TRIBUNALE DI MILANO Sezione VI Penale Nella persona del giudice dott. Alberto Carboni, ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 di rimessione alla Corte costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 2, del Codice penale nella parte in cui prevede che se il fatto e' commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati si applica, anche quando non vi e' stata violenza alla persona o minaccia ovvero quando il fatto non e' stato commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 del Codice penale, la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila; Nel procedimento penale a carico di: Domenico Di Giovanni, nato il 31 ottobre 1984 ad Anagni, residente in Milano in largo Caccia Dominioni n. 1, con domicilio dichiarato presso la propria residenza; libero, presente difeso di fiducia dall'avv. Valerio Piccolo con studio in Milano, corso Concordia n. 8; Imputato: 1) del delitto previsto e punito dagli articoli 81 e 639, comma 2 del Codice penale perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, quale autore della tag «YOT/YOTONE», deturpava e imbrattava beni immobili, ed in particolare apponeva con vernice non biodegradabile la tag «YOT/YOTONE» seguenti immobili: immobile sito in via Balilla fronte al numero civico 12 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 0,30); immobile sito in via Pezzotti sottopasso ferrovia (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva da determinare); immobile sito in via Boifava all'altezza del numero civico 25 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 0.60); immobile sito in via Boeri all'altezza del numero civico 5 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 3); immobile sito in via Missaglia all'altezza del numero civico 13 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 1,40); immobile sito in via Missaglia per Boifava (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 0,70); immobile sito in via Missaglia all'altezza del numero civico 15 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 4,5); immobile sito in via Boifava all'altezza del numero civico 25 (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 0,50); immobile sito presso la fermata metropolitana di Romolo (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 2,5); Commesso in Milano dal 2010 al 2012; 2) del delitto di cui agli articoli 81 e 635, comma primo del Codice penale per aver deteriorato mediante scritte indelebili, quale autore della tag «YOT/YOTONE», con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, i seguenti mezzi: vettura ferroviaria presso la stazione di Porta Genova (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 9); vettura ferroviaria presso lo scalo Bovisa (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva da determinare); vettura ferroviaria presso il deposito di Porta Genova (n. 1 tag approssimativamente della superficie complessiva di mq 7.5); Con l'aggravante di aver commesso il fatto su bene esposto per necessita' e consuetudine alla pubblica fede quali piazzali o depositi non custoditi, e comunque destinato a pubblico servizio e/o a pubblica utilita' (art. 635, comma secondo, n. 3, in relaz. all'art. 625, n. 7 del Codice penale); Commesso in Milano dal 2006 al 2009; Parti civili: Trenitalia s.p.a., nella persona del legale rappresentante pro tempore; difesa di fiducia dall'avv. Emanuele Maschi, con studio in Milano, via Podgora n. 13; Comune di Milano, nella persona del sindaco pro tempore; difeso di fiducia dall'avv. Massimo Cali', domiciliato negli uffici dell'avvocatura comunale di Milano, via Guastalla n. 6; Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 20 febbraio 2015 il pubblico ministero presso il Tribunale di Milano ha citato a giudizio Domenico Di Giovanni per rispondere: 1) del reato previsto dall'art. 639, comma 2 del Codice penale, per aver deturpato e imbrattato numerosi beni immobili privati destinati ad uso abitativo apponendovi la scritta «yot/yotone» con vernice non biodegradabile; 2) del reato previsto dall'art. 635, commi 1 e 2, del Codice penale, per aver deteriorato alcune vetture ferroviarie apponendovi la scritta «yot/yotone» con vernice non biodegradabile. L'istruttoria dibattimentale si e' articolata nell'escussione dell'ufficiale di polizia giudiziaria che ha condotto le indagini, nell'esame dell'imputato e nell'acquisizione delle fotografie ritraenti i beni sui quali era stata apposta la scritta «yot/yotone». L'ufficiale di polizia giudiziaria ha riferito sulle attivita' che hanno consentito di individuare in Domenico Di Giovanni l'autore delle condotte descritte nei capi d'imputazione. In particolare, durante il monitoraggio sui social network dei profili riconducibili a soggetti legati al mondo hip pop e writing, furono notati alcuni fotogrammi ritraenti una torta decorata con una scritta che riportava la firma «yotone». Dal momento che la tag «yotone» era assai diffusa sul territorio milanese, si esamino' il materiale sequestrato al titolare del profilo in questione e nella rubrica telefonica fu rinvenuta un'utenza cellulare associata al nome «yotone». Venne quindi acquisita la scheda anagrafica dell'intestatario, che risulto' essere Domenico Di Giovanni, nato il 31 ottobre 1984 ad Anagni e residente a Milano. L'imputato si e' sottoposto a esame dibattimentale e ha ammesso tutti gli addebiti. L'istruttoria ha permesso di accertare che le condotte sono state realizzate senza violenza alla persona o minaccia, al di fuori di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico e che non hanno dato luogo a interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessita'. All'udienza del 14 aprile 2016 si e' svolta la discussione delle parti, le quali hanno concluso: il pubblico ministero, chiedendo che sia affermata la penale responsabilita' dell'imputato per entrambi i reati a lui ascritti; la parte civile Trenitalia s.p.a. (unica parte civile ad aver presentato conclusioni scritte a norma degli articoli 82, comma 2, e 523 del Codice di procedura penale), chiedendo che sia affermata la penale responsabilita' dell'imputato e che lo stesso sia condannato al risarcimento del danno; la difesa dell'imputato, chiedendo: in ordine al capo 1), che sia pronunciata sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato; in ordine al capo 2), che il fatto sia riqualificato ex art. 521 del Codice di procedura penale nel reato di cui all'art. 639 del Codice penale e che sia pronunciata sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. La richiesta di assoluzione si fonda sulla considerazione che, una volta intervenuta la parziale abrogazione del reato di cui all'art. 635 del Codice penale per effetto del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, si sarebbe verificata l'abrogazione tacita della fattispecie prevista dall'art. 639 del Codice penale in quanto il reato di «deturpamento o imbrattamento di cose altrui» sarebbe speciale rispetto a quello di «danneggiamento». Il processo e' stato rinviato all'udienza del 6 maggio 2016 per eventuali repliche. Considerato in diritto 1. E' rilevante la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 2, del Codice penale: in relazione al capo 1), perche' risulta provata la responsabilita' dell'imputato e il tribunale e' chiamato a irrogare le sanzioni previste dall'art. 639, comma 2, del Codice penale; in relazione al capo 2), perche' risulta provata la responsabilita' dell'imputato e, ritenuto che il fatto debba essere riqualificato nel reato di cui all'art. 639, comma 2, del Codice penale, il tribunale e' chiamato a irrogare le sanzioni previste da tale ultima disposizione. 1.1. La questione non puo' essere risolta in via interpretativa pronunciando una sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. In assenza di una disposizione che sancisca l'abrogazione espressa dell'art. 639 del Codice penale, a tale conclusione non e' consentito pervenire argomentando sulla base delle novita' legislative che hanno inciso sull'art. 635 del Codice penale. Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, gli articoli 635 e 639 del Codice penale, non si pongono in rapporto di specialita', ma, come meglio precisato in seguito, fra tali norme sussiste una relazione di sussidiarieta' espressa. Ad ogni modo, anche prescindendo da quest'ultimo rilievo, non ricorrono i presupposti (incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti o introduzione di una nuova legge che regoli l'intera materia gia' disciplinata dalla legge anteriore) per affermare che vi sia stata la tacita abrogazione dell'art. 639 del Codice penale. 2. Nella sistematica antecedente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il bene giuridico del diritto di proprieta', nella sua declinazione di diritto all'integrita' della cosa nella sua sostanza o nella sua utilizzabilita', trovava tutela negli articoli 635 («danneggiamento») e 639 («deturpamento e imbrattamento di cose altrui») del Codice penale. Per i profili che rilevano nel presente giudizio, il quadro normativa poteva essere cosi' riassunto: a) chi, senza esercitare violenza alla persona o minaccia, danneggiava cose mobili o immobili altrui era punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 309 euro (art. 635, comma 1, del Codice penale); b) chi, esercitando violenza o minaccia alla persona, danneggiava cose mobili o immobili altrui era punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 635, comma 2, n. 1, del Codice penale); c) chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpava o imbrattava cose mobili altrui era punito con la multa fino a 103 euro (art. 639, comma 1, del Codice penale); d) chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpava o imbrattava beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati era punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da 300 a 1.000 euro (art. 639, comma 2, del Codice penale). L'agente era inoltre obbligato alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili. 3. L'art. 2, n. 1, lettera l), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 («disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'art. 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67) ha circoscritto la rilevanza penale della condotta di chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui ai soli casi in cui tali azioni siano compiute «con violenza alla persona o minaccia ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331». Gli articoli 3 e 4, n. 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, stabiliscono che «soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila chi, distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui fuori dai casi previsti dall'art. 635 del Codice penale». L'art. 639 del Codice penale e' invece rimasto invariato. Per i profili che rilevano nel presente giudizio, il quadro normativo vigente puo' essere cosi' riassunto: a) chi, senza esercitare violenza alla persona o minaccia e se il fatto non e' commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331, danneggia cose mobili o immobili altrui soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila (articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7); b) chi, esercitando violenza o minaccia alla persona ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331, danneggia cose mobili o immobili altrui e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 635, comma 1, del Codice penale); c) chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui e' punito con la multa fino a 103 euro (art. 639, comma 1, del Codice penale); d) chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati, e' punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da 300 a 1.000 euro (art. 639, comma 2, del Codice penale). L'agente e' inoltre obbligato alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili. 4. Ricostruendo i rapporti fra l'art. 635 e l'art. 639 del Codice penale, la Corte di cassazione ha chiarito che «il reato di danneggiamento di cui all'art. 635 del Codice penale si distingue da quello di deturpamento o imbrattamento previsto dall'art. 639 del Codice penale, in quanto il primo produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, dando cosi' luogo alla necessita' di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della cosa stessa mentre il secondo produce solo un'alterazione temporanea e superficiale della res aliena, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, e' comunque facilmente reintegrabile» (Cass., sez. V, sentenza n. 38574 del 21 maggio 2014). La clausola di riserva presente nell'art. 639 del Codice penale («fuori dai casi preveduti dall'art. 635») rivela il carattere sussidiario del reato di «deturpamento e imbrattamento di cose altrui» rispetto a quello di «danneggiamento». Come noto, il principio di sussidiarieta' si fonda su un rapporto gerarchico fra norme che tutelano il medesimo bene giuridico da aggressioni in rapporto di progressione. Una norma e' quindi sussidiaria rispetto ad un'altra, detta norma principale, quando quest'ultima punisce un grado di offesa piu' grave allo stesso bene protetto dalla prima. Tenuto conto di tali premesse, e' agevole constatare che gli articoli 639 e 635 del Codice penale, sanzionano aggressioni di intensita' crescente al diritto all'integrita' della cosa nella sua sostanza e nella sua utilizzabilita'. In particolare: l'art. 635 e' la disposizione principale atteso che reprime condotte che incidono sulla cosa altrui diminuendone in modo apprezzabile il valore o impedendone l'uso; l'art. 639 e' la disposizione sussidiaria in quanto preserva il medesimo bene giuridico da offese di minore intensita', quali l'alterazione temporanea o superficiale della res il cui aspetto originario e' comunque facilmente reintegrabile. 4.1. A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, sono sintetizzabili nei termini che seguono le conseguenze sanzionatorie per chi arreca un nocumento all'integrita' della cosa altrui senza esercitare violenza alla persona o minaccia, al di fuori di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico e senza determinare un'interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessita': chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, ossia realizza la forma piu' intensa di lesione al bene giuridico protetto; soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila (art. 4. n. 1, lettera c) del decreto legislativo 15 gennaio 2015, n. 7); chi deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati, ossia realizza la forma meno intensa di lesione al bene giuridico protetto, e' punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da 300 a 1.000 euro (art. 639, comma 2, del Codice penale). L'agente e' inoltre obbligato alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili. 5. E' principio consolidato della giurisprudenza costituzionale che la discrezionalita' di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell'arbitrio, come avviene nel caso di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (sentenze della Corte costituzionale n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008). 5.1. A fronte di comportamenti che determinano offese d'intensita' crescente allo stesso bene giuridico, le tecniche normative che garantiscono la razionalita' del sistema sembrano essere due: a) distinguere gia' in astratto le varie condotte, prevedendo una cornice sanzionatoria piu' severa per le forme di aggressione piu' intense e limiti edittali piu' contenuti per le lesioni meno significative (questa fu la scelta allorche' vennero disciplinate separatamente le condotte di chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibile la cosa altrui rispetto a quelle di chi imbratta e deturpa beni altrui); b) differenziare solo in concreto le varie condotte, stabilendo un'unica cornice edittale e rimettendo al giudice il compito di graduare la sanzione secondo le peculiarita' della singola vicenda. 5.2. E' invece certamente irragionevole e arbitraria la decisione di sanzionare piu' severamente le condotte che cagionano un'offesa meno grave (deturpare e imbrattare) rispetto a quelle che pregiudicano il medesimo bene giuridico provocando un nocumento maggiormente significativo (distruggere, disperdere, deteriorare, rendere, in tutto o in parte, inservibile). 6. Alla luce di tali considerazioni, non e' manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 2, del Codice penale nella parte in cui prevede che, se il fatto e' commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica, anche quando non vi e' stata violenza alla persona o minaccia ovvero quando il fatto non e' stato commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 del Codice penale, la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila. 6.1. Per sanare i profili d'irrazionalita' descritti, alla Corte non puo' essere chiesto di manipolare l'art. 639 del Codice penale, scegliendo essa stessa, in modo creativo, la sanzione pecuniaria civile da sostituire alla pena censurata, cosi' da scaglionare le ipotesi in comparazione sul piano sanzionatorio. Al riguardo, e' dirimente il rilievo che «la Corte non puo' rimodulare liberamente le sanzioni degli illeciti penali. Se lo facesse, invaderebbe un campo riservato alla discrezionalita' del legislatore, stante il carattere tipicamente politico degli apprezzamenti sottesi alla determinazione del trattamento sanzionatorio» (ex plurimis, Corte costituzionale n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008 e n. 394 del 2006). 6.2. Ugualmente, la Corte non potrebbe procedere alla totale ablazione di qualsivoglia sanzione per le condotte descritte dall'art. 639 del Codice penale perche' anche una tale opzione implicherebbe una valutazione discrezionale di carattere politico. 6.3. Per l'ipotesi in cui il fatto sia commesso senza violenza alla persona o minaccia e al di fuori di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto di cui all'art. 331, l'intervento attuabile al fine di ripristinare la razionalita' del sistema sembra quello di assimilare la sanzione prevista per chi deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati (art. 639, comma 2, del Codice penale) a quella stabilita per chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui (articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7). Sara' poi compito del giudice commisurare la sanzione secondo i parametri previsti dall'art. 5 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7. La soluzione prospettata presenta il pregio: a) di rimediare all'attuale arbitraria sperequazione punitiva costruendo un sistema (assimilazione della cornice sanzionatoria per tutte le condotte che offendono l'altrui diritto all'integrita' della cosa e successiva graduazione della sanzione ad opera del giudice) che, seppur difforme da quello «a scaglioni» originariamente tracciato dal legislatore, e' conforme al canone di ragionevolezza sancito dall'art. 3 della Costituzione; b) di permettere alla Corte di intervenire secondo lo schema delle «rime obbligate», utilizzando come tertium comparationis la sanzione prevista dall'art. 4, n. 1, lettera e), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7.