disciplinano le deroghe alle disposizioni
in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario
nazionale  preposto  ai   servizi   relativi   all'accettazione,   al
trattamento e alle cure, prevedendo altresi' equivalenti  periodi  di
riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo  di  lavoro
da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la  concessione  di
tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per
ragioni  oggettive,  adeguate  misure  di  protezione  del  personale
stesso.». 
    Per quanto sopra esposto, si ribadisce che l'articolo 2, comma 1,
lettere  a)  e  c)  della  legge  regionale  in  esame  si  configura
costituzionalmente illegittimo,  in  quanto  attinente  alla  materia
dell'ordinamento civile e in quanto  contrastante  con  la  normativa
europea di riferimento. 
    Risultano, conseguentemente,  violati  l'articolo  117,  primo  e
secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
    3) L'art. 3, comma 1, della legge regionale in  esame  stabilisce
che «Le Aziende Sanitarie regionali  sono  autorizzate,  fino  al  31
luglio  2016,  all'acquisizione  di  personale  sanitario   a   tempo
determinato, anche nella forma di lavoro in somministrazione, fino ad
una spesa massima complessiva pari al costo sostenuto nell'anno  2015
per il periodo  di  assenza  del  personale  dipendente  in  caso  di
maternita',  malattia,  aspettative,  fruizione  di  altri  benefici,
distacchi, comandi e permessi previsti dalla  normativa.  Tale  costo
non viene computato agli effetti del rispetto di tutti i  vincoli  di
spesa complessiva del personale stabiliti dalla normativa nazionale e
regionale.» 
    La disposizione regionale in esame, che non  rispetta  i  vincoli
recati dalle vigenti disposizioni in materia  di  contenimento  della
spesa  di  personale,  contrasta  con  la   disciplina   statale   di
riferimento e in particolare con l'articolo 2, commi 71 e  72,  della
legge n. 191/2009, nonche' con l'articolo 9, comma 28,  del  d.l.  n.
78/2010,  secondo  il  quale  «A   decorrere   dall'anno   2011,   le
amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo,  le
agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e  64
del  decreto  legislativo  30  luglio  1999,  n.  300,  e  successive
modificazioni, gli enti pubblici non economici, le universita' e  gli
enti  pubblici  di  cui  all'articolo  70,  comma  4,   del   decreto
legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  e  successive  modificazioni  e
integrazioni,  le  camere  di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del
decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165,  possono  avvalersi  di
personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con  contratti
di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite  del  50  per
cento della spesa sostenuta per le stesse finalita'  nell'anno  2009.
Per le medesime amministrazioni la spesa  per  personale  relativa  a
contratti di formazione-lavoro, ad  altri  rapporti  formativi,  alla
somministrazione di lavoro,  nonche'  al  lavoro  accessorio  di  cui
all'articolo 70, comma 1,  lettera  d)  del  decreto  legislativo  10
settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni  ed  integrazioni,
non puo' essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per  le
rispettive finalita' nell'anno 2009. 
    I limiti di cui al primo e al secondo periodo non  si  applicano,
anche con riferimento ai  lavori  socialmente  utili,  ai  lavori  di
pubblica utilita' e ai cantieri di lavoro, nel caso in cui  il  costo
del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o  da
fondi dell'Unione europea; nell'ipotesi di cofinanziamento, i  limiti
medesimi non si applicano con riferimento alla sola quota  finanziata
da  altri  soggetti.  Le  disposizioni  di  cui  al  presente   comma
costituiscono principi  generali  ai  fini  del  coordinamento  della
finanza pubblica  ai  quali  si  adeguano  le  regioni,  le  province
autonome,  gli  enti  locali  e  gli  enti  del  Servizio   sanitario
nazionale...». 
    L'art. 3, derogando ai principi di  coordinamento  della  finanza
pubblica recati dalle suddette norme statali, viola  pertanto  l'art.
117, terzo comma, Cost. 
    Inoltre il medesimo art. 3, omettendo di  indicare  la  copertura
economica  delle  spese  derivanti   dall'assunzione   del   predetto
personale, viola l'articolo 81 della Costituzione.