PROCURA DELLA REPUBBLICA 
                     presso il Tribunale di Bari 
 
    Ricorso ex art. 37, legge 11 marzo 1953, n.  87  del  Procuratore
della Repubblica  presso  il  Tribunale  di  Bari  per  conflitto  di
attribuzione  con  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
relazione a disposizioni dell'art. 18, comma 5,  decreto  legislativo
19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di  razionalizzazione
delle funzioni di polizia e assorbimento del  Corpo  forestale  dello
Stato). 
    Dispone tra l'altro, testualmente, la norma dell'art.  18,  comma
5, decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177: 
      «...al fine di rafforzare gli interventi  di  razionalizzazione
volti ad evitare duplicazioni e  sovrapposizioni  anche  mediante  un
efficace  e  omogeneo  coordinamento  informativo,  il   capo   della
polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle
altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui  i
responsabili di ciascun presidio di polizia interessato,  trasmettono
alla propria scala gerarchica le notizie relative  all'inoltro  delle
informative di  reato  all'autorita'  giudiziaria,  indipendentemente
dagli  obblighi  prescritti  dalle  norme  del  codice  di  procedura
penale». 
    - La legge delega 7 agosto 2015, n. 124 all'art. 8 contemplava il
seguente principio, cui  il  legislatore  delegato  era  chiamato  ad
attenersi: «...razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle
funzioni di polizia anche in funzione di  una  migliore  cooperazione
sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e  di
favorire la gestione associata dei servizi strumentali...». 
    Non  pertinente  alla  fattispecie  in  esame   la   disposizione
dell'art.  17,  comma  1,   lett.   u),   della   legge   delega   («
razionalizzazione  dei  flussi  informativi   dalle   amministrazioni
pubbliche alle amministrazioni  centrali...»),  perche'  relativa  al
tema del riordino della disciplina del lavoro alle  dipendenze  delle
amministrazioni pubbliche. 
    Nessun cenno nei lavori  parlamentari  della  legge  n.  124/2015
circa la possibilita' che fosse prevista per il legislatore  delegato
la possibilita' di disporre  una  comunicazione  in  via  gerarchica,
indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di
procedura penale, quale quella poi invece introdotta dall'Esecutivo a
carico degli organi di polizia giudiziaria procedenti. Dal  resoconto
dei lavori della prima  e  della  quarta  Commissione  riunite  della
Camera dei Deputati del 12 luglio 2016  emerge  che  detto  organismo
consultivo, nel licenziare, a maggioranza, il parere favorevole  allo
schema di decreto legislativo presentato dal  Governo,  formulo'  una
serie  di  osservazioni,  tra  le  quali   quella   che   evidenziava
l'«opportunita' di garantire un coordinamento  anche  informativo  al
fine  di  evitare  duplicazioni  o  sovrapposizioni...»  e  «...   di
applicare la previsione di cui all'art. 237  del  testo  unico  delle
disposizioni in materia di ordinamento militare a tutte le  Forze  di
polizia di cui al presente decreto» (con riferimento al  decreto  del
Presidente  della  Repubblica   n.   90/2010,   testo   unico   delle
disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, per il
quale «Indipendentemente dagli obblighi prescritti  dalle  norme  del
codice di procedura  penale,  i  comandi  dell'Arma  dei  carabinieri
competenti  all'inoltro  delle  informative  di  reato  all'autorita'
giudiziaria, danno notizia alla scala gerarchica della  trasmissione,
secondo le modalita' stabilite con apposite istruzioni del Comandante
generale dell'Arma dei Carabinieri»). 
    Per effetto della disposizione dell'art. 18, comma 5  in  oggetto
(che, come  gia'  ricordato,  prevede  obbligo  di  comunicazione  di
notizie   relative   all'inoltro   delle   informative    di    reato
«...indipendentemente  dagli  obblighi  prescritti  dalle  norme  del
codice di procedura penale») deve ritenersi parzialmente  abrogato,in
parte qua, il segreto investigativo disposto dall'art. 329 del codice
procedura  penale  («Gli  atti  d'indagine  compiuti   dal   pubblico
ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a
quando l'imputato non ne possa  avere  conoscenza  e,  comunque,  non
oltre la chiusura delle indagini  preliminari»),  la  violazione  del
quale e' sanzionata dall'art. 326 del codice penale. 
    Ritiene questo  Procuratore  della  Repubblica  che  l'intervento
normativo   dell'Esecutivo   abbia   leso   prerogative   di    rango
costituzionale pertinenti all'Autorita' Giudiziaria  requirente,  con
riferimento al principio di obbligatorieta'  dell'azione  penale,  ex
art. 112 Cost., cui il segreto investigativo  strettamente  inerisce,
nonche' in relazione alla statuizione della diretta dipendenza  della
polizia giudiziaria dall'autorita'  giudiziaria  affermata  dall'art.
109 Carta e che, per la rimozione dall'ordinamento della disposizione
che contempla la trasmissione di  notizie  circa  le  informative  di
reato ai vertici gerarchici, ad opera  delle  Forze  di  polizia,  al
dichiarato fine di rafforzare interventi di  razionalizzazione  volti
ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace
e omogeneo  coordinamento  informativo,  non  vi  sia  altro  rimedio
esperibile  che  il  ricorso  a  codesta  Corte  per   conflitto   di
attribuzione. 
    Circa  la  legittimazione  del   Procuratore   della   Repubblica
all'elevazione del conflitto non possono nutrirsi  dubbi,  alla  luce
dell'ormai consolidata giurisprudenza di  codesta  Corte.  Si  tratta
infatti di organo al  quale  ineriscono  attribuzioni  costituzionali
che, ai sensi dell'art. 112 Cost., e' titolare diretto  ed  esclusivo
dell'attivita'  d'indagine  finalizzata   all'esercizio   dell'azione
penale, abilitato a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene, in posizione di istituzionale indipendenza (cfr., tra
le tantissime, Corte cost., ord. 337/07, 124/07, 73/06, 404/05  circa
la legittimazione attiva e sent. 410/98, ord. 104/11, 426/97 e 266/98
a proposito della legittimazione passiva). 
    Ne'  la  legittimazione  attiva  puo'  ravvisarsi  in   capo   al
Procuratore Generale presso la Corte  d'appello,  in  relazione  alle
attribuzioni oggetto del presente conflitto,  a  nulla  rilevando  le
facolta' ed i poteri di detto organo in tema di avocazioni d'indagini
(cfr. Corte  cost.,  sent.  n.  420/1995,  462  e  463/1993).  Quanto
all'interesse del Procuratore della Repubblica di Bari, da intendersi
come  interesse  ad  agire,  la  cui  sussistenza  e'  necessaria   e
sufficiente a conferire al  conflitto  gli  indispensabili  caratteri
della concretezza ed attualita', non potendo la Corte essere adita  a
scopo meramente consultivo (cfr. Corte  cost.,  sent.  n.  420/1995),
esso si delinea con lapalissiana  evidenza.  Per  la  genericita'  ed
ambito applicativo di estesa diffusione la norma che si  contesta  e'
destinata a trovare indiscriminata applicazione nella  totalita'  dei
casi di inoltro di notizie di reato (circa  50.000  nuove  in  totale
ogni anno per questa Procura, in grandissima  percentuale  denunciate
proprio dalla polizia giudiziaria!) ed informative  successive.  Essa
pregiudica gravemente, dunque, la  riservatezza  e  segretezza  delle
indagini,  attributi   coessenziali   al   principio   costituzionale
dell'obbligatorieta' dell'azione penale quale  prerogativa  esclusiva
del pubblico ministero (art. 112 Cost.) e  al  tempo  stesso  collide
fortemente con la disposizione  dell'art.  109  Carta,  che  pone  la
polizia   giudiziaria   alle   dirette   dipendenze    dell'Autorita'
Giudiziaria. 
    Del pari pacifica e' la legittimazione passiva del Presidente del
Consiglio dei ministri allorquando, come nella specie, si denunci  il
conflitto di potere con riferimento  ad  un  atto  del  Governo  (per
tutte: Corte cost., sent. n. 420/1995). 
    Va inoltre precisato, in  relazione  alla  natura  dell'atto  del
Governo contro il quale si ricorre, che il conflitto di  attribuzione
e' certamente ammissibile, in quanto unico rimedio  esperibile  (cfr.
Corte  cost.,  sent.  221/02  e  457/99  ).  Evidente  il   carattere
necessariamente residuale di esso, posto che la normativa  impugnata,
con la previsione della deroga in parte  qua  alle  disposizioni  del
codice di rito penale che vincolano  al  segreto  investigativo,  non
consente l'instaurazione di un giudizio, nell'ambito  del  quale  sia
possibile sollevare questione incidentale di costituzionalita'. 
    La giurisprudenza di codesta Corte insegna che e' ammissibile  il
conflitto di attribuzione in relazione ad una  norma  recata  da  una
legge o da un atto avente forza di legge tutte le  volte  in  cui  da
essa «possono derivare  lesioni  dirette  dell'ordine  costituzionale
delle competenze» (Corte cost. ord. n. 343/2003, 16/2013  e  numerose
altre), ad eccezione dei casi in cui esista un giudizio nel quale  la
norma debba trovare applicazione e quindi possa essere  sollevata  la
questione incidentale sulla legge (ibidem). 
    Vorra'  dunque  codesta  Corte,  preliminarmente,   ritenuta   la
sussistenza del conflitto e la  propria  competenza,  dichiarare  con
ordinanza ammissibile il conflitto. 
    Sotto il profilo oggettivo, 
 
                  si osserva e rileva quanto segue 
 
    La norma dell'art. 18, comma 5 e' viziata da eccesso di delega. 
    Al riguardo si e' espresso in termini critici nei  confronti  del
testo prescelto dal legislatore delegato il Consiglio Superiore della
Magistratura (delibera del 14 giugno 2017). Cosi testualmente: 
      «Il primo rilievo emerge dal confronto fra la legge delega e la
norma inserita nel testo del citato decreto  legislativo,  in  quanto
nella delega conferita dal Parlamento non risulta  enunciato,  tra  i
criteri  cui   avrebbe   dovuto   attenersi   il   potere   esecutivo
nell'elaborazione  dell'atto  di  normazione  delegata,  quello   cui
risulta di fatto ispirata la disposizione dell'art. 18, 5° comma, del
decreto legislativo n. 177/2016. La presenza nella  norma  di  delega
del   riferimento    alla    "razionalizzazione    e    potenziamento
dell'efficacia delle funzioni di polizia anche  in  funzione  di  una
migliore   cooperazione   sul   territorio   al   fine   di   evitare
sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei
servizi strumentali" (art. 8, comma 1, lett. a) non appare  idonea  a
sostenere la  norma  delegata,  per  come  formulata  e  per  il  suo
contenuto che incide direttamente sulla attivita' investigativa. 
    Nessun cenno infatti  nei  lavori  parlamentari  della  legge  n.
124/2015   in   ordine   alla   possibilita'   che   fosse   prevista
dall'Esecutivo una comunicazione in via gerarchica di  tal  genere  a
carico degli organi di P.G. procedenti. Come ricostruito dall'Ufficio
studi emerge invece dal resoconto dei  lavori  della  Prima  e  della
Quarta Commissione riunite della Camera dei Deputati  del  12  luglio
2016  che  l'anzidetto  organismo  consultivo,  nel   licenziare,   a
maggioranza,  il  parere   favorevole   sullo   schema   di   decreto
legislativo, presentato dal Governo, recante disposizioni in  materia
di razionalizzazione delle funzioni di  polizia  e  assorbimento  del
Corpo Forestale dello Stato, rese una serie di osservazioni, elencate
segnatamente in calce all'atto consultivo, alle lettere da a)  a  k),
tra le quali quella di cui sub lett. c), in  cui  si  evidenziava  la
"... opportunita' di garantire un coordinamento anche informativo  al
fine  di  evitare  duplicazioni  o  sovrapposizioni..."  e  "...   di
applicare la previsione di cui all'art. 237 del T.U.O.M (Testo  Unico
delle disposizioni in materia di ordinamento  militare)  a  tutte  le
Forze di  polizia  di  cui  al  presente  decreto".  Dunque,  risulta
evidente che l'introduzione della comunicazione ai vertici gerarchici
della notizia relativa all'inoltro all'A.G. dell'informativa di reato
e' ascrivibile a un'iniziativa dell'Esecutivo, assunta,  in  sede  di
presentazione del decreto legislativo, a seguito  delle  osservazioni
formulate,  a  maggioranza,   dalle   citate   Commissioni   riunite,
nell'esercizio della propria attivita' consultiva  prevista  ex  art.
96-ter del regolamento della Camera dei Deputati. 
    L'introduzione, in sede di presentazione del testo  normativo  di
genesi governativa, di' una comunicazione di  tal  genere,  determina
tuttavia un primo dubbio,  giacche'  la  disposizione  in  esame  non
sembra essere conseguenza diretta ed  obbligata  dei  criteri  e  dei
principi indicati nella legge delega. 
    Al riguardo, va  evidenziato  che,  come  sostenuto  dalla  Corte
costituzionale nella nota sentenza n. 272 in data  6  dicembre  2012,
dichiarativa dell'incostituzionalita'  dell'art.  5,  1°  comma,  del
decreto legislativo n. 28/2010, che configurava come obbligatoria  la
mediazione  finalizzata  alla  conciliazione,  «Il  controllo   della
conformita' della norma delegata alla  norma  delegante  richiede  un
confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli,  l'uno
relativo alla norma che determina l'oggetto, i principi e  i  criteri
direttivi della delega;  l'altro  relativo  alla  norma  delegata  da
interpretare nel significato compatibile con questi ultimi». 
    La Consulta ha affermato quindi che «Il  contenuto  della  delega
deve essere  identificato  tenendo  conto  del  complessivo  contesto
normativo nel quale si inseriscono  la  legge  delega  e  i  relativi
principi  e  criteri  direttivi,  nonche'  delle  finalita'  che   la
ispirano, che costituiscono  non  solo  base  e  limite  delle  norme
delegate,  ma  anche  strumenti  per  l'interpretazione  della   loro
portata...», precisando che «La delega legislativa non  esclude  ogni
discrezionalita' del legislatore delegato, che  puo'  essere  piu'  o
meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati
nella legge delega...» e aggiungendo che «... pertanto, per  valutare
se il legislatore abbia ecceduto tali  margini  di  discrezionalita',
occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma
delegata sia con questa coerente (ex plurimis: sentenze  n.  230  del
2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007)». 
    Ha chiarito infine, con riguardo ai requisiti che devono  fungere
da cerniera tra i due atti normativa,  che  «  ...  i  principi  e  i
criteri  direttivi  della  legge   di   delegazione   devono   essere
interpretati sia tenendo  conto  delle  finalita'  ispiratrici  della
delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo
specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non  siano  in
contrasto con  gli  indirizzi  generali  della  stessa  legge  delega
(sentenza n. 341 del 2007, ordinanza n. 228 del 2005)». 
    Orbene, alla stregua di  quanto  autorevolmente  affermato  dalla
Corte, si rileva che nella citata legge delega, tra  i  criteri  e  i
principi direttivi enunciati all'art. 8,  1°  comma,  lett.  a),  non
risulta esplicitata la previsione di una comunicazione  alla  propria
«scala gerarchica» -  da  effettuarsi  a  cura  dei  responsabili  di
ciascun presidio di polizia  -  delle  notizie  relative  all'inoltro
all'A.G. delle informative di reato in concreto acquisite. 
    Sul punto la norma richiamata, che  pure  per  altri  aspetti  si
rivela non poco dettagliata, e'  del  tutto  silente,  non  potendosi
intendere come delega  all'introduzione  di  una  previsione  di  tal
genere, per l'assoluta eterogeneita' delle  materie,  l'enunciazione,
nel novero dei criteri cui avrebbe dovuto  concretamente  conformarsi
il legislatore  delegato,  di  quello  di  «...  razionalizzazione  e
potenziamento dell'efficacia  delle  funzioni  di  polizia  anche  in
funzione di una migliore  cooperazione  sul  territorio  al  fine  di
evitare sovrapposizioni di  competenze  e  di  favorire  la  gestione
associata dei servizi strumentali», contenuta nel richiamato art.  8,
1° comma, lett. a), della legge n. 124/2015, trattandosi di una norma
che si riferisce ad un ambito del tutto diverso. 
    La  previsione  sopra  riportata   non   sembra   sufficiente   a
giustificare l'introduzione della disposizione in esame,  ne'  a  tal
fine puo' rivelarsi utile il richiamo alla  ratio  ispiratrice  della
delega, tutta evidentemente  rivolta  ad  assolvere  ad  esigenze  di
semplificazione e razionalizzazione di uffici, servizi ed impiego  di
personale, ovvero ad un riordino settoriale delle funzioni di polizia
di tutela dell'ambiente, del territorio e del mare con la conseguente
riorganizzazione del corpo forestale dello stato. 
    D'altro canto, il rilievo critico attiene a un profilo di  grande
rilevanza, ove solo si consideri che con l'art.  18,  5°  comma,  del
decreto legislativo n.  177/2016  si  e'  introdotta,  a  carico  dei
responsabili di ciascun presidio di polizia, una comunicazione in via
gerarchica dell'avvenuto inoltro della notitia criminis all'A.G., che
potrebbe  collidere  con  talune  delle   regole   fondamentali   che
disciplinano  il  sistema  processual   penalistico   vigente,   come
proiezione di precisi precetti costituzionali in ordine al  principio
di obbligatorieta' dell'azione penale ed allo  statuto  del  pubblico
ministero e della polizia giudiziaria». 
    Alle riferite considerazioni questa Procura  ricorrente  aderisce
integralmente. 
    La norma  e'  stata  adottata  in  violazione  del  principio  di
obbligatorieta' dell'azione penale sancito  dall'art.  112  Cost.  Al
riguardo pare sufficiente richiamare il  giudizio  espresso  dal  CSM
(nella citata  delibera  15  giugno  2017,  che  in  parte  evoca  la
precedente del 23 luglio 2009 - parere sul d.d.l. n. 1440/S-): 
      «...non sfugge...  il  nesso  strumentale  sussistente  tra  il
principio di obbligatorieta' dell'azione  penale,  sancito  dall'art.
112 Cost., e la direttiva della disponibilita' diretta della  polizia
giudiziaria in favore dell'autorita' giudiziaria...»; si e'  asserito
altresi' che «Il principio  espresso  dall'art.  112  garantisce  tra
l'altro, secondo l'unanime  insegnamento  dottrinale,  l'indipendenza
funzionale  del  pubblico  ministero  da  ogni  altro  potere  e   in
particolare dal potere esecutivo...»; si e' osservato ancora che «...
e' chiaro che, nonostante l'indipendenza di  status  del  P.M.  e  il
correlato obbligo di procedere di fronte a ogni notizia di reato,  il
principio  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale  potrebbe  essere
sostanzialmente eluso dalla  concreta  organizzazione  della  polizia
giudiziaria, perche' quest'ultima - in  quanto  principale  fonte  di
cognizione  delle  notitiae  criminis,  fondamentale   strumento   di
indagine e organo esecutivo dei provvedimenti giudiziari  in  materia
penale  -  rappresenta  la  "chiave  di  volta"  dell'intero  sistema
dell'azione penale... »; si e' precisato poi che «e' ... evidente che
...  «per  quanto  efficiente  un  sistema  repressivo  penale  possa
risultare, e' del tutto normale che gran  parte  dei  reati  commessi
(...) rimangano impuniti  e  che  la  determinazione  dei  reati  che
debbano  restare  impuniti  dipenda,  oltre  che  dal  caso  e  dalla
capacita' degli autori  di  non  farsi  scoprire,  soprattutto  dalle
scelte di politica  giudiziaria  compiute  dagli  organi  di  polizia
giudiziaria e da chi li dirige», pertanto  chi  gestisce  la  polizia
giudiziaria   puo'   condizionarne   l'iniziativa   determinando   un
rafforzamento della sua dipendenza dal potere esecutivo...» e  si  e'
aggiunto infine che «Gli organi di polizia giudiziaria, ...nelle loro
diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti
dal Governo, ragion per cui essi  stessi  non  sono  assistiti  dalle
garanzie di autonomia e indipendenza che caratterizzano, invece,  gli
uffici del pubblico ministero». 
    Evidente e' anche la stretta correlazione  esistente  tra  azione
penale obbligatoria e segretezza delle indagini, la deroga alla quale
e'  in  concreto  foriera  di  rischi  per  l'esito  positivo   delle
investigazioni e, per cio'  stesso,  dell'effettivita'  ed  efficacia
dell'esercizio dell'azione penale.  Questa  la  ragione  del  sistema
codicistico, che contempla limiti e tempi precisi e rigorosi  per  la
segretezza. Regole, quelle del codice di rito, che  la  normativa  in
discussione disinvoltamente supera, peraltro a  beneficio  di  organi
dell'Amministrazione   neppure   dotati   della    connotazione    di
appartenenti alla  polizia  giudiziaria.  Del  tutto  irrazionalmente
perche' in  assenza  di  giustificazioni  coerenti  con  il  sistema,
inducendo dubbi addirittura in ordine alla possibile violazione anche
dell'  art.  3,  comma  1,  Cost.  Del  tutto  gratuita  e  priva  di
ragionevolezza e' operata  esclusione  dai  vincoli  alla  conoscenza
dell'attivita' d'indagine di un'intera categoria di soggetti privi di
legittimazione all'accesso ad essa. Tanto piu' che si tratta di  atti
segreti per gli stessi imputati ed i loro difensori. 
    Si denuncia infine violazione delle prerogative costituzionali di
cui all'art. 109 Cost., anche in tal caso richiamando adesivamente le
considerazioni sviluppate dal CSM nella citata delibera: 
      «... La Corte costituzionale,  sin  dalla  remota  sentenza  n.
94/63, ha affermato che l'art. 109 della Costituzione, che conferisce
all'Autorita' giudiziaria il potere di  disporre  direttamente  della
polizia  giudiziaria,  trova  la  sua  piena  giustificazione   nelle
superiori esigenze della funzione requirente e  giudiziaria  e  nella
necessita' di garantire alla magistratura la piu' sicura  e  autonoma
disponibilita' dei  mezzi  d'indagine.  Declinazione  costituzionale,
questa, meglio specificata  sempre  dalla  Corte  nella  sentenza  n.
114/68, ove si precisa che "... l'art. 109, a prescindere  dalle  sue
possibili implicazioni di carattere organizzativo, delle quali  molto
si e' discusso e tuttora si discute, ma  che  qui  non  rilevano,  ha
comunque e per intanto il preciso e univoco  significato  (sul  quale
questa Corte si e' soffermata nella sentenza del 6  giugno  1963,  n.
94) di istituire un rapporto di dipendenza funzionale  della  polizia
giudiziaria dall'autorita' giudiziaria,  escludendo  interferenze  di
altri poteri nella condotta delle indagini, in modo che la  direzione
ne  risulti  effettivamente  riservata   alla   autonoma   iniziativa
dell'autorita' giudiziaria medesima". 
    Tale sommaria delineazione della pregressa produzione  consiliare
e   del   formante    giurisprudenziale    costituzionale    dimostra
l'eterodossia  della  disposizione  in  esame  rispetto   all'assetto
costituzionale della polizia giudiziaria, che intravede  un  rapporto
di dipendenza funzionale della stessa dall'Autorita' giudiziaria, con
chiara esclusione di possibili interferenze  di  altri  poteri  nella
conduzione delle indagini. Ne consegue che la  comunicazione  in  via
gerarchica delle  informazioni,  prevista  dalla  legge  senza  alcun
filtro o controllo del P.M. precedente, rivolte fra l'altro  anche  a
soggetti che non rivestono  la  qualifica  di  ufficiale  di  polizia
giudiziaria  e  che,  per   la   loro   posizione   apicale,   vedono
particolarmente stretto il  rapporto  di  dipendenza  organica  dalle
articolazioni potere esecutivo, appare non essere  in  linea  con  le
prerogative  riconosciute  al   pubblico   ministero   nell'esercizio
dell'attivita'  d'indagine,  giacche'  le  stesse  sono   portate   a
conoscenza di soggetti esterni al perimetro dell'indagine  stessa,  e
non per  determinazione  autonoma  del  magistrato  (come  pure  puo'
accadere  per  le  necessita'  organizzative   o   logistiche   delle
indagini), ma per vincolo di legge, con il rischio che ne consegue di
possibili interferenze nell'esercizio dell'azione penale. 
    Per altro, ma non minore, verso non  v'e'  dubbio  che  anche  il
menzionato  obbligo  del  segreto   investigativo   sia   strumentale
all'attuazione del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale,
dell'efficacia   della   risposta   giurisdizionale   e   dell'uguale
soggezione dei cittadini alla legge». 
    Conclusivamente occorre  rimarcare  il  significato  estremamente
ambiguo dell'espressione "trasmettono alla propria  scala  gerarchica
le  notizie  relative  all'inoltro  delle  informative   di   reato".
L'espressione si presta ad interpretazioni di ogni genere, da  quella
piu'  restrittiva  (non  si  tratta  di   "trasmettere   alla   scala
gerarchica" le informative - e  quindi  non  verrebbe  violato  alcun
segreto o alcuna prerogativa  dell'A.G.  -  ma  solo  di  fornire  le
"notizie relative" e cioe' solo il fatto di aver  inoltrato  all'A.G.
una certa informativa riguardante un certo reato, il  tutto  ai  soli
fini del coordinamento), fino  alla  piu'  estensiva  (non  ha  senso
riferire alla scala gerarchica il  mero  "inoltro  delle  informative
all'A.G.", senza riferire ai  superiori  anche  il  contenuto  e  gli
sviluppi dell'attivita' investigativa", altrimenti che  coordinamento
sarebbe?).   L'ambiguita'   dell'espressione    e    le    incertezze
interpretative aprono uno  scenario  preoccupante  e  si  riverberano
sulla   gravita'   della   denunciata   lesione   delle   prerogative
costituzionali dell'A.G. 
    Se  poi  per  la  definizione  del  contenuto  precettivo   della
disposizione che si contesta  si  fa  riferimento  alla  disposizione
dell' art. 8, comma 1, lett. a) della legge delega 7 agosto 2015,  n.
124,  si  rilevera'  che,  pur  accedendo  all'interpretazione   piu'
restrittiva del disposto dell'art. 18, comma 5,  decreto  legislativo
n. 177/2016, il solo fatto che si  faccia  riferimento  nella  delega
alle finalita' di "evitare duplicazioni e  sovrapposizioni",  nonche'
assicurare... "una migliore cooperazione sul territorio  al  fine  di
evitare  sovrapposizioni   di   competenze",   fa   comprendere   che
l'intervento "coordinante" della "gerarchia" si risolverebbe  in  una
interferenza sulla conduzione delle indagini. Al contrario  e  non  a
caso, il nostro sistema  giudiziario,  in  materia  di  coordinamento
finalizzato  "ad  evitare  sovrapposizioni  di  competenze",  prevede
sempre l'affidamento di tali compiti alla sola Autorita'  Giudiziaria
(DNAA, DDA, Procura generale presso la Corte di  Cassazione,  Procure
Generali  presso  le  Corti  di  Appello,  norme  sulla   competenza,
conflitti positivi e negativi ecc.), al limite con la  partecipazione
consultiva delle Forze dell'Ordine. 
    Infine, il  riferimento  alla  "gestione  associata  dei  servizi
strumentali",  contenuto  nella  medesima   norma   del   legislatore
delegante,  dimostra  inequivocabilmente  che  l'interferenza   della
gerarchia nella  conduzione  delle  indagini  puo'  essere  veramente
penetrante.  Se,  come  e'  possibile,  per  servizi  strumentali  si
intendono  anche  i  mezzi  investigativi  piu'  invasivi   (ad   es.
intercettazioni di comunicazioni), va da se' che la scala  gerarchica
sarebbe  in  tal  modo  legittimata  a  conoscerli,  coordinarli   ed
addirittura "gestirli in modo associato", sottraendo tale  competenza
al coordinamento nazionale della DNAA.