Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della  Regione  Emilia
Romagna, in persona del Presidente  della  Giunta  regionale,  legale
rappresentante pro tempore, sig. Stefano Bonaccini,  autorizzato  con
deliberazione della Giunta regionale progr. n. 264  del  29  febbraio
2016 (doc. 1), rappresentata e difesa per mandato speciale a  margine
dal prof. avv. Franco Mastragostino (C.F. MST FNC 47E07  A059Q;  pec:
francomastragostino@ordineavvocatibopec.it,) e dal prof. avv. Adriano
Giuffre' (pec: adrianogiuffre@ordineavvocatiroma.org,  C.F.  GFF  DRN
38R28 F512D),  ed  elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio  di
quest'ultimo in Roma, via dei Gracchi n. 39; 
    Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente in carica; per l'annullamento della nota  della  direzione
generale  per  i  rifiuti  e  l'inquinamento  presso   il   Ministero
dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e  del  mare  prot  n.
0001528 in data 1° febbraio 2016, trasmessa tramite pec in pari  data
alla direzione generale ambiente della Regione Emilia Romagna ed,  in
particolare, al dirigente dott. Giuseppe Bortone,  e  per  conoscenza
alla Presidenza del Consiglio dei  ministri  -  Dipartimento  per  il
coordinamento amministrativo, con la quale, nel riscontrare l'istanza
del  Presidente  della  giunta  della  Regione  Emilia  Romagna   PG.
2015/0888444 del 24 dicembre 2015, con cui si invitava la  Presidenza
del Consiglio dei ministri a ritirare la diffida nei confronti  della
Regione  e  ad  identificare  correttamente   e   legittimamente   la
Amministrazione tenuta all'adempimento  relativamente  alla  bonifica
della discarica del «sito Razzaboni», ha comunicato che  «non  paiono
sussistere elementi di fatto e di diritto tali  da  giustificare  una
rettifica della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del
26 novembre 2015». 
 
                          Premesso in fatto 
 
    Con atto di diffida del Presidente del Consiglio dei ministri  26
novembre 2015, emanato ai sensi dell'art. 8, comma.1, della legge  n.
131 del 2003, e dell'art. 41 della legge 24 dicembre  2012,  n.  234,
rivolto sia al comune di San Giovanni in Persiceto, sia alla  Regione
Emilia Romagna, relativamente alla  «discarica  abusiva  ubicata  nel
comune, di San Giovanni in Persiceto, in localita' V. Samoggia n.  26
(sito Razzaboni), oggetto della sentenza di condanna della  Corte  di
giustizia del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13,  in  ordine  alla
applicazione delle direttive  75/442/CEE,  91/689/CEE»,  si  imponeva
alla Regione Emilia  Romagna  «di  rilasciare  entro  30  giorni  dal
ricevimento del presente atto il  provvedimento  di  conclusione  del
procedimento ai sensi dell'art. 242 del decreto legislativo 3  aprile
2006,  n.  152»,  con  l'avvertimento  che:  «in  caso   di   mancato
adempimento, da parte di codesti enti, entro il termine assegnato, il
Consiglio dei  ministri  adotta  i  provvedimenti  necessari  di  cui
all'art. 8 della citata legge 5 giugno 2003,  n.  131»,  venendosi  a
prefigurare l'uso del potere sostitutivo dello Stato. 
    A seguito di tale diffida, la Regione ha ritenuto  di  rispondere
sul piano dei rapporti di leale collaborazione, con una  istanza  del
Presidente della Giunta regionale, inoltrata in data 24 dicembre 2015
alla Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  con  la  quale,  sul
presupposto che la Regione Emilia  Romagna  «non  e'  Amministrazione
procedente tenuta all'adempimento, ai sensi dell'art. 250 del  d.lgs.
n. 152/2006») invitava, da un lato, ad identificare  correttamente  e
legittimamente la Amministrazione tenuta all'adempimento e a revocare
dunque  la  diffida  nei  confronti  della  Regione,  apparendo  essa
formulata del  tutto  al  di  fuori  dei  presupposti  giustificativi
dell'esercizio del potere sostitutivo e  su  basi  fattuali  erronee,
dall'altro  ad  avviare  procedure  di   leale   collaborazione   per
individuare  le  modalita'  di   adempimento   alle   istanze   della
Commissione europea. 
    Solo in via cautelativa, la Presidenza della  Regione  disponeva,
altresi', di promuovere conflitto  di  attribuzione  per  far  valere
comunque le sue ragioni,  nell'ipotesi  che  la  procedura  di  leale
collaborazione non  avesse  avuto  esito  felice.  Con  conflitto  di
attribuzione reg. ric. n.  1/2016,  la  Regione  Emilia  Romagna  ha,
quindi, impugnato per violazione dell'art. 117, 2° comma, lettera s),
Cost., quanto alla ripartizione delle competenze fra Stato e  regioni
in materia di «ambiente», nonche' per violazione  dell'art.  120,  2°
comma Cost., come attuato dall'art. 8, 1° comma legge n. 131/2003,  e
dell'art 117, 5° comma Cost., come attuato dall'art. 41  della  legge
n. 234/2012, per carenza dei presupposti per l'esercizio  del  potere
sostitutivo, sia la diffida, che il silenzio serbato sull'istanza  di
rettifica/revoca inoltrata dal Presidente della giunta  regionale,  a
cui non veniva dato riscontro, almeno nei termini entro  i  quali  la
stessa diffida imponeva alla Regione i  sopra  descritti  adempimenti
(30 gg), decorsi i quali sarebbe scattato il potere sostitutivo. 
    Ed in effetti l'avviata procedura  di  leale  collaborazione  non
sortiva esito alcuno. Nelle more della notifica del ricorso, in  data
1° febbraio 2016 perveniva, invece, alla  Regione  Emilia  Romagna  -
Direzione generale ambiente, alla  attenzione  del  dirigente,  dott.
Bortone, la nota prot. n. 0001528  della  Direzione  generale  per  i
rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente e  della  tutela
del territorio e del mare, avente ad oggetto: «Diffida del Presidente
del Consiglio  dei  ministri  del  26  novembre  2015  relativa  alla
discarica abusiva sita  nel  comune  di  San  Giovanni  in  Persiceto
(Bologna). Riscontro nota  prot  PG.  2015.0888444  del  24  dicembre
2015», con la quale si ribadisce  la  responsabilita'  della  Regione
(per la mancata conclusione del  procedimento  di  bonifica,  oggetto
delle  richieste  della  Commissione  europea  e   dell'inadempimento
ascritto allo Stato italiano) e l'impossibilita'  di  procedere  alla
rettifica/revoca della diffida; il tutto sulla  base  di  una  ancora
piu' marcata erronea  lettura  delle  disposizioni  costituzionali  e
legislative del riparto  di  attribuzioni  fra  Stato  e  Regione  in
materia di ambiente. 
    La Regione Emilia Romagna e', pertanto,  costretta  a  promuovere
questo ulteriore ricorso, consequenziale a quello gia' proposto,  con
cui  si  chiede  alla  ecc.ma  Corte  costituzionale   di   procedere
all'annullamento anche della precitata nota della DG per i rifiuti  e
l'inquinamento presso il Ministero ambiente, previa affermazione che: 
        1) non spetta allo Stato, tramite la Direzione generale per i
rifiuti  e  l'inquinamento  del  Ministero   ambiente,   tutela   del
territorio e del mare, rispondere con lettera  inviata  al  dirigente
della Direzione generale ambiente della Regione  Emilia  Romagna,  ad
una richiesta inoltrata alla Presidenza del  Consiglio  dei  ministri
dal Presidente  della  Regione,  volta  alla  rettifica/revoca  della
diffida e  con  l'invito  a  procedere  con  il  metodo  della  leale
collaborazione; 
        2) non spetta allo Stato,  per  il  tramite  della  Direzione
generale per i  rifiuti  e  l'inquinamento  del  Ministero  ambiente,
tutela  del  territorio  e  del  mare,  respingere  la  richiesta  di
rettifica/revoca della diffida  inoltrata  in  esercizio  del  potere
sostitutivo alla Regione Emilia Romagna, insistendo  su  una  erronea
interpretazione del  riparto  delle  competenze  ed  attribuzioni  in
materia di bonifica dei siti inquinati; 
    3)  non  spetta  allo  Stato  decidere  unilateralmente  di   non
impugnare la nota della Commissione UE di ingiunzione della sanzione,
benche' si fosse giunti, con la Regione,  all'accordo  di  promuovere
l'impugnazione (nell'incontro del 2 settembre 2015) e cio' nonostante
addossare  alla  Regione  la  responsabilita'   per   l'inadempimento
dell'obbligo comunitario accertato con la predetta sentenza,  nonche'
con la nota della Commissione prot. n. 1303  del  10  febbraio  2016,
indirizzata  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e  Min.
ambiente, concernente ingiunzione  di  pagamento  della  penalita'  a
seguito della sentenza della CGUE 2 dicembre 2014 - Causa C-196/13  -
secondo semestre successivo alla sentenza. 
        E cio' per i seguenti motivi di: 
 
                               Diritto 
 
1) Quanto al primo punto delle conclusioni: violazione dell'art. 120,
2° comma Cost. e dell'art. 8  della  legge  n.  131/2003.  Violazione
delle procedure di leale collaborazione. Incompetenza  e  difetto  di
attribuzione dell'organo  che  si  e'  pronunciato  sull'istanza  del
Presidente della Regione. 
    Lo Stato ha avviato una  procedura  di  sostituzione  secondo  le
disposizioni di cui all'art. 120, 2° comma Cost. e all'art.  8  della
legge n. 131/2003: quindi, attraverso  un  atto  del  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  organo  politico  per  eccellenza,  rivolto
all'organo politico della Regione, cioe' al Presidente  della  giunta
regionale. 
    A sua  volta,  il  Presidente  della  giunta  regionale,  per  le
motivazioni esposte  nel  precedente  conflitto  (e  riassunte  nelle
premesse  in  fatto)  dava  corso   ad   una   procedura   di   leale
collaborazione, come previsto dallo stesso art. 120, 2° comma  Cost.,
chiedendo al Presidente del Consiglio dei  ministri  di  revocare  un
atto che appariva non fondato in punto di diritto. A questa richiesta
non ha fatto, tuttavia, riscontro una replica  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, come  ci  si  sarebbe  atteso,  ma  e'  stata
inoltrata una risposta negativa alla richiesta del  Presidente  della
giunta regionale per via meramente amministrativa/burocratica, che ha
cosi' interrotto, di fatto, la procedura di leale collaborazione.  Il
fatto stesso che questa risposta negativa sia stata inoltrata  da  un
organo amministrativo e non dall'organo  politico  di  rappresentanza
dello Stato appare lesivo delle prerogative  della  Regione  e  degli
obblighi  promananti  dal  principio  di  leale  collaborazione.  Con
specifico  riferimento  alla  procedura  di  sostituzione,   regolata
dall'art. 120, secondo comma, Cost. e dalla disciplina di  attuazione
dettata dall'art. 8 della legge n. 131/2003,  e'  previsto  che  ogni
atto sia deciso dal Consiglio dei ministri e  che  non  possa  essere
«declassato» il rapporto con la Regione al piano delle relazioni  tra
uffici amministrativi.  La  procedura  seguita  non  rispetta  invece
queste regole basilari. Alla richiesta formulata dal Presidente della
giunta di revocare/rettificare la diffida inviata dal Presidente  del
Consiglio dei ministri, e' stato viceversa risposto con una  nota  di
un   apparato   amministrativo   del   Ministero,   non    sottoposta
all'approvazione del governo e non fatta propria dal  Presidente  del
Consiglio. Con tutto cio' che ne consegue in termini  di  invalidita'
ed inidoneita' della nota stessa. 
2) Quanto al secondo punto delle  conclusioni:  violazione  dell'art.
117, 2° comma, lettera s), Cost., in ordine alla  ripartizione  delle
competenze fra Stato e regioni in materia  di  «ambiente».  Falso  ed
erroneo supposto di fatto e di  diritto  nella  individuazione  della
Regione quale  Amministrazione  responsabile  della  bonifica  e,  di
conseguenza, dell'inadempimento eccepito a livello  comunitario,  per
erronea interpretazione delle competenze  regionali  come  risultanti
dagli artt. 196,  199  e  250  del  d.lgs.  n.  152/2006.  Violazione
dell'art. 119 Cost. 
    Gia' nel precedente conflitto si era ricostruito il quadro  delle
attribuzioni fra Stato  e  regioni  in  materia  di  ambiente  e,  in
particolare, di «bonifica dei siti inquinati»,  evidenziando  che  la
disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti contaminati  rientra
sicuramente a pieno titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello
Stato ex art. 117, 2° comma, lett. s), Cost. (sent.  96  e  312/2003,
161 e 62/2005, per citarne alcune). 
    Tuttavia, poiche' alle ragioni esposte nell'istanza  inviata  dal
Presidente della giunta regionale al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, la Direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento presso
il Ministero ambiente ha risposto ribadendo una lettura inaccettabile
della legislazione italiana in materia di fissazione  di  obblighi  e
responsabilita' in capo ai soggetti interessati, per quanto  concerne
la bonifica dei siti inquinati, la Regione  Emilia  Romagna  si  vede
costretta,  di  conseguenza,   a   riproporre   una   lettura   della
legislazione vigente conforme a Costituzione. 
    I dati imprescindibili appaiono i seguenti: 
        a) il risanamento dei siti inquinati rientra nella competenza
esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  tutela  dell'ambiente.   La
legislazione  statale  ha,  pero',  affidato  alle  regioni  e   alle
Amministrazioni locali una vasta gamma di funzioni amministrative  di
esecuzione delle leggi statali. In particolare, l'art. 196, comma  1,
lettera c)  del  d.lgs.  n.  152/2006  attribuisce  alla  Regione  la
competenza  ad  elaborare  il  piano  per  la  bonifica  delle   aree
inquinate, secondo i contenuti indicati all'art. 199, comma 6. L'art.
199 attribuisce alla Regione la competenza a predisporre ed adottare,
altresi', il piano regionale di gestione dei rifiuti, del  quale,  ai
sensi del comma 6 dell'art. 199, e' parte integrante il piano per  la
bonifica delle aree inquinate. Quest'ultimo deve prevedere: 
          a) l'ordine di priorita' degli  interventi,  basato  su  un
criterio di valutazione del rischio elaborato dall'Istituto superiore
per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA); 
          b)  l'individuazione  dei  siti  da  bonificare   e   delle
caratteristiche generali degli inquinamenti presenti; 
          c) le modalita' degli interventi di bonifica e  risanamento
ambientale, che privilegino prioritariamente l'impiego  di  materiali
provenienti da attivita' di recupero di rifiuti urbani; 
          d) la stima degli oneri finanziari; 
          e) le modalita' di smaltimento dei materiali da asportare. 
    Trattasi, con tutta evidenza, di una competenza programmatoria  e
pianificatoria  degli  interventi  da   effettuare.   L'esame   della
normativa  sopra  riportata  evidenzia  che  il  piano  regionale  di
bonifica  e',  in  sostanza,  lo  strumento   di   programmazione   e
pianificazione attraverso cui la Regione provvede  ad  individuare  i
siti da bonificare presenti sul proprio  territorio,  a  definire  un
ordine di priorita' degli interventi sulla base di criteri  elaborati
a livello statale e di una valutazione comparata  del  rischio  ed  a
stimare gli oneri finanziari necessari per le attivita' di  bonifica.
Tale competenza e' stata da tempo  esercitata  dalla  Regione  Emilia
Romagna (il primo piano di  bonifica  dei  siti  inquinati  e'  stato
approvato con  delib.  GR  n.  637/1995;  il  primo  programma  degli
interventi e' stato approvato con delib. del Consiglio  regionale  n.
1058/1998; il piano degli interventi urgenti e' stato  approvato  con
delib. GR n. 1849/2011, a cui e' stata data attuazione con la  delib.
GR n. 1512/2012; quanto al piano regionale di gestione  dei  rifiuti,
ai sensi dell'art. 199, esso e'  stato  adottato  con  delib.  GR  n.
103/2014;  e'  seguita  la  proposta  all'assemblea  legislativa  con
decisione sulle osservazioni presentate e l'approvazione del PRGR con
delib. GR n. 1 dell'8 gennaio 2016, sulla  quale  dovra'  intervenire
l'approvazione definitiva dell'assemblea legislativa); 
        b) il sistema normativo  che  regola,  invece,  le  procedure
operative ed amministrative per la realizzazione  in  concreto  degli
interventi di bonifica (cfr. artt. 242 e ss. del d.lgs.  n.  152  del
2006) attribuisce alla  Regione  (unitamente  a  province  e  comuni)
funzioni autorizzatorie e di presidio degli interventi  di  bonifica,
mentre i soggetti  a  vario  titolo  chiamati  a  rispondere  per  la
bonifica  sono  il   privato   responsabile   dell'inquinamento,   il
proprietario o il conduttore del fondo non  responsabili,  ovvero  il
terzo  interessato.  Qualora  non  provvedano  i  predetti   soggetti
obbligati, o non vi siano soggetti interessati,  sorge  l'obbligo  di
intervento sostitutivo del comune territorialmente competente e,  ove
questo non provveda, spetta alla Regione la  funzione  di  intervento
sostitutivo in luogo dei privati che non adempiono ai  loro  obblighi
di bonifica ma e' chiaro che  non  e'  la  Regione  l'amministrazione
responsabile della  bonifica,  sibbene  «il  comune  territorialmente
competente». Ed in effetti, il procedimento di bonifica che e'  stato
avviato ed eseguito e' radicato in capo al comune di San Giovanni  in
Persiceto; al quale  unicamente  la  diffida  doveva  essere  rivolta
(ammesso e non concesso che ne  ricorrano  i  presupposti  anche  con
riferimento a tale amministrazione);  amministrazione  che  -  lo  si
ribadisce - e' quella preposta agli adempimenti in materia, avendo la
Regione espletato, come  si  e'  gia'  rappresentato  nel  precedente
conflitto, nel caso di specie  e  del  tutto  provvidenzialmente,  in
assoluta carenza di un intervento finanziario dello  Stato,  un  mero
ruolo di ente finanziatore, oltretutto erogando risorse proprie. 
    Appare, quindi, evidente  che  non  esiste  alcun  nesso  fra  la
competenza alla pianificazione di cui agli articoli 196 e  199  e  la
responsabilita'  in  ordine  alla   effettiva   realizzazione   degli
interventi di bonifica. A ritenere  diversamente  si  arriverebbe  al
paradosso di affermare che dalla competenza alla  pianificazione  del
sistema di gestione dei rifiuti  sul  territorio  regionale  discenda
anche la responsabilita' circa il corretto smaltimento  dei  rifiuti,
cioe'  la  stessa   responsabilita'   che   grava   sull'impresa   di
smaltimento,  la  cui  attivita'  e',  come   noto,   sottoposta   ad
autorizzazione. 
    La nota del Ministero  ambiente  impugnata  afferma,  invece,  di
avere indirizzato la diffida anche alla Regione in quanto  la  stessa
sarebbe da ritenersi «responsabile», oltre  che  ai  sensi  dell'art.
250, anche ai sensi degli articoli 196 e 199 del d.lgs.  n.  152  del
2006; in tal modo il Ministero pone una connessione fra le competenze
pianificatorie  regionali,  gli  interventi  di  bonifica  dei   siti
contaminati  (che  competono  al  responsabile  dell'inquinamento)  e
quelle di intervento sostitutivo, facendo intendere che  l'intervento
di bonifica rientri nella competenza della Regione, sulla base di una
insostenibile ed errata  equazione  che  equipara  le  competenze  di
pianificazione con la responsabilita' dell'inquinamento e, quindi, in
ultima analisi con la  realizzazione  concreta  delle  operazioni  di
bonifica. Cosa che non e' e non puo'  essere,  pena  l'illegittimita'
costituzionale dello stesso art. 250. Il quale, infatti, non potrebbe
delegare alla Regione una competenza  -  nel  caso  ad  effettuare  a
carico del suo bilancio interventi di bonifica - senza garantire  una
adeguata copertura finanziaria. Tanto e' vero che  il  medesimo  art.
250 e' chiaro nel precisare  che  la  Regione  potrebbe  trovarsi  ad
«anticipare le somme per i predetti interventi», istituendo «appositi
fondi nell'ambito delle proprie disponibilita' di bilancio» lasciando
chiaramente comprendere come ovvia conseguenza che questi  interventi
devono essere finanziati dallo Stato. Se non si  accedesse  a  questa
interpretazione  costituzionalmente  orientata  dell'art.  250,  esso
risulterebbe in palese violazione del principio fissato dall'art. 119
Cost. e recentemente ribadito dalla sentenza di questa  ecc.ma  Corte
cost. n. 10/2016, a  mente  della  quale  «la  quantificazione  delle
risorse in modo funzionale e proporzionato alla  realizzazione  degli
obiettivi previsti dalla legislazione  vigente  diventa  fondamentale
canone e presupposto del buon andamento dell'amministrazione, cui  lo
stesso legislatore si deve attenere puntualmente». 
    Non avendo previsto stanziamenti di somme adeguate  all'esercizio
delle funzioni delegate in materia di bonifica, la legislazione dello
Stato appare del tutto carente e, quindi, e' lo Stato che si e'  reso
inadempiente  rispetto  alle  eccepite  violazioni  della   normativa
comunitaria (si consideri che le risorse  finanziarie  da  trasferire
alle regioni, ai fini dell'esercizio delle funzioni ad esse conferite
in materia ambientale, sono state inizialmente disposte in attuazione
del D.Lgs. n. 112/1998, per le funzioni di cui agli articoli 70,  73,
74, 78, 81 e 84 del medesimo D.Lgs. n. 112/1998; a partire  dai  2001
sono  stati  effettuati  a  favore  della  Regione   Emilia   Romagna
trasferimenti di risorse da parte  della  Ragioneria  generale  dello
Stato per l'esercizio delle predette deleghe ambientali. Fra il  2003
e il 2010 sono stati trasferiti circa 25 milioni l'anno.  Tali  fondi
hanno,  peraltro,  contribuito  in  misura  determinante  ad  avviare
l'implementazione  del  piano  triennale  regionale  per  la   tutela
ambientale, istituito con la l.r. n. 3/99. Dal 2010 piu' nulla e  sul
D.Lgs. n. 152/2006 non  risultano  fondi  stanziati  a  favore  delle
regioni). 
    Le considerazioni appena svolte sulla «latitanza» dello Stato, in
materia, trovano conferma  nel  fatto  che  il  legislatore  statale,
consapevole di tale lacuna, ha in altri  contesti,  invece,  previsto
specifici stanziamenti. 
    Precisamente la legge di stabilita' 2016 ha  istituito  un  fondo
con una dotazione di 300 milioni di euro (150  milioni  di  euro  per
ciascuno degli  anni  2016  e  2017)  finalizzato  ad  interventi  di
carattere economico, sociale e ambientale nei  territori  della  c.d.
«terra dei fuochi» (e cioe' per le province di Napoli e Caserta)  per
la realizzazione dei  necessari  interventi  di  bonifica  e  per  il
superamento delle procedure di infrazione che per tale  motivo  hanno
coinvolto i  citati  territori  (procedura  2003/2077  relativa  alle
discariche illegali - cioe' la stessa procedura di infrazione che  ha
riguardato anche il sito Razzaboni,  e  la  procedura  di  infrazione
2007/2195 relativa alla gestione  dei  rifiuti).  Ferme  restando  le
competenze esclusive dello Stato in  materia  e  l'attribuzione  alle
regioni di specifiche funzioni amministrative di tipo  programmatorio
e  di  intervento  sostitutivo,  e'  chiaro  che  spetta  allo  Stato
garantire la copertura finanziaria di interventi che possono  essere,
come nel caso sono, molto onerosi. 
    Si ricorda (come e' gia'  stato  evidenziato  con  il  precedente
conflitto n. 1/2016, pag.  5  e  come  e'  stato  comprovato  con  la
relativa documentazione ivi allegata) che la Regione  Emilia  Romagna
ha  gia'  anticipato  con   deliberazione   GR   n.   1027/2014,   un
finanziamento  con  propri  fondi  pari  ad  €  3.604.902,00  per  la
realizzazione  dell'intervento  di  messa  in   sicurezza   dell'area
interessata dai rinvenimenti del 2010 e  del  2012  (subordinando  la
effettiva concessione del finanziamento alla  acquisizione  dell'area
in proprieta'  del  comune)  e  che  di  fronte  alla  sua  specifica
richiesta, rivolta nel giugno 2014 al  Ministero  ambiente  di  poter
ottenere, nell'ambito dei fondi previsti dalla  legge  di  stabilita'
2014 per la regolarizzazione dei siti interessati dalla procedura  di
infrazione in esame, una quota di finanziamento da destinare al  sito
Razzaboni, si e' vista respinta ogni richiesta per aver il  Ministero
declassato l'area in questione, ponendola, in una scala di  priorita'
da 1 a 5, alla classe 4, con cio' facendo risultare l'area non idonea
ad essere ammessa al finanziamento (cfr. D.M. n. 303 del  9  dicembre
2014) (cfr. pag. 17 del precedente  conflitto,  doc.  all.  8  e  qui
riallegato come doc.). Ed una ulteriore richiesta  di  finanziamento,
rinnovata dalla Regione Emilia Romagna al Ministero con nota  del  21
luglio  2014  -  dove  si  evidenziava  che  i  fondi   ministeriali,
unitamente ai fondi regionali  gia'  stanziati/anticipati,  avrebbero
garantito  la  bonifica   complessiva   dell'area   Razzaboni   (come
intenderebbe la commissione, nonostante la  procedura  di  infrazione
per cui e' stata emessa la condanna della Corte di giustizia e  sorta
la penalita' riguardi unicamente i rinvenimenti  del  2001,  peraltro
gia' messi in sicurezza con nessun danno residuo per l'ambiente) - e'
anch'essa rimasta senza esito, come e'  rimasta  priva  di  riscontro
l'ultima istanza rivolta dalla Regione nel luglio 2015  per  accedere
ai Fondi ministeriali per lo sviluppo e la coesione (FSC). 
    Da cio' l'inevitabile  conclusione  che  la  responsabilita'  del
mancato adempimento degli obblighi  comunitari  grava  esclusivamente
sullo Stato, che non ha considerato urgente l'intervento  (nonostante
le due sentenze di condanna della Corte di giustizia n. C-135/05  del
26  aprile  2007  e  C-196/13  del  2  dicembre  2014),  che  non  ha
predisposto gli strumenti finanziari per  farvi  fronte,  e  che  ora
pretenderebbe di far ricadere la responsabilita' sulla Regione! 
    Va inoltre osservato che nella recente nota del 10 febbraio  2016
della commissione (indirizzata  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri e al Ministero ambiente), recante «notifica  ingiunzione  di
pagamento della penalita' a seguito della sentenza Corte di giustizia
C-196/2013 - secondo semestre successivo alla sentenza»,  si  fa  uno
specifico riferimento critico alla inadeguatezza dello Stato italiano
in ordine non tanto ad «un  numerus  clausus  di  discariche»  quanto
piuttosto rispetto ad un «problema generale e strutturale di  mancato
rispetto di determinate norme UE in materia di rifiuti». 
    In effetti, l'apparato normativo in materia e' lacunoso: non  da'
certezza agli operatori pubblici che sono chiamati ad intervenire  in
via d'urgenza e d'ufficio, non da' gli  strumenti  per  adeguare  gli
interventi alle situazioni che vengono man mano poste in luce. 
    Non e' questa la sede per contestare la nota  della  commissione,
riservandosi  la  Regione  di  esporre  il  suo  punto  di  vista  al
Ministero, anche  a  questo  fine  servendo  la  procedura  di  leale
collaborazione che si intendeva avviare. 
    Certo e' che le lacune normative ed il  disinteresse  finanziario
manifestato nel caso in esame dimostrano la forte manchevolezza dello
Stato  che  -  lo  si  ribadisce  -  detiene,  in  materia,  potesta'
legislativa  esclusiva,  con  conseguente  violazione   del   riparto
costituzionale delle competenze, nella misura in cui si  pretende  di
addossare alla Regione  responsabilita'  discendenti  unicamente  dal
trascurato esercizio di  competenze  di  esclusiva  pertinenza  dello
Stato. 
3)  Quanto  al  terzo  profilo  delle  conclusioni:  violazione   del
principio  costituzionale  di  leale  collaborazione  e  dell'Accordo
raggiunto con la Regione di proporre  l'impugnazione  della  nota  di
ingiunzione della sanzione da parte della Commissione UE.  Violazione
dell'art. 24 Cost. 
    Va premesso che la procedura di infrazione che, come e' noto,  si
sviluppa in una fase precontenziosa, una giudiziaria e una esecutiva,
disciplinata dagli  articoli  258-260  TFUE,  evidenzia  che  l'unico
soggetto legittimato ad intervenire di fronte alla commissione o alla
Corte di giustizia e' lo Stato membro,  mentre  nessuna  facolta'  di
rapportarsi  direttamente  con   le   istituzioni   comunitarie   per
giustificare  le  proprie  modalita'  di  adempimento  agli  obblighi
comunitari e' riconosciuta agli enti sub statali, fra cui la Regione;
la responsabilita' per  la  violazione  del  diritto  comunitario  e'
attribuita esclusivamente allo Stato membro. 
    Occorre pero' considerare che,  sempre  il  diritto  comunitario,
pone l'obbligo vincolante di cooperazione (art. 4.3 TUE) di tutti gli
organi dello Stato membro e, quindi, anche della Regione, al fine  di
assicurare il rispetto della normativa comunitaria. 
    Sul piano del  diritto  interno,  l'obbligo  di  adottare,  negli
ambiti di competenza, ogni misura necessaria a porre  tempestivamente
rimedio alle violazioni  degli  obblighi  derivanti  dalla  normativa
comunitaria e' ribadito dall'art. 43 della legge n. 234 del 2012, che
pone altresi' i presupposti per l'esercizio dell'azione di rivalsa da
parte dello Stato nei confronti delle  regioni  e  degli  altri  enti
pubblici che si siano resi responsabili  di  violazioni  del  diritto
comunitario. 
    Sulla base di tale specifica previsione, fra L'altro, nelle  more
della redazione del presente conflitto, e' avvenuto che la Ragioneria
generale dello Stato ha inviato, con nota prot. n. 20508 in  data  11
marzo 2016, una comunicazione  -  per  il  momento  indirizzata  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri e  al  Ministero  ambiente,  ma
destinata a precedere la richiesta di  rivalsa  di  cui  all'art.  43
della legge n. 234/2012 - con la quale, si precisa che le  specifiche
sanzioni  pecuniarie,  collegate   alla   procedura   di   infrazione
comunitaria per le discariche abusive e comminate in esecuzione della
sentenza della Corte di giustizia del 2 dicembre  2014,  sono,  state
anticipate dal Ministero dell'economia e delle finanze,  ma  verranno
recuperate a carico delle singole «Amministrazioni responsabili delle
violazioni» (seguono Tabelle dove risultano indicati i siti  abusivi,
Regione per Regione, con la imputazione delle  sanzioni  liquidate  e
pagate in anticipazione, fra i quali c'e' anche la discarica sita  in
comune di San Giovanni in Persiceto). 
    Senonche' occorre fare un passo indietro. 
    La previsione di una  responsabilita'  anche  patrimoniale  delle
regioni per mancato adempimento del diritto comunitario e la  mancata
legittimazione a livello comunitario di intervenire in propria difesa
e' stata risolta, a livello di normativa interna, tramite la  stipula
di un  Accordo,  concluso  con  il  Governo  in  sede  di  Conferenza
unificata, il  24  gennaio  2008,  che  disciplina  le  modalita'  di
coinvolgimento delle regioni nelle  varie  fasi  delle  procedure  di
infrazione. 
    In particolare, l'art. 4, comma 2 di detto  Accordo  dispone  che
nei casi in cui sia proposto  ricorso  alla  Corte  di  giustizia  le
regioni  collaborano  con  il   Ministero   nell'impostazione   della
strategia difensiva, fornendo elementi di  propria  competenza  utili
alla predisposizione degli atti difensivi e partecipano ad  eventuali
riunioni di coordinamento a tal fine convocate. 
    A tale proposito, nella riunione del 2 settembre 2015  presso  il
Ministero  dell'ambiente,  come  risulta  chiaramente  dal   relativo
verbale (doc n. 3 allegato al presente ricorso) e'  stata  condivisa,
su proposta della Regione, una strategia difensiva con il  Ministero,
volta all'impugnazione  della  nota  di  ingiunzione  della  sanzione
comminata dalla sentenza della Corte  di  giustizia  del  2  dicembre
2014,  dove  si  rilevavano  argomenti  tecnici   e   giuridici   per
contrastare evidenti erronee  affermazioni  e  fraintendimenti  della
commissione  sullo  stato  della  procedura  di  bonifica   e   sugli
interventi gia' eseguiti con  riferimento  agli  adempimenti  che  la
commissione riteneva fossero ancora da  eseguire  per  assicurare  la
sicurezza ambientale e  che,  invece,  risultano  essere  gia'  stati
eseguiti (vedi All 6 depositato  nel  primo  conflitto,  che  qui  si
riallega come doc n. 4). In proposito, si e' gia'  dato  conto  della
circostanza  che  la  Regione  aveva  trasmesso   la   documentazione
concordata nella riunione e che, per contro, il Ministero non  avesse
proceduto ad impugnare la sentenza, venendo meno agli accordi presi. 
    A questa determinazione concordata con la Regione, lo  Stato  non
si e' attenuto, male  utilizzando  la  sua  competenza  esclusiva  di
relazione con le istituzioni comunitarie.  Non  solo,  ma  anche  nei
rapporti  con  la  commissione  -  che,   con   tutta   probabilita',
erroneamente ha nuovamente ritenuto la  sussistenza  dei  presupposti
dell'inadempimento  -   lo   Stato,   invece   di   avvalersi   delle
argomentazioni  fornite  dalla  Regione,  che  avrebbe  fondato   una
opposizione  ragionata  alle  contestazioni  della  commissione,   ha
riversato totalmente sulla Regione medesima  la  responsabilita'  del
preteso  rilevato  inadempimento  che  -  se  fosse   sussistente   -
sicuramente non e' ad essa imputabile. 
    E' evidente,  pertanto,  anche  sotto  tale  profilo,  la  palese
violazione, oltre che del  principio  di  leale  collaborazione,  che
avrebbe dovuto caratterizzare la gestione complessiva della vicenda e
che, se rispettato, avrebbero condotto ad una  gestione  ben  diversa
della situazione, anche del diritto di difesa  sancito  dall'art.  24
Costituzione, nella misura in cui alla Regione non e' stata  data,  a
causa del mancato rispetto di quanto era stato stabilito nell'accordo
con lo Stato nella riunione del 2 settembre 2015, la possibilita'  di
contrastare adeguatamente  le  erronee  argomentazioni  recate  nella
valutazione della Commissione circa  lo  stato  di  attuazione  della
bonifica nel sito in esame. 
    In definitiva, la situazione e' precipitata per  una  sostanziale
sine cura e inadeguatezza dello Stato a fronteggiare, con  la  dovuta
diligenza, con i dovuti mezzi e assunzioni di responsabilita', quanto
richiedeva la situazione emersa. Ed oggi la  questione  e'  aggravata
dall'avviato esercizio della rivalsa, come si e' visto  in  relazione
alla nota della Ragioneria generale dello Stato che preme sul  fronte
del recupero  delle  somme  corrisposte  dallo  Stato  (MEF)  per  le
sanzioni pecuniarie irrogate dalla Commissione Eu, per  le  quali  la
Regione Emilia Romagna, sulla base di  tutto  quanto  esposto  con  i
conflitti promossi, non  ritiene,  invece,  sussista  responsabilita'
alcuna a titolo di «Amministrazione responsabile delle violazioni».