LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Sezioni Unite civili 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri Magistrati: 
    dott. Renato Rordorf - Primo Presidente f.f.; 
    dott. Giovanni Amoroso - Presidente Sezione; 
    dott. Antonio Didone - Presidente Sezione; 
    dott. Camilla Di Iasi - Presidente Sezione; 
    dott. Stefano Petitti - Presidente Sezione; 
    dott. Pietro Campanile - consigliere; 
    dott. Uliana Armano - consigliere; 
    dott. Antonio Manna - consigliere; 
    dott. Angelina Maria Perrino - rel. consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
8622-2012 proposto da: 
        Sagat S.p.a. - Societa' azionaria gestione Aeroporto  Torino,
S.A.C.B.O. S.p.a. - Societa' per l'Aeroporto civile di  Bergamo  Orio
al Serio, Aeroporti di Puglia S.p.a., SAC S.p.a. - Societa' Aeroporto
di Catania, S.A.C.A.L.  S.p.a.  -  Societa'  Aeroportuale  Calabrese,
SO.GE.A.AL. S.p.a. -  Societa'  di  gestione  Aeroporto  di  Alghero,
Aeroporto Friuli-Venezia Giulia S.p.a., Aeroporto di  Genova  S.p.a.,
ADF S.p.a. - Aeroporto di Firenze, Geasar S.p.a. - Societa' Aeroporto
Olbia Costa Smeralda - Societa' Aeroporto Valerio Catullo  di  Verona
Villafranca S.p.a., Airgest S.p.a. - Societa' di  gestione  Aeroporto
civile Trapani-Birgi, Societa' SEAF S.p.a. -  Societa'  Aeroporto  di
Forli', in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro  tempore,
elettivamente domiciliate in Roma, via  Del  Corso,  101,  presso  lo
Studio legale Mormino, rappresentate e difese dagli  avvocati  Enrico
Mormino e  Francesco  Mormino,  per  deleghe  in  calce  al  ricorso;
ricorrenti; 
    Contro ENAC - Ente Nazionale dell'Aviazione  Civile,  in  persona
del  legale  rappresentante  pro  tempore,  Ministero   dell'interno,
Ministero   dell'economia   e   delle   finanze,   Ministero    delle
infrastrutture e dei trasporti, in persona  dei  rispettivi  Ministri
pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via  Dei  Portoghesi,
12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che  li  rappresenta  e
difende ope legis; controricorrenti; 
    Avverso la sentenza n. 252/10/2011 della  Commissione  tributaria
regionale del Lazio, depositata il 29 settembre 2011; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
15 novembre 2016 dal consigliere dott. Angelina Maria Perrino; 
    uditi gli avvocati Enrico Mormino e Paolo Grasso per l'Avvocatura
generale dello Stato; 
    udito il pubblico ministero  in  persona  dell'Avvocato  generale
dott.  Riccardo  Fuzio,  che  ha  concluso  in  via  principale   per
l'accoglimento del ricorso,  in  subordine  chiede  di  sollevare  la
questione di costituzionalita'. 
 
                       Considerazioni in fatto 
 
    Le tredici societa' di gestione di aeroporti indicate in epigrafe
impugnarono la nota n. 0050644/DIRIGEN/CEC del 31 luglio 2009, con la
quale l'ENAC aveva ad  esse  richiesto  il  versamento  delle  somme,
dovute  dalle  societa'  aeroportuali  in  proporzione  al   traffico
generato, chiamate ad alimentare, in base al comma 1328  dell'art.  1
della legge 27  dicembre  2006,  n.  296,  il  fondo  da  tale  norma
istituito per  finanziare  il  servizio  antincendi  negli  aeroporti
nazionali. La nota, peraltro, era  stata  emessa  in  attuazione  del
comma 3-bis dell'art. 4 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185  -
comma introdotto in sede di conversione dalla legge 28 gennaio  2009,
n. 2 - col quale il legislatore, a partire dal 2009, ha disposto  che
le  risorse  del  fondo  fossero  impiegate  per  il  40%   al   fine
dell'attuazione dei patti per il soccorso pubblico e per  il  60%  al
fine di finanziare emolumenti da  destinare  all'istituzione  di  una
speciale indennita' operativa per il  servizio  di  soccorso  tecnico
urgente espletato all'esterno dal  Corpo  nazionale  dei  vigili  del
fuoco. 
    La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Roma  affermo'   la
giurisdizione  del  giudice  tributario  ed   accolse   il   ricorso,
dichiarando le societa' non obbligate a corrispondere il contributo a
far data dal 1° gennaio 2009, in  base  alla  considerazione  che  le
risorse confluite nel fondo antincendi sarebbero  state  destinate  a
finalita' estranee a quelle previste dalla legge che quel fondo aveva
istituito. Di contro, la Commissione tributaria regionale del  Lazio,
adita con appello dalle amministrazioni coinvolte, ha  dichiarato  il
proprio difetto di giurisdizione in  favore  di  quella  del  giudice
ordinario, affermando  che  dalle  innovazioni  introdotte  dall'art.
39-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, aggiunto,  in  sede
di conversione, dalla legge 29  novembre  2007,  n.  222,  scaturisce
l'attribuzione  al  giudice  ordinario  della   giurisdizione   sulle
controversie riguardanti il  pagamento  delle  tasse  e  dei  diritti
aeroportuali. 
    Avverso questa sentenza le societa' hanno  proposto  ricorso  per
ottenerne  la  Cassazione,  che  hanno   affidato   a   tre   motivi,
sollecitando preliminarmente la declaratoria della giurisdizione  del
giudice tributario, essendosi al cospetto, nella prospettazione delle
ricorrenti,  di  una  prestazione   patrimoniale   rispondente   alle
caratteristiche del tributo. 
    Le amministrazioni coinvolte hanno reagito con controricorso. 
    Assegnato il ricorso alla cognizione delle sezioni unite,  dodici
delle tredici societa' hanno depositato memoria, con la  quale  hanno
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'ulteriore
modifica normativa nel  frattempo  intervenuta,  ossia  dell'art.  1,
comma 478, della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  il  quale  ha
novellato il comma 1 del citato  art.  39-bis  del  decreto-legge  n.
159/07, come convertito. 
    In  vista  della  pubblica  udienza  le  parti  hanno  depositato
ulteriori memorie. 
 
                       Ragioni della decisione 
 
A. Individuazione dell'oggetto della controversia. 
    1. - La controversia ha  ad  oggetto,  come  emerge  anche  dalla
narrativa della sentenza impugnata,  il  pagamento,  posto  a  carico
delle societa' di gestione degli aeroporti, dei contributi  destinati
ad alimentare il fondo antincendi istituito dal comma 1328  dell'art.
1 legge n. 296/06; non gia', come invece si legge  nella  motivazione
della sentenza della Commissione tributaria regionale,  il  pagamento
dei diritti d'imbarco di passeggeri, sul regime dei  quali  il  comma
1328° si  e'  limitato  ad  incidere  prevedendo  l'incremento  della
relativa addizionale comunale. 
    La norma dispone difatti che «al  fine  di  ridurre  il  costo  a
carico  dello  Stato  del  servizio   antincendi   negli   aeroporti,
l'addizionale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili, di cui all'art.
2, comma 11, della legge 24  dicembre  2003,  n.  350,  e  successive
modificazioni, e' incrementata  a  decorrere  dall'anno  2007  di  50
centesimi  di  euro  a  passeggero  imbarcato.  Un  apposito   fondo,
alimentato dalle societa' aeroportuali  in  proporzione  al  traffico
generato, concorre al medesimo fine per 30 milioni di euro annui. Con
decreti del Ministero dell'interno, da comunicare, anche con evidenze
informatiche, al Ministero dell'economia  e  delle  finanze,  tramite
l'Ufficio centrale del bilancio, nonche' alle competenti  Commissioni
parlamentari e alla Corte dei conti, si  provvede  alla  ripartizione
del  fondo  tra  le  unita'  previsionali  di  base  del  centro   di
responsabilita' "Dipartimento dei  vigili  del  fuoco,  del  soccorso
pubblico e  della  difesa  civile"  dello  stato  di  previsione  del
Ministero dell'interno». 
    Il legislatore ha quindi previsto  due  canali  di  finanziamento
della riduzione della spesa pubblica da sostenere  per  garantire  il
servizio  antincendi  negli  aeroporti:  l'addizionale  sui   diritti
d'imbarco  di  passeggeri  ed  il  fondo  alimentato  dalle  societa'
aeroportuali. 
    All'epoca della decisione, l'art.  39-bis  del  decreto-legge  n.
159/07, come  convertito,  intitolato  ai  «diritti  aeroportuali  di
imbarco», concerneva  soltanto  uno  dei  due  canali,  ossia  quello
dell'addizionale sui diritti d'imbarco di passeggeri, che contemplava
insieme con  gli  altri  diritti  aeroportuali  d'imbarco:  la  norma
difatti stabiliva che «le disposizioni in materia di tassa  d'imbarco
e  sbarco  sulle  merci  trasportate  per  via  aerea   di   cui   al
decreto-legge 28 febbraio 1974, n. 47, convertito, con modificazioni,
dalla legge 16 aprile 1974, n. 117, e  successive  modificazioni,  di
tasse e diritti  di  cui  alla  legge  5  maggio  1976,  n.  324,  di
corrispettivi dei servizi di controllo di sicurezza di cui all'art. 8
del regolamento di cui al decreto del Ministro dei trasporti e  della
navigazione 29 gennaio 1999, n. 85, nonche' in materia di addizionale
comunale sui diritti di imbarco di cui all'art. 2,  comma  11,  della
legge 24 dicembre 2003, n. 350, si interpretano nel senso  che  dalle
stesse non sorgono obbligazioni di natura tributaria». 
    Erroneamente dunque i giudici  d'appello  hanno  invocato  questa
norma, che  all'epoca  in  cui  hanno  deciso  non  si  occupava  dei
contributi al fondo antincendi,  estranei  alla  nozione  di  diritti
d'imbarco di passeggeri, i quali sono pagati non gia' dalle  societa'
di gestione aeroportuali, bensi'  dal  vettore  aereo,  il  quale  ne
trasla il costo sul passeggero, mediante integrazione del prezzo  del
biglietto  (Cass.,  n.   5362/14)   e   conseguentemente   a   quella
dell'addizionale comunale su tali diritti, che e' sempre  riferita  a
ciascun passeggero (art. 2, comma 11, legge n. 350/03). 
    L'interpretazione che di questa  norma  ha  dato  la  Commissione
tributaria regionale, facendo perdipiu' leva su un testo dell'art.  2
del decreto legislativo n. 546/92 diverso da quello vigente all'epoca
della   decisione,   non   e',   come   prospetta   l'avvocatura   in
controricorso, sintomo d'incertezza sul contenuto del dato normativo,
tale da richiedere il chiarimento del legislatore: con la  successiva
legge n. 208/15,  di  cui  infra,  infatti,  il  legislatore  non  ha
assegnato il significato voluto all'art. 39-bis del decreto-legge  n.
159/07 come  convertito,  bensi'  alla  norma  istitutiva  del  fondo
antincendi, provvedendo ad ampliare la portata applicativa  dell'art.
39-bis. 
    Ne'  l'interpretazione  in  questione   e'   segno   d'incertezza
nell'applicazione della norma (secondo le precisazioni, tra varie, di
Corte costituzionale, n. 291 del 2003 e n. 374 del 2002),  in  quanto
essa, in base al chiaro tenore della disposizione che ne e'  oggetto,
non e' plausibile, derivando dalla confusione tra diritti d'imbarco e
contributi al fondo antincendi. 
    2. - In questo contesto, l'errore del giudice  d'appello  di  per
se' non giova alle ragioni delle ricorrenti, giacche' il giudizio  di
questa  Corte  non  e'  sull'operato  del   giudice,   bensi'   sulla
conformita'  all'ordinamento  giuridico  della  decisione  impugnata,
anche in base al diritto sopravvenuto (Cass., sez. un., n. 21691 e n.
23226/16). 
    Col comma 478 dell'art. 1 legge 28 dicembre 2015, n. 208, come si
e' anticipato, il legislatore ha interpolato  il  comma  1  dell'art.
39-bis del decreto-legge n. 159/07 come  convertito,  inserendovi  il
periodo «e di corrispettivi  a  carico  delle  societa'  di  gestione
aeroportuale relativamente ai servizi antincendi negli aeroporti,  di
cui all'art. 1, comma 1328, della legge 27 dicembre  2006,  n.  296».
Pertanto la disposizione, la natura  interpretativa  della  quale  e'
stata affermata da queste sezioni unite (con le ordinanze n. 379/08 e
n. 3044/13) con riguardo ai diritti aeroportuali, si estende anche ai
contributi dei quali si discute. 
    3. - Le societa' mostrano di non  dubitare  della  illegittimita'
costituzionale della novella del 2015 e  insistono  affinche'  queste
sezioni unite sollevino la relativa questione. 
    Sostengono al riguardo che non di norma interpretativa si tratti,
bensi' di norma innovativa, la quale non precisa il  significato  del
comma 1328  dell'art.  1  legge  n.  296/06,  ne'  impone  una  delle
possibili varianti di  senso  del  testo  originario,  ma  detta  una
disposizione   nuova,   in   tal   modo   incidendo    sull'attivita'
giurisdizionale in corso. 
    La  contestazione  assorbe  il  profilo  concernente  la  dedotta
manifesta   irragionevolezza   insita   nella   qualificazione   come
«corrispettivo» della contribuzione al fondo antincendi: l'esclusione
della configurabilita' dei contributi come corrispettivi postula  pur
sempre che tale qualificazione fosse estranea al testo  originario  e
che, per conseguenza,  questo  non  potesse  essere  cosi'  inteso  e
quindi,  in   definitiva,   che   la   novella   non   abbia   natura
interpretativa. 
B. - La rilevanza della questione proposta. 
    4. -  La  questione  proposta  e'  immediatamente  rilevante  nel
presente  giudizio,  in   quanto   la   norma   sopravvenuta   incide
sull'individuazione  del  giudice   giurisdizionalmente   competente:
l'esclusione, in relazione al versamento dei contributi in questione,
dell'insorgenza di «obbligazioni di natura tributaria»  non  consente
di assegnare alle commissioni tributarie la cognizione delle relative
controversie, poiche' attribuire  alla  giurisdizione  tributaria  la
cognizione di controversie relative a  prestazioni  patrimoniali  non
tributarie si risolverebbe nella creazione  di  un  giudice  speciale
vietata  dall'art.  102,  secondo  comma,  Cost.  (tra  varie,  Corte
costituzionale, n. 64 del 2008). 
    4.1.  -  E  che  la  norma  sopravvenuta   incida   anche   sulle
controversie  pendenti  alla  data  della  sua  entrata  in   vigore,
stabilendo che sin dall'origine il giudice  munito  di  giurisdizione
sia quello ordinario, scaturisce dalla  sua  autoqualificazione  come
norma interpretativa. 
    La qualificazione di una disposizione  di  legge  come  norma  di
interpretazione autentica  -  di  la'  dal  carattere  effettivamente
interpretativo della  previsione  -  esprime  difatti  l'intento  del
legislatore  d'imporre  un  determinato  significato   a   precedenti
disposizioni di pari grado, cosi' da far regolare dalla  nuova  norma
fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore.  Si  deve
escludere,  in  applicazione  del  canone  ermeneutico   che   impone
all'interprete di attribuire un  senso  a  tutti  gli  enunciati  del
precetto legislativo, che la disposizione possa  essere  intesa  come
diretta ad imporre una determinata  disciplina  solo  per  il  futuro
(Cass., sez. un.,  n.  9941/09),  poiche'  il  giudice,  chiamato  ad
applicarla, finirebbe per non farlo, valicando il  confine  oltre  il
quale l'operazione ermeneutica deve cedere il passo al  sindacato  di
legittimita' costituzionale  (Cass.,  sez.  un.  pen.,  ordinanza  19
aprile 2012, Ercolano). 
    Queste  considerazioni  evidenziano  l'infondatezza  della   tesi
esposta in via principale dal pubblico ministero in udienza, il quale
ha prospettato l'applicabilita' della novella  solo  alle  situazioni
insorte dopo la sua entrata in vigore  e,  per  conseguenza,  la  sua
inapplicabilita' all'odierna controversia. 
    4.2.  -  L'efficacia  retroattiva  della  disposizione  impedisce
inoltre l'applicabilita' della regola fissata dall'art. 5  codice  di
procedura civile, espressione di quella generale di cui  all'art.  11
preleggi, secondo cui la nuova norma disciplina i  processi  iniziati
successivamente alla sua entrata in vigore ed i singoli atti, ad essa
successivamente  compiuti,  di  processi  iniziati  prima  della  sua
entrata in vigore (Cass. n. 3688/11; sulla deroga all'art.  5  codice
di procedura civile derivante da norma retroattiva, cfr., tra  varie,
sez. un., n. 3888/04, ordinanza n. 14911/02 e ordinanza n. 12199/02).
Sarebbe difatti neutralizzata la retroattivita' della  norma  qualora
se ne circoscrivesse l'applicabilita' alle sole controversie  insorte
o anche ai soli singoli atti compiuti dopo la sua entrata in  vigore,
proprio perche' in tali casi la nuova disciplina si dovrebbe comunque
considerare applicabile in forza  dell'art.  5  codice  di  procedura
civile, secondo il quale la giurisdizione si determina  con  riguardo
alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento  della
proposizione della domanda. 
    4.3.   -   Inoltre,   con    riguardo    all'odierno    giudizio,
l'applicabilita' della  norma  non  e'  inibita  da  alcun  giudicato
esterno, che funge da limite all'efficacia  retroattiva  della  legge
(tra varie, Corte costituzionale, n. 234 del 2007). 
    Cio' in quanto: 
        non e' utile a tal  fine  la  produzione  della  sentenza  n.
10137/51/14  della  Commissione  tributaria  provinciale   di   Roma,
concernente, in  relazione  ad  altro  anno  d'imposta,  la  medesima
questione  oggetto  della  presente  controversia  e  relativa   alle
medesime parti in causa, che, previa affermazione della giurisdizione
tributaria, ha accolto nel merito il  ricorso  in  base  agli  stessi
argomenti sunteggiati in narrativa con riguardo alla pronuncia  della
Commissione di primo grado intervenuta nel giudizio odierno. 
    La sentenza n.  10137/51/14  non  e'  munita  di  certificato  di
cancelleria che ne attesti la definitivita'; laddove questa Corte  ha
stabilito (tra varie, v. Cassazione n. 21469/13)  che,  affinche'  il
giudicato esterno possa fare stato nel  processo,  e'  necessaria  la
certezza della sua formazione, che va appunto  dimostrata,  anche  in
assenza di contestazioni, attraverso  la  produzione  della  sentenza
munita della suddetta attestazione. Irrilevanti sono gli elementi dai
quali le ricorrenti intendono trarre la prova  della  formazione  del
giudicato;  d'altronde,  nel  corso  dell'udienza   di   discussione,
l'avvocato dello Stato non e' stato in grado  di  confermare  che  la
sentenza in questione sia effettivamente divenuta definitiva; 
        neppure e' utile la produzione della sentenza n. 4588/13  del
Tribunale   amministrativo   regionale   Lazio,   sebbene   corredata
dell'attestato   di   cancelleria   concernente   la   mancanza    di
impugnazioni. 
    Il Tribunale amministrativo regionale  ha  declinato  la  propria
giurisdizione, senza alcuna statuizione di merito in  relazione  alla
debenza  del  contributo,  ininfluenti  essendo   a   tal   fine   le
determinazioni  relative  alla  pretesa  risarcitoria  esaminata.  Ne
deriva l'applicabilita' del  principio  reiteratamente  affermato  da
queste sezioni unite (vedi n. 15208/15 e n. 16779/05), secondo cui le
sentenze  dei  giudici  di  merito   che   statuiscano   sulla   sola
giurisdizione  non  sono  idonee  ad  acquistare  autorita'  di  cosa
giudicata in senso sostanziale, poiche' le pronunce di questi giudici
sono suscettibili di  acquistare  autorita'  di  giudicato  (esterno)
anche in tema di giurisdizione, e di  spiegare,  conseguentemente,  i
propri effetti anche al di fuori del processo nel quale  siano  state
adottate, solo quando la decisione  -  sia  pure  implicita  -  sulla
giurisdizione si rapporti, ad essa collegandosi, con una  statuizione
di merito. 
C. - e la sua non manifesta infondatezza. 
    5. - Le societa' sostengono che la norma sopravvenuta non abbia i
caratteri  che  avrebbe  dovuto  presentare   per   essere   definita
d'interpretazione  autentica,   in   base   alla   giurisprudenza   e
costituzionale, e  di  legittimita'  (si  vedano,  tra  molte,  Corte
costituzionale n. 132/16 e n. 71/10, nonche' Cassazione, sez. un., n.
12644/14 e n.  9560/14),  secondo  cui  la  qualificazione  di  norma
interpretativa spetta  a  quelle  norme  che,  saldandosi  con  altra
disposizione, intervengono esclusivamente sul  significato  normativo
di questa, chiarendone o esplicitandone il senso, oppure escludendone
o enunciandone uno dei sensi possibili. 
    In realta', le ricorrenti escludono la natura interpretativa  del
comma 478 dell'art. 1 legge  n.  208/15  al  fine  di  contestare  la
retroattivita' di tale disposizione: la legge  definita  o  formulata
come interpretativa ha eo ipso efficacia retroattiva,  anche  se  sia
priva di natura interpretativa. 
    Il problema da affrontare riguarda difatti non  tanto  la  natura
della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva
incontra, alla luce del principio di ragionevolezza (tra varie,  vedi
Corte costituzionale, n. 291 del 2003). 
    6. - Cosi' inquadrata la censura, non e' manifestamente infondato
il dubbio che la retroattivita'  in  tal  maniera  disposta  violi  i
limiti in materia stabiliti dalla Costituzione, specificamente  dagli
articoli 3, 24, 25, 102, primo comma, 111 e 117. 
    6.1. - Il divieto di retroattivita' della legge  posto  dall'art.
11 delle preleggi, pur costituendo valore  fondamentale  di  civilta'
giuridica, non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di  cui
all'art. 25 Cost. (tra varie, Corte costituzionale, n. 15  del  2012,
n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006). 
    La norma che deriva dalla  legge  di  interpretazione  autentica,
quindi, non puo'  dirsi  costituzionalmente  illegittima  qualora  si
limiti ad assegnare alla  disposizione  interpretata  un  significato
gia' in  essa  contenuto,  riconoscibile  come  una  delle  possibili
letture del testo originario (tra varie, Corte costituzionale, n. 271
e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24  del  2009),  al  fine  di
chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo» o di
«ristabilire  un'interpretazione  piu'   aderente   alla   originaria
volonta' del legislatore» (Corte cost., n. 311 del  2009),  a  tutela
della  certezza  del  diritto  e  dell'eguaglianza   dei   cittadini,
dell'affidamento legittimamente sorto nei  soggetti  quale  principio
connaturato allo Stato di diritto,  della  coerenza  dell'ordinamento
giuridico e del rispetto delle funzioni costituzionalmente  riservate
al potere giudiziario. 
    Nel caso in esame, di contro, il legislatore pare avere impiegato
la norma d'interpretazione autentica per attribuire alla disposizione
interpretata una lettura incompatibile col testo originario. 
    6.2. - Il contributo al fondo antincendi del  quale  si  discute,
difatti, presenta tutti gli elementi di identificazione dei  tributi,
come enucleati e dalla giurisprudenza costituzionale e da  quella  di
questa Corte. 
    Anzitutto, conviene chiarire,  e'  irrilevante  il  nomen  iuris,
segnatamente l'impiego del  termine  «corrispettivi»  utilizzato  dal
legislatore, occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si
sia in presenza di un tributo (tra varie,  Corte  costituzionale,  n.
141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005): lo stesso art. 2 del
decreto legislativo n. 546 del 1992 stabilisce  espressamente  che  i
tributi  vanno  individuati   indipendentemente   dal   nomen   iuris
(«comunque denominati»). 
    Ricorrono, invece, nel contributo  i  tratti  identificativi  del
tributo, ossia: 
    la matrice legislativa della prestazione imposta,  in  quanto  il
tributo  nasce  direttamente  in  forza   della   legge,   risultando
irrilevante l'autonomia contrattuale (Corte cost., n. 58 del 2015); 
    la doverosita' della prestazione (Corte cost., n. 141  del  2009,
n. 64 del 2008, n. 334 del  2006,  n.  73  del  2005),  che  comporta
un'ablazione delle somme con attribuzione delle  stesse  ad  un  ente
pubblico (Corte cost., n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n.  26
del 1982): i soggetti tenuti al pagamento del contributo non  possono
sottrarsi a tale  obbligo  e  la  legge  non  da'  alcun  sostanziale
rilievo, genetico o funzionale,  alla  volonta'  delle  parti  (Corte
cost., n. 238 del 2009,  punto  7.2.3.2,  nonche',  in  relazione  al
contributo al Servizio sanitario nazionale, Cassazione, sez. un.,  n.
123/07, che ne ha affermato la natura tributaria); 
    il nesso con la spesa pubblica, nel senso che la  prestazione  e'
destinata  allo  scopo  di  apprestare  i  mezzi  per  il  fabbisogno
finanziario dell'ente impositore (Corte cost., n. 37 del 1997, n.  11
e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982, nonche', tra varie, Cassazione, sez.
un., n. 21950/15 e n. 13431/14). 
    Difatti: 
    l'obbligo del pagamento del contributo  trova  la  propria  fonte
esclusiva nel richiamato comma 1328 dell'art. 1 legge n. 296/06 e non
in un rapporto sinallagmatico tra  le  parti,  considerata  anche  la
natura pubblica essenziale  con  carattere  di  preminente  interesse
generale e non surrogabile del servizio antincendi (cosi', tra varie,
Corte costituzionale, ordinanza n. 405 del 1998; n. 97 del 1996 e  n.
90 del 1994), e' ancorato ad una soglia stabilita in misura fissa per
anno (di  euro  trenta  milioni  annui)  ed  e'  ragguagliato  ad  un
parametro, quello del «traffico  generato»,  che  ne  fissa  la  base
imponibile, predeterminato in via astratta; 
    la prestazione e' doverosa, in quanto  le  societa'  aeroportuali
non hanno alcun mezzo per sottrarvisi; 
    quanto al collegamento alla pubblica spesa,  la  disposizione  ha
istituito il contributo, come si e' visto, e'  volta  a  «ridurre  il
costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti». 
    6.3.1. - Risultano dunque non manifestamente infondati i dubbi di
violazione degli articoli 3 e 25 Cost. 
    Anzitutto la norma, intervenendo in assenza di una situazione  di
oggettiva incertezza del dato normativo  e  della  sua  applicazione,
sembra ledere il canone generale  della  ragionevolezza  delle  norme
stabilito dall'art. 3 Cost. (Corte cost., n. 78 del 2012). 
    6.3.2. - Non e' poi manifestamente infondato  il  dubbio  che  la
norma in questione,  sopravvenuta  quando  la  regiudicanda  non  era
soltanto gia' insorta, ma finanche definita dai  giudici  di  merito,
abbia snaturato la materia, sottraendola al giudice precostituito per
legge, in violazione dell'art. 25 Cost. 
    Giova  rilevare  al  riguardo  che  l'art.  25  Cost.,  la'  dove
prescrive che «nessuno puo'  essere  distolto  dal  giudice  naturale
precostituito per legge»,  ha  lo  scopo  di  dare  al  cittadino  la
certezza circa il giudice che lo deve giudicare (Corte cost.,  n.  22
del 1959); il principio esige che il giudice sia istituito in base  a
criteri generali fissati in anticipo (Corte cost., n. 29 del 1958, n.
1 del  1965;  n.  146  del  1969)  e  non  in  vista  di  determinate
controversie, con riferimento cioe' a fattispecie astratte e non gia'
a posteriori, in relazione, appunto, ad una regiudicanda gia' insorta
(Corte cost., n. 88 del 1962, n. 130 del 1963, n. 156  del  1963,  n.
146 del 1969). 
    Nel  caso  in  esame,  di  contro,  non  sembrano   prospettabili
ragionevoli dubbi, in base alle considerazioni svolte  sub  6.2,  che
potessero indurre a ritenere che il giudice  ordinario  fosse,  prima
della norma interpretativa, il  giudice  naturale  precostituito  per
legge. 
    6.4. - Non e' manifestamente infondato il dubbio di  legittimita'
costituzionale della norma, altresi' sub articoli 102,  primo  comma,
111 e 117 Cost. in relazione all'art. 6 della Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
sussistendo piena corrispondenza tra principi costituzionali  interni
in materia di parita' delle parti in giudizio e quelli  convenzionali
relativi all'equo processo (cosi' Corte costituzionale,  n.  191  del
2014). 
    Allorquando  ha  verificato  la   compatibilita'   costituzionale
dell'effetto retroattivo della legge in relazione  all'art.  6  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, inteso come prodotto dell'interpretazione  che
di esso ha dato  la  Corte  europea  (si  vedano,  tra  varie,  Corte
costituzionale, n. 69 del 2014 e n. 150 del 2015), la  giurisprudenza
costituzionale ha incentrato il controllo sul rispetto del  principio
di  affidamento  dei  consociati  nella   certezza   dell'ordinamento
giuridico come specchio della ragionevolezza della legge. 
    Al riguardo, e' innegabile  che  sussiste  uno  spazio,  sia  pur
limitato, per interventi del legislatore con  efficacia  retroattiva;
ma altrettanto indubbio e' che questo spazio e' circoscritto, sia  in
positivo, sia in negativo. 
    In positivo, occorre che  l'intervento  legislativo  con  effetti
retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d'interesse generale. 
    Sul punto, come la stessa Corte costituzionale  ha  esposto  (tra
varie, Corte costituzionale n. 303 del 2011), spetta ai singoli Stati
il compito e l'onere d'identificare i motivi imperativi in questione,
poiche' sono gli  Stati  a  trovarsi  nella  posizione  migliore  per
identificare gli interessi  posti  a  fondamento  dell'esercizio  del
potere legislativo (Corte Edu 23 ottobre 1997, National &  Provincial
Building  Society,  Leeds  Permanent  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society c. Regno unito, che impiega la formula  del  margine
di apprezzamento, salva la ragionevolezza delle  soluzioni  normative
adottate). Un dato, peraltro, si puo' ritenere acquisito:  non  basta
il perseguimento, dichiarato o  occultato  dietro  l'enunciazione  di
altre finalita', di un interesse economico dello Stato. 
    In negativo, inoltre, occorre escludere che la legge  retroattiva
segni  l'«ingerenza  del   legislatore   nell'amministrazione   della
giustizia  allo  scopo  di  influenzare   la   risoluzione   di   una
controversia» (Corte Edu 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia;  14
febbraio 2012, Arras e altri contro Italia; 7 giugno 2011,  Agrati  e
altri contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia; 10
giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e
altri contro Italia). In particolare, ha rimarcato quella  Corte,  le
circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere
«trattate  con  la  massima  circospezione  possibile»  (sentenza  14
febbraio 2012, Arras e altri contro Italia), di guisa  che  lo  stato
del giudizio, il  grado  di  consolidamento  dell'accertamento  e  la
prevedibilita' dell'intervento legislativo,  nonche'  la  circostanza
che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia  (sentenze
22 ottobre 1997, Papageorgou contro  Grecia;  27  maggio  2004,  Ogis
Institut Stanislas e altri contro Francia)  sono  elementi  utili  ad
orientare il giudizio di violazione  dell'art.  6  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali   da   parte   di   norme   innovative   che    incidono
retroattivamente su controversie in corso. 
    6.4.1. - Non emergono nell'ipotesi in questione motivi imperativi
d'interesse generale. 
    In particolare, non e' ravvisabile il motivo imperativo,  proprio
delle leggi interpretative, di sciogliere  incertezze,  nel  caso  in
esame  concernenti  la  competenza  giurisdizionale   relativa   alla
cognizione delle controversie relative ai  contributi  in  questione,
per le ragioni esposte sopra, sub 6.2. 
    Inoltre non e' configurabile il motivo imperativo di garantire la
coerente attribuzione al giudice ordinario, al quale gia' sono state,
tra  le  altre,  assegnate  le  controversie  concernenti  i  diritti
d'imbarco di passeggeri e le  relative  addizionali  comunali,  anche
delle controversie riguardanti i contributi al fondo antincendi,  che
condividono con quelle  inerenti  alle  addizionali  la  funzione  di
finanziamento della spesa pubblica necessaria a garantire  i  servizi
antincendi negli aeroporti. 
    Non sembra  comunque  giustificata  l'efficacia  retroattiva,  in
quanto anche la norma autodefinitasi interpretativa  che  ha  escluso
l'insorgenza di obbligazioni di natura tributaria in  relazione  alla
corresponsione dei diritti d'imbarco pare  avere  natura  innovativa.
Poco meno di un anno prima  del  decreto-legge  n.  159/07,  difatti,
queste sezioni unite (n. 22245/06) avevano chiarito che spettava alla
cognizione delle  commissioni  tributarie  la  domanda  proposta  dal
concessionario della gestione di un aeroporto  nei  confronti  di  un
vettore aereo per il pagamento dei diritti dovuti a norma della legge
n. 324/76 (di struttura analoga peraltro, si precisa in  motivazione,
alla tassa sulle merci imbarcate e sbarcate di cui  al  decreto-legge
n. 47/74, come convertito), giacche' il pagamento  di  tali  diritti,
originariamente spettanti all'amministrazione concedente,  e'  dovuto
soltanto in virtu' del verificarsi  dei  presupposti  di  legge,  non
rappresentando essi il corrispettivo dei servizi aeroportuali di  cui
gli utenti beneficiano, ma una prestazione  obbligatoria  connessa  a
tali servizi da un rapporto di mera correlativita'. 
    6.4.2.  -  Non  si  puo',  invece,  escludere   l'ingerenza   del
legislatore nell'amministrazione della giustizia, anche in violazione
dell'art. 102, primo comma, Cost., in quanto,  pure  in  mancanza  di
dubbi in ordine alla configurabilita' della prestazione come tributo,
il legislatore ha sottratto al giudice tributario la cognizione delle
controversie gia' instaurate concernenti i contributi  in  questione,
finendo     per     interferire     nell'esercizio     dell'attivita'
giurisdizionale. 
    Il giudice tributario al quale la controversia e' stata sottratta
aveva difatti gia' in primo  grado,  non  soltanto  nel  giudizio  in
esame, ma anche negli altri giudizi dei quali  hanno  dato  conto  le
contribuenti, ritenuto illegittima la pretesa impositiva dell'ENAC. E
giova sottolineare al riguardo che la  dichiarazione,  da  parte  del
giudice  d'appello,  della  giurisdizione  ordinaria  e'   causa   di
rimessione al giudice ordinario  di  primo  grado,  benche'  non  sia
esplicitato dalla sentenza impugnata: si tratta di un'ipotesi in  cui
al giudice d'appello spetta il solo giudizio rescindente, di modo che
le parti,  malgrado  la  mancanza  di  un  provvedimento  formale  di
rimessione, per fare valere i propri diritti devono iniziare un nuovo
giudizio innanzi al giudice di primo grado  munito  di  giurisdizione
(arg. ex Cassazione, sez. un., n. 12641/98; conf., n. 24612/15). 
    Almeno allo  stato,  dunque,  la  norma  del  2015  sembra  avere
concretamente influenzato l'esito della controversia, travolgendo  la
sentenza  di  primo  grado  che  aveva  accolto  le   ragioni   delle
contribuenti. 
    6.5. - Per conseguenza, non si puo' escludere  che  l'inevitabile
dilazione dei tempi processuali possa vulnerare  il  principio  della
ragionevole durata del processo, ora  assunto  a  rango  di  precetto
costituzionale alla luce dell'art. 111, secondo  comma,  Cost.,  come
modificato dall'art. 1 della legge costituzionale n. 2/99 (tra varie,
Corte costituzionale, ordinanza n. 149 del 2013). 
    Neanche si puo' escludere  la  violazione  del  «principio  della
parita'  delle  parti»,  presidiato  dal  medesimo  art.  111  Cost.,
giacche' con la norma retroattiva in questione il legislatore statale
sembra  avere  immesso  nell'ordinamento  una  fattispecie   di   ius
singulare con effetti favorevoli per lo Stato, che ha determinato  lo
sbilanciamento fra le due posizioni  in  gioco  (ex  plurimis,  Corte
costituzionale, n. 186 del 2013). 
    6.6. - E, ancora, l'intervento retroattivo con  norma  innovativa
pare destinato a riverberarsi sull'affidamento della parte nell'agire
e difendersi, minando la garanzia presidiata dall'art. 24  Cost.,  il
quale logicamente presuppone la possibilita' per la parte di  operare
una  ragionevole   previsione   sull'esito   della   sua   iniziativa
giudiziaria,  fondata  sull'aspettativa  che  quell'esito  dipendera'
dall'applicazione delle regole di diritto esistenti e conosciute  nel
momento in cui l'iniziativa giudiziaria  e'  stata  assunta,  tra  le
quali  rilevano  anche   quelle   processuali   (tra   varie,   Corte
costituzionale, n. 525 del 2000), comprese  quelle  che  disciplinano
l'attribuzione delle controversie  ad  un  giudice,  anziche'  ad  un
altro. 
    7. - In  conclusione,  sottopone  alla  Corte  costituzionale  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  478,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in riferimento agli articoli 3,
24, 25, 102, 111 e 117 Cost. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio. 
    Dispone, inoltre, che la presente  ordinanza  sia  notificata,  a
cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio  dei  ministri  e
alle parti e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al
Presidente del Senato della Repubblica.