CORTE DI APPELLO DI NAPOLI ottava sezione penale misure di prevenzione La Corte di Appello di Napoli, ottava sezione penale, riunita in Camera di consiglio, in persona dei magistrati: dott.ssa Giovanna Grasso: Presidente; dott.ssa Gabriella Gallucci: consigliere; dott. Furio Cioffi: consigliere relatore, nel giudizio di appello in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali ex leggi nn. 1423/1956, 575/1965 e 152/1975 proposto da: V. C., nata a ... il ... - proposta; F. C., nata a ... il ... - terza intestataria; G. F., nato a ... il ... - terzo intestatario; G. C., nata a ... il ... - terzo intestatario; G. A., nata a ... il ... - terzo intestatario; G. A., nato a ... il ... - terzo intestatario; B. I., nata a ... il ... - terzo intestatario; G. C., nata a ... il ... - terzo intestatario; A. U., nato a ... il ... - terzo intestatario; M. R., nato a ... il ... - terzo intestatario; D.R. G., nato a ... il ... - terzo intestatario; C. M., nato a ... il ... - terzo intestatario, avverso il decreto n. 350/2014 reg. dec. dei 30.09-23.12.2014 con il quale il Tribunale di Napoli, sezione per le misure di prevenzione, ha imposto a V. C. la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni quattro, con obbligo di soggiorno nel territorio del comune di residenza e cauzione di buona condotta nella misura di ventimila euro, ritenendola portatrice di pericolosita' generica ai sensi dell'art. 1, nn. 1) e 2), legge n. 1423/1956, ed ha altresi' ordinato nei suoi confronti la confisca ex articoli 2-ter legge n. 575/1965 e 19 legge n. 152/1975 di numerosi beni mobili ed immobili intestati alle terze persone indicate in premessa. Osserva 1. Con decreto n. 350/2014 rd dei 30.09-23.12.2014 emesso ai sensi delle leggi nn. 1423/1956 e 575/1965 il Tribunale di Napoli, sezione per le misure di prevenzione, ha imposto a V. C. la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di anni quattro, con obbligo di soggiorno nel territorio del comune di residenza e cauzione di buona condotta nella misura di ventimila euro, ritenendola portatrice di pericolosita' generica ai sensi dell'art. 1, nn. 1) e 2), legge n. 1423/1956, ed ha altresi' ordinato nei suoi confronti la confisca ex art. 2-ter legge n. 575/1965 di numerosi beni mobili ed immobili intestati alle terze persone indicate in premessa ma ritenuti nella di lei disponibilita' e di valore sproporzionato al di lei patrimonio lecito e giustificato. Avverso tale decreto hanno proposto appello la sottoposta V. C. ed i terzi intestatari prima indicati, lamentando la carenza di pericolosita', e comunque di attualita' della pericolosita' sociale della V., nonche' la carenza del presupposto della disponibilita' in capo alla V. dei beni intestati ai terzi ed in ogni caso la legittima provenienza del patrimonio intestato e nella disponibilita' della V. e l'assenza di sproporzione tra esso patrimonio ed il valore dei beni confiscati. 2. La normativa applicabile alla fattispecie e' quella prevista, quanto alle misure di prevenzione personali, dalla legge n. 1423/1956 e, quanto alle misure patrimoniali, dalla legge n. 575/1965 attraverso l'art. 19 legge n. 152/1975, dal momento che la proposta per l'applicazione di misure di prevenzione fu depositata dal Questore di Napoli il 5 maggio 2010, prima dunque del 13 ottobre 2011, sicche' e' esclusa l'applicazione del decreto legislativo n. 159/2011 in virtu' della espressa previsione transitoria recata dall'art. 117 dello stesso decreto legislativo n. 159/2011. 3. Con sentenza pubblicata il 23 febbraio 2017, resa nel procedimento n. 43395/09, De Tommaso contro Italia, la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha espressamente affermato che le previsioni degli articoli 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956 si pongono in contrasto con il disposto dell'art. 2 del protocollo n. 4 addizionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 217/1982. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, Grande Camera, ha affermato che le norme citate contrastano con la liberta' di circolazione prevista dall'art. 2 cit. perche' difettano di precisione e di prevedibilita' sia nell'indicazione delle categorie dei soggetti sottoponibili a misura di prevenzione personale sia nella descrizione del contenuto precettivo delle misure di prevenzione, e connesse prescrizioni, conseguenti all'imposizione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Al paragrafo 125 della sentenza si legge che l'intera legge n. 1423/1956 e' stata formulata in termini eccessivamente vaghi e generici e che non sono stati definiti con sufficiente precisione e chiarezza ne' i soggetti che possono essere sottoposti a misura di prevenzione secondo l'art. 1 ne' il contenuto delle misure di prevenzione applicabili secondo gli articoli 3 e 5. Nel successivo paragrafo 126 si afferma che, dunque, l'interferenza derivante dalla normativa interna con la liberta' riconosciuta alla persona dalla Convenzione EDU si fonda su norme di legge che non presentano i requisiti di chiarezza, precisione e completezza precettiva («lawfulness») richiesti dalla medesima Convenzione, e pertanto la compressione della liberta' prevista dall'art. 2 del protocollo addizionale n. 4 non e' fondata sulla legge (cioe' non e' fondata su una legge in possesso dei requisiti richiesti dalla Convenzione), cosi' determinandosi la violazione della Convenzione. Ne consegue che il cittadino, che per effetto dell'imposizione della misura di prevenzione patisce limitazione della liberta' di circolazione, tutelata dal protocollo addizionale n. 4, non e' posto in grado di comprendere quali condotte debba tenere e quali condotte debba evitare, per non incorrere nella misura di prevenzione, ne' e' posto in grado di comprendere quali condotte debba tenere e quali debba evitare per non incorrere in violazione delle prescrizioni connesse all'imposizione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Tale assetto normativo viola l'art. 2 del protocollo addizionale n. 4. 4. L'art. 117 della Costituzione prevede che la potesta' legislativa statale e regionale vada esercitata nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, che derivano fra l'altro anche dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo. E' per questo motivo che le decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che interpretino la Convenzione assegnando specifico contenuto precettivo alle norme della stessa, particolarmente quando assunte dalla Grande Camera e come tali espressive di orientamento uniformme e definitivo della Corte, pur non potendo essere direttamente applicate dal giudice comune interno si pongono come parametro costituzionale interposto, assumendo la norma convenzionale, cosi' come interpretata, rango costituzionale, con il conseguente obbligo del giudice comune interno, quando non sia possibile rinvenire una interpretazione della norma interna conforme alla norma convenzionale, di sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma interna per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione al contrasto con la norma convenzionale (Corte Cost., sentenza n. 349 /2007). 5. Nel caso di specie, si e' gia' esposto come la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia espressamente, recisamente e complessivamente dichiarato che il contenuto descrittivo e precettivo degli articoli 1, 3 e 5 legge n. 1423/1956 viola l'art. 2 del protocollo addizionale n. 4 per difetto di precisione e prevedibilita', sicche' non esiste alcuna via interpretativa per adeguare le disposizioni delle norme citate alla norma convenzionale, dovendo a tal fine il giudice comune procedere ad una riformulazione complessiva delle disposizioni di legge in contestazione, riservata esclusivamente al legislatore. Deve pertanto ritenersi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956 per contrasto con l'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 2 del protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali. 6. La rilevanza della questione per il giudizio pendente innanzi a questa Corte d'appello risiede nel rilievo per cui l'appellante censura proprio la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 1 legge n. 1423/1956 ner l'imposizione di misure di prevenzione personali nei confronti di V. C., che peraltro e' attualmente sottoposta alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza impostale con il decreto appellato, se cioe' ella rientri in una delle categorie ivi contemplate, e se vi rientri all'attualita'; inoltre, la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, pure imposta con il medesimo decreto ed oggetto di appello, si fonda necessariamente sulla pericolosita' generica, anche non attuale, della medesima V. C., ai sensi dell'art. 2-ter legge n. 575/1965 per effetto del disposto dell'art. 19 legge n. 152/1975. Ne consegue che per delibare gli appelli proposti, questa Corte e' tenuta ad applicare il disposto degli articoli 1, 3 e 5 legge n. 1423/1956, 2-ter legge n. 575/1965 e 19 legge n. 152/1975, ne' si ravvisano, allo stato, elementi per ritenere che gli appelli debbano essere accolti o rigettati a prescindere dalla concreta applicazione al caso concreto di tali disposizioni di legge. 7. La questione di legittimita' costituzionale va dunque sollevata nei termini indicati e deve essere estesa a due ulteriori norme. In primo luogo, essa va estesa all'art. 19 della legge n. 152/1975, che prevede l'applicazione delle disposizioni della legge n. 575/1965, la quale a sua volta disciplina le misure di prevenzione patrimoniali applicabili alle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose, anche nei confronti delle persone contemplate dall'art. 1, nn. 1) e 2), legge n. 1423/1956. Si osserva in proposito che poiche' le misure di prevenzione patrimoniali, oggetto del giudizio di appello pendente innanzi a questa Corte, sono state imposte nei confronti di persona portatrice di pericolosita' generica ai sensi dell'art. 1 legge n. 1423/1956 per effetto dell'art. 19 legge n. 152/1975, nel momento in cui si afferma che l'art. 1 legge n. 1423/1956 e' costituzionalmente illegittimo perche' contrasta con l'art. 2 del protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione EDU in ragione dell'assenza di precisione e prevedibilita' che lo caratterizza, deve conseguentemente affermarsi il medesimo contrasto anche con riferimento all'art. 19 cit., pervenendo si altrimenti all'illogica conseguenza per cui le misure di prevenzione patrimoniali potrebbero essere imposte nei confronti di persone che non possono definirsi pericolose a seguito della dichiarata illegittimita' costituzionale della norma che definisce tale pericolosita'. Si perverrebbe pertanto al paradossale assetto normativa per cui persone non pericolose potrebbero essere destinatarie di misure di prevenzione patrimoniali, aggiungendo cosi' alla violazione della Convenzione EDU anche la violazione dell'art. 42 della Costituzione, trasformando le misure di prevenzione patrimoniali in una vietata actio in rem. Vero e' che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha rilevato il contrasto con riferimento alla liberta' di circolazione, sicche' le misure di prevenzione patrimoniali potrebbero ritenersi estranee alla violazione di quella liberta'. Deve tuttavia osservarsi che poiche' il contrasto e' stato ricostruito in modo totalmente demolitivo, avendo la Corte europea dei diritti dell'uomo affermato che l'art. 1 legge n. 1423/1956 reca un contenuto precettivo cosi' generico e vago da non partecipare dei requisiti minimi per essere considerato una legge secondo gli standard della Convenzione EDU, l'ipotesi di fondare le misure di prevenzione patrimoniali sulle categorie soggettive previste dall'art. 1 legge n. 1423/1956 finirebbe per ricollegare le misure patrimoniali al medesimo precetto del tutto privo di chiarezza e precisione, con l'evidente effetto di violare, in luogo della liberta' di circolazione, il diritto di proprieta' tutelato dall'art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione EDU, «Protezione della proprieta'», il cui secondo comma prevede che «nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale». Non appare infondato argomentare, in proposito, che se l'art. 1 legge n. 1423/1956 non puo' essere considerato una legge secondo lo standard della Convenzione, esso non puo' nemmeno dettare le «condizioni previste dalla legge» che consentono agli Stati aderenti alla Convenzione EDU di comprimere il diritto di proprieta' ai sensi del richiamato art. 1 del primo protocollo addizionale. In definitiva l'art. 19 legge n. 152/1975, una volta accertato il contrasto dell'art. 1 legge n. 1423/1956 con la Convenzione EDU, viola sicuramente l'art. 1 del primo protocollo addizionale, oltre che l'art. 2 del protocollo addizionale n. 4, prevedendo l'imposizione di misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di chi non e' pericoloso ed in base a condizioni poste da fonte normativa che secondo gli standard della Convenzione non puo' ritenersi avere forza e valore di legge. In secondo luogo, la questione di legittimita' costituzionale va estesa all'art. 4, comma 1, lettera c), all'art. 1, all'art. 6 ed all'art. 8 decreto legislativo n. 159/2011, che riproducono il contenuto degli articoli 1, 3 e 5 legge n. 1423/1956, abrogati per effetto dello stesso decreto legislativo n. 159/2011 con riferimento alle proposte di prevenzione depositate dal 13 ottobre 2011.