TRIBUNALE DI PALERMO Seconda sezione civile Il Giudice, dott.ssa Germana Maffei, nel procedimento iscritto al n. 5305/2016 R.G. promosso da Costanzo Salvatore Erasmo nei confronti di Conigliaro Antonino, ha pronunciato la seguente ordinanza. Letti gli atti, esaminati i documenti prodotti e sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 6 ottobre 2016; Rilevato che l'odierno giudizio trae origine dall'intimazione di sfratto per morosita' proposta da Costanza Salvatore Erasmo onde ottenere 1) il rilascio dell'appartamento per civile abitazione concesso in locazione a Conigliaro Antonino mediante contratto (rectius proposta di locazione) sottoscritto dalle parti in data 14 ottobre 2011 e registrato d'ufficio il 7 marzo 2013, su iniziativa del conduttore, in conseguenza della denuncia di omessa registrazione del contratto agli effetti previsti dall'art. 3 commi 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011 n. 23; 2) il pagamento della differenza tra quanto corrisposto nel periodo marzo 2013 - dicembre 2015 e quanto effettivamente dovuto dal conduttore, per effetto della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 3, commi 8 e 9 del decreto legislativo teste' richiamato e dell'art. 5, comma 1-ter del D.L. 28 marzo 2014 n. 47, disposizione che faceva salvi, sino al 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi del ridetto art. 3; Rilevato che l'intimato, pur riconsegnando banco iudicis le chiavi dell'immobile condotto in locazione, si e' opposto alla convalida asserendo di aver provveduto a denunciare l'omessa registrazione del contratto di locazione ai sensi dell'art. 3 decreto legislativo 23/2011 e di aver corrisposto, da quella data, al locatore il canone rideterminato ex lege ai sensi del comma 8 di detta disposizione (pari ad euro 87,15 anziche' 400,00 mensili), a tenore del quale a decorrere dalla registrazione, il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai; evidenziato che parte conduttrice ha contestato, quindi, la sussistenza della morosita', invocando all'uopo l'applicazione della regolamentazione introdotta con la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge cd. «di stabilita'»), che ha modificato l'art. 13 della legge n. 431/98, in tema di locazione ad uso abitativo, introducendo il quinto comma con la seguente formulazione: «per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011, l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di occupazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato»; Rilevato che, a fronte dell'opposizione, parte attrice ha sollevato eccezione di costituzionalita' dell'art. 13, comma quinto, della legge n. 431/98, per contrasto con l'art. 136 della Carta costituzionale; Ritenuta l'indubbia applicabilita' della disciplina citata al rapporto inter partes, sorto sulla base di un accordo pienamente efficace tra costoro, atteso che, in disparte il nomen iuris indicato dalle parti quale «proposta di locazione», il contratto di locazione risulta definito nei suoi elementi essenziali ed e' stato eseguito al momento della relativa sottoscrizione mediante immissione in possesso e pagamento del canone ivi previsto; Ritenuto che la questione e' rilevante ai fini della controversia dalla sua risoluzione dipendono sia la valutazione della sussistenza o meno della morosita' e, quindi, della gravita' dell'inadempimento ai fini risolutori, sia la decisione sul merito della domanda attorea di restituzione della differenza tra quanto corrisposto dal conduttore avvantaggiandosi della disciplina sopra citata (e dichiarata incostituzionale) e quanto realmente dovuto alla stregua delle originarie pattuizioni contrattuali; Ritenuto, altresi', che la questione non appare neppure manifestamente infondata, apparendo francamente dubbia la conformita' della disposizione in argomento ai precetti costituzionali, almeno rispetto al profilo evidenziato dalla difesa della parte intimante, che questo Giudice ritiene di fare propri sviluppando ulteriori rilievi; Ritenuto, all'uopo, che si ripropongono in tale sede le questioni gia' esaminate e ritenute fondate dalla Corte costituzionale, nella recente sentenza 16 luglio 2015, n. 169 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 luglio 2015, n. 29); Vista l'ordinanza del 17 marzo 2016 n. 133 del Tribunale di Roma, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2016 n. 28; Osserva Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni qui sollevate, occorre fornire una sintetica ricostruzione delle disposizioni di legge intervenute a regolare la fattispecie - dedotta in giudizio - del contratto di locazione abitativa che non sia portato a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, nel rispetto del termine di cui all'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, recante «testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro». L'art. 3 del d.lg. 14 marzo 2011 n. 23, l'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 23 marzo 2011, al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: «8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Nell'intento del legislatore era evidente la necessita' di colmare il vuoto normativo lasciato dall'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tuttora vigente, a tenore del quale: «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Le disposizioni di cui all'art. 3, comma 8 del decreto legislativo n. 23/2011, venivano completate dal comma 10 dello stesso art. 3, che cosi' testualmente recitava: «10. La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Come rilevato nella richiamata ordinanza del Giudice romano, il legislatore del decreto legislativo n. 23/2011 «assegnava, erga omnes, un termine di «moratoria» (scaduto il 6 giugno 2011, e cioe' al sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto legislativo, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 2011, con la vacatio di quindici giorni di cui all'art. 73 della Costituzione) per portale alla luce i rapporti di locazione (abitativa) che fossero (in quel momento) in tutto o in parte «sommersi». Proprio dall'assegnazione di un termine cosifatto, e dal tenore testuale dell'art. 3, comma 10 del decreto legislativo n. 23/2011, che non avrebbe avuto senso alcuno laddove le nuove disposizioni in tema di canone sanzionatorio e di durata legale dei contratti non tempestivamente registrati, fossero state applicabili solo agli accordi locativi stipulati successivamente alla loro entrata in vigore, la giurisprudenza di merito aveva desunto l'immediata applicabilita' delle disposizioni sanzionatorie di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo, anche ai contratti in corso, che - validamente, stipulati per iscritto - non fossero stati ancora oggetto registrazione all'Agenzia delle entrate». Ad ogni modo, la richiamata disposizione, nella parte in cui prevede, in caso di mancata registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo entro il termine di legge, un meccanismo di sostituzione sanzionatoria dell'importo del canone e della durata del contratto, e' stato censurato dalla Corte costituzionale in riferimento all'art. 76 cost., atteso che la legge di delega n. 42 del 2009 non soltanto non avrebbe introdotto principi alla stregua dei quali consentire l'introduzione delle disposizioni oggetto di censura, ma avrebbe previsto, all'art. 2, comma 2, lettera c), che il legislatore delegato si attenesse ai principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente, di cui alla citata legge n. 212 del 2000: statuto il cui art. 10 stabilisce che «le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita' del contratto»; mentre l'art. 6 prevede che l'amministrazione finanziaria informi «il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza, dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito o l'innogazione di una sanzione» (Cfr. sentenza n. 50/2014). Piu' nel dettaglio, la Corte evidenziava in motivazione: «Il tema della lotta all'evasione fiscale, che costituisce un chiaro obiettivo dell'intervento normativo in discorso, non puo' essere configurato anche come criterio per l'esercizio della delega; il quale, per definizione, deve imitare lo specifico oggetto sul quale interviene il legislatore delegato, entro i previsti limiti Ne' fa riferimento alle «forme premiali» anzidette puo' ritenersi in alcun modo correlabile con il singolare meccanismo «sanzionatorio» oggetto di censura. Del resto - e come puntualmente messo in evidenza dai giudici a quibus - nella citata legge di delegazione si formula un preciso enunciato, formalmente e sostanzialmente evocabile quale principio e criterio difettivo generale, secondo il quale - nel richimare (art. 2, comma 2 lettera c)), «razionalita' e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso» (compresi, dunque, i profili di carattere sanzionatori ed i «rimedi» tecnici tesi a portare ad emersione cespiti o redditi assoggettabili ad imposizione) - espressamente prescrive di procedere all'esercizio della delega nel «rispetto dei principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212». Tale Statuto prevede, all'art. 10, comma 3, ultimo periodo, che «Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita' del contratto»: con l'ovvia conseguenza che, tanto piu', la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non puo' legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione - per factum principis - quanto a canone e a durata. Ne' appare superfluo soggiungere che gli obblighi di informazione del contribuente, parimenti prescritti dal predetto statuto, risultano nella specie totalmente negletti, operando la denunciata «sostituzione» contrattuale in via automatica, solo a seguito della mancata tempestiva registrazione del contratto. Successivamente, la legge 23 maggio 2014 n. 80, convertendo, con modificazioni, il decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47, ha stabilito, all'art. 5, comma 1-ter, che «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell'art. 3, commi 8 e 9 del d.lg. 14 marzo 2011 n. 23»; Tale disposizione pure non si e' sottratta alla declaratoria di incostituzionalita', sul rilievo per cui - introdotta dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, in conseguenza della sentenza n. 50 del 2014, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in tema rideterminazione ex lege di elementi di contratti di locazione non registrati nei termini - nel prorogare fino al 31 dicembre 2015 l'efficacia e la validita' dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime, aveva impedito, sia pure temporaneamente, che la declaratoria di illegittimita' costituzionale producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. La Corte costituzionale, con sentenza del 16 luglio 2015, n. 169 nella Gazzetta Ufficiale, 22 luglio, n. 29), ha efficacemente evidenziato che: «La disposizione all'esame e' stata introdotta in sede di conversione, ad opera della legge n. 80 del 2014, del decreto-legge n. 47 del 2011, a seguito e in conseguenza della sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 23 del 2011, in tema di rideterminazione ex lege di elementi di contratti di locazione non registrati nei termini. Essa e' stata inserita nell'ambito di un provvedimento diretto in primis, secondo le intenzioni dichiarate nel preambolo del provvedimento d'urgenza, «a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in modo efficace il mercato delle costruzioni» e nel contesto di un articolo (il 5) dedicato, secondo l'originaria rubrica, alla «Lotta all'occupazione abusiva di immobili». Con essa il legislatore ha, nella sostanza, prorogato l'efficacia e la validita' dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime. Come emerge dai lavori parlamentari e dalle dichiarazioni del relatore, la norma «salvaguarda fino al 31 dicembre 2015 gli effetti della legge contro gli affitti in nero che la Corte costituzionale ha cancellato. Si e' trovata una soluzione che non rimette in discussione la sentenza, ma riconosce che coloro che ne hanno beneficiato oggi non possono subire le conseguenze di aver applicato la legge e garantisce loro un tempo congruo per non dover sopportare un aggravio ingiusto delle proprie condizioni di vita». Appare, dunque, palese che l'intento perseguito dal Parlamento era, per l'appunto, di preservare, per un certo tempo, gli effetti prodotti dalla normativa dichiarata costituzionalmente illegittima, facendo beneficiare di una singolare prorogatio la categoria degli inquilini. Appare, in altri termini, del tutto evidente che il legislatore si e' proposto non gia' di disciplinare medio tempore - o ex novo e a regime - la tematica degli affitti non registrati tempestivamente, magari attraverso un rimedio ai vizi additati da questa Corte; e neppure quello di «confermare» o di «riprodurre» pedissequamente il contenuto normativo di nome dichiarate costituzionalmente illegittime; ma semplicemente quello d'impedire, sia pure temporaneamente, che la declaratoria di illegittimita' costituzionale producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 della Costituzione). Nella sua stessa formulazione letterale, del resto, la norma censurata, evidentemente, priva di autonomia, Si prefigge soltanto di ricostituire una base normativa per «effetti» e «rapporti» relativi a contratti che, in conseguenza della pronuncia di illegittimita' costituzionale, ne sarebbero rimasti privi: ne' il carattere temporaneo della disposizione sembra risolvere il problema e nemmeno attenuarne la portata. Al riguardo, va rammentato come, sin da epoca ormai risalente, la giurisprudenza costituzionale non abbia mancato di sottolineare il rigoroso significato della norma contenuta nell'art. 136 della Costituzione: su di essa - si e' detto - «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilita' di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, che dichiaro' la illegittimita' di una legge, successiva alla pronuncia di illegittimita' costituzionale, con la quale il legislatore aveva dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, ma di prolungarne la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge»; tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966, ove si e' precisato che il precetto costituzionale, di cui si e' detto, sarebbe violato «non solo ove espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, «anche se indirettamente, lo stesso risultato»). Principi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; 223 del 1983). Se appare, infatti, evidente che una pronuncia di illegittimita' costituzionale non possa, in linea di principio, determinare, a svantaggio del legislatore, effetti corrispondenti a quelli di un «esproprio» della potesta' legislativa sul punto - tenuto anche conto che una declaratoria di illegittimita' ha contenuto, oggetto e occasione circoscritti dal «tema» normativo devoluto e dal «contesto» in cui la pronuncia demolitoria e' chiamata ad iscriversi -, e' del pari evidente, tuttavia, che questa non possa risultare pronunciata «inutilmente», come accadrebbe quando una accertata violazione della Costituzione potesse, in una qualsiasi forma, inopinatamente riproporsi. E se, percio', certamente il legislatore resta titolare del potere di disciplinare, con un nuovo atto, la stessa materia, e' senz'altro da escludere che possa legittimamente farlo - come avvenuto nella specie - limitandosi a «salvare», e cioe' a «mantenere in vita», o a ripristinare gli effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione di illegittimita' costituzionale, non sono piu' in grado di produrne. Il contrasto con l'art. 136 della Costituzione ha, in un simile frangente, portata addirittura letterale. In altri termini: nel mutato contesto di esperienza determinato da una pronuncia caducatoria, un conto sarebbe riproporre, per quanto discutibilmente, con un nuovo provvedimento, anche la stessa volonta' normativa censurata dalla Corte; un altro conto e' emanare un nuovo atto diretto esclusivamente a prolungare nel tempo, anche in via indiretta, l'efficacia di norme che «non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Ne' puo' reputarsi meritevole di pregio l'argomento speso dall'Avvocatura generale a proposito della circostanza che l'illegittimita' costituzionale sia stata dichiarata per difetto di delega, che costituirebbe appena un vizio formale. E' infatti, pacifico che una sentenza caducatoria produca i suoi previsti effetti quale che sia il parametro costituzionale in riferimento al quale il giudizio sia stato pronunciato, senza, percio', che sia possibile differenziarne o quasi graduarne l'efficacia». Nondimeno, il legislatore e' intervenuto nuovamente sulla questione, introducendo un quinto comma alla disposizione di cui all'art. 13 della legge n. 431/1998, alla cui stregua: «per i conduttori che, per gli effetti della disciplina di cui all'art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prorogati dall'art. 5 comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 convertito, modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 hanno versato, nel periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2011 al giorno 16 luglio 2015, il canone annuo di locazione nella misura stabilita dalla disposizione di cui al citato art. 3, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011 l'importo del canone di locazione dovuto ovvero dell'indennita' di locazione maturata, su base annua, e' pari al triplo della rendita catastale dell'immobile, nel periodo considerato». Ritenuto, in definitiva, in merito al novum legislativo: che, nella pur mutata ed apparentemente diversa veste formale, la disposizione de qua abbia comportato di fatto la reviviscenza ed ultrattivita' delle disposizioni dichiarate incostituzionali, in evidente contrasto l'art. 136 Cost., consentendo ai conduttori di continuare a beneficiare dell'applicazione del «contratto catastale»; che le pronunce di accoglimento della Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall'origine la validita' e l'efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche «consolidate» per effetto di eventi che l'ordinamento giuridico riconosce idonei a produrre tale effetto, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non piu' impugnabile, la prescrizione e la decadenza (ex multis Cassazione civ., sez. III, 28 luglio 1997, n. 7057): «Le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi - di illegittimita' costituzionale - eliminano la norma con effetto «ex tunc», con la conseguenza che essa non e' piu' applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta perdici l'illegittimita' costituzionale ha per presupposto l'invalidita' originaria della legge - sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale - per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, dell'incostituzionalita' non si estendono esclusivamente al rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato per essersi verificato altro evento cui l'ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni' processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d'incostituzionalita' (ex multis, Cass., n. 20381 del 20 novembre 2012; n. 9329 del 20 aprile 2010). che, nel caso concreto, non sussistono giudicati, ne' altri eventi cui l'ordinamento collega il consolidamento di rapporti giuridici. Nel giudizio «de quo» si discute di un rapporto di locazione, ad uso abitativo, e, dunque, di un classico rapporto di durata, che non e' stato sciolto od estinto. Ne vengono in rilievo prestazioni contrattuali patrimoniali, la cui esecuzione sia ormai «consolidata», con conseguente insuscettibilita' di essere oggetto di pronunce di incostituzionalita' afferenti alle norme che ne hanno disciplinato il contenuto negoziale. Al contrario, nella fattispecie concreta, le norme della cui legittimita' costituzionale si dubita consente al conduttore di eludere l'adempimento dell'obbligazione contrattuale attraverso il pagamento di una somma di gran lunga inferiore, frutto dell'applicazione dei criteri contemplati dal citato art. 3. In altri termini, la norma contestata attribuisce al conduttore il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformita' delle norme richiamate, sottraendosi all'adempimento integrale del contratto stipulato; pertanto, la pronuncia d'illegittimita' costituzionale della stessa avrebbe l'effetto di rendere esigibile, da parte del locatore, la prestazione contrattuale nella sua interezza, consentendo al creditore la piena acquisizione patrimoniale del diritto fatto valere; che la giurisprudenza costituzionale ha sin da epoca risalente sottolineato il rigoroso significato della norma contenuta nell'art. 136 Cost.; su di essa - Si e' detto - «poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente ogni efficacia alla norma illegittima», senza possibilita' di «compressioni od incrinature nella sua rigida applicazione» (sentenza n. 73 del 1963, che dichiaro' la illegittimita' di una legge, successiva alla pronuncia di illegittimita' costituzionale, con la quale il legislatore aveva dimostrato «alla evidenza» la volonta' di «non accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima, ma di prolungarne la vita sino all'entrata in vigore della nuova legge»; tra le altre pronunce risalenti, la sentenza n. 88 del 1966, ove si e' precisato che il precetto costituzionale, di cui si e' detto, sarebbe violato «non solo ove espressamente si' disponesse che una norma dichiarata illegittima conservi la sua efficacia», ma anche ove una legge, per il modo con cui provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore, perseguisse e raggiungesse, «anche se indirettamente, lo stesso risultato»). Principi, questi, ripresi e ribaditi in numerose altre successive decisioni (fra le altre, le sentenze n. 73 del 2013; n. 245 del 2012; n. 354 del 2010; n. 922 del 1988; n. 223 del 1983); Sarebbe poi compromesso anche l'art. 3 Cost., in quanto si sarebbe introdotto un regime irragionevolmente discriminatorio rispetto ai medesimi rapporti di locazione, dal momento che, a seguito della predetta dichiarazione di' illegittimita' costituzionale, sarebbe venuta meno la funzione «preventiva e deterrente» circa l'adempimento degli obblighi tributari connessi alla tempestiva registrazione dei contratti di locazione: il che renderebbe priva di ragion d'essere la previsione di un «termine finale» scollegato dalla originaria funzione; che debba denunziarsi anche la violazione anche dell'art. 42, secondo Cost., in quanto la facolta' del legislatore di limitare la proprieta' privata e' tuttavia sottoposta al rispetto del «limite teleologico della funzionalita' alle esigenze delle collettivita', mediante un bilanciamento di interessi di rango costituzionale che non puo' tradursi in uno «svuotamento di rilevante entita' ed incisivita' del suo contenuto» (v. sentenza Corte costituzionale n. 55/1968)». Evenienza che, nella specie, non si sarebbe verificata, avendo il legislatore previsto misure in chiave sanzionatoria, tanto della durata che del canone locatizio, svuotando di contenuto l'autonomia negoziale, senza una proporzionale ricaduta sul piano della funzione sociale della proprieta'. che l'eccezione di incostituzionalita' sollevata dalla parte ricorrente debba arricchirsi di un ulteriore profilo di illegittimita' rappresentato dal contrasto con l'art. 42 della Carta costituzionale, atteso che il nuovo regime sanzionatoti impone - in assenza di alcuna «funzione sociale» e in mancanza di una legge parlamentare che lo legittimi - un apprezzabile sacrificio delle facolta' insite nel diritto dominicale del proprietario - di fatto privato per almeno quattro anni (otto nel caso di insussistenza, alla scadenza del primo quadriennio, di uno dei motivi tassativi che giustifichino il diniego di rinnova ai sensi dell'art. 2 comma 1 legge n. 431/98) della possibilita' di percepire un reddito da locazione commisurato al canone di mercato e obbligato a mantenere l'immobile nella detenzione del conduttore - per l'intera durata decorrente (ex novo) dalla registrazione - a fronte del versamento, da parte di costui, di un canone assolutamente irrisorio; che appare dubbia la conformita' di tale disciplina al precetto costituzionale dettato dall'art. 3 Cost., sol che si consideri, in primo luogo, che i commi 8 e 9 dell'art. 3 si applicano esclusivamente ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo e non anche ai contratti di locazione commerciale soggetti come i primi all'Obbligo della registrazione, senza che la disparita' di trattamento tra le due categorie, sia giustificata dalla diversita' degli obblighi tributari inadempititi, essendo anzi identica per entrambi la proclamata esigenza di contrasto all'evasione e di recupero all'erario- del gettito dei tributi sui redditi (da locazione) non dichiarati; che l'effetto, al contempo, «premiante» per i conduttori e «punitivo» per i locatori, si traduce in una vistosa disparita' di trattamento tra le parti del medesimo rapporto, sebbene entrambe siano coobbligate all'adempimento fiscale omesso (o ritardato) ex art. 10 decreto del Presidente della Repubblica n. 131/86, e che la rilevata disparita' appare ancora piu' ingiustificata quando l'applicazione della disciplina in questione sia conseguita alla registrazione d'ufficio del contratto e sia dunque -mancata la volontaria delazione del conduttore che avrebbe potuto, in meritargli i (consistenti) benefici che il decreto gli accorda; che, non apparendo l'eccezione di incostituzionalita' della nuova disciplina degli effetti derivanti dalla mancata o tardiva registrazione dei contratti di locazione di immobili ad uso abitativo manifestamente infondata, non essendovi spazio per un'interpretazione che ne renda l'applicazione conforme ai precetti costituzionali ed essendo la questione rilevante ai fini della decisione della causa, non resta che suscitare il sindacato di legittimita' della Corte costituzionale, sospendendo il giudizio.