TRIBUNALE DI PALERMO 
                       Seconda sezione civile 
 
    Il Giudice, dott.ssa Germana Maffei, nel procedimento iscritto al
n. 5305/2016 R.G. promosso da Costanzo Salvatore Erasmo nei confronti
di Conigliaro Antonino, ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Letti gli atti, esaminati i documenti prodotti e  sciogliendo  la
riserva assunta all'udienza del 6 ottobre 2016; 
    Rilevato che l'odierno giudizio trae origine dall'intimazione  di
sfratto per morosita' proposta  da  Costanza  Salvatore  Erasmo  onde
ottenere 1)  il  rilascio  dell'appartamento  per  civile  abitazione
concesso  in  locazione  a  Conigliaro  Antonino  mediante  contratto
(rectius proposta di locazione) sottoscritto dalle parti in  data  14
ottobre 2011 e registrato d'ufficio il 7 marzo  2013,  su  iniziativa
del conduttore, in conseguenza della denuncia di omessa registrazione
del contratto agli effetti previsti dall'art.  3  commi  8  e  9  del
decreto legislativo 14 marzo  2011  n.  23;  2)  il  pagamento  della
differenza tra quanto corrisposto nel periodo marzo 2013  -  dicembre
2015 e quanto effettivamente dovuto dal conduttore, per effetto della
declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 3,  commi  8  e  9  del
decreto legislativo teste' richiamato e dell'art. 5, comma 1-ter  del
D.L. 28 marzo 2014 n. 47, disposizione che faceva salvi, sino  al  31
dicembre 2015, gli effetti prodottisi ed i rapporti  giuridici  sorti
sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi del ridetto
art. 3; 
    Rilevato che  l'intimato,  pur  riconsegnando  banco  iudicis  le
chiavi dell'immobile  condotto  in  locazione,  si  e'  opposto  alla
convalida  asserendo  di  aver  provveduto  a   denunciare   l'omessa
registrazione del contratto di locazione ai sensi dell'art. 3 decreto
legislativo 23/2011  e  di  aver  corrisposto,  da  quella  data,  al
locatore il canone rideterminato ex lege ai  sensi  del  comma  8  di
detta disposizione (pari ad euro 87,15 anziche'  400,00  mensili),  a
tenore del quale a decorrere dalla registrazione, il canone annuo  di
locazione  e'  fissato  in  misura  pari  al  triplo  della   rendita
catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al  75  per
cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al  consumo  per  le
famiglie degli impiegati ed operai; evidenziato che parte conduttrice
ha contestato, quindi,  la  sussistenza  della  morosita',  invocando
all'uopo l'applicazione  della  regolamentazione  introdotta  con  la
legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge cd.  «di  stabilita'»),  che  ha
modificato l'art. 13 della legge n. 431/98, in tema di  locazione  ad
uso  abitativo,  introducendo  il  quinto  comma  con   la   seguente
formulazione: «per i conduttori che, per gli effetti della disciplina
di cui all'art. 3, commi 8 e 9,  del  decreto  legislativo  14  marzo
2011, n. 23, prorogati dall'art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28
marzo 2014, n. 47, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  23
maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla  data
di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno
16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella  misura  stabilita
dalla disposizione di cui al citato art.  3,  comma  8,  del  decreto
legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione  dovuto
ovvero dell'indennita' di occupazione maturata,  su  base  annua,  e'
pari al triplo della rendita  catastale  dell'immobile,  nel  periodo
considerato»; 
    Rilevato  che,  a  fronte  dell'opposizione,  parte  attrice   ha
sollevato eccezione di costituzionalita' dell'art. 13, comma  quinto,
della legge n. 431/98, per  contrasto  con  l'art.  136  della  Carta
costituzionale; 
    Ritenuta l'indubbia applicabilita'  della  disciplina  citata  al
rapporto inter partes, sorto sulla  base  di  un  accordo  pienamente
efficace tra costoro, atteso che, in disparte il nomen iuris indicato
dalle parti quale «proposta di locazione», il contratto di  locazione
risulta definito nei suoi elementi essenziali ed e' stato eseguito al
momento della relativa sottoscrizione mediante immissione in possesso
e pagamento del canone ivi previsto; 
    Ritenuto che la questione e' rilevante ai fini della controversia
dalla sua risoluzione dipendono sia la valutazione della  sussistenza
o meno della morosita' e, quindi, della  gravita'  dell'inadempimento
ai fini risolutori, sia la decisione sul merito della domanda attorea
di  restituzione  della  differenza  tra   quanto   corrisposto   dal
conduttore  avvantaggiandosi  della  disciplina   sopra   citata   (e
dichiarata incostituzionale) e quanto realmente dovuto  alla  stregua
delle originarie pattuizioni contrattuali; 
    Ritenuto,  altresi',  che  la  questione   non   appare   neppure
manifestamente infondata, apparendo francamente dubbia la conformita'
della disposizione in argomento ai  precetti  costituzionali,  almeno
rispetto al profilo evidenziato dalla difesa della  parte  intimante,
che questo Giudice  ritiene  di  fare  propri  sviluppando  ulteriori
rilievi; 
    Ritenuto, all'uopo, che si ripropongono in tale sede le questioni
gia' esaminate e ritenute fondate dalla Corte  costituzionale,  nella
recente sentenza 16 luglio 2015, n. 169  (pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale del 22 luglio 2015, n. 29); 
    Vista l'ordinanza del 17 marzo 2016 n. 133 del Tribunale di Roma,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2016 n. 28; 
 
                               Osserva 
 
    Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni
qui sollevate, occorre  fornire  una  sintetica  ricostruzione  delle
disposizioni di legge intervenute a regolare la fattispecie - dedotta
in giudizio - del  contratto  di  locazione  abitativa  che  non  sia
portato a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, nel rispetto
del termine di cui all'art.  17  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 26  aprile  1986,  n.  131,  recante  «testo  unico  delle
disposizioni concernenti l'imposta di registro». 
    L'art. 3 del d.lg. 14 marzo 2011 n.  23,  l'art.  3  del  decreto
legislativo n. 23/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del
23 marzo 2011, al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: 
        «8.  Ai  contratti  di  locazione  degli  immobili   ad   uso
abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i  presupposti,  non
sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la
seguente disciplina: 
          a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a
decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; 
          b) al rinnovo si applica la disciplina di cui  all'art.  2,
comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; 
          c) a decorrere  dalla  registrazione  il  canone  annuo  di
locazione  e'  fissato  in  misura  pari  al  triplo  della   rendita
catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al  75  per
cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al  consumo  per  le
famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone
inferiore, si applica comunque  il  canone  stabilito  dalle  parti».
Nell'intento del legislatore era evidente la necessita' di colmare il
vuoto normativo lasciato  dall'art.  1,  comma  346  della  legge  n.
311/2004, tuttora vigente,  a  tenore  del  quale:  «I  contratti  di
locazione,  o  che  comunque  costituiscono   diritti   relativi   di
godimento, di unita' immobiliari ovvero di  loro  porzioni,  comunque
stipulati, sono  nulli  se,  ricorrendone  i  presupposti,  non  sono
registrati». 
    Le  disposizioni  di  cui  all'art.  3,  comma  8   del   decreto
legislativo n. 23/2011, venivano completate dal comma 10 dello stesso
art. 3, che cosi' testualmente recitava: «10. La disciplina di cui ai
commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata  entro
sessanta  giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto». 
    Come rilevato nella richiamata ordinanza del Giudice  romano,  il
legislatore del  decreto  legislativo  n.  23/2011  «assegnava,  erga
omnes, un termine di «moratoria» (scaduto il 6 giugno 2011,  e  cioe'
al sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore  del  decreto
legislativo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23  marzo  2011,
con  la  vacatio  di  quindici  giorni  di  cui  all'art.  73   della
Costituzione)  per  portale  alla  luce  i  rapporti   di   locazione
(abitativa) che fossero  (in  quel  momento)  in  tutto  o  in  parte
«sommersi». Proprio dall'assegnazione di un termine cosifatto, e  dal
tenore testuale dell'art. 3, comma  10  del  decreto  legislativo  n.
23/2011,  che  non  avrebbe  avuto  senso  alcuno  laddove  le  nuove
disposizioni in tema di canone sanzionatorio e di durata  legale  dei
contratti non tempestivamente registrati, fossero  state  applicabili
solo  agli  accordi  locativi  stipulati  successivamente  alla  loro
entrata  in  vigore,  la  giurisprudenza  di  merito  aveva   desunto
l'immediata applicabilita' delle disposizioni sanzionatorie di cui ai
commi 8 e 9  dell'articolo,  anche  ai  contratti  in  corso,  che  -
validamente, stipulati  per  iscritto  -  non  fossero  stati  ancora
oggetto registrazione all'Agenzia delle entrate». 
    Ad ogni modo, la richiamata  disposizione,  nella  parte  in  cui
prevede, in caso di mancata registrazione del contratto di  locazione
ad uso  abitativo  entro  il  termine  di  legge,  un  meccanismo  di
sostituzione sanzionatoria dell'importo del canone e della durata del
contratto,  e'  stato  censurato  dalla   Corte   costituzionale   in
riferimento all'art. 76 cost., atteso che la legge di  delega  n.  42
del 2009 non soltanto non avrebbe introdotto  principi  alla  stregua
dei quali consentire l'introduzione  delle  disposizioni  oggetto  di
censura, ma avrebbe previsto, all'art. 2, comma 2, lettera c), che il
legislatore delegato si attenesse ai principi sanciti  dallo  statuto
dei diritti del contribuente, di cui alla citata  legge  n.  212  del
2000: statuto il  cui  art.  10  stabilisce  che  «le  violazioni  di
disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono  essere
causa di  nullita'  del  contratto»;  mentre  l'art.  6  prevede  che
l'amministrazione finanziaria informi «il contribuente di ogni  fatto
o circostanza a sua conoscenza, dai quali possa derivare  il  mancato
riconoscimento di un credito o l'innogazione di una  sanzione»  (Cfr.
sentenza n. 50/2014). 
    Piu' nel dettaglio, la Corte evidenziava in motivazione: «Il tema
della lotta all'evasione fiscale, che costituisce un chiaro obiettivo
dell'intervento normativo in discorso, non  puo'  essere  configurato
anche come criterio per  l'esercizio  della  delega;  il  quale,  per
definizione, deve imitare lo specifico oggetto sul  quale  interviene
il legislatore delegato, entro i previsti limiti Ne'  fa  riferimento
alle  «forme  premiali»  anzidette  puo'  ritenersi  in  alcun   modo
correlabile con il singolare meccanismo  «sanzionatorio»  oggetto  di
censura. Del resto -  e  come  puntualmente  messo  in  evidenza  dai
giudici a quibus - nella citata legge di delegazione  si  formula  un
preciso enunciato,  formalmente  e  sostanzialmente  evocabile  quale
principio e criterio difettivo  generale,  secondo  il  quale  -  nel
richimare (art. 2, comma 2 lettera c)), «razionalita' e coerenza  dei
singoli  tributi  e  del  sistema  tributario  nel   suo   complesso»
(compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatori ed i  «rimedi»
tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi  assoggettabili
ad imposizione) - espressamente prescrive di procedere  all'esercizio
della delega nel «rispetto dei principi  sanciti  dallo  statuto  dei
diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». 
    Tale Statuto prevede, all'art. 10, comma 3, ultimo  periodo,  che
«Le violazioni di disposizioni di rilievo  esclusivamente  tributario
non possono essere causa di  nullita'  del  contratto»:  con  l'ovvia
conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine per  la
registrazione di un contratto di locazione non puo' legittimare (come
sarebbe  nella  specie)  addirittura  una  novazione  -  per   factum
principis - quanto a canone e a durata. 
    Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione
del  contribuente,  parimenti  prescritti   dal   predetto   statuto,
risultano nella specie totalmente negletti,  operando  la  denunciata
«sostituzione» contrattuale in via automatica, solo a  seguito  della
mancata tempestiva registrazione del contratto. 
    Successivamente, la legge 23 maggio 2014 n. 80, convertendo,  con
modificazioni, il decreto-legge 28 marzo 2014 n.  47,  ha  stabilito,
all'art. 5, comma 1-ter, che «Sono fatti salvi, fino alla data del 31
dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i  rapporti  giuridici  sorti
sulla base dei contratti di locazione registrati ai  sensi  dell'art.
3, commi 8 e 9 del d.lg. 14 marzo 2011 n. 23»; Tale disposizione pure
non si e' sottratta alla  declaratoria  di  incostituzionalita',  sul
rilievo per cui - introdotta dalla legge 23 maggio 2014,  n.  80,  in
conseguenza della sentenza n.  50  del  2014,  che  aveva  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi  8  e  9,  decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in tema rideterminazione ex lege di
elementi di contratti di locazione non registrati nei termini  -  nel
prorogare fino al 31 dicembre 2015 l'efficacia  e  la  validita'  dei
contratti di  locazione  registrati  sulla  base  delle  disposizioni
dichiarate costituzionalmente illegittime, aveva impedito,  sia  pure
temporaneamente, che la declaratoria di illegittimita' costituzionale
producesse le previste conseguenze, vale  a  dire  la  cessazione  di
efficacia  delle  disposizioni  dichiarate  illegittime  dal   giorno
successivo alla pubblicazione della decisione. 
    La Corte costituzionale, con sentenza del 16 luglio 2015, n.  169
nella  Gazzetta  Ufficiale,  22  luglio,  n.  29),  ha  efficacemente
evidenziato che: «La disposizione all'esame e'  stata  introdotta  in
sede di conversione, ad  opera  della  legge  n.  80  del  2014,  del
decreto-legge n. 47 del  2011,  a  seguito  e  in  conseguenza  della
sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014,
che aveva dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3,
commi 8 e 9, del decreto legislativo n.  23  del  2011,  in  tema  di
rideterminazione ex lege di elementi di contratti  di  locazione  non
registrati nei termini. Essa e'  stata  inserita  nell'ambito  di  un
provvedimento diretto in primis, secondo le intenzioni dichiarate nel
preambolo del  provvedimento  d'urgenza,  «a  fronteggiare  la  grave
emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in
modo efficace il mercato delle costruzioni»  e  nel  contesto  di  un
articolo (il 5) dedicato, secondo l'originaria rubrica,  alla  «Lotta
all'occupazione abusiva di immobili». Con  essa  il  legislatore  ha,
nella sostanza, prorogato l'efficacia e la validita' dei contratti di
locazione  registrati  sulla  base  delle   disposizioni   dichiarate
costituzionalmente illegittime. 
    Come emerge dai lavori parlamentari  e  dalle  dichiarazioni  del
relatore, la norma «salvaguarda fino al 31 dicembre 2015 gli  effetti
della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha
cancellato.  Si  e'  trovata  una  soluzione  che  non   rimette   in
discussione la  sentenza,  ma  riconosce  che  coloro  che  ne  hanno
beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver  applicato
la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover  sopportare
un aggravio ingiusto  delle  proprie  condizioni  di  vita».  Appare,
dunque, palese che  l'intento  perseguito  dal  Parlamento  era,  per
l'appunto, di preservare, per un certo tempo,  gli  effetti  prodotti
dalla normativa dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  facendo
beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini.
Appare, in altri termini, del tutto evidente che il legislatore si e'
proposto non gia' di disciplinare medio tempore  -  o  ex  novo  e  a
regime - la tematica degli affitti  non  registrati  tempestivamente,
magari attraverso un rimedio ai vizi  additati  da  questa  Corte;  e
neppure quello di «confermare» o di «riprodurre»  pedissequamente  il
contenuto   normativo   di   nome    dichiarate    costituzionalmente
illegittime;   ma   semplicemente   quello   d'impedire,   sia   pure
temporaneamente, che la declaratoria di illegittimita' costituzionale
producesse le previste conseguenze, vale  a  dire  la  cessazione  di
efficacia  delle  disposizioni  dichiarate  illegittime  dal   giorno
successivo  alla  pubblicazione  della  decisione  (art.  136   della
Costituzione). Nella sua stessa formulazione letterale, del resto, la
norma censurata,  evidentemente,  priva  di  autonomia,  Si  prefigge
soltanto  di  ricostituire  una  base  normativa  per   «effetti»   e
«rapporti» relativi a contratti che, in conseguenza  della  pronuncia
di illegittimita' costituzionale, ne sarebbero rimasti privi: ne'  il
carattere temporaneo della disposizione sembra risolvere il  problema
e nemmeno attenuarne la portata. 
    Al riguardo, va rammentato come, sin da epoca ormai risalente, la
giurisprudenza costituzionale non abbia mancato  di  sottolineare  il
rigoroso  significato  della  norma  contenuta  nell'art.  136  della
Costituzione: su di essa - si e' detto - «poggia il contenuto pratico
di tutto il sistema delle garanzie  costituzionali,  in  quanto  essa
toglie immediatamente ogni efficacia alla norma  illegittima»,  senza
possibilita'  di  «compressioni  od  incrinature  nella  sua   rigida
applicazione»  (sentenza  n.  73   del   1963,   che   dichiaro'   la
illegittimita'  di  una   legge,   successiva   alla   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale, con  la  quale  il  legislatore  aveva
dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata
cessazione dell'efficacia giuridica della norma  illegittima,  ma  di
prolungarne la vita sino all'entrata in vigore  della  nuova  legge»;
tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966,  ove  si
e' precisato che il precetto costituzionale,  di  cui  si  e'  detto,
sarebbe violato «non solo ove espressamente  si  disponesse  che  una
norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove
una legge, per il modo con cui provvede  a  regolare  le  fattispecie
verificatesi  prima  della  sua  entrata  in  vigore,  perseguisse  e
raggiungesse,  «anche  se  indirettamente,  lo  stesso   risultato»).
Principi, questi, ripresi e ribaditi  in  numerose  altre  successive
decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012;
n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; 223 del 1983). Se appare,  infatti,
evidente che  una  pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale  non
possa,  in  linea  di  principio,  determinare,  a   svantaggio   del
legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un «esproprio»  della
potesta'  legislativa  sul  punto  -  tenuto  anche  conto  che   una
declaratoria di illegittimita'  ha  contenuto,  oggetto  e  occasione
circoscritti dal «tema» normativo devoluto e dal «contesto» in cui la
pronuncia demolitoria e'  chiamata  ad  iscriversi  -,  e'  del  pari
evidente,  tuttavia,  che  questa  non  possa  risultare  pronunciata
«inutilmente», come accadrebbe quando una accertata violazione  della
Costituzione  potesse,  in  una   qualsiasi   forma,   inopinatamente
riproporsi. E se, percio', certamente il legislatore  resta  titolare
del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia,  e'
senz'altro  da  escludere  che  possa  legittimamente  farlo  -  come
avvenuto nella specie - limitandosi a «salvare», e cioe' a «mantenere
in vita», o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni  che,
in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale,  non
sono piu' in grado di produrne. Il contrasto  con  l'art.  136  della
Costituzione  ha,  in  un  simile  frangente,   portata   addirittura
letterale. 
    In altri termini: nel mutato contesto di  esperienza  determinato
da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto
discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volonta'
normativa censurata dalla Corte; un altro conto e' emanare  un  nuovo
atto diretto esclusivamente a prolungare  nel  tempo,  anche  in  via
indiretta, l'efficacia di norme che «non possono  avere  applicazione
dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»  (art.  30,
terzo comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  -  Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento  della  Corte  costituzionale).  Ne'
puo' reputarsi meritevole di pregio l'argomento speso dall'Avvocatura
generale  a  proposito   della   circostanza   che   l'illegittimita'
costituzionale sia  stata  dichiarata  per  difetto  di  delega,  che
costituirebbe appena un vizio formale. E' infatti, pacifico  che  una
sentenza caducatoria produca i suoi previsti effetti quale che sia il
parametro costituzionale in riferimento  al  quale  il  giudizio  sia
stato pronunciato, senza, percio', che sia possibile differenziarne o
quasi graduarne l'efficacia». 
    Nondimeno,  il  legislatore  e'  intervenuto   nuovamente   sulla
questione, introducendo un quinto  comma  alla  disposizione  di  cui
all'art. 13 della  legge  n.  431/1998,  alla  cui  stregua:  «per  i
conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui  all'art.  3,
commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23,  prorogati
dall'art. 5 comma 1-ter, del  decreto-legge  28  marzo  2014,  n.  47
convertito, modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014,  n.  80  hanno
versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in  vigore  del
decreto legislativo n. 23 del 2011  al  giorno  16  luglio  2015,  il
canone annuo di locazione nella misura stabilita  dalla  disposizione
di cui al citato art. 3, comma 8, del decreto legislativo n.  23  del
2011 l'importo del canone di locazione dovuto ovvero  dell'indennita'
di locazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita
catastale dell'immobile, nel periodo considerato». 
    Ritenuto, in definitiva, in merito al novum legislativo: 
        che,  nella  pur  mutata  ed  apparentemente  diversa   veste
formale,  la  disposizione  de  qua  abbia  comportato  di  fatto  la
reviviscenza   ed   ultrattivita'   delle   disposizioni   dichiarate
incostituzionali, in evidente contrasto l'art. 136 Cost., consentendo
ai conduttori  di  continuare  a  beneficiare  dell'applicazione  del
«contratto catastale»; 
        che le pronunce di accoglimento  della  Corte  costituzionale
hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validita' e
l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo
il limite delle situazioni giuridiche «consolidate»  per  effetto  di
eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a  produrre  tale
effetto,   quali   le   sentenze   passate   in   giudicato,   l'atto
amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e  la  decadenza
(ex multis Cassazione civ., sez. III, 28 luglio 1997, n.  7057):  «Le
pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - di  illegittimita'
costituzionale - eliminano la norma con effetto  «ex  tunc»,  con  la
conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla
circostanza che la fattispecie  sia  sorta  perdici  l'illegittimita'
costituzionale ha  per  presupposto  l'invalidita'  originaria  della
legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o  processuale
- per contrasto con un precetto  costituzionale,  fermo  restando  il
principio che gli effetti in epoca anteriore alla pubblicazione della
decisione, dell'incostituzionalita' non si  estendono  esclusivamente
al  rapporti  ormai  esauriti  in  modo  definitivo,   per   avvenuta
formazione del giudicato per  essersi  verificato  altro  evento  cui
l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero
per  essersi  verificate  preclusioni'  processuali,  o  decadenze  e
prescrizioni  non  direttamente  investite,  nei   loro   presupposti
normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita' (ex  multis,  Cass.,
n. 20381 del 20 novembre 2012; n. 9329 del 20 aprile 2010). 
        che, nel caso concreto, non sussistono giudicati,  ne'  altri
eventi  cui  l'ordinamento  collega  il  consolidamento  di  rapporti
giuridici. Nel giudizio  «de  quo»  si  discute  di  un  rapporto  di
locazione, ad uso abitativo, e, dunque, di un  classico  rapporto  di
durata, che non e' stato sciolto od estinto. Ne  vengono  in  rilievo
prestazioni contrattuali patrimoniali, la cui  esecuzione  sia  ormai
«consolidata», con conseguente insuscettibilita' di essere oggetto di
pronunce di incostituzionalita' afferenti alle  norme  che  ne  hanno
disciplinato il contenuto negoziale. Al contrario, nella  fattispecie
concreta, le norme della cui legittimita'  costituzionale  si  dubita
consente al conduttore  di  eludere  l'adempimento  dell'obbligazione
contrattuale attraverso il pagamento  di  una  somma  di  gran  lunga
inferiore,  frutto  dell'applicazione  dei  criteri  contemplati  dal
citato art. 3. 
    In altri termini, la norma contestata attribuisce  al  conduttore
il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle
norme  richiamate,   sottraendosi   all'adempimento   integrale   del
contratto  stipulato;   pertanto,   la   pronuncia   d'illegittimita'
costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di  rendere  esigibile,
da  parte  del  locatore,  la  prestazione  contrattuale  nella   sua
interezza,   consentendo   al   creditore   la   piena   acquisizione
patrimoniale del diritto fatto valere; 
        che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  sin   da   epoca
risalente sottolineato il rigoroso significato della norma  contenuta
nell'art. 136 Cost.; su di essa - Si e' detto - «poggia il  contenuto
pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in  quanto
essa toglie immediatamente ogni efficacia  alla  norma  illegittima»,
senza possibilita' di «compressioni od incrinature nella  sua  rigida
applicazione»  (sentenza  n.  73   del   1963,   che   dichiaro'   la
illegittimita'  di  una   legge,   successiva   alla   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale, con  la  quale  il  legislatore  aveva
dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata
cessazione dell'efficacia giuridica della norma  illegittima,  ma  di
prolungarne la vita sino all'entrata in vigore  della  nuova  legge»;
tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966,  ove  si
e' precisato che il precetto costituzionale,  di  cui  si  e'  detto,
sarebbe violato «non solo ove espressamente si'  disponesse  che  una
norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove
una legge, per il modo con cui provvede  a  regolare  le  fattispecie
verificatesi  prima  della  sua  entrata  in  vigore,  perseguisse  e
raggiungesse,  «anche  se  indirettamente,  lo  stesso   risultato»).
Principi, questi, ripresi e ribaditi  in  numerose  altre  successive
decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012;
n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983); 
    Sarebbe poi compromesso  anche  l'art.  3  Cost.,  in  quanto  si
sarebbe  introdotto  un  regime   irragionevolmente   discriminatorio
rispetto ai medesimi  rapporti  di  locazione,  dal  momento  che,  a
seguito   della    predetta    dichiarazione    di'    illegittimita'
costituzionale,  sarebbe  venuta  meno  la  funzione  «preventiva   e
deterrente» circa l'adempimento  degli  obblighi  tributari  connessi
alla tempestiva registrazione dei  contratti  di  locazione:  il  che
renderebbe priva di ragion d'essere  la  previsione  di  un  «termine
finale» scollegato dalla originaria funzione; 
        che debba denunziarsi anche la violazione anche dell'art. 42,
secondo Cost., in quanto la facolta' del legislatore di  limitare  la
proprieta' privata e' tuttavia sottoposta  al  rispetto  del  «limite
teleologico della funzionalita' alle  esigenze  delle  collettivita',
mediante un bilanciamento di interessi di  rango  costituzionale  che
non puo'  tradursi  in  uno  «svuotamento  di  rilevante  entita'  ed
incisivita' del suo contenuto» (v. sentenza Corte  costituzionale  n.
55/1968)». Evenienza che, nella specie, non  si  sarebbe  verificata,
avendo il legislatore previsto misure in chiave sanzionatoria,  tanto
della  durata  che  del  canone  locatizio,  svuotando  di  contenuto
l'autonomia negoziale, senza una  proporzionale  ricaduta  sul  piano
della funzione sociale della proprieta'. 
        che l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla  parte
ricorrente   debba   arricchirsi   di   un   ulteriore   profilo   di
illegittimita' rappresentato dal contrasto con l'art. 42 della  Carta
costituzionale, atteso che il nuovo regime sanzionatoti impone  -  in
assenza di alcuna «funzione sociale»  e  in  mancanza  di  una  legge
parlamentare che lo legittimi  -  un  apprezzabile  sacrificio  delle
facolta' insite nel diritto dominicale del proprietario  -  di  fatto
privato per almeno quattro anni (otto nel caso di insussistenza, alla
scadenza del primo quadriennio,  di  uno  dei  motivi  tassativi  che
giustifichino il diniego di rinnova ai  sensi  dell'art.  2  comma  1
legge n. 431/98)  della  possibilita'  di  percepire  un  reddito  da
locazione commisurato al canone di mercato e  obbligato  a  mantenere
l'immobile nella detenzione del  conduttore  -  per  l'intera  durata
decorrente (ex novo) dalla registrazione - a fronte  del  versamento,
da parte di costui, di un canone assolutamente irrisorio; 
        che appare  dubbia  la  conformita'  di  tale  disciplina  al
precetto  costituzionale  dettato  dall'art.  3  Cost.,  sol  che  si
consideri, in primo luogo, che i commi 8 e 9 dell'art. 3 si applicano
esclusivamente ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo
e non anche ai contratti di locazione  commerciale  soggetti  come  i
primi all'Obbligo della registrazione, senza  che  la  disparita'  di
trattamento tra le due categorie, sia giustificata  dalla  diversita'
degli obblighi tributari  inadempititi,  essendo  anzi  identica  per
entrambi la  proclamata  esigenza  di  contrasto  all'evasione  e  di
recupero  all'erario-  del  gettito  dei  tributi  sui  redditi   (da
locazione) non dichiarati; 
        che l'effetto, al contempo, «premiante» per  i  conduttori  e
«punitivo» per i locatori, si traduce in una  vistosa  disparita'  di
trattamento tra le parti  del  medesimo  rapporto,  sebbene  entrambe
siano coobbligate all'adempimento fiscale  omesso  (o  ritardato)  ex
art. 10 decreto del Presidente della Repubblica n. 131/86, e  che  la
rilevata  disparita'  appare  ancora   piu'   ingiustificata   quando
l'applicazione della disciplina  in  questione  sia  conseguita  alla
registrazione d'ufficio  del  contratto  e  sia  dunque  -mancata  la
volontaria delazione del conduttore che avrebbe potuto, in meritargli
i (consistenti) benefici che il decreto gli accorda; 
        che, non apparendo l'eccezione di  incostituzionalita'  della
nuova disciplina degli effetti  derivanti  dalla  mancata  o  tardiva
registrazione dei contratti di locazione di immobili ad uso abitativo
manifestamente infondata, non essendovi spazio per un'interpretazione
che ne renda l'applicazione conforme ai  precetti  costituzionali  ed
essendo la questione rilevante ai fini della decisione  della  causa,
non resta che suscitare il  sindacato  di  legittimita'  della  Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio.