LA CORTE DEI CONTI 
 
 
            Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia 
 
    In composizione monocratica ha pronunciato la seguente  ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 31783 del registro di segreteria, proposto
dal sig.re C. R. A. n. a il  rappresentato e difeso dall'avv. Michele
De Carlo, giusta mandato a margine; 
    Contro Direzione INPS (ex INPDAP) di  Brindisi,  in  persona  del
direttore legale rappresentante pro tempore; per  l'accertamento  del
diritto alla pensione privilegiata ordinaria e  per  la  condanna  al
pagamento delle somme dovute, oltre interessi  e  rivalutazione  come
per legge; 
    Udite alla pubblica udienza del 7 giugno 2016 le parti, tramite i
loro difensori, come da verbale di causa; 
    Visto il ricorso in epigrafe; 
    Esaminati gli atti e la documentazione tutta della causa; 
 
                        Considerato in fatto 
 
    Con atto  di  ricorso  depositato  in  data  14  ottobre  2013  e
ritualmente notificato il sig.re C. R. A.  ha  adito  questa  sezione
giurisizionale regionale  per  sentire  dichiarare  ed  accertare  il
proprio diritto alla pensione  privilegiata  ordinaria,  oltre  somme
arretrate, interessi e rivalutazione monetaria. 
    Espone il ricorrente  di  essere  cessato  dal  servizio  dall'1°
ottobre 2012, con la qualifica di dirigente medico presso il P.O. «A.
Perrino» di Brindisi. 
    Ai fini che rileva per il presente giudizio, con delibera  n.  34
del 17 marzo 1993, a seguito di parere positivo del C.P.P.O. espresso
nell'adunanza collegiale del 23  novembre  1992,  l'ex  USL  BR/4  di
Brindisi  riconosceva  al  ricorrente   la   liquidazione   dell'equo
indennizzo. Successivamente, con nota del 27 settembre 2011, l'ASL BR
chiedeva alla Commissione medica di verifica di Bari di sottoporre il
medesimo agli accertamenti sanitari circa le condizioni di  idoneita'
al servizio, ai sensi dell'art. 15 del decreto del  Presidente  della
Repubblica  n.  461/2001,  essendo  stato  giudicato  non  idoneo  al
servizio. Nel contempo, poiche' il dott.  C.  chiedeva  alla  propria
amministrazione il riconoscimento  dell'aggravamento  dell'infermita'
gia' riconosciuta dipendente da causa di servizio,  con  nota  del  5
ottobre  2011,  l'ASL  BR  trasmetteva  alla  Commissione  medica  di
verifica anche tale istanza. Con verbale BL/S n.  7806  del  5  marzo
2012, la suddetta Commissione, in ordine all'idoneita'  al  servizio,
giudicava  l'interessato  «non  idoneo  permanentemente  ed  in  modo
assoluto al servizio», mentre, in merito alla domanda di aggravamento
dell'infermita' gia' riconosciuta dipendente da  causa  di  servizio,
con verbale  BL/B  n.  7821  del  5  marzo  2012  esprimeva  giudizio
diagnostico con ascrivibilita' alla 1ª  ctg.  Tab.  A.  Essendo  tale
giudizio  confermato  dalla  Commissione  medica  di   verifica,   su
richiesta della ASL BR, che disponeva la risoluzione del rapporto  di
lavoro. 
    La sede INPS di Brindisi comunicava al C. il  conferimento  della
pensione  di  inabilita'  e,  a  fronte  di   domanda   di   pensione
privilegiata presentata in data  7  gennaio  2013,  con  nota  del  9
gennaio 2013, comunicava di non poter  dare  corso  a  tale  domanda,
atteso che la cessazione dal servizio era avvenuta oltre la  data  di
abrogazione (6 dicembre 2011) dell'Istituto di che trattasi, disposta
dall'art. 6 del decreto-legge 6  dicembre  2011  n.  201,  convertito
nella legge n. 22 dicembre 2011, n. 214. 
    Nei motivi di ricorso si contesta che  l'Istituto  di  previdenza
non ha tenuto in debito conto la procedura era gia'  in  essere  alla
data del 29 dicembre 2011, data di  presentazione  della  domanda  di
aggravamento, ai sensi dell'art. 6 del decreto-legge n. 201/2011 cit.
Sul punto, si sostiene la tesi della  unicita'  del  procedimento  di
accertamento della dipendenza della causa di servizio,  sia  ai  fini
dell'equo indennizzo che per la  pensione  privilegiata,  si  da  far
ritenere  che  il  procedimento  di  riconoscimento  della   pensione
privilegiata sia uno sviluppo di quello per l'equo indennizzo. 
    L'INPS (Ex INPADAP) si e'  costituito  in  giudizio  con  memoria
depositata data 24 maggio 2016, alla quale e' allegata una  relazione
a firma del responsabile del settore pensioni dipendenti PP.AA. 
    Secondo l'Istituto di previdenza va sottolineata l'indipendenza e
l'autonomia  funzionale  del  procedimento  per   il   riconoscimento
dell'equo indennizzo da quello della pensione privilegiata  ordinaria
e deve essere tenuto in debito conto che il ricorrente e' cessato dal
servizio  dopo  l'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  abrogativo
dell'istituto della pensione privilegiata ordinaria  previsto  per  i
dipendenti civili dello Stato. 
 
                               Diritto 
 
    Oggetto del presente giudizio e'  la  domanda  di  riconoscimento
della pensione privilegiata ordinaria. 
    Come e' noto, l'art. 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n.  214,
nel  testo  in  vigore,  dispone  l'abrogazione,   tra   gli   altri,
dell'istituto della pensione privilegiata  ordinaria  dei  dipendenti
civili pubblici, come il ricorrente stabilendo, in  via  transitoria,
la applicazione della previgente disciplina «ai procedimenti in corso
alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto,  nonche'  ai
procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora  scaduto
il termine di presentazione della domanda,  nonche'  ai  procedimenti
instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».
Per  espressa  previsione,  l'istituto  della  pensione  privilegiata
ordinaria continua a trovare applicazione, invece, nei confronti  del
personale appartente ai comparti sicurezza, difesa, vigili del  fuoco
e soccorso pubblico. 
    Cio' premesso, nel  condividere  l'eccezione  difensiva  proposta
dall'Istituto di previdenza, nel senso che non ricorre il verificarsi
di alcuna delle «clausole di salvaguardia», in virtu' delle quali  la
normativa previgente continua ad esplicare i suoi effetti, dappoiche'
il procedimento di  riconoscimento  della  pensione  privilegiata  e'
stato  instaurato  dal  ricorrente  dopo  il  6  dicembre   2011   e,
d'altronde,  il  riferimento  dell'art.  6  decreto-legge   n.   201,
convertito nella legge n. 214/2011, ai procedimenti per i quali, alla
suddetta data, non sia ancora scaduto  il  termine  di  presentazione
della domanda, non puo' essere interpretato che in relazione  a  quei
casi in cui la domanda non sia stata presentata, fermo  restando  che
nella fattispecie all'esame  il  procedimento  non  era  instaurabile
d'ufficio trova applicazione del presente  giudizio  la  disposizione
soppressiva dell'istituto della pensione privilegiata  ordinaria  dei
dipendenti civili pubblici,  contenuta  nell'art.  6  cit.,  di  cui,
pero',  oltre  che  la  rilevanza,  va   predicata   l'illegittimita'
costituzionale per violazione del principio di eguaglianza, ai  sensi
dell'art. 3, comma 1, Cost. 
    Innanzitutto,   la   rilevanza   del   dubbio   di   legittimita'
costituzionale, in quanto  la  norma  censurata  e'  applicabile  nel
giudizio a quo, che non puo' essere definito indipendentemente  dalla
risoluzione della questione di legittimita'  costituzionale,  siccome
reso evidente dalla ricostruzione dei termini della res  controversa,
in cui l'ostacolo principale sul  piano  normativo  e'  rappresentato
dalla abrogazione dell'istituto della pensione  privilegiata  per  la
generalita' dei dipendenti civili  pubblici,  non  ricorrendo  alcuna
delle «clausole di salvaguardia» di diritto transitorio. 
    Il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  ricollegabile  alla
violazione dell'art. 3, comma 1, Cost. - di cui si dira'  a  breve  -
non e' superabile,  altresi',  mediante  interpretazione  adeguatrice
ovvero secundum constituetionem, che, come e' noto,  rappresenta,  da
almeno due decenni, a partire dalla sentenza n.  456  del  1989,  una
delle    condizioni    di    ammissibilita'     dell'incidente     di
costituzionalita', in quanto la  norma  censurata  non  ha  carattere
polisenso, operando una netta distinzione  tra  coloro  per  i  quali
l'istituto della pensione privilegiata ordinaria cessa a far data dal
6 dicembre 2011,  che  sono  la  generalita'  dei  dipendenti  civili
pubblici,  e  coloro   che,   nell'ambito   del   settore   pubblico,
appartengono ai  comparti  sicurezza,  difesa,  vigili  del  fuoco  e
soccorso   pubblico,   ammettendo,   quindi,   una   ed   una    sola
interpretazione della stessa, conforme al dettato testuale. 
    Cio'  premesso,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art.  6  del  decreto-legge  n.  201/2011  cit.  e',  oltre  che
rilevante, non manifestamente infondata, in quanto la norma censurata
si pone in irrimediabile contrasto con l'art. 3, comma 1, Cost. 
    Va ricordato che la lettura che  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale ha dato del principio di  eguaglianza  ha  portato  ad
enucleare anche un generale principio di «ragionevolezza», alla  luce
del quale la legge deve regolare in maniera uguale situazioni  uguali
ed in maniera ragionevolmente differenziata situazioni diverse. 
    Cosi', il principio «deve assicurare  ad  ognuno  eguaglianza  di
trattamento,  quanto  eguali  siano  le  condizioni   soggettive   ed
oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per  la  loro
applicazione (sentenza n. 3 del 1957),  con  la  conseguenza  che  il
principio  risulta  violato»   quando,   di   fronte   a   situazioni
obiettivamente   omogenee,   si   ha   una    disciplina    giuridica
differenziata,    determinando    discriminazioni    arbitrarie    ed
ingiustificate (sentenza n. 111 del 1981). 
    Il giudizio di eguaglianza postula, dunque,  l'omogeneita'  delle
situazioni messe a confronto  e  «non  puo'  essere  invocato  quando
trattasi di situazioni intrinsecamente eterogenee» (sentenza  n.  171
del 1982) o «quando si tratti di situazioni che, pur derivanti da  si
comuni, differiscano tra loro  per  aspetti  distintivi  particolari»
(sentenza n. 111 cit. del 1981). 
    Pertanto, il giudizio ex art. 3, comma 1, della  Costituzione  si
articola  in  due  momenti:  il  primo,  destinato  a  verificare  la
sussistenza di omogeneita' fra le situazioni poste  a  confronto:  e,
cioe', «quel minimo di omogeneita' necessario per l'instaurazione  di
un giudizio di ragionevolezza (sentenza n. 209 del 1988); il secondo,
subordinato  all'esito  affermativo  del  precedente,   destinato   a
stabilire se sia ragionevole o meno  la  diversita'  di  trattamento,
predisposta per la stessa dalla legge. 
    Ha  affermato,  infatti,  il  giudice  delle  legge  che  «si  ha
violazione  dell'art.  3   della   Costituzione   quando   situazioni
sostanzialmente    identiche    siano    disciplinate     in     modo
ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta  tale  contrasto
quando alla diversita' di  disciplina  corrispondano  situazioni  non
sostanzialmente identiche» (sentenza n. 340 del 2004). 
    Si puo' richiamare, per  la  limpidezza  dei  concetti  espressi,
anche la sentenza n. 163 del  1993,  secondo  cui  «il  principio  di
eguaglianza comporta che a una categoria di persone definita  secondo
caratteristiche identiche o ragionevolmente omogenee in relazione  al
fine  obiettivo  cui   e'   indirizzata   la   disciplina   normativa
considerata, deve essere imputato un trattamento giuridico identico o
omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche essenziali
in ragione delle quali e' stata definita quella determinata categoria
di persone. Al contrario, ove i soggetti  considerati  da  una  certa
norma, diretta a  disciplinare  una  determinata  fattispecie,  diano
luogo a una classe di persone dotate di caratteristiche non  omogenee
rispetto al fine obiettivo perseguito con il trattamento giuridico ad
essi  riservato,  quest'ultimo  sara'  conforme   al   principio   di
eguaglianza   soltanto   nel   caso   che   risulti   ragionevolmente
differenziato in  relazione  alle  distinte  caratteristiche  proprie
delle sottocategorie di persone che quella classe compongono». 
    Alla luce del principio di eguaglianza  in  senso  stretto,  deve
affermarsi, dunque, la illegittimita' costituzionale dell'art. 6  del
decreto-legge n. 201/2011 cit., in quanto, in presenza  della  stessa
infermita', il personale appartenente ai comparti sicurezza,  difesa,
vigili del fuoco  e  soccorso  pubblico  puo'  ancora  usufruire  del
trattamento   pensionistico   privilegiato,   a   differenza    della
generalita' dei dipendenti pubblici, per i quali  trova  applicazione
la  norma  abrogativa  dell'istituto  della   pensione   privilegiata
ordinaria, senza che tale disciplina differenziata sia fornita di una
quale giustificazione e per di piu' ragionevole. Il  che  rimanda  al
giudizio di ragionevolezza. 
    Il principio di eguaglianza viene frequentemente richiamato nella
giurisprudenza della  Corte  costituzionale,  invero,  unitamente  al
principio di ragionevolezza, che, nella giurisprudenza  piu'  recente
e' declinata nella formula  della  «ragionevolezza  proporzionalita'»
ovvero del «ragionevole e proporzionato bilanciamento», a significare
la stretta  relazione  che  intercorre  anche  tra  ragionevolezza  e
proporzionalita'. 
    Pur in mancanza di un obbligo generalizzato di motivazione  della
legge,  in  ragione  del  silenzio   serbato   in   proposito   dalla
Costituzione,  ai  fini  del  sindacato   sulla   ragionevolezza   e'
importante verificare la ratio legis soprattutto dopo la sentenza  n.
70 del 2015, seguita dalla sentenza n. 108 del 2016. In  entrambe  le
occasioni, la Corte costituzionale ha accolto le questioni  sollevate
dai giudici a quibus, rimproverando al legislatore la mancanza di una
qualunque «relazione tecnica» circa  i  supposti  risparmi  di  spesa
derivanti  dalla  normativa  censurata.  Qui  interessa  il  seguente
passaggio argomentativo: i risparmi di spesa non possono essere  solo
affermati,  dovendo  altresi'  essere  allegati  e  giustificati   in
funzione e  in  proporzione  al  sacrificio  imposto  agli  interessi
economici lesi dalla norma censurata. Ed e'  significativo  osservare
che il giudice delle leggi riconosca nella sentenza n. 108  del  2016
che  tale  previsione  tecnica,  considerate  le  peculiarita'  della
disciplina presa in esame, sarebbe stata difficilmente configurabile,
ma che cio' nonostante la mancanza di qualunque riferimento sul punto
non gli impedisca di valutare la proporzione tra i sacrifici  imposti
all'affidamento  del  singolo  e  il  beneficio  tratto  dalle  casse
pubbliche, rafforzando la censura di incostituzionalita'. 
    Anche nel caso in esame, manca una stima dei  risparmi  di  spesa
derivanti dalla norma censurata, in quanto la «relazione tecnica»  si
limita ad affermare quanto segue: «La  previsione  realizza  economie
quantificabili solo a consuntivo atteso che l'esclusione esplicita di
alcune categorie di personale nonche' la necessaria gradualita' delle
modalita' di applicazione, determina nel primo triennio  effetti  non
puntualmente  qualificabili  tenuto  conto,  anche,  dei   tempi   di
liquidazione dei  benefici  previsti»  e  non  sembri  una  forzatura
ripetere quanto affermato dalla Corte costituzionale  nella  sentenza
n. 108 del 2016, secondo cui: «Occorre ricordare  che  la  norma  non
appare corredata da alcuna relazione  tecnica  circa  i  risparmi  da
conseguire e tale stima sarebbe obiettivamente difficile (...)» (v. 4
del Considerato in diritto, in fine). 
    Il punto,  infatti,  e'  proprio  questo:  come  puo',  la  norma
censurata, che  non  reca  neppure  il  riferimento  genericamente  a
contingenti situazioni finanziarie e  sostanzialmente  priva  di  una
stima dei risparmi di spesa indotti dalla  abrogazione  dell'istituto
delle pensione privilegiata ordinaria  per  una  parte  di  dipendete
pubblici  (e  non  per  la  generalita'),  superare  il  giudizio  di
ragionevolezza e proporzionalita? 
    Prendendo a prestito le parole usate dalla  Corte  costituzionale
nella sentenza n. 70 del  2015,  ad  avviso  di  questo  giudice,  il
diritto  alla  pensione  privilegiata  del  ricorrente,   in   quanto
appartenente alla  «classe»  di  dipendenti  pubblici  esclusivi  dal
beneficio   del   trattamento   privilegiato    ordinario    «risulta
irragionevolmente sacrificato nel nome di  esigenze  finanziarie  non
illustrate in dettaglio». 
    Il giudizio va, quindi, sospeso e gli atti trasmessi  alla  Corte
costituzionale per la conseguente pronunzia.