Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato  (C.P.  80224030587),
presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via  dei  Portoghesi,  12
per   il   ricevimento   degli   atti,   fax   06.96514000   e    pec
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it,  nei  confronti   della   Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona  del  presidente  della   giunta
regionale  pro  tempore,  con  sede  in  Trieste  Piazza  dell'Unita'
d'Italia  n.   1,   per   la   dichiarazione   della   illegittimita'
costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 28
giugno 2016 n. 10, pubblicata nel B.U.R. Friuli-Venezia Giulia n.  26
del 29 giugno 2016, recante: «Modifiche  a  disposizioni  concernenti
gli enti  locali  contenute  nelle  leggi  regionali  numeri  1/2006,
26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015,
23/2007, 2/2016 e 27/2012.», limitatamente agli articoli 7, 12, comma
1, lettera b) e 51 comma 2. 
    La legge del Friuli-Venezia Giulia n.  10/2016,  con  riferimento
alle disposizioni di cui agli articoli 7, 12, comma 1, lettera  b)  e
51 comma 2, presenta profili di illegittimita' costituzionale e viene
quindi impugnata per i seguenti 
 
                               Motivi 
 
1) Articoli 7 e 12, comma 1, lettera b) 1 della legge  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 10/2016, per violazione dell'art. 117, comma
2, lettera e) e lettera s) della Costituzione  nonche'  dell'art.  5,
punto 7) e punto 14) dello Statuto regionale. 
    1.1. Con la legge n. 10/2016, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha
inteso apportare modifiche e integrazioni  alla  normativa  regionale
concernente gli enti locali. 
    In  particolare,  l'art.  7  della  legge  regionale  n.  10/2016
sostituisce l'art. 27 della legge regionale n. 26/2014 (Riordino  del
sistema   Regione-Autonomie   locali   nel   Friuli-Venezia   Giulia.
Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali  e  riallocazione
di  funzioni  amministrative)  riguardante  le  «Ulteriori   funzioni
comunali esercitate in forma associata». 
    A seguito di tale modifica, la nuova formulazione del citato art.
27 dispone, al comma 1, che «Nell'ambito di ciascuna Unione, i Comuni
esercitano in forma associata le funzioni comunali  nelle  materie  e
attivita' e con le decorrenze di seguito indicate: 
    a) a decorrere dal 1° luglio 2016, la programmazione  e  gestione
dei fabbisogni di beni e servizi  in  relazione  all'attivita'  della
Centrale unica di committenza regionale; 
    b) a decorrere dal  1°  gennaio  2017,  i  servizi  finanziari  e
contabili e il controllo di  gestione,  nonche'  almeno  due  tra  le
seguenti: 
    1) opere pubbliche e procedure espropriative; 
    2) pianificazione territoriale comunale ed edilizia privata; 
    3) procedure autorizzatorie in materia di energia; 
    4) organizzazione dei servizi  pubblici  di  interesse  economico
generale; 
    5) edilizia scolastica e servizi scolastici; 
        c) a decorrere dal 10 gennaio 2018,  le  restanti  materie  e
attivita' di cui alla lettera b)». 
    Al successivo, comma 3, il citato art. 7 prevede,  altresi',  che
«(...) le  funzioni  nelle  materie  di  cui  alla  lettera  b)  sono
esercitate in forma associata dai Comuni con popolazione inferiore  a
15.000 abitanti, ridotti a 5.000  se  appartenenti  o  appartenuti  a
comunita' montane, mediante convenzione, in modo  da  raggiungere  la
medesima  soglia  demografica   complessiva,   e,   in   alternativa,
avvalendosi degli uffici dell'Unione». 
    L'art. 12, comma 1, lettera b) della  legge  regionale  in  esame
aggiunge poi il comma 1-bis all'art.  40  della  legge  regionale  n.
26/2014 prevedendo che «Entro il 31 dicembre 2016  i  Comuni  facenti
parte di convenzioni attuative aventi per oggetto funzioni e  servizi
previsti dagli articoli 26 e 27 possono mantenerle operative fino  al
conferimento all'Unione e comunque non  oltre  il  31  dicembre  2017
adeguandone e integrandone il contenuto. La competenza  a  deliberare
in ordine all'aggiornamento delle convenzioni attuative e' attribuita
alle Giunte comunali». 
    1.2. Nel  modificare  le  norme  regionali  sopra  indicate,  gli
articoli 7  e  12,  comma  1,  lettera  b)  della  legge  n.  10/2016
disciplinano  l'organizzazione  dei  servizi  pubblici  di  interesse
economico generale - senza escludere il servizio idrico  integrato  -
tra le funzioni comunali da esercitare in forma associata. 
    Le norme in esame nella parte in  cui  affidano  l'organizzazione
del servizio idrico integrato ai comuni -  che  ne  devono  garantire
l'esercizio  in  forma  associata  -  esorbitano   dalle   competenze
legislative attribuite alla Regione dallo Statuto speciale, approvato
con legge costituzionale n. 1 del 1963, e dalle norme  di  attuazione
del medesimo. 
    La  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  infatti,  non  dispone   di
competenza  legislativa  esclusiva  in  materia  di  servizio  idrico
integrato. Ne' a tale servizio possono riferirsi le materie  indicate
all'art. 4 dello Statuto; in particolare le  competenze  indicate  al
punto  1-bis)  (ordinamento  degli  enti  locali  e  delle   relative
circoscrizioni) e  al  punto  9)  (viabilita',  acquedotti  e  lavori
pubblici di interesse locale e regionale) del predetto  articolo.  Le
citate norme statutarie, infatti, sono poste a presidio di  interessi
differenti riconducibili al potere di  diretta  organizzazione  della
Regione  nei  confronti  degli  enti  locali  e  di  gestione   degli
acquedotti di interesse locale e regionale e, dunque, non intersecano
affatto la materia del servizio idrico integrato. 
    Le disposizioni regionali censurate, d'altra parte, travalicano i
limiti  della  competenza  legislativa  concorrente  garantita   alla
Regione. 
    L'art. 5 dello Statuto, in particolare,  riconosce  alla  Regione
Friuli-Venezia  Giulia  («In  armonia  con  la  Costituzione,  con  i
principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le
norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi
internazionali dello Stato,  nonche'  nel  rispetto  degli  interessi
nazionali e di quelli delle altre Regioni») la potesta'  legislativa,
al punto 7), in tema disciplina dei  servizi  pubblici  di  interesse
regionale ed assunzione di tali servizi e, al punto 14),  in  materia
di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni
nonche' di opere idrauliche di 4A e 5A categoria. 
    Vi e', pero', che le norme censurate dettano disposizioni per  la
gestione del servizio idrico integrato  che  oltrepassano  i  confini
delle suddette competenze legislative statutarie segnati dai principi
dettati dal Legislatore  statale  specie  con  le  norme  di  seguito
richiamate. 
    Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha piu' volte affermato  (sentenza
n. 234/2010) che «in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio,
la disciplina statale costituisce un  limite  minimo  di  tutela  non
derogabile dalle regioni, ordinarie o a  statuto  speciale,  e  dalle
Province autonome» (sentenze n. 272 del 2009 e n. 378 del  2007),  in
quanto  «lo  Stato   stabilisce   "standard   minimi   di   tutela"»,
intendendosi tale espressione nel senso che  lo  Stato  assicura  una
tutela «adeguata e non riducibile» dell'ambiente (sentenza n. 61  del
2009) valevole anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome (sentenza n. 101 del 2010). 
    1.3.   Le   norme   regionali   censurate,   peraltro,   appaiono
inconciliabili con il vigente  quadro  normativo  nazionale  relativo
all'organizzazione  territoriale   del   predetto   servizio   idrico
integrato (SII). 
    L'art.  7  della  legge  regionale  n.  10/2016,   infatti,   nel
sostituire il previgente testo dell'art. 27, della legge regionale n.
26/2014, al comma l, lettera d),  affida  ai  comuni  l'esercizio  in
forma   associata   delle   funzioni    comunali    concernenti    la
«organizzazione  dei  servizi   pubblici   di   interesse   economico
generale». La norma sospettata evoca dunque la nozione  di  «servizio
di interesse economico generale» (SIEG) rinvenibile in ambito europeo
negli articoli 14 e 106 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea. E' opportuno, tuttavia, precisare che  il  riferimento  alle
imprese incaricate della gestione di  servizi  d'interesse  economico
generale, contenuto nell'art.  106  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea, non include l'intera gamma dei servizi  pubblici
conosciuti dagli ordinamenti nazionali,  bensi'  esclusivamente  quei
servizi,  gestiti  in  forma   imprenditoriale,   che   assumono   la
denominazione di servizi economici, industriali o commerciali. 
    L'ordinamento italiano, dal canto suo, non esplicita direttamente
la  nozione  di  «servizio  pubblico  di  rilevanza  economica».   La
rilevanza economica del servizio va comunque intesa come possibilita'
(valutabile anche in concreto e non solo  in  astratto)  di  produrre
ricavi dalla gestione del servizio e come contendibilita' sul mercato
del servizio. 
    Per  individuare  la  rilevanza   economica   del   servizio   la
giurisprudenza, adotta un criterio  relativistico,  che  tiene  conto
delle peculiarita' del caso concreto, quali l'effettiva struttura del
servizio,  le  concrete  modalita'  dei  suo  espletamento,  i   suoi
specifici connotati economico organizzativi, la natura  del  soggetto
chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del  servizio  (Cons.
Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488). 
    La  distinzione  tra  i  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica rispetto a quelli che di tale rilevanza sono  privi  assume
rilievo sul piano: 
    a)  della  competenza  legislativa  (lo   Stato   ha   competenza
legislativa  in  tema  di  servizi  pubblici  locali   di   rilevanza
economica); 
    b) dei modelli organizzativi ammissibili; 
    c) della relazione tra mercato e principi di socialita'. 
    Pur in assenza di una diretta  esplicitazione  della  nozione  di
«servizio pubblico di rilevanza  economica»,  non  manca  nel  nostro
ordinamento  la   possibilita'   di   rivenire   alcuni   indici   di
riconoscimento  di  tali  servizi   (come   quelli   indicati   nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra citata) che valorizzano i
loro caratteri  peculiari.  D'altra  parte,  per  una  piu'  compiuta
ricostruzione  della  nozione  di  «servizio  pubblico  di  rilevanza
economica», appare utile il richiamo alla normativa comunitaria. 
    In   ambito   europeo,   le   interpretazioni   elaborate   dalla
giurisprudenza comunitaria in merito alla  nozione  di  «servizio  di
interesse economico generale» (SIEG), di cui ai citati articoli 14  e
106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, indicano  con
chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'ambito
locale, e quella di «servizio pubblico locale di rilevanza economica»
hanno «contenuto omologo», come espressamente riconosciuto da codesta
ecc.ma Corte a partire dalla sentenza n. 272 del 2004. 
    In occasione dello scrutinio dell'art. 23-bis  del  decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 - articolo aggiunto dalla legge di conversione
6 agosto 2008, n. 133 - sia  nel  testo  originario,  sia  in  quello
modificato dall'art. 15, comma 1,  del  decreto  legge  25  settembre
2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20  novembre
2009, n. 166, codesta ecc.ma  Corte  infatti  ha  precisato  che  «In
ambito comunitario non viene mai utilizzata  l'espressione  "servizio
pubblico locale di rilevanza economica", ma solo quella di  "servizio
di interesse economico generale" (SIEG), rinvenibile, in particolare,
negli articoli 14 e 106 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni  di  uso  di
tale ultima espressione, ma, in base alle  interpretazioni  elaborate
al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria  (ex  multis,  Corte  di
giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla
Commissione europea  (in  specie,  nelle  Comunicazioni  in  tema  di
servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996  e  del
19 gennaio 2001; nonche' nel Libro  verde  su  tali  servizi  del  21
maggio 2003), emerge con chiarezza  che  la  nozione  comunitaria  di
SIEG, ove limitata all'ambito locale, e  quella  interna  di  SPL  di
rilevanza economica hanno "contenuto omologo", come  riconosciuto  da
questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004.  Lo  stesso  denunciato
comma 1 dell'art. 23-bis del decreto-legge  n.  112  del  202  -  nel
dichiarato intento di disciplinare  i  "servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica"  per  favorire  la  piu'  ampia  diffusione  dei
principi di concorrenza, di liberta'  di  stabilimento  e  di  libera
prestazione dei servizi di tutti "gli operatori economici interessati
alla gestione di servizi pubblici di  interesse  generale  in  ambito
locale" - conferma tale interpretazione, attribuendo espressamente ai
SPL di rilevanza economica un significato corrispondente a quello  di
"servizi  di  interesse  generale  in  ambito  locale"  di  rilevanza
economica,  di  evidente  derivazione   comunitaria»   (sentenza   n.
325/2010, sottolineato aggiunto). 
    Orbene, la rilevata omologia tra i «servizi  pubblici  locali  di
rilevanza economica» conosciuti nel nostro ordinamento e  i  «servizi
di interesse generale in ambito locale  di  rilevanza  economica»  di
derivazione comunitaria dimostra come l'art. 7 della legge  regionale
censurata, nell'attribuire ai comuni l'esercizio in  forma  associata
delle funzioni in materia di «organizzazione dei servizi pubblici  di
interesse economico generale»,  abbia  testualmente  inteso  affidare
agli enti comunali la gestione di servizi pubblici locali di  rilievo
economico, ivi inclusi i servizi idrici integrati. 
    1.4. Ed e' proprio tale inclusione che giustifica la  censura  di
illegittimita' costituzionale delle norme in commento  in  quanto  il
Legislatore regionale incontra precisi limiti  nella  disciplina  del
servizio idrico integrato. 
    1.4.1. Codesta ecc.ma Corte e' piu' volte intervenuta in  materia
(ex plurimis, sentenza n. 228  del  2013)  qualificando  il  servizio
idrico  integrato  come  servizio  di  rilevanza  economica  la   cui
organizzazione e gestione deve rispettare  i  criteri  fissati  dalla
normativa  nazionale  che,  essendo  riferibile  alla  tutela   della
concorrenza e alla tutela  ambientale,  e'  di  competenza  esclusiva
statale come stabilito dall'art 117 della Cost. 
    In tale prospettiva ermeneutica,  il  servizio  idrico  integrato
deve  essere  qualificato  come  servizio   pubblico   di   rilevanza
economica, ossia un SIEG, e deve quindi rispettare il principio della
concorrenza e della copertura dei costi, e non  costituisce  funzione
fondamentale dell'ente locale (sentenze n. 307 del 2009 e n. 272  del
2004). 
    In particolare, con  le  sentenze  n.  246/2009  e  n.  325/2010,
codesta  ecc.ma  ha  avuto  modo  di  precisare  che  la   competenza
legislativa dello Stato sul servizio idrico, in quanto  riconducibile
alla  tutela  della  concorrenza,   prevale   su   eventuali   titoli
competenziali regionali e, in  particolare,  su  quello  relativo  ai
servizi pubblici locali. 
    Da ultimo, con sentenza  n.  32/2015,  codesta  ecc.ma  Corte  ha
efficacemente rimarcato che: «il servizio idrico integrato  e'  stato
qualificato come "servizio pubblico locale  di  rilevanza  economica"
(sentenza n. 187 del 2011) e che la disciplina dell'affidamento della
gestione dei servizi pubblici locali - inclusa la forma  di  gestione
del servizio idrico integrato e le  procedure  di  affidamento  dello
stesso - rientra nella materia di competenza esclusiva statale  della
tutela  della  concorrenza  «trattandosi  di   regole   "dirette   ad
assicurare la concorrenzialita' nella gestione  del  servizio  idrico
integrato, disciplinando  le  modalita'  del  suo  conferimento  e  i
requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di  garantire  la
trasparenza,  l'efficienza,  l'efficacia   e   l'economicita'   della
gestione medesima"» (sentenza n. 325 del 2010).  L'affidamento  della
gestione  del  SII  attiene,  altresi',  alla  materia  della  tutela
dell'ambiente,  parimenti  riservata  alla   competenza   legislativa
esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2012 e n.  187
del 2011). Ne consegue che nell'alveo  della  ricostruita  disciplina
statale devono  svolgersi  le  competenze  regionali  in  materia  di
servizi pubblici locali (sentenze n. 270 del 2010, n. 307  e  n.  246
del 2009), e che sono ammissibili «effetti pro-concorrenziali»  degli
interventi  regionali  nelle  materie  di  competenza  concorrente  o
residuale «purche' [...]  "siano  indiretti  e  marginali  e  non  si
pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali  che
tutelano e promuovono la concorrenza" (da ultimo, sentenze n. 45  del
2010 e n. 160 del 2009)» (sentenza n. 43 del 2011). 
    Le disposizioni regionali sospettate, nel consentire ai comuni la
facolta' di associarsi,  mediante  convenzione,  per  l'esercizio  di
funzioni inerenti tutti i servizi di  interesse  economico  generale,
senza eccezione alcuna per il  servizio  idrico  integrato,  invadono
dunque la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela
della concorrenza» e di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema». 
    1.4.2.  Il  frontale  contrasto  tra  le  norme  censurate  e  la
legislazione statale in  materia  di  servizio  idrico  integrato  si
apprezza, in particolare,  con  riguardo  all'art.  147  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006 e all'art. 3-bis, commi 1  e  1-bis,  del
decreto-legge n. 138 del 2011,  convertito  con  modificazioni  dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148. 
    L'art. 147 del decreto  legislativo  n.  152/2006  stabilisce  al
comma 1 [modificato dall'art. 7, comma 1,  lettera  b),  n.  1),  del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito  dalla  legge  11
novembre 2014, n. 164] che «i servizi idrici sono  organizzati  sulla
base degli ambiti territoriali ottimali  definiti  dalle  regioni  in
attuazione della legge 5 gennaio 1994, n.  36.  Le  regioni  che  non
hanno individuato gli enti di  Governo  dell'ambito  provvedono,  con
delibera, entro il termine perentorio del 31 dicembre  2014.  Decorso
inutilmente tale termine si applica l'art. 8  della  legge  5  giugno
2003, n. 131. Gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito  ottimale
partecipano  obbligatoriamente  all'ente  di   Governo   dell'ambito,
individuato dalla competente regione per ciascun ambito  territoriale
ottimale, al quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi
spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi  compresa
la programmazione delle infrastrutture idriche di cui  all'art.  143,
comma 1». 
    Inoltre, ai sensi del comma 2, del medesimo articolo, le  regioni
possono modulare gli ambiti territoriali ottimali, per migliorare  la
gestione del servizio idrico  integrato,  assicurandone  comunque  lo
svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicita',
nel rispetto (tra gli altri) dei seguenti principi; i) garanzia dello
svolgimento del servizio secondo criteri di efficienza, efficacia  ed
economicita'»;  «unicita'   della   gestione»;   «adeguatezza   delle
dimensioni gestionali,  definita  sulla  base  di  parametri  fisici,
demografici, tecnici». 
    L'unica deroga possibile a tale dimensione minima territoriale e'
introdotta dallo stesso  art.  147  che,  al  comma  2-bis  [inserito
dall'art. 7, comma  1,  lettera  b),  n.  4),  del  decreto-legge  n.
133/2014,  convertito  dalla  legge  11  novembre  n.   164/2014   e,
successivamente, cosi' modificato dall'art. 62,  comma  4,  legge  28
dicembre 2015,  n.  2211,  prevede  l'eventualita'  che  quest'ultimo
«coincida con l'intero territorio regionale» e aggiunge  che  in  tal
caso e' possibile procedere, «ove si  renda  necessario  al  fine  di
conseguire  una  maggiore  efficienza  gestionale  ed  una   migliore
qualita' del  servizio  all'utenza»,  alla  costituzione  «di  ambiti
territoriali  comunque  non  inferiori   agli   ambiti   territoriali
corrispondenti alle province o alle citta' metropolitane». 
    Il medesimo comma 2-bis, altresi', sancisce alla lettera a)  che:
«Sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in  forma  autonoma
nel comuni montani con popolazione inferiore a  1.000  abitanti  gia'
istituite ai sensi del comma 5 dell'art. 148», mentre alla lettera b)
la norma  pone  limiti  tassativi  e  simultanei  che  devono  essere
verificati  all'entrata  in  vigore  della   nuova   disposizione   e
contestualizzati nel quadro amministrativo di riferimento, cosi' come
disciplinato dalle norme vigenti. 
    L'art. 3-bis, comma 1 del  decreto-legge  n.  138/2011  [inserito
dall'art. 25, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012,
n. 1, convertito dalla legge  24  marzo  2012,  n.  27  e  modificato
dall'art. 53, comma 1, lettera a), del decreto-legge 22 giugno  2012,
n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] ha poi  previsto
che «A tutela della concorrenza e  dell'ambiente,  le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano organizzano  lo  svolgimento
dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza  economica  definendo
il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali  e  omogenei
tali da consentire economie di scala e di differenziazione  idonee  a
massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando  gli
enti di Governo degli stessi ...». 
    Il comma 1-bis dell'art. 3 [inserito dall'art. 34, comma 23,  del
decreto-legge 18 ottobre 2012, n.  179,  convertito  dalla  legge  17
dicembre  2012,  n.  221,  e  ,  successivamente,  cosi'   modificato
dall'art. l, comma 609, lettera a), legge 23 dicembre 2014, n. 190, a
decorrere dal 1° gennaio 2015] ha quindi disposto, che  «le  funzioni
di organizzazione dei servizi pubblici locali  a  rete  di  rilevanza
economica,  compresi  quelli  appartenenti  ai  settore  dei  rifiuti
urbani, di scelta della forma di gestione,  di  determinazione  delle
tariffe all'utenza per quanto di  competenza,  di  affidamento  della
gestione e relativo controllo  (siano)  esercitate  unicamente  dagli
enti di  Governo  degli  ambiti  o  bacini  territoriali  ottimali  e
omogenei istituiti o designati al sensi  del  comma  1  del  presente
articolo». 
    Con  tali  disposizioni  il   Legislatore   statale   ha   inteso
razionalizzare la gestione (anche) del  servizio  idrico  consentendo
alle Regioni di  definire  gli  ambiti  territoriali  ottimali  e  di
istituire  strutture   diversamente   denominate   (enti,   comitati,
autorita') alle quali sono state trasferite le competenze degli  enti
locali che necessariamente vi fanno parte (sentenze n. 307 e  n.  246
del 2009). 
    La disciplina statale in  commento  punta  al  superamento  della
frammentazione  verticale  della  gestione  delle  risorse   idriche,
demandando ad un'unica autorita' preposta all'ambito le  funzioni  di
organizzazione, l'affidamento  e  il  controllo  della  gestione  del
servizio idrico integrato. 
    Si tratta di un intervento normativo ascrivibile alla  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  tutela   della
concorrenza, essendo diretto ad assicurare la  concorrenzialita'  nel
conferimento  della  gestione  e  nella  disciplina   dei   requisiti
soggettivi  del  gestore,  allo  scopo  di  assicurare  l'efficienza,
l'efficacia e l'economicita' del servizio (sentenze n. 325 del 2010 e
n. 246 del 2009). 
    La disciplina in esame, nel  contempo,  rientra  nella  sfera  di
competenza esclusiva statale in materia di  tutela  dell'ambiente  in
quanto «l'allocazione all'Autorita'  d'ambito  territoriale  ottimale
delle competenze sulla gestione serve a  razionalizzare  l'uso  delle
risorse idriche e le interazioni  e  gli  equilibri  fra  le  diverse
componenti della "biosfera"  intesa  "come  sistema"  [...]  nel  suo
aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n.  378  e  n.  144  del
2007)» (sentenza n. 246 del 2009). 
    Le disposizioni legislative statali sopra richiamate  contrastano
dunque con le  norme  regionali  censurate  che  affidano  ai  comuni
(anche) l'organizzazione  del  servizio  idrico  integrato  imponendo
l'esercizio di tale funzione forma associata (nei casi  previsti  dal
comma 3 dell'art. 7 della  legge  n.  10/2016)  mediante  convenzione
ovvero  con  l'avvalimento  degli  uffici  dell'Unione   nonche'   la
cessazione delle vigenti convenzioni attuative  del  servizio  a  far
data dal 1° gennaio 2018 [dell'art. 12  lettera  b)  della  legge  n.
10/2016]. 
    Le norme regionali sospettate, invero, attribuiscono ai  predetti
comuni quanto meno la facolta',  se  non  addirittura  l'obbligo,  di
gestire autonomamente in forma associata il servizio idrico integrato
finendo cosi per incidere sulla definizione degli ambiti territoriali
ottimali  per  l'organizzazione   del   servizio   idrico   e   sulla
individuazione degli enti destinati a succedere nelle competenze gia'
spettanti alle soppresse Consulte d'ambito. 
    In tal modo  il  Legislatore  regionale,  invadendo  l'ambito  di
competenza riservato alla legge statale, ha direttamente disposto  in
ordine ad una modalita' di gestione «autonoma»  del  servizio  idrico
escludendo, tra l'altro, «che l'ente individuato dalla  Regione  come
successore delle competenze dell'AATO deliberi, con un proprio  atto,
le forme  di  gestione  del  servizio  idrico  integrato  e  provveda
all'aggiudicazione della gestione del servizio» (sentenza n. 228  del
2013). 
    Le norme in esame, pertanto, si pongono in  contrasto  anche  con
quanto sancito dalla legge regionale n. 5 del 15 aprile 2016 con  cui
la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  ha  disciplinato  il   riassetto
organizzativo e funzionale del  servizio  idrico  integrato  e  della
gestione integrata del rifiuti (che dovra' concludersi  entro  il  31
dicembre 2017) identificando un unico ambito territoriale coincidente
con il territorio regionale ed ha istituito l'Autorita' idrica per  i
servizi idrici e i rifiuti che subentra nelle funzioni e  nei  poteri
delle ex Consulte d'ambito. 
    Per  le  considerazioni.  sopra  esposte,  le   norme   regionali
censurate confliggono con  il  principio,  espresso  dalla  normativa
interposta,  di  unitarieta'  e  superamento   della   frammentazione
verticale delle gestioni, e quindi violano l'art. 117, secondo comma,
lettere e) ed s), Cost. 
    In conclusione, l'art. 7 in  combinato  disposto  con  l'art.  12
della legge regionale n. 10/2016, nel  prevedere  che  le  Unioni  di
comuni possano organizzare in forma associata, mediante  convenzione,
i servizi pubblici di interesse economico generale,  senza  escludere
esplicitamente  il  servizio   idrico   integrato,   eccedono   dalle
competenze  statutarie  regionali  di  cui  all'art.  5,   punto   7)
(disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione
di tali servizi) e punto 14) (utilizzazione  delle  acque  pubbliche,
escluse  le  grandi  derivazioni;  opere  idrauliche  di  4A   e   5A
categoria), sconfinando nella materia dei servizi  idrici  integrati,
riconducibile   alla   competenza   esclusiva   statale   di   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, e violano, pertanto, l'articolo 117,
comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione  per  contrasto  con  le
norme interposte di cui all'art. 147, commi 1, 2 e 2-bis del  decreto
legislativo n. 150/2006 e all'art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del citato
decreto-legge n. 138/2011, convertito con modificazioni  dalla  legge
n. 148/2011. 
2) Art. 51, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia  Giulia
10/2016, per violazione degli articoli 3 e 117,  terzo  comma,  della
Costituzione nonche' dell'art. 4, punto 1 dello Statuto regionale. 
    2.1. L'art. 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto  2015  n.
124, nel dettare deleghe al Governo in  materia  di  riorganizzazione
delle  amministrazioni  pubbliche,  tra  l'altro,  ha   previsto   la
«istituzione del numero unico europeo 112 (c.d. NUE 112) su tutto  il
territorio nazionale con centrali operative da realizzare  in  ambito
regionale, secondo le modalita' definite con  i  protocolli  d'intesa
adottati ai sensi dell'art. 75-bis, comma 3, del  codice  di  cui  al
decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259». 
    La Regione Friuli-Venezia Giulia, dal  canto  suo,  ha  demandato
alla Protezione Civile regionale  «la  realizzazione  e  la  gestione
della "Centrale  Unica  di  Risposta  al  NUE  112"  con  conseguente
attivazione del numero unico europeo di emergenza (NUE) 112, mediante
l'adozione del modello del cosiddetto "call center laico",  destinato
a ricevere tutte le chiamate d'emergenza  effettuate  nel  territorio
regionale» (art. 4, comma 37, della legge 6  agosto  2015  n.  20  di
assestamento del bilancio 2015). 
    In attuazione delle disposizioni sopra citate,  l'art.  51  legge
regionale n. 10/2016, al comma 1, ha previsto che  le  assunzioni  di
personale regionale con forme di lavoro flessibile  finalizzate  alla
prima attivazione della  Centrale  Unica  di  Risposta  al  NUE  112,
secondo quanto previsto dal  Protocollo  d'intesa  tra  il  Ministero
dell'interno e la Regione Friuli-Venezia Giulia sottoscritto in  data
31 maggio 2016, non rilevano, per i  primi  tre  anni,  ai  fini  del
rispetto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento  della
spesa di personale e di limiti assunzionali. 
    Il comma 2 dell'art. 51 stabilisce, invece, che «L'assunzione  di
personale regionale di qualifica dirigenziale con contratto di lavoro
a tempo indeterminato attuata per le medesime  finalita'  di  cui  al
comma 1, non rileva affini del rispetto delle vigenti disposizioni in
materia  di  contenimento  della  spesa  di  personale  e  di  limiti
assunzionali». 
    Il comma  3  del  citato  art.  51  dispone,  altresi',  che  per
assegnare il personale in posizione di  comando  presso  la  Centrale
Unica di Risposta al NUE 112 non e' richiesto,  qualora  il  soggetto
interessato sia dipendente di un'amministrazione del  Comparto  unico
del  pubblico   impiego   regionale   e   locale,   il   nulla   osta
dell'amministrazione di appartenenza. 
    Il citato comma 2, dell'art. 51 della legge regionale n.  10/2016
si  inscrive  quindi  nel  descritto  contesto  normativo  e   appare
censurabile nella parte in cui consente alla Regione di derogare -per
l'assunzione di personale  dirigenziale  finalizzata  all'attivazione
della Centrale Unica di Risposta  al  NUE  112  -  alle  disposizioni
statali in materia di contenimento della  spesa  di  personale  e  di
limiti assunzionali. 
    2.2. La deroga contenuta nel  comma  2,  dell'art.  51,  infatti,
eccede dalle competenze statutarie regionali di cui all'art. 4, punto
1 (ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla  Regione  e
stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto). 
    Si osserva, al riguardo, che  l'art.  4  dello  Statuto  speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia, pur attribuendo alla Regione una
potesta'  legislativa  molto  ampia,  non  prevede  la  materia   del
coordinamento della  finanza  pubblica,  per  la  quale,  quindi,  la
Regione, ancorche' nel rispetto della sua  autonomia,  e'  tenuta  ad
osservare i principi fondamentali fissati dalle norme statali. 
    La competenza a legiferare  in  materia  di  stato  giuridico  ed
economico del personale, statutariamente riconosciuta  alla  Regione,
non puo' quindi  giustificare  l'emanazione  di  norme,  come  quella
censurata, irrispettose delle  disposizioni  statali  in  materia  di
contenimento  della  spesa  in  materia  di  personale  e  di  limiti
assunzionali. 
    2.3.  La  deroga  prevista  dell'art.  51,  comma  2,   peraltro,
confligge con alcune norme statali che dettano principi  fondamentali
nella materia del coordinamento della  finanza  pubblica  da  cui  la
Regione non puo' discostarsi. 
    2.3.1. La norma regionale, invero, si pone in  contrasto  con  le
disposizioni di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165  che
vietano l'istituzione di figure dirigenziali al di fuori dei  vincoli
di contenimento della spesa di personale. In  particolare,  l'art.  6
del predetto decreto  legislativo  stabilisce  che,  previa  verifica
degli effettivi fabbisogni, «la consistenza  e  la  variazione  delle
dotazioni organiche sono  determinate  in  funzione  delle  finalita'
indicate all'art. 1» tra cui e' annoverata, alla lettera b) del comma
1, la razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, contenendo  la
spesa complessiva per il personale,  diretta  e  indiretta,  entro  i
vincoli di finanza pubblica. La norma, inoltre, impone alle pubbliche
amministrazioni la definizione delle dotazioni organiche  a  scadenza
triennale, stabilendo il divieto di assumere nuovo personale nel caso
in cui tale obbligo resti inadempiuto (comma 6). Il  successivo  art.
33 del decreto legislativo n. 165/2010 impone, altresi',  il  divieto
di assunzione per le pubbliche amministrazioni che non adempiono alla
ricognizione  annuale  riguardanti  le  eccedenze  di  personale,  in
relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria. 
    La deroga al contenimento della  spesa  per  il  personale  e  ai
limiti assunzionali disposta dal comma 2 dell'art. 51 confligge anche
con il dettato dell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014
n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 114 (1) , che  impone
a regioni ed enti locali sottoposti al patto  di  stabilita'  interno
limiti - modulati nel tempo - alle assunzioni di  personale  a  tempo
indeterminato lasciando ferme le disposizioni previste  dall'art.  1,
comma 557 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (2)  e abrogando,  nel
contempo, l'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25  giugno  2008,  n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge  6  agosto  2008,  n.
133, che imponeva i previgenti limiti per le assunzioni di  personale
a tempo interminato; norma quest'ultima  inclusa  da  codesta  ecc.ma
Corte tra le disposizioni espressive di  «principi  di  coordinamento
della finanza pubblica (da ultimo, sentenza n. 289 del 2013), di  cui
questa Corte ha  altresi'  affermato  l'applicabilita'  diretta  alle
Regioni a statuto speciale e,  segnatamente,  alla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia (da ultimo, sentenza n. 54 del 2014)» (sentenza
n. 181 del 2014, riguardante altra legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia; v. anche sentenza n. 217 del 2012). 
    Al pari del comma 7, dell'art. 76 del decreto-legge  n.  112/2008
(che ha esplicitamente abrogato), la previsione contenuta al comma  5
dell'art. 3 del decreto-legge n.  90/2014,  nell'imporre  i  predetti
vincoli  assunzionali,  «si  inserisce  nel  quadro  complessivo  dei
numerosi interventi che il legislatore statale, ormai  da  tempo,  ha
effettuato in vista  dell'obiettivo  di  assicurare  il  contenimento
della spesa di personale nelle pubbliche amministrazioni regionali  e
locali» e anch'essa «e' norma recante principi di coordinamento della
finanza pubblica» (sentenza n. 218 del 2015, enfasi aggiunta) che  la
Regione  e'  tenuta  ad  osservare  nell'esplicazione  della  propria
competenza legislativa. 
    Le predette disposizioni statali, volte a limitare  la  spesa  di
personale, costituiscono dunque principi di coordinamento di  finanza
pubblica applicabili  alla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
rispetto ai quali l'art.  51,  comma  2,  della  legge  regionale  n.
10/2016 si pone in conflitto. 
    La deroga ai vincoli di assunzione del personale  dirigenziale  a
tempo  indeterminato  introdotta  dalla  norma  regionale  censurata,
infatti, si risolve comunque, almeno indirettamente, in un  contrasto
con  i  corrispondenti  limiti  posti  dal  Legislatore  statale  per
assicurare il contenimento della spesa di personale. 
    2.3.2. La norma censurata appare  viepiu'  in  contrasto  con  le
disposizioni di cui all'art. 1, comma 219, della  legge  28  dicembre
2015  n.  208  (legge  di  stabilita'  per  il  2016),   che   blocca
transitoriamente, in modo quasi assoluto, l'assunzione del  personale
dirigenziale delle pubbliche amministrazioni. 
    La norma  statale  in  commento,  nelle  more  dell'adozione  dei
decreti legislativi attuativi delle deleghe affidate  al  Governo  in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (articoli
8, 11 e 17 legge  n.  124/2015)  nonche'  in  attesa  della  completa
attuazione dell'art. 1 commi 422, 423, 424  e  425,  della  legge  n.
190/2014) rende indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda
fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'art.  1,  comma  2,
del decreto legislativo n. 165/2001, e successive modificazioni, come
rideterminati in applicazione dell'art. 2 del decreto-legge 6  luglio
2012, n. 95, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  7  agosto
2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla  data  del  15
ottobre 2015, tenendo comunque conto  del  numero  dei  dirigenti  in
servizio senza incarico o con incarico  di  studio  e  del  personale
dirigenziale  in  posizione  di  comando,  distacco,  fuori  ruolo  o
aspettativa. 
    Il divieto temporaneo di assunzione  del  personale  dirigenziale
previsto dal ridetto comma 219 si estende anche nei  confronti  della
Regione Friuli-Venezia Giulia. Infatti, il  personale  delle  regioni
non e' annoverato tra quello che il successivo comma 224 dell'art.  1
della  legge  n.  2015  ha  espressamente  escluso  dal  vincolo   di
indisponibilita' di assunzione dei dirigenti a tempo indeterminato. 
    Il divieto di assunzione  imposto  dal  comma  219,  inoltre,  e'
finalizzato all'attuazione di complessi processi di  riorganizzazione
delle pubbliche amministrazioni, dettati  da  norme  statali  che  la
Regione e' tenuta ad osservare. 
    Il vincolo assunzionale in parola, infatti, e' stato disposto  in
attesa dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli
8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 le cui disposizioni  (in
forza della clausola di salvaguardia  prevista  dall'art.  22)  «sono
applicabili  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e di  Bolzano  compatibilmente  con  i  rispettivi
statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». 
    La  Regione  e'  poi  coinvolta   nel   complesso   processo   di
riallocazione   delle   risorse   umane   in   servizio   presso   le
amministrazioni  provinciali   derivante   da   alcune   disposizioni
contenute nella legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni). 
    In particolare, l'art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 26 settembre 2014, (con cui e' stato adottato  l'Accordo
di cui al comma 91, dell'art. 1 legge  n.  56/2014,  previa  l'intesa
acquisita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'art. 1, comma
92) ha stabilito che il trasferimento riguarda il numero  complessivo
delle  risorse  umane   in   servizio   presso   le   amministrazioni
provinciali,  dedotte  quelle   necessarie   all'espletamento   delle
funzioni fondamentali che restano affidate  alle  province  (art.  1,
comma 85, della stessa legge). 
    Al fine di rendere l'operazione di  trasferimento  riconducibile,
quando possibile, alla scelta del lavoratore, la legge n. 190/2014 ha
disposto la ricollocazione del personale  interessato  a  favore  dei
nuovi enti mediante il ricorso all'istituto della mobilita'. 
    Le disposizioni di cui ai commi da 422 a 428  dell'art.  l  della
legge di stabilita' per il 2015 hanno definito, infatti, i principali
passaggi procedurali in  cui  si  sono  articolate  le  procedure  di
mobilita'. 
    Il vincolo assunzionale imposto dal  comma  219  della  legge  n.
208/2015,  opera  dunque  nei  confronti  della  Regione,  tenuta   a
consentire l'attuazione dei commi 422, 423, 424  e  425  dell'art.  1
della legge n. 190/2014, in forza  delle  sopra  citate  disposizioni
legislative e dell'intesa acquisita in sede di Conferenza  Unificata,
anche in ossequio al principio di leale collaborazione. 
    Il  Legislatore  regionale,  pertanto,  nel   disporre   che   le
assunzioni di personale dirigenziale con contratto di lavoro a  tempo
indeterminato finalizzate alla prima attivazione della Centrale Unica
di Risposta al NUE 112  non  rilevano  ai  fini  del  rispetto  delle
vigenti disposizioni statali in materia di contenimento  della  spesa
in materia di personale e di limiti assunzionali, ha  violato  l'art.
117, terzo comma, della Costituzione, che  inquadra  la  materia  del
coordinamento della  finanza  pubblica  fra  quelle  di  legislazione
concorrente, a cui la Regione, pur nel rispetto della sua  autonomia,
non puo' derogare. 
    2.4. Infine, l'art. 51, comma 2, della legge regionale n. 10/2016
introduce una disciplina settoriale valevole per  il  solo  personale
dirigenziale della Regione Friuli-Venezia Giulia. 
    La norma sospettata dunque viola il principi  di  uguaglianza  di
cui all'art.  3  della  Costituzione,  giacche'  al  personale  delle
Regione ivi  indicato  verrebbe  attribuito  un  trattamento  diverso
rispetto al personale del  medesimo  comparto.  Si  e'  in  presenza,
pertanto, di un'ingiustificata disparita' di  trattamento  con  altre
Regioni che debbono rispettare i limiti assunzionali e  di  spesa  in
materia, con violazione, pertanto, dell'art.  3  della  Costituzione,
oltre che dell'art.  97,  posto  a  presidio  del  buon  andamento  e
dell'imparzialita' della pubblica amministrazione. 
    Per questi motivi le norme regionali censurate meritano di essere
dichiarate costituzionalmente  illegittime  ai  sensi  dell'art.  127
della Costituzione. 

(1) Si riporta il testo: "5. Negli anni 2014 e 2015 le regioni e  gli
    enti locali sottoposti al patto di stabilita'  interno  procedono
    ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un
    contingente di personale complessivamente corrispondente  ad  una
    spesa pari al 60 per cento di quella  relativa  al  personale  di
    ruolo cessato nell'anno precedente. Resta fermo  quanto  disposto
    dall'art. 16, comma 9, del decreto-legge 6 luglio  2012,  n.  95,
    convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
    La predetta facolta' ad assumere e' fissata nella misura  dell'80
    per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a  decorrere
    dall'anno 2018. Restano ferme le disposizioni previste  dall'art.
    1, commi 557, 557-bis e 557-ter, della legge 27 dicembre 2006, n.
    296. A decorrere dall'anno 2014 e'  consentito  il  cumulo  delle
    risorse destinate alle  assunzioni  per  un  arco  temporale  non
    superiore a tre  anni,  nel  rispetto  della  programmazione  del
    fabbisogno e di  quella  finanziaria  e  contabile;  e'  altresi'
    consentito l'utilizzo dei residui ancora disponibili delle  quote
    percentuali delle  facolta'  assunzionali  riferite  al  triennio
    precedente. L'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008,
    n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
    n. 133 e' abrogato. Le amministrazioni di cui al  presente  comma
    coordinano le politiche assunzionali dei soggetti di cui all'art.
    18, comma 2-bis, del citato decreto-legge n, 112 del 2008 al fine
    di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione
    della percentuale tra spese di personale e spese correnti,  fermo
    restando quanto previsto dal medesimo art. 18, comma 2-bis,  come
    da  ultimo  modificato  dal  comma   5-quinquies   del   presente
    articolo". 

(2) che obbliga gli enti sottoposti al patto di stabilita' interno ad
    assicurare la riduzione delle spese di personale, con  azioni  da
    modulare  nell'ambito   della   propria   autonomia   e   rivolte
    prioritariamente, tra l'altro, al "contenimento  delle  dinamiche
    di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche  conto
    delle corrispondenti disposizioni dettate per le  amministrazioni
    statali".