IL TRIBUNALE DI PALERMO 
                       Seconda Sezione penale 
 
    In  composizione  monocratica,  nella  persona   della   dott.ssa
Annalisa Tesoriere, ha emesso la seguente ordinanza  nell'ambito  del
procedimento n. 8162/2016 R.G.T. a carico di Cajozzo Alessandro, nato
a Palermo il  17  febbraio  1976,  difeso  di  fiducia  dagli  avv.ti
Raffaele Restivo ed Antonio Gargano. 
    Imputato per le seguenti ipotesi di reato: 
        a) art. 2  decreto  legislativo  n.  74/2000  per  avere,  in
qualita' di legale rappresentante della societa' Immobilsedici s.a.s.
di Cajozzo Alessandro, al fine di evadere  le  imposte  sui  redditi,
utilizzato   una   fattura   per   operazione    soggettivamente    e
oggettivamente inesistente, apparentemente emessa dalla societa'  TEC
s.r.l. riportata  in  sede  di  dichiarazione  annuale  relativamente
all'anno di imposta 2007, indicando elementi passivi  fittizi  per  €
12.176, con evasione IVA per € 2.436. 
    In Palermo in data 25 settembre 2008, data di presentazione della
dichiarazione. 
        b) art. 2  decreto  legislativo  n.  74/2000  per  avere,  in
qualita' di legale rappresentante della societa' Immobilsedici s.a.s.
di Cajozzo Alessandro, al fine di evadere  le  imposte  sui  redditi,
utilizzato   una   fattura   per   operazione    soggettivamente    e
oggettivamente  inesistente,  apparentemente  emessa  dalla  societa'
So.Ge.CO  s.r.l.,  riportata  in  sede   di   dichiarazione   annuale
relativamente all'anno di imposta 2011,  indicando  elementi  passivi
fittizi per € 18.000, con evasione Iva per € 2.436. 
    In Palermo in data 10 settembre 2012, data di presentazione della
dichiarazione. 
    Con istanza del 18 maggio 2017, depositata ai sensi dell'art.  23
della legge 11 marzo 1953 n. 87, i difensori di fiducia dell'imputato
Alessandro  Cajozzo  hanno  sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale - sotto il profilo  della  manifesta  irragionevolezza
nonche' per violazione degli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione -
dell'art. 2 del decreto legislativo n.  74/2000  (nella  formulazione
scaturente  dall'entrata  in  vigore  del  decreto   legislativo   n.
158/2015) nello parte in cui non esclude -  a  differenza  di  quanto
invece previsto dall'art.  3  del  medesimo  decreto  legislativo  n.
74/2000 - la punibilita' della condotta delittuosa laddove il tributo
evaso sia inferiore con riferimento a taluna delle  singole  imposte,
ad euro trentamila. 
    Piu'   specificamente,   la   difesa   dell'imputato,    muovendo
dall'assunto  della  sostanziale  omogeneita'  tra   la   fattispecie
astratta delineata dall'art. 2 e quella tratteggiata dall'art. 3  del
decreto legislativo n. 74/2000, ha messo in  dubbio  la  legittimita'
costituzionale dell'evocato ordito normative nella misura in  cui  la
mancata previsione di soglie  di  punibilita'  con  riferimento  alla
prima  figura  delittuosa   (rubricata   «Dichiarazione   fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti)
genererebbe  una  stridente  nonche'  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra chi, al fine di' evadere (anche per  un  modestissimo
importo, stante l'assenza di alcuna soglia di punibilita') le imposte
sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi  di  fatture  o  altri
documenti  per  operazioni  inesistenti,   indichi   in   una   delle
dichiarazioni relative a tali  imposte  elementi  passivi  fittizi  e
colui il quale invece compiendo operazioni simulate oggettivamente  o
soggettivamente ovvero avvalendosi di  documenti  falsi  o  di  altri
mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in
errore l'amministrazione finanziaria effettui dichiarazioni  relative
a tali imposte indicando elementi attivi per un ammontare inferiore a
quello effettivo od elementi passivi fittizi  o  crediti  e  ritenute
fittizi,  rendendosi  in  tal  modo   responsabile   delle   condotte
sanzionate dall'art. 3 del decreto legislativo n. 74/2000. 
    La  struttura  obiettiva  della   figura   delittuosa   delineata
dall'art.  3  del   decreto   legislativo   n.   74/2000   (rubricato
«Dichiarazione  fraudolenta  mediante  altri   artifici»),   infatti,
include all'interno del  perimetro  sanzionatorio  esclusivamente  le
condotte  fraudolente  ivi  descritte  che  valichino  congiuntamente
determinate soglie di punibilita' (soglie, invero, del tutto mancanti
nella fisionomia della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 2),
il che comporta che le operazioni penalmente rilevanti risultano solo
quelle in virtu' delle quali: a) l'imposta evasa  risulti  superiore,
con riferimento a taluna delle singole imposte, ad  euro  trentamila;
b)  l'ammontare   complessivo   degli   elementi   attivi   sottratti
all'imposizione,  anche  mediante  indicazione  di  elementi  passivi
fittizi, si riveli  superiore  al  cinque  per  cento  dell'ammontare
complessiva  degli  elementi  attivi  indicati  in  dichiarazione   o
comunque,  superiore  ad  euro  un  milione  cinquecentomila,  ovvero
qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie
in  diminuzione  dell'imposta  sia  superiore  al  cinque  per  cento
dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. 
    Ad ulteriore supporto della evocata censura di  costituzionalita'
la difesa  dell'imputato  ha  altresi'  stigmatizzato  l'operato  del
legislatore delegato, evidenziando che - al cospetto  di  una  delega
legislativa mirata alla revisione del sistema penale  tributario  che
preveda la punibilita' con la pena detentiva compresa fra  un  minimo
di sei mesi e un massimo di sei anni e che dia rilievo, tenuto  conto
di adeguate soglie di punibilita', alla configurazione del reato  per
i comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque  finalizzati  alla
creazione e all'utilizzo di documentazione falsa  (1)   - il  mancato
innesto di soglie di punibilita' nella struttura della fattispecie di
cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000 palesi  un  eccesso
di delega in minus  scaturente  (dall'irragionevole  differenziazione
rispetto ad una figura delittuosa - quale e' quella di cui all'art. 3
del decreto legislativo n. 74/2000 - finalizzata alla repressione  di
indotte fraudolente (almeno astrattamente) di pari gravita'. 
    Il pubblico ministero nulla ha osservato in ordine  all'eccezione
di ileggittimita' costituzionale formulata dalla difesa. 
    Sulla rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2 del decreto legislativo  n.  74/2000  in  relazione  agli
articoli 3, 76 e 77 della Costituzione. 
    In netta aderenza a quanto disposto dall'art. 23 della  legge  11
marzo 1953 n. 87 il giudice remittente e' tenuto in prima  battuta  a
verificare se la questione legittimita' costituzionale sottoposta  al
suo vaglio sia rilevante per la risoluzione del  giudizio  in  corso.
Sotto  questo  profilo  si  impone  di  evidenziare   il   nesso   di
strumentalita' tra la questione di legittimita' ed il giudizio a  quo
il che significa che a rilevare non e' tanto l'astratta  possibilita'
una legge possa rivelarsi incostituzionale  quanto,  invece,  che  il
giudizio principale non possa esser definito indipendentemente  dalla
risoluzione della questione sollevata. 
    Con riferimento al giudizio  in  corso,  invero,  questo  giudice
ritiene che il procedimento penale instaurato a carico  dell'imputato
Alessandro Cajozzo non possa sfociare verso il  suo  naturale  esito,
considerato che la lamentata censura di incostituzionalita'  relativa
alla mancata previsione di  soglie  di  punibilita'  nella  struttura
della fattispecie di  cui  all'art.  2  del  decreto  legislativo  n.
74/2000 rifrange una lacuna normativa il cui scrutinio determinerebbe
effetti determinanti ai  fini  dell'emissione  di  una  pronuncia  di
condanna o di assoluzione. 
    Ed invero, la rilevanza nel giudizio  in  corso  della  questione
sollevata dalla difesa dell'imputato si riconnette inequivocabilmente
alla  circostanza  che  quest'ultimo  e'  chiamato  a  rispondere  di
operazioni fraudolente che per ciascun anno di imposta  si  collocano
ben ai di sotto della soglia dei euro 30.000.00 (cfr. capi  a)  e  b)
dell'imputazione). 
    Cio'  corrobora  inequivocabilmente  l'interesse   sotteso   alla
risoluzione della questione di legittimita', nella misura in  cui  il
suo  eventuale  accoglimento  sortirebbe  l'effetto  di  svuotare  di
rilevanza penale le condotte ascritte all'imputato. 
    Sulla non manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2 del  decreto  legislativo  n.  74/2000  in
relazione agli articoli 3, 76 e 77 della Costituzione. 
    Sul versante della non manifesta infondatezza invece, il  giudice
remittente e' chiamato ad appurare che la questione  di  legittimita'
costituzionale sia munita almeno prima di  un  minimo  di  fondamento
giuridico.  In  altri   termini,   il   sindacato   giudiziale   deve
polarizzarsi sul ragionevole dubbio  che  la  disposizione  normativa
censurata  possa  rivelarsi   effettivamente   lesiva   del   dettato
costituzionale. 
    Inevitabile  corollario  di   tale   assunto   e'   rappresentato
dall'obbligo incombente sul giudice a quo di tentare di  offrire  una
lettura  costituzionalmente  conforme   delle   norme   sospette   di
illegittimita';  soltanto  ove  il   tentativo   di   interpretazione
costituzionale   orientata   fallisse,   infatti,   si    rivelerebbe
praticabile la rimessione della questione alla Corte costituzionale. 
    Invero, con riferimento al giudizio a quo l'evocato tentativo di'
interpretazione costituzionale  orientata  dell'art.  2  del  decreto
legislativo n. 74/2000  e'  precluso  proprio  dall'intima  struttura
della fattispecie, la quale impedisce una lettura della  disposizione
incriminatrice declinata in chiave estensiva o analogica. 
    E del resto un'inferenza logico-giuridica di tipo analogico  (per
quanto  in  bonam  partem)  che  prenda  le   mosse   dal   postulato
dell'irragionevole   diversificazione   in    chiave    sanzionatoria
(beninteso, non quoad poenam, ma in funzione  di  un  piu'  ristretto
orizzonte applicativo derivarne da  soglie  di  punibilita')  tra  il
delitto di cui all'art. 2 e - alla stregua di tertium comparatianis -
quello di cui all'art. 3  del  decreto  legislativo  n.  74/2000,  si
tradurrebbe in una operazione di maquillage ermeneutico eminentemente
creativa di nuovo diritto oggettivo. 
    Tale esegesi demanderebbe, infatti, al giudice comune l'esercizio
di  una  prerogativa  intrinsecamente   lesiva   dello   spettro   di
discrezionalita' di cui  gode  il  legislatore  nella  configurazione
dell'assetto delle sanzioni penali  (come  lucidamente  osservato  da
Corte costituzionale  12  ottobre  2012,  n.  230),  discrezionalita'
sindacabile esclusivamente dal Giudice delle leggi nella sola ipotesi
in cui trasmodi  nella  manifesta  irragionevolezza  o  nell'arbitrio
(cfr., a tal riguardo, Corte costituzionale 20 luglio 2016, n. 193). 
    Dato atto dell'impossibilita' di un'interpretazione  conforme  al
dettato costituzionale della disposizione censurata, non si puo' fare
a meno di dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 2  del
decreto legislativo n. 74/2000, in relazione  quantomeno  all'art.  3
della Costituzione, nella parte in cui non contempla -  a  differenza
di  quanto  invece  previsto  dall'art.  3   del   medesimo   decreto
legislativo n. 74/2000 - la presenza di  soglie  di  punibilita'  che
rendano  penalmente  rilevante  la   condotta   fraudolenta   evasiva
consumata avvalendosi di fatture o  altri  documenti  per  operazioni
inesistenti. 
    Il disposto dell'art.  3  del  decreto  legislativo  n.  74/2000,
evocato in termini tutt'altro che generici dalla difesa dell'imputato
alla  stregua   di   tertium   comparationis   nella   prospettazione
dell'incostituzionalita'  dell'art.  2,   induce   a   ritenere   non
manifestamente infondato il denunciato profilo di irragionevolezza  e
di arbitrarieta' consistente nella differenziazione  del  trattamento
sanzionatorio con riguardo a situazioni di sostanziale omogeneita'. 
    Pur nella consapevolezza che il parametro dell'eguaglianza non si
traduce nella  concettualizzazione  di  una  categoria  astratta,  ma
definisce l'essenza di un  giudizio  di  relazione  che,  come  tale,
assume un risalto necessariamente dinamico (cfr., in questi  termini,
Corte costituzionale, 24 ottobre 2014, n. 241),  questo  giudice  non
puo' fare a  meno  di  rilevare  che.  alla  luce  delle  sostanziale
identita' tra la fattispecie di  cui  all'art.  2  e  quella  di  cui
all'art. 3 del decreto legislativo 74/2000  (ormai  accomunate  dalla
struttura bifasica nonche' riconducibili all'unico genus della  frode
fiscale (2) ), la differenziazione sanzionatoria  attuata  attraverso
l'allestimento di un piu' ristretto orizzonte  applicativo  derivante
dalla  previsione,   con   riferimento   alla   seconda   fattispecie
incriminatrice, di determinate soglie  di  punibilita'  si  presti  a
generare una irragionevole disparita' di trattamento non giustificata
da specifiche esigenze repressive, atteso che le condotte  sanzionate
dall'art.  3  espongono  il  bene  giuridico  protetto  dal  reticolo
penalistico  costituito  dall'interesse  dell'erario  ad  una   piena
nonche' rapida percezione  dei  tributi -  ad  un  pericolo  concreto
sicuramente non inferiore a  quello  rappresentato  dalle  operazioni
punite dall'art. 2 del decreto legislativo n. 74/2000. 
    Ed invero, alla stregua  dell'interpretazione  piu'  diffusa  nel
diritto  vivente  l'ipotesi  di  reato  delineata  dall'art.   2   si
differenzierebbe sia strutturalmente  che  funzionalmente  da  quella
tratteggiata dall'art. 3 non  tanto  per  la  natura  del  falso  ivi
contemplata  quanto  per  il  rapporto   di   specialita'   reciproca
intercorrente tra le due norme (3) : e difatti,  e'  stato  osservato
dalla maggioranza  degli  interpreti  che  ad  un  nucleo  Comune  di
offensivita', costituito dalla  presentazione  di  una  dichiarazione
infedele,  si  aggiungono  in  chiave  specializzante,  da  un  lato,
l'utilizzazione  di  fatture  e  documenti   analoghi   relativi   ad
operazioni inesistenti e, dall'altro,  il  compimento  di  operazioni
simulate oggettivamente o soggettivamente.  l'utilizzo  di  documenti
falsi e di mezzi  fraudolenti  idonei  ad  ostacolare  l'accertamento
tributario; dovendosi aggiungere, per  quanto  riguarda  le  condotte
descritte dall'art. 3, proprio la  ricorrenza  di  soglie  minime  di
punibilita'. 
    Cio' equivale ad  affermare  che  la  figura  delittuosa  di  cui
all'art.  3,   assunta   come   tertium   comparationis   nell'ambito
dell'invocato  scrutinio  di  costituzionalita',  trova  applicazione
quando l'agente, per l'indicazione di elementi passivi  fittizi,  non
si avvale delle fatture e degli altri documenti aventi  un  contenuto
probatorio analogo alle fatture, bensi'  pone  in  essere  gli  altri
descritti artifici irriducibili, alla luce di  quanto  oggi  previsto
dal comma 3 del medesimo articolo, ad un mero mendacio contabile. 
    Parallelamente, ai fini del riconoscimento del delitto ex art. 2,
decreto legislativo n.  74/2000,  cio'  che  tipizza  la  nozione  di
fatture  o  altri  documenti  per  operazioni  inesistenti   e'   sia
l'inesistenza dell'operazione economica  -  oggettiva  o  soggettiva,
totale o parziale - sia la natura del documento che la certifica, che
deve essere costituito  da  una  fattura  o  altro  documento  avente
rilievo probatorio analogo in base alle  norme  tributarie  (cfr.  in
quest'ottica. Cassazione Pen., 10 novembre 2011, n. 46785). 
    Stando a tale impostazione esegetica,  dunque,  sarebbe  soltanto
l'efficacia  probatoria  (declinata  sulla  falsariga   delle   norme
tributarie) del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta
l'elemento  specializzante  volto  a   qualificare   la   fattispecie
incriminatrice descritta  dall'art.  2  e,  al  contempo,  a  tenerla
distinta da quella prevista dall'art. 3 del  decreto  legislativo  n.
74/2000 (cfr., in tal senso. Cassazione Pen.,  7  febbraio  2007,  n.
12284: Cassazione Pen., 2 dicembre 2011, n. 5642). 
    Ulteriore indice rivelatore della sostanziale omogeneita' tra  le
evocate disposizioni incriminatrici si ricava  dalla  sovrapposizione
delle  definizioni  di  «operazioni  inesistenti  (sintagma  presente
all'art.  2)  ed  «operazioni  simulate»  (sintagma  utilizzato   dal
legislatore nel corpo dell'art. 3), sovrapposizione  che,  ad  avviso
dello stesso Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione
(4) , andrebbe decifrata nel senso di non ravvisare differenza alcuna
tra  operazioni  simulate  ed  apparenti,  la  cui   riconducibilita'
all'art.  2  o  all'art.  3  del  decreto  legislativo   n.   74/2000
dipenderebbe esclusivamente dalla sussistenza o  meno  del  documento
contabile nonche' dalla eventuale copertura cartolare  offerta  dalla
fattura. 
    Alla luce degli evidenziati profili di identita' sostanziale  tra
le evocate disposizioni incriminatrici, pertanto, risulta  tutt'altro
che manifestamente  infondato  il  dubbio  di  una  possibile  quanto
stridente irragionevolezza immanente ad un sistema che diversifica il
trattamento - non quanto alla  pena  (che  risulta  invero  identica,
essendo entrambe le condotte punite con la reclusione da  un  anno  a
sei mesi a sei anni) bensi' in dipendenza  di  un  piu'  circoscritto
orizzonte applicativo derivante da  soglie  di  punibilita'  presenti
solo nel corpo dell'art. 3 - tra condotte (utilizzo di fatture false,
compimento di operazioni simulate, uso di altri documenti falsi o  di
ulteriori mezzi  fraudolenti)  tutte  riconducibili  all'unico  genus
della frode fiscale, tra le quali e' plausibile  che,  quantomeno  in
astratto, proprio quelle descritte dall'art. 3 possano  rappresentare
per  la  loro  particolare  insidiosita',  un  pericolo  in  concreto
sicuramente eguale (se  non  piu'  elevato)  per  il  bene  giuridico
presidiato dall'ordito normativo in materia tributaria. 
    La scelta di criminalizzare le condotte maggiormente offensive in
ambito  tributario  attingendo  allo  strumento   della   soglia   di
punibilita'  -  intimamente  avvinta  all'essenza  della  fattispecie
incriminatrice e, in  quanto  tale  da  declinarsi  alla  stregua  di
elemento costitutivo del reato  (5)  -  non  puo'  sfuggire  (sebbene
ricadente nello spazio di discrezionalita' riservato al  legislatore)
al canone della ragionevolezza, che impone di non  differenziare,  in
assenza   di   giustificate   istanze   punitive,   il    trattamento
sanzionatorio in relazione a comportamenti di eguale gravita'. 
    La  sola  ricorrenza  in  seno   alla   struttura   dell'art.   2
dell'elemento cartolare  costituito  dalla  fattura  o  da  documento
analogo in base alle norme tributarie e, dunque,  la  mera  efficacia
probatoria riconnessa ad essi  dalla  legislazione  extrapenale,  non
sembra rappresentare una valida giustificazione per differenziare  in
modo cosi' vistoso e palese il trattamento sanzionatorio riservato ai
soggetti responsabili delle condotte descritte dalla  fattispecie  di
cui all'art. 2 (del tutto sprovvista di aree di  non  punibilita')  e
quello (presidiato, invece, da soglie di  punibilita')  previsto  per
coloro che si rendano responsabili di condotte  connotate  da  eguale
valenza decettiva (atteso che - giova ribadirlo - non si puo' affatto
escludere, anche alla luce delle regole di comune esperienza, che  il
compimento  di  operazioni  simulate   e   l'avvalimento   di   mezzi
fraudolenti siano  idonei  ad  indurre  in  errore  l'amministrazione
finanziaria con il medesimo - se non maggiore - grado di insidiosita'
connesso all'utilizzo di fatture emesse  per  operazioni  inesistenti
(6) ). 
    Cosi' impostati i termini della questione, l'evidente  disparita'
di trattamento scaturente dal raffronto tra il disposto dell'art. 2 e
quello di cui all'art. 3 del decreto legislativo 74/2000 -  derivante
dall'assenza nella struttura della prima  fattispecie  di  soglie  di
punibilita' -  potrebbe  non  uscire  indenne  dallo   scrutinio   di
costituzionalita', e cio' non tanto in rapporto agli articoli 76 e 77
(posto che sulla scorta dell'uniforme  giurisprudenza  costituzionale
in subiecta materia, non sembrano ricorrere i margini  per  ravvisare
nell'operato del legislatore i  sintomi  dell'eccesso  di  delega  in
minus (7) ). quanto, sulla base di una diversificazione sanzionatoria
da ritenersi  inficiata  da  manifesta  ragionevolezza  in  relazione
all'art. 3 della Costituzione. 
    Sulla  scia  del  costante  insegnamento   della   giurisprudenza
costituzionale, invero, la configurazione delle fattispecie criminose
costituisce appannaggio esclusivo del potere legislativo  e,  quindi,
della discrezionalita'  del  legislatore,  censurabile  solo  -  come
appare nel caso di specie,  in  cui  si  registra  una  sperequazione
sanzionatoria tra fattispecie omogenee -  nell'ipotesi  di  manifesta
irragionevolezza (cfr. da  ultimo,  Corte  costituzionale  20  luglio
2016. n. 193). 
    E' appena - sufficiente precisare che la  pronuncia  manipolativa
sollecitato  da  questo  giudice  remittente  non  si  sostanzierebbe
affatto  nell'introduzione  di  nuove   sanzioni   penali   o   nella
trasposizione di pene edittali da una fattispecie all'altra (il  che,
in effetti - come perentoriamente rimarcato da Corte  costituzionale,
2 febbraio 2007, n. 22 si tradurrebbe  nell'esercizio  di  un  potere
riservato al legislatore), bensi' si risolverebbe in un intervento di
tipo additivo del tutto ammissibile, e cio' in quanto la  sostanziale
identita' tra la fattispecie di cui  all'art.  2  e  quella  prevista
dall'art. 3  del  decreto  legislativo  n.  74/2000  consentirebbe  -
adoperando  le  stesse   espressioni   rintracciabili   nel   tessuto
motivazionale di Corte costituzionale 2 febbraio 2007, n.  22,  7.3 -
di rilevare  l'eventuale  violazione  del  canone  di  ragionevolezza
nell'esercizio della discrezionalita' legislativa (cfr.  anche  Corte
costituzionale 26 luglio 2005. n. 325). 
    Ne'  potrebbe  obiettarsi  che  la  lacuna  normativa   derivante
dall'omesso innesto  delle  soglie  di  punibilita'  nella  struttura
dell'art. 2 sia giustificabile attingendo all'argomento  a  contrario
compendiato nel brocardo ubi lex voluit, dixit; ubi noluit tacuit. E'
pur vero, datti, che il legislatore gode di un amplissimo spettro  di
discrezionalita' nella configurazione delle  fattispecie  di  diritto
penale e nella relativa architettura sanzionatoria, ma e' altrettanto
inconfutabile che il potere da esso esercitato  incontra  il  limite,
alla luce di quanto appena  esposto.  del  canone  ermeneutico  della
ragionevolezza, che impedisce che le  scelte  legislative  trasmodino
nella  manifesta  disparita'  di  trattamento  o  nell'ingiustificato
arbitrio (cfr. la gia' menzionata  Corte  costituzionale,  20  luglio
2016, n. 193). 
    Nondimeno, un intervento  manipolativo  articolato  negli  stessi
termini delineati dalla difesa dell'imputato (cioe'  con  riferimento
ad una sola delle due soglie  contemplate  dall'art.  3  del  decreto
legislativo n. 74/2000 e piu'  segnatamente,  a  quella  relativa  al
valore assoluto  dell'imposta  evasa)  rischierebbe,  infrangendo  il
criterio cd. delle rime obbligate,  di  rivelarsi  inammissibile.  in
quanto atto ad invadere lo  spazio  riservato  alla  discrezionalita'
legislativa, ragion per cui l'invocato scrutinio di costituzionalita'
non puo' che  polarizzarsi  su  entrambe  le  soglie  di  punibilita'
disciplinate dall'art. 3 del piu' volte citato decreto legislativo n.
74/2000. 
    Sulla scia delle considerazioni svolte, pertanto, in  assenza  di
precise istanze punitive che giustifichino una  differenziazione  nel
trattamento sanzionatorio tra  fattispecie  sostanzialmente  omogenee
quali risultano essere l'art. 2 e l'art. 3 del decreto legislativo n.
74/2000. sembra piu' che concreto il rischio  che  l'attuale  assetto
normativo si' ponga in contrasto con l'art. 3 della Costituzione  per
manifesta irragionevolezza. rischio  che  questo  giudice  remittente
ritiene  disinnescabile  soltanto  qualora  la  Corte  costituzionale
dichiari l'illegittimita' dell'art.  2  del  decreto  legislativo  n.
74/2000 nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi
descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa  e'
superiore, con riferimento a taluna delle singole  imposte,  ad  euro
trentamila;  h)  l'ammontare  complessivo   degli   elementi   attivi
sottratti all'imposizione, anche  mediante  indicazione  di  elementi
passivi fittizi, e' superiore  al  cinque  per  cento  dell'ammontare
complessivo  degli  elementi  attivi  indicati  in  dichiarazione,  o
comunque,  superiore  ad  euro  un  milione  cinquecentomila,  ovvero
qualora l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie
in  diminuzione  dell'imposta,  e'  superiore  al  cinque  per  cento
dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro trentamila. 

(1) Cfr, in questi precisi termini, art. 8 della legge n.  23/2014  -
    Delega al Governo recante disposizioni  per  un  sistema  fiscale
    piu' equo, trasparente ed orientato alla crescita 

(2) Cfr., in questo senso. Relazione n. III/05/2015  del  28  ottobre
    2015, Ufficio del Massimario, Settore Penale, 18  

(3) A fronte del tenore letterale dell'art. 3, il cui incipit  «fuori
    dai casi previsti dall'art. 2» indurebbe ictu acuti a scorgervi i
    lineamenti di una  clausola  di  sussidiarieta'.  A  ben  vedere,
    tuttavia, il criterio della specialita'  reciproca  o  bilaterale
    (per quanto osteggiato in dottrina) si rivela il  piu'  idoneo  a
    decifrare i rapporti di interazione tra la  disposizione  di  cui
    all'art. 2 e quella, assunta come tertium comparationis,  di  cui
    all'art 3, se non altro per la dirimente considerazione, di  tipo
    diacronico, che le norme in questione - come peraltro argomentato
    anche dalla difesa dell'imputato  -  si  riconnettono  al  comune
    genus della frode fiscale in  passato  disciplinata  dall'art.  4
    della legge n. 516/1982 

(4) Cfr. Relazione n. III/05/2015 del 23 ottobre 2015, cit., 17-18. 

(5) Sebbene alcuni interpreti,  soprattutto  allo  scopo  di  rendere
    compatibile l'elemento soggettivo  de  dolo  specifico  richiesto
    dalla maggior parte delle disposizioni incriminatrici  di  natura
    tributaria con una  struttura  della  fattispecie  caratterizzata
    dalla presenza di soglie di punibilita' preferiscano  qualificare
    queste ultime come condizioni obiettive di punibilita' in  quanto
    tali da sottrarre alla rappresentazione del fatto  (almeno  nella
    sua dimensione quantitativa) da parte dell'agente.  

(6) Cfr. ancora, a tal riguardo, le  riserve  formulate  dall'Ufficio
    del Massimario della Suprema Corte di  cassazione,  Relazione  n.
    III 05/2015 del 28 ottobre 2015. cit., 18 

(7) Tenuto conto del fatto che sul limite, per cosi' dire. -negativo"
    dell'eccesso di delega in mini (che altro non e' che la  parziale
    attuazione  della  delega  da  parte  dell'esecutivo)  la   Corte
    costituzionale ha sempre confermato il  consolidato  orientamento
    giurisprudenziale secondo cui l'esercizio incompleto della delega
    non comporta di per se' violazione degli articoli 76 e  77  della
    Costituzione, salvo che cio'  non  determini  uno  stravolgimento
    della legge di  delegazione  (cfr..  ex  multis,  Corte  Cost,  6
    ottobre 2014. n. 229