IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L'UMBRIA 
                           (Sezione prima) 
 
    Ha pronunciato la presente ordinanza: 
    sul ricorso numero di registro generale 651 del 2014, proposto da
Roberto Carlo Gianni', rappresentato e difeso  dall'avvocato  Alfonso
Luigi Marra, codice fiscale MRRLNS47T18H919K,  con  domicilio  eletto
presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   per   legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via
degli Offici n. 14; 
    sul ricorso numero di registro generale 652 del 2014, proposto da
Rosanna Costagliola, rappresentata  e  difesa  dall'avvocato  Alfonso
Luigi Marra codice fiscale  MRRLNS47T18H919K,  con  domicilio  eletto
presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   per   legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via
degli Offici n. 14; 
    sul ricorso numero di registro generale 653 del 2014, proposto da
Giancarlo Ferulano,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato  Alfonso
Luigi Marra, codice fiscale MRRLNS47T18H919K,  con  domicilio  eletto
presso segreteria T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni n. 3, contro
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   per   legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via
degli Offici n. 14; 
    sul ricorso numero di registro generale 654 del 2014, proposto da
Bruno Piccirillo, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfonso  Luigi
Marra codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con  domicilio  eletto  presso
segreteria T.A.R. Umbria  in  Perugia,  via  Baglioni  n.  3,  contro
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   per   legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via
degli Offici n. 14; 
    sul ricorso numero di registro generale 650 del 2014, proposto da
Elena Camerlingo, rappresentata e difesa dall'avvocato Alfonso  Luigi
Marra codice fiscale MRRLNS47T18H919K, con  domicilio  eletto  presso
segreteria T.A.R. Umbria  in  Perugia,  via  Baglioni  n.  3,  contro
Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  in  persona  del  legale
rappresentante  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso   per   legge
dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via
degli Offici n. 14. 
    Per l'esecuzione: 
    quanto al ricorso n. 651 del 2014: del  giudicato  formatosi  sul
decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13  del  30  luglio
2013; 
    quanto al ricorso n. 652 del 2014: del  giudicato  formatosi  sul
decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13  del  30  luglio
2013; 
    quanto al ricorso n. 653 del 2014: del  giudicato  formatosi  sul
decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13  del  30  luglio
2013; 
    quanto al ricorso n. 654 del 2014: del  giudicato  formatosi  sul
decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13  del  30  luglio
2013; 
    quanto al ricorso n. 650 del 2014: del  giudicato  formatosi  sul
decreto della Corte di appello di Perugia n. 1477/13  del  30  luglio
2013. 
    Visti i ricorsi e i relativi allegati. 
    Viste le memorie difensive. 
    Visti tutti gli atti della causa. 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'economia e delle finanze. 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno  2016  il
dott.  Massimo  Santini  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale. 
1. I fatti all'origine della controversia. 
    Con sentenza  n.  196  del  25  febbraio  2016  questo  Tribunale
amministrativo regionale accoglieva il ricorso con  cui  si  chiedeva
l'ottemperanza al decreto della Corte d'appello di  Perugia  n.  1477
del  2013  recante,  a  sua  volta,   la   condanna   del   Ministero
dell'economia e delle finanze alla riparazione del danno  da  ritardo
giudiziario (ex lege n. 89/2001) per una somma, in favore di ciascuno
dei ricorrenti, pari ad € 5.000,00, oltre agli interessi  legali  dal
giorno della domanda a quello del saldo, nonche' al  pagamento  delle
spese legali. 
    Il Tribunale amministrativo disponeva in particolare che: 
    a) il Ministero dell'economia e delle finanze  provvedesse  entro
il termine perentorio di  sessanta  giorni  dalla  notifica  o  dalla
comunicazione in via amministrativa della sentenza al pagamento delle
somme di cui sopra in favore di ciascuna delle parti ricorrenti; 
    b) per il caso  di  persistente  inadempienza  oltre  il  termine
stabilito si nominava sin da subito  quale  commissario  ad  acta  il
Direttore della Banca d'Italia, Roma succursale, filiale di  via  dei
Mille n. 52, nelle funzioni di tesoreria provinciale dello Stato. 
    Il commissario, nel termine eventuale ed  ulteriore  di  sessanta
giorni, avrebbe provveduto «in particolare a: 
    a)  prelevare  le  somme  da  qualsiasi  capitolo  di  spesa  del
Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza,  da
qualsiasi  altro  capitolo  di  spesa  dello  Stato,  scelto  a   sua
discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; 
    b) utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; 
    c) utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del
pagamento in conto sospeso». 
    Con successiva istanza depositata in data 4 aprile 2016, ai sensi
dell'art. 114, commi 6, c.p.a., il  predetto  Direttore  della  Banca
d'Italia faceva tuttavia presente che la legge 28 dicembre  2015,  n.
208, all'art. 1, comma 777, lettera l),  aveva  previsto  che  per  i
giudizi  di  ottemperanza  relativi  alla  legge  n.  89   del   2001
(cosiddetta legge  Pinto)  «il  giudice  amministrativo  nomina,  ove
occorra,  commissario  ad  acta  un  dirigente   dell'amministrazione
soccombente». 
    Di qui la richiesta di essere sollevato dall'incarico  conferito,
dato che la relativa decisione  era  stata  adottata  in  esito  alla
camera di consiglio del 10 febbraio 2016,  ossia  all'indomani  della
entrata in vigore della  suddetta  disposizione  di  cui  alla  legge
finanziaria per il 2016. 
    Alla camera di consiglio del 22 giugno 2016 la  suddetta  istanza
veniva dunque trattenuta in decisione. 
2. Il quadro normativo rilevante ai fini della decisione. 
    2.1.  La  citata  legge  n.  89  del  2001,  come  noto,  prevede
determinati  rimedi  all'irragionevole   durata   del   processo   in
violazione dell'art. 6 della CEDU. 
    Tra questi,  il  diritto  all'equa  riparazione  sulla  base  dei
parametri di cui all'art. 2-bis della stessa legge. 
    Ai sensi del successivo art. 3, la relativa domanda va presentata
con ricorso davanti al Presidente della  Corte  di  appello  nel  cui
distretto si trova la sede del giudizio definito  «con  ritardo».  Il
ricorso viene in particolare proposto  nei  confronti  di:  Ministero
della giustizia allorche' si tratti di ritardi del giudice ordinario;
Ministero della difesa in  caso  di  ritardi  del  giudice  militare;
Ministero dell'economia e delle  finanze  in  tutti  gli  altri  casi
(giudice amministrativo, commissioni  tributarie,  Corte  dei  conti,
ecc.). 
    La Corte di appello decide con decreto  l'ammontare  della  somma
dovuta a titolo, per l'appunto, di equa riparazione. 
    Qualora l'amministrazione condannata al  suddetto  pagamento  non
esegua nel termine prescritto e' possibile  procedere  all'esecuzione
forzata della somme  cosi'  liquidate  oppure  mediante  giudizio  di
ottemperanza  davanti  al  giudice  amministrativo,  ai  sensi  degli
articoli 112 e seguenti del decreto legislativo n. 104 del 2010. 
    Su tale ultimo aspetto e'  incisivamente  intervenuta  la  citata
legge finanziaria per il 2016, la quale ha introdotto  uno  specifico
art. 5-sexies nel corpo della originaria legge n. 89 del 2001. 
    Il comma 8 della suddetta disposizione prevede,  come  del  resto
gia' anticipato, che «Qualora i creditori di somme liquidate a  norma
della presente legge propongano l'azione di ottemperanza  di  cui  al
titolo I del libro quarto del codice del processo amministrativo,  di
cui al  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.  104,  il  giudice
amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un  dirigente
dell'amministrazione soccombente,  con  esclusione  dei  titolari  di
incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono
incarichi  dirigenziali  generali.   I   compensi   riconosciuti   al
commissario   ad   acta   rientrano   nell'onnicomprensivita'   della
retribuzione dei dirigenti». 
    2.2. Dal canto suo,  il  decreto  legislativo  n.  104  del  2010
(codice del processo amministrativo) in tema di commissario  ad  acta
prevede: 
    a) all'art. 21, ricompreso a sua volta  nel  titolo  I,  capo  VI
(Ausiliari   del   giudice),   che   «Nell'ambito    della    propria
giurisdizione,  il  giudice  amministrativo,  se   deve   sostituirsi
all'amministrazione,  puo'  nominare  come  proprio   ausiliario   un
commissario ad acta. Si applica l'art. 20, comma 2»; 
    b) all'art. 20,  comma  2,  c.p.a.,  che  «Il  consulente,  o  il
verificatore, puo' essere ricusato dalle parti per i motivi  indicati
nell'art. 51 del codice di procedura civile». 
    Le  citate  norme   costituiscono   espressione   del   principio
costituzionale di cui all'art. 108, secondo comma, Cost., a norma del
quale «La  legge  assicura  l'indipendenza  ...  degli  estranei  che
partecipano all'amministrazione della giustizia». 
    2.3. Chiarito cio', ai fini della risoluzione della  controversia
in esame risulta giocoforza pregiudiziale, ad  avviso  del  collegio,
sollevare  questione  di  legittimita'  costituzionale  della  citata
disposizione della legge finanziaria per il  2016.  Norma  questa  in
ordine alla quale il  collegio  nutre  dubbi  di  compatibilita',  in
particolare, con gli articoli 3, 24, 104 e 108 Cost., nei sensi e nei
limiti di cui si dira' appresso. 
3. Circa la rilevanza della questione da sollevare. 
    Quanto al necessario nesso di  strumentalita'  tra  la  soluzione
della questione di legittimita' costituzionale e la  definizione  del
presente  giudizio,  va  innanzitutto  rilevato  come  l'istanza   di
sostituzione presentata dal commissario ad acta a suo tempo  nominato
con la predetta sentenza di questo Tribunale amministrativo implichi,
giocoforza, la applicazione della  citata  disposizione  della  legge
finanziaria 2016 [art. 1, comma 777, lettera l)], ossia la  esclusiva
nomina di  un  dirigente  di  seconda  fascia  della  amministrazione
rivelatasi in questa sede inadempiente. 
    Da una lettura della legge sopravvenuta in corso di giudizio  non
residuano infatti spazi di  discrezionalita'  o  di  diverse  opzioni
interpretative, finanche sulla  base  di  letture  costituzionalmente
orientate della norma in questione. 
    Il   giudice   amministrativo   e'   vincolato,   per    siffatti
inadempimenti rispetto al dictum giudiziale, a percorrere  unicamente
questa strada. E cio' anche sulla base di un preciso indirizzo  della
Corte di legittimita' in base al quale «nel caso  di  successione  di
leggi  processuali  nel  tempo,  ove   il   legislatore   non   abbia
diversamente disposto,  in  ossequio  alla  regola  generale  di  cui
all'art. 11 preleggi, la nuova norma disciplina non solo  i  processi
iniziati successivamente alla  sua  entrata  in  vigore  ma  anche  i
singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi  iniziati
prima della sue entrata in vigore, quand'anche  la  nuova  disciplina
sia piu' rigorosa per le parti rispetto a quella vigente all'epoca di
introduzione  del  giudizio»  (Cassazione  civile,  sezione  III,  15
febbraio 2011, n. 3688). 
    Di qui la evidente rilevanza della questione, dal momento che  in
siffatto contesto processuale dovrebbe trovare applicazione l'opzione
normativa adottata dal legislatore finanziario per il 2016 la  quale,
tuttavia, contrasta  ad  avviso  del  collegio  con  le  disposizioni
costituzionali che,  nell'ambito  del  paragrafo  dedicato  alla  non
manifesta infondatezza, verranno partitamente individuate. 
4. Circa la non manifesta  infondatezza:  il  thema  decidendum  e  i
singoli profili di sospetta incostituzionalita'. 
    4.0. Ai fini che qui interessano ed  in  funzione  dei  parametri
costituzionali che si reputano violati (articoli 24, 104 e  108)  due
sono i principi che, in tema di  commissario  ad  acta  nel  processo
amministrativo in generale, debbono essere tenuti ben presenti: 
    a) il commissario ad acta quale ausiliario del giudice dotato  di
imparzialita' e terzieta'; 
    b) il potere ampiamente  discrezionale  di  nomina  del  medesimo
commissario in capo al giudice amministrativo. 
    4.1. Quanto al primo profilo (imparzialita'  del  commissario  ad
acta quale ausiliario del giudice) va detto in via preliminare che la
giurisprudenza del Consiglio di Stato si e' a piu'  riprese  espressa
sull'esigenza che si debba trattare di  organo  che  offra  «completa
garanzia di  legalita'  e  di  imparzialita'  per  l'espletamento  di
un'attivita' che, pur essendo la medesima che avrebbe  dovuto  essere
prestata    dall'amministrazione,    ne     differisce,     tuttavia,
giuridicamente,  perche'  si  fonda   sull'ordine   contenuto   nella
decisione del giudice amministrativo» (Consiglio  di  Stato,  sezione
IV, 14 ottobre 2004, n. 6673; Consiglio di  Stato,  sezione  III,  21
novembre 2012, n. 5890). 
    In questa direzione, l'art. 21 c.p.a. annovera  espressamente  il
commissario ad acta tra gli ausiliari del  giudice  cui  quest'ultimo
ricorre nelle ipotesi in cui «deve sostituirsi all'amministrazione». 
    Viene in tal modo definitivamente superata l'antica  disputa  tra
la tesi che vedeva il commissario alla stregua di organo (ausiliario)
del giudice e quella che lo vedeva invece come  organo  straordinario
della pubblica amministrazione. Disputa definitasi  come  evidente  a
vantaggio della prima tesi. 
    L'imparzialita' e la terzieta' degli ausiliari del giudice e'  in
questi termini riconducibile a quella costituzionalmente  imposta  al
giudice. Cio' significa che il consulente non deve  essere  legato  a
nessuna delle parti del processo, analogamente a quanto e' prescritto
per il giudice. Tale imparzialita' e' garantita dalla legge sotto  un
duplice profilo: innanzitutto con il demandarne la nomina al giudice,
organo   per   il   quale   l'imparzialita'   e'   autonomamente    e
preliminarmente prescritta [di qui anche la sussistenza di un  potere
ampiamente  discrezionale  in  capo  a  quest'ultimo  (Cass.  civile,
sezione lavoro, 17 novembre 1997, n. 11412)]; in secondo luogo con la
previsione, anche per il consulente tecnico,  degli  istituti  propri
dell'astensione e della ricusazione  (Cass.  civile,  sezione  I,  22
luglio 2004, n. 13667). 
    Questa  la  scelta  netta  operata  dal   codice   del   processo
amministrativo  del  2010,   rispettivamente   mediante   le   citate
disposizioni di cui agli articoli 21 e 20, comma 2. 
    A tale figura commissariale si applica pertanto l'art. 51  c.p.c.
in materia di obblighi di astensione e, dietro espressa previsione di
cui all'art. 20, comma 2,  c.p.a.  (cui  rinvia  lo  stesso  art.  21
c.p.a.), per le medesime ragioni ivi contemplate  puo'  anche  essere
chiesta la ricusazione dalle parti del giudizio (e dunque in  estrema
sintesi,  per  quanto  di  interesse  nella   presente   fattispecie:
interesse nella causa,  frequentazione  delle  parti,  collaborazione
professionale intensa o abituale). 
    In proposito si ritiene tra l'altro che la ricusazione scatti non
solo per le cause obbligatorie di cui al citato  art.  51  c.p.c.  ma
anche per quelle facoltative  e,  tra  queste,  per  tutte  le  gravi
ragioni di convenienza. 
    Siffatte esigenze di imparzialita' nascono altresi' dal fatto che
il  commissario  ad  acta  adotta  provvedimenti  che  hanno   natura
giudiziaria la cui verifica - in termini  di  coerenza  con  l'ordine
contenuto nella sentenza passata in giudicato - spetta al giudice che
l'ha  nominato:  ed  infatti  i  suoi   atti   non   possono   essere
unilateralmente modificati dalla pubblica amministrazione ma soltanto
impugnati davanti allo  stesso  GA  mediante  apposito  incidente  di
esecuzione (Corte costituzionale, 12 maggio 1977, n. 77; Consiglio di
Stato, adunanza plenaria, 14 luglio 1978, n. 23). 
    Si tratta in sostanza  di  un  organo  paragiurisdizionale,  come
anche affermato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr.  n.
1433 del 1995 e n. 605 del 2006). 
    In questa stessa direzione l'attivita' del commissario ad acta si
mostra anzi piu' pregante ed incisiva rispetto ad altri ausiliari del
giudice. Essa non  si  limita  infatti  ad  eseguire  atti  meramente
istruttori o propulsivi ma  direttamente  sostitutori  rispetto  alle
prerogative della pubblica amministrazione. In questi termini  e'  un
quid  pluris  rispetto   ad   altri   ausiliari,   data   la   natura
sostanzialmente giurisdizionale del proprio operato. 
    4.2. Sotto il secondo profilo (ampia discrezionalita' del giudice
nella  scelta  del  commissario)  sulla   base   della   impostazione
codicistica - e prima ancora del diritto vivente - rimane in capo  al
GA un largo margine  di  scelta  sui  requisiti  per  la  nomina  del
commissario ad acta e sulla sua  identita',  atteso  il  suo  elevato
carattere fiduciario. 
    Cio'  risulta  particolarmente  evidente  nella  parte  in   cui,
all'art. 21 che si occupa proprio di  nomina  di  questa  particolare
figura del processo amministrativo,  non  sono  ribaditi  gli  stessi
vincoli cui e' invece subordinata la nomina dei consulenti tecnici di
ufficio (cfr. art. 19, ove si rinvia a soggetti iscritti in specifici
albi o comunque dotati di particolare competenza tecnica). 
    Sul potere ampiamente discrezionale del giudice amministrativo si
e' soffermata la stessa Corte costituzionale (cfr. sentenza 12 maggio
1977, n. 75) nella parte in cui  si  e'  affermato  che  «al  giudice
amministrativo non sarebbe possibile disconoscere, nell'esercizio dei
poteri giurisdizionali attribuitigli dall'art. 27, n.  4,  del  testo
unico n. 1054  del  1924,  una  prudente  discrezionalita',  sia  nel
determinarsi  per  l'uno  o  per  l'altro  mezzo  di  esecuzione  del
giudicato,  sia  nella  scelta  (eventuale)  del  commissario  ovvero
dell'organo al quale demandarla». 
    Ancora sull'ampio potere discrezionale di nomina degli  ausiliari
del  giudice  piu'  in  generale   si   e'   peraltro   espressa   la
giurisprudenza  della  Cassazione  con  riguardo  alla   scelta   dei
consulenti tecnici di ufficio (cfr. Cass. sezione lavoro, 17 novembre
1997, n. 11412). 
    Seguendo questa stessa impostazione, parte della dottrina non  ha
del resto  esitato  ad  affermare  come  siffatta  nomina  sia  nella
disponibilita' del giudice. 
    4.3. Ora,  volendo  ancorare  i  suddetti  principi  a  parametri
costituzionali certi e' possibile affermare che: 
    a) la necessita' di scegliere un commissario indipendente  deriva
sia dall'art. 24 Cost. (principio di effettivita' della tutela che si
estrinseca anche  attraverso  il  diritto  ad  un  giudice  terzo  ed
imparziale, dunque equidistante) sia dall'art. 108 Cost. (secondo cui
«La legge assicura l'indipendenza ... degli estranei che  partecipano
all'amministrazione della giustizia»); 
    b) l'ampia discrezionalita' del  GA  nel  potere  di  scelta  del
commissario piu' idoneo e imparziale scaturisce a sua volta dall'art.
104  Cost.  (secondo  cui  «La  magistratura  costituisce  un  ordine
autonomo  e  indipendente  da  ogni  altro  potere»)   e,   piu'   in
particolare, dall'art. 108, secondo comma, Cost. («La legge  assicura
l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali»). 
    4.4. Nel contesto sopra descritto si e' venuta dunque a collocare
la scelta del legislatore finanziario per il 2016; scelta che si pone
in termini di netta rottura - pur se limitatamente al  sistema  della
cosiddetta legge Pinto - rispetto  ai  principi  sopra  delineati.  E
tanto sia nella parte in  cui  viene  stabilito  che  il  commissario
dovra' essere  un  soggetto  interno  alla  pubblica  amministrazione
inadempiente (commissario intra moenia), con cio' mettendo in  dubbio
la sussistenza della necessaria terzieta'  del  medesimo  (e  per  le
ragioni che piu' avanti saranno illustrate); sia nella parte  in  cui
si individua ex lege la categoria da cui attingere (dirigenti seconda
fascia amministrazione inadempiente), con cio' elidendo  in  sostanza
il  potere   discrezionale   di   scelta   ad   opera   del   giudice
dell'ottemperanza. 
    La finanziaria per il  2016  -  almeno  per  quanto  riguarda  la
materia dell'equa riparazione del danno da  ritardo  giudiziario,  si
ripete - costituisce pertanto deroga netta alle  suddette  regole  di
carattere  generale:  il  GA  non  ha  piu'  discrezionalita'  ma  e'
chiaramente  vincolato  a  tale   scelta,   dovendo   necessariamente
ricorrere ad un dirigente della stessa amministrazione inadempiente. 
    4.5. In termini di ragionevolezza di siffatta opzione legislativa
occorre indagare, una volta appurata la radicale  differenza  tra  le
due situazioni (ossia: tra scelta discrezionale del  GA  di  soggetti
anche esterni alla pubblica amministrazione in via generale e  scelta
vincolata dello stesso GA di dirigenti di seconda fascia della stessa
amministrazione inadempiente per  quanto  attiene  al  sistema  della
legge Pinto), se una tale distinzione o  meglio  deroga  rispetto  ai
criteri generali possa trovare una  valida  giustificazione.  E  cio'
sulla base dei consueti schemi del giudizio ternario. 
    4.6.  Il  punto  di  partenza  e'  allora  quello  di  chiedersi,
innanzitutto, quale possa essere la funzione e lo scopo cui la  legge
derogatoria e' preordinata. 
    4.7. E' chiaro, in  questa  direzione,  come  siffatti  obiettivi
siano intimamente legati ad esigenze di  equilibrio  di  bilancio  ai
sensi dell'art.  81  Cost.:  nominare  un  commissario  intra  moenia
implicherebbe infatti l'azzeramento dei compensi da  corrispondere  a
tali soggetti. 
    4.8. A tale specifico riguardo il collegio osserva tuttavia che: 
    A) come emerge anche dalle sentenze n. 70 del 2015 e n.  178  del
2015  della  Corte  costituzionale,  l'esigenza  di  risparmio  delle
risorse pubbliche e di contenimento della spesa  non  costituisce  un
supervalore destinato a prevalere in modo assoluto su altri  principi
comunque permeati da una certa tutela di carattere costituzionale. 
    In altre parole, valori  di  rango  costituzionale  quali  quelli
appena enunziati (indipendenza del giudice e imparzialita'  dei  suoi
ausiliari) non potrebbero  in  alcun  modo  risultare  suscettivi  di
automatica degradazione e di indiscriminata compressione in virtu' di
un implicito richiamo alla «contingente  situazione  finanziaria»  di
cui non e' stata fornita - almeno a quanto consta a questo collegio -
alcuna documentazione o puntualizzazione tecnica circa l'idoneita'  a
garantire minori uscite per il bilancio dello  Stato.  E  cio'  anche
sulla base  di  una  disposizione  costituzionale  ove  si  parla  di
equilibrio e non necessariamente di pareggio di bilancio. 
    Occorre dunque operare - alla luce delle citate  pronunzie  della
Corte  costituzionale  -  un  determinato  bilanciamento  tra  valori
costituzionalmente rilevanti e protetti. 
    Con  la  precisazione  che  un  siffatto  bilanciamento  dovrebbe
operare non solo e non tanto  per  i  diritti  sociali  ma,  piu'  in
generale, per  tutti  i  diritti  fondamentali  che  la  Costituzione
riconosce al massimo  rango:  tra  questi  il  diritto  di  difesa  e
l'indipendenza degli organi giurisdizionali e dei  soggetti  estranei
all'amministrazione della giustizia; 
        B) per definizione, il commissario  ad  acta  e'  chiamato  a
rimediare  ad  eventuali  patologie  di  carattere  organizzativo   o
funzionale della pubblica amministrazione. Esso rimuove conflitti  di
interessi, rivestendo in sostanza i  connotati  principali  che  sono
propri della funzione amministrativa giustiziale: di  qui  l'esigenza
che si tratti  di  un  soggetto  terzo  rispetto  agli  interessi  in
conflitto. 
    Sotto  questa  particolare  angolazione  e'   pacifico   che   il
commissario ad acta, allorche' l'oggetto del giudicato sia costituito
dal pagamento di somme (come del resto nel caso  di  specie),  dovra'
procedere non solo  ad  emettere  atti  di  liquidazione  e  relativi
mandati ma anche a  stanziare  se  del  caso  le  relative  somme  di
bilancio, superando  qualsiasi  difficolta'  dovuta  alla  situazione
finanziaria dell'ente. 
    L'esaurimento dei fondi in bilancio o la  mancata  disponibilita'
di cassa non costituiscono, infatti, legittima causa  di  impedimento
all'esecuzione del giudicato, e cio' in quanto  l'amministrazione  e'
tenuta a porre in essere tutte le iniziative necessarie  per  rendere
possibile il pagamento procedendo, in questa stessa direzione,  anche
allo stanziamento di somme in bilancio, ove questo  manifesti  talune
carenze. 
    Non   ha   dunque   pieno   valore,   entro    questi    termini,
l'argomentazione di solito svolta circa  la  sostanziale  assenza  di
discrezionalita', in capo al commissario ad acta, allorche' si tratti
di portare ad esecuzione sentenze di  condanna  nei  confronti  della
pubblica  amministrazione.  Argomento  questo  che,  nell'ottica  del
medesimo legislatore finanziario del 2016,  porterebbe  ad  escludere
che il commissario intra moenia, proprio per l'assenza di margini  di
apprezzamento circa l'obbligo di conformarsi  all'ordine  giudiziale,
possa reputarsi come non  idoneo  allo  svolgimento  di  un  siffatto
compito (meramente esecutivo, secondo alcuni). 
    Ad  avviso  di  questo  collegio  potrebbe  invece  concretamente
emergere, proprio nel momento in cui i  fondi  non  siano  reperibili
oppure i capitoli risultino incapienti,  l'esigenza  di  ricorrere  a
determinati  strumenti  «forti»  -  e  tra  questi  il  prelievo   di
determinate «somme da  qualsiasi  capitolo  di  spesa  del  Ministero
competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da  qualsiasi
altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo
il criterio di buona amministrazione» (cfr. citata sentenza di questo
T.A.R.) - che un commissario intra  moenia  potrebbe  tuttavia  avere
qualche seria difficolta' ad utilizzare. 
    In altre parole, nel momento in  cui  non  si  dovessero  trovare
risorse  nei  pertinenti  capitoli  -  fattore  questo  costantemente
invocato come «limitante» da parte delle amministrazioni inadempienti
in relazione agli obblighi di eseguire siffatte sentenze di  condanna
- scatterebbero una serie di  meccanismi  alternativi  (pagamento  in
conto sospeso, ricorso ad altri capitoli del ministero, ecc.) che  al
contrario denotano ampi margini di discrezionalita' se non in  ordine
al  quantum  da   corrispondere   sicuramente   nel   quomodo   circa
l'individuazione delle risorse da cui attingere. 
    Nella direzione appena indicata sussiste pertanto, ad avviso  del
collegio, un potere altamente discrezionale e  dunque  la  necessita'
che, in determinati  casi,  non  sia  un  commissario  «domestico»  a
svolgere tale funzione ma, piuttosto, un commissario «estraneo»  alla
sfera organizzativa oggetto di intervento. 
    E  cio'  nella  preminente  considerazione  circa  la   probabile
posizione  di  vulnerabilita'  in  cui  si  verrebbe  a  trovare   un
commissario domestico - che in base alla disposizione in  esame  puo'
unicamente essere un dirigente di seconda fascia - dinanzi  a  talune
decisioni (prima fra  tutte  quella  di  reperire  risorse  da  altri
capitoli di bilancio  ministeriali)  che  possono  significativamente
incidere su aree dell'amministrazione che sono pur sempre appannaggio
di quei superiori livelli di ordine gerarchico  (dirigenti  di  prima
fascia o capi di dipartimento) da cui tali capitoli dipendono. 
    Con questo si vuole dire che le dinamiche  organizzative  interne
ai singoli Ministeri - soprattutto quelli ove un dirigente di seconda
fascia coltiva legittime prospettive  di  carriera  -  potrebbero  in
concreto rivelarsi tali da rendere piu' impervio  e  difficoltoso  il
procedimento destinato a garantire la piena ed  integrale  esecuzione
delle sentenze di condanna di cui in questa sede si discute. 
    Il tutto con inevitabile  allungamento  dei  tempi  del  relativo
pagamento e dunque con maturazione di ulteriori interessi legali  [se
non  addirittura  incidenti  di  esecuzione  e  ulteriori  spese   di
giudizio, oltre agli interessi di mora ormai sempre piu' diffusamente
riconosciuti ai sensi dell'art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a.] che
nel tempo potrebbero azzerare  i  benefici  derivanti  dalla  mancata
corresponsione di un compenso che risulta, pur  sempre,  maggiormente
contenuto rispetto ad altre ipotesi. 
    Del resto, gia' il Consiglio di Stato si era a suo tempo espresso
con atteggiamento di sfiducia nei riguardi di  un  commissario  intra
moenia (Consiglio di Stato, sezione IV, 14  ottobre  2004,  n.  6673,
cit.; Consiglio di Stato, sezione III, 21  novembre  2012,  n.  5890,
cit.). Si trattava, in questi casi,  di  ipotesi  in  cui  era  stato
nominato commissario ad acta il vertice politico o  dirigenziale  del
medesimo ente che si  era  dimostrato  inottemperante  alla  sentenza
(dunque le stesse amministrazioni che ancor prima erano  state  parti
dell'originario giudizio di cognizione). Di qui l'assenza, ad  avviso
del  Supremo  consesso,  della   «necessaria   terzieta'   occorrente
all'espletamento di dell'attivita' del commissario  quale  ausiliario
del giudice». 
    4.9. Nei termini sopra indicati la scelta del  legislatore  della
finanziaria per il 2016  si  potrebbe  in  conclusione  rivelare,  ad
avviso del collegio, ingiustificatamente derogatoria. E cio' sia  per
avere ritenuto automaticamente recessivi taluni diritti  fondamentali
(indipendenza del giudice e dei suoi  ausiliari)  rispetto  a  (tanto
implicite quanto generiche)  esigenze  di  contenimento  della  spesa
pubblica; sia  perche'  il  presunto  risparmio  dato  dalla  mancata
corresponsione di compensi ad un commissario extra moenia si potrebbe
tradurre, per le difficolta' di natura  funzionale  ed  organizzativa
sopra partitamente illustrate, in  un  inevitabile  allungamento  dei
tempi di pagamento e  dunque  in  un  aumento  dei  costi  legati  ai
maggiori interessi - tanto legali quanto moratori - da  corrispondere
alla parte ricorrente. 
5. Conclusioni. 
    Alla luce delle considerazioni sopra svolte  si  chiede  pertanto
che codesta Corte voglia pronunziare l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 777,  lettera  l),  della  legge  n.  208  del  28
dicembre 2015, nella parte in cui impone al  GA  di  dover  nominare,
quale commissario ad acta, unicamente un dirigente di seconda  fascia
della stessa amministrazione inadempiente. 
    E cio' per violazione degli articoli  3,  24,  104  e  108  della
Costituzione. 
    Il giudizio di rilevanza e di non  manifesta  infondatezza  della
questione di costituzionale dell'art.  5-quinquies,  comma  8,  della
legge n. 89 del 2001, come introdotto dall'art. 1, comma 777, lettera
l), della legge n. 208 del 2015, impone la sospensione  del  presente
giudizio   in   attesa   della   definizione    del    giudizio    di
costituzionalita'.