PROCURA DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Bari Ricorso ex art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari per conflitto di attribuzione con il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione a disposizioni dell'art. 18, comma 5, decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato). Dispone tra l'altro, testualmente, la norma dell'art. 18, comma 5, decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177: «...al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato, trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorita' giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale». - La legge delega 7 agosto 2015, n. 124 all'art. 8 contemplava il seguente principio, cui il legislatore delegato era chiamato ad attenersi: «...razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali...». Non pertinente alla fattispecie in esame la disposizione dell'art. 17, comma 1, lett. u), della legge delega (« razionalizzazione dei flussi informativi dalle amministrazioni pubbliche alle amministrazioni centrali...»), perche' relativa al tema del riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Nessun cenno nei lavori parlamentari della legge n. 124/2015 circa la possibilita' che fosse prevista per il legislatore delegato la possibilita' di disporre una comunicazione in via gerarchica, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale, quale quella poi invece introdotta dall'Esecutivo a carico degli organi di polizia giudiziaria procedenti. Dal resoconto dei lavori della prima e della quarta Commissione riunite della Camera dei Deputati del 12 luglio 2016 emerge che detto organismo consultivo, nel licenziare, a maggioranza, il parere favorevole allo schema di decreto legislativo presentato dal Governo, formulo' una serie di osservazioni, tra le quali quella che evidenziava l'«opportunita' di garantire un coordinamento anche informativo al fine di evitare duplicazioni o sovrapposizioni...» e «... di applicare la previsione di cui all'art. 237 del testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare a tutte le Forze di polizia di cui al presente decreto» (con riferimento al decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, per il quale «Indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale, i comandi dell'Arma dei carabinieri competenti all'inoltro delle informative di reato all'autorita' giudiziaria, danno notizia alla scala gerarchica della trasmissione, secondo le modalita' stabilite con apposite istruzioni del Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri»). Per effetto della disposizione dell'art. 18, comma 5 in oggetto (che, come gia' ricordato, prevede obbligo di comunicazione di notizie relative all'inoltro delle informative di reato «...indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale») deve ritenersi parzialmente abrogato,in parte qua, il segreto investigativo disposto dall'art. 329 del codice procedura penale («Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari»), la violazione del quale e' sanzionata dall'art. 326 del codice penale. Ritiene questo Procuratore della Repubblica che l'intervento normativo dell'Esecutivo abbia leso prerogative di rango costituzionale pertinenti all'Autorita' Giudiziaria requirente, con riferimento al principio di obbligatorieta' dell'azione penale, ex art. 112 Cost., cui il segreto investigativo strettamente inerisce, nonche' in relazione alla statuizione della diretta dipendenza della polizia giudiziaria dall'autorita' giudiziaria affermata dall'art. 109 Carta e che, per la rimozione dall'ordinamento della disposizione che contempla la trasmissione di notizie circa le informative di reato ai vertici gerarchici, ad opera delle Forze di polizia, al dichiarato fine di rafforzare interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, non vi sia altro rimedio esperibile che il ricorso a codesta Corte per conflitto di attribuzione. Circa la legittimazione del Procuratore della Repubblica all'elevazione del conflitto non possono nutrirsi dubbi, alla luce dell'ormai consolidata giurisprudenza di codesta Corte. Si tratta infatti di organo al quale ineriscono attribuzioni costituzionali che, ai sensi dell'art. 112 Cost., e' titolare diretto ed esclusivo dell'attivita' d'indagine finalizzata all'esercizio dell'azione penale, abilitato a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene, in posizione di istituzionale indipendenza (cfr., tra le tantissime, Corte cost., ord. 337/07, 124/07, 73/06, 404/05 circa la legittimazione attiva e sent. 410/98, ord. 104/11, 426/97 e 266/98 a proposito della legittimazione passiva). Ne' la legittimazione attiva puo' ravvisarsi in capo al Procuratore Generale presso la Corte d'appello, in relazione alle attribuzioni oggetto del presente conflitto, a nulla rilevando le facolta' ed i poteri di detto organo in tema di avocazioni d'indagini (cfr. Corte cost., sent. n. 420/1995, 462 e 463/1993). Quanto all'interesse del Procuratore della Repubblica di Bari, da intendersi come interesse ad agire, la cui sussistenza e' necessaria e sufficiente a conferire al conflitto gli indispensabili caratteri della concretezza ed attualita', non potendo la Corte essere adita a scopo meramente consultivo (cfr. Corte cost., sent. n. 420/1995), esso si delinea con lapalissiana evidenza. Per la genericita' ed ambito applicativo di estesa diffusione la norma che si contesta e' destinata a trovare indiscriminata applicazione nella totalita' dei casi di inoltro di notizie di reato (circa 50.000 nuove in totale ogni anno per questa Procura, in grandissima percentuale denunciate proprio dalla polizia giudiziaria!) ed informative successive. Essa pregiudica gravemente, dunque, la riservatezza e segretezza delle indagini, attributi coessenziali al principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale quale prerogativa esclusiva del pubblico ministero (art. 112 Cost.) e al tempo stesso collide fortemente con la disposizione dell'art. 109 Carta, che pone la polizia giudiziaria alle dirette dipendenze dell'Autorita' Giudiziaria. Del pari pacifica e' la legittimazione passiva del Presidente del Consiglio dei ministri allorquando, come nella specie, si denunci il conflitto di potere con riferimento ad un atto del Governo (per tutte: Corte cost., sent. n. 420/1995). Va inoltre precisato, in relazione alla natura dell'atto del Governo contro il quale si ricorre, che il conflitto di attribuzione e' certamente ammissibile, in quanto unico rimedio esperibile (cfr. Corte cost., sent. 221/02 e 457/99 ). Evidente il carattere necessariamente residuale di esso, posto che la normativa impugnata, con la previsione della deroga in parte qua alle disposizioni del codice di rito penale che vincolano al segreto investigativo, non consente l'instaurazione di un giudizio, nell'ambito del quale sia possibile sollevare questione incidentale di costituzionalita'. La giurisprudenza di codesta Corte insegna che e' ammissibile il conflitto di attribuzione in relazione ad una norma recata da una legge o da un atto avente forza di legge tutte le volte in cui da essa «possono derivare lesioni dirette dell'ordine costituzionale delle competenze» (Corte cost. ord. n. 343/2003, 16/2013 e numerose altre), ad eccezione dei casi in cui esista un giudizio nel quale la norma debba trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge (ibidem). Vorra' dunque codesta Corte, preliminarmente, ritenuta la sussistenza del conflitto e la propria competenza, dichiarare con ordinanza ammissibile il conflitto. Sotto il profilo oggettivo, si osserva e rileva quanto segue La norma dell'art. 18, comma 5 e' viziata da eccesso di delega. Al riguardo si e' espresso in termini critici nei confronti del testo prescelto dal legislatore delegato il Consiglio Superiore della Magistratura (delibera del 14 giugno 2017). Cosi testualmente: «Il primo rilievo emerge dal confronto fra la legge delega e la norma inserita nel testo del citato decreto legislativo, in quanto nella delega conferita dal Parlamento non risulta enunciato, tra i criteri cui avrebbe dovuto attenersi il potere esecutivo nell'elaborazione dell'atto di normazione delegata, quello cui risulta di fatto ispirata la disposizione dell'art. 18, 5° comma, del decreto legislativo n. 177/2016. La presenza nella norma di delega del riferimento alla "razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali" (art. 8, comma 1, lett. a) non appare idonea a sostenere la norma delegata, per come formulata e per il suo contenuto che incide direttamente sulla attivita' investigativa. Nessun cenno infatti nei lavori parlamentari della legge n. 124/2015 in ordine alla possibilita' che fosse prevista dall'Esecutivo una comunicazione in via gerarchica di tal genere a carico degli organi di P.G. procedenti. Come ricostruito dall'Ufficio studi emerge invece dal resoconto dei lavori della Prima e della Quarta Commissione riunite della Camera dei Deputati del 12 luglio 2016 che l'anzidetto organismo consultivo, nel licenziare, a maggioranza, il parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, presentato dal Governo, recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo Forestale dello Stato, rese una serie di osservazioni, elencate segnatamente in calce all'atto consultivo, alle lettere da a) a k), tra le quali quella di cui sub lett. c), in cui si evidenziava la "... opportunita' di garantire un coordinamento anche informativo al fine di evitare duplicazioni o sovrapposizioni..." e "... di applicare la previsione di cui all'art. 237 del T.U.O.M (Testo Unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare) a tutte le Forze di polizia di cui al presente decreto". Dunque, risulta evidente che l'introduzione della comunicazione ai vertici gerarchici della notizia relativa all'inoltro all'A.G. dell'informativa di reato e' ascrivibile a un'iniziativa dell'Esecutivo, assunta, in sede di presentazione del decreto legislativo, a seguito delle osservazioni formulate, a maggioranza, dalle citate Commissioni riunite, nell'esercizio della propria attivita' consultiva prevista ex art. 96-ter del regolamento della Camera dei Deputati. L'introduzione, in sede di presentazione del testo normativo di genesi governativa, di' una comunicazione di tal genere, determina tuttavia un primo dubbio, giacche' la disposizione in esame non sembra essere conseguenza diretta ed obbligata dei criteri e dei principi indicati nella legge delega. Al riguardo, va evidenziato che, come sostenuto dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 272 in data 6 dicembre 2012, dichiarativa dell'incostituzionalita' dell'art. 5, 1° comma, del decreto legislativo n. 28/2010, che configurava come obbligatoria la mediazione finalizzata alla conciliazione, «Il controllo della conformita' della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l'uno relativo alla norma che determina l'oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l'altro relativo alla norma delegata da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi». La Consulta ha affermato quindi che «Il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega e i relativi principi e criteri direttivi, nonche' delle finalita' che la ispirano, che costituiscono non solo base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l'interpretazione della loro portata...», precisando che «La delega legislativa non esclude ogni discrezionalita' del legislatore delegato, che puo' essere piu' o meno ampia, in relazione al grado di specificita' dei criteri fissati nella legge delega...» e aggiungendo che «... pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto tali margini di discrezionalita', occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis: sentenze n. 230 del 2010, n. 98 del 2008, nn. 340 e 170 del 2007)». Ha chiarito infine, con riguardo ai requisiti che devono fungere da cerniera tra i due atti normativa, che « ... i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge delega (sentenza n. 341 del 2007, ordinanza n. 228 del 2005)». Orbene, alla stregua di quanto autorevolmente affermato dalla Corte, si rileva che nella citata legge delega, tra i criteri e i principi direttivi enunciati all'art. 8, 1° comma, lett. a), non risulta esplicitata la previsione di una comunicazione alla propria «scala gerarchica» - da effettuarsi a cura dei responsabili di ciascun presidio di polizia - delle notizie relative all'inoltro all'A.G. delle informative di reato in concreto acquisite. Sul punto la norma richiamata, che pure per altri aspetti si rivela non poco dettagliata, e' del tutto silente, non potendosi intendere come delega all'introduzione di una previsione di tal genere, per l'assoluta eterogeneita' delle materie, l'enunciazione, nel novero dei criteri cui avrebbe dovuto concretamente conformarsi il legislatore delegato, di quello di «... razionalizzazione e potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia anche in funzione di una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali», contenuta nel richiamato art. 8, 1° comma, lett. a), della legge n. 124/2015, trattandosi di una norma che si riferisce ad un ambito del tutto diverso. La previsione sopra riportata non sembra sufficiente a giustificare l'introduzione della disposizione in esame, ne' a tal fine puo' rivelarsi utile il richiamo alla ratio ispiratrice della delega, tutta evidentemente rivolta ad assolvere ad esigenze di semplificazione e razionalizzazione di uffici, servizi ed impiego di personale, ovvero ad un riordino settoriale delle funzioni di polizia di tutela dell'ambiente, del territorio e del mare con la conseguente riorganizzazione del corpo forestale dello stato. D'altro canto, il rilievo critico attiene a un profilo di grande rilevanza, ove solo si consideri che con l'art. 18, 5° comma, del decreto legislativo n. 177/2016 si e' introdotta, a carico dei responsabili di ciascun presidio di polizia, una comunicazione in via gerarchica dell'avvenuto inoltro della notitia criminis all'A.G., che potrebbe collidere con talune delle regole fondamentali che disciplinano il sistema processual penalistico vigente, come proiezione di precisi precetti costituzionali in ordine al principio di obbligatorieta' dell'azione penale ed allo statuto del pubblico ministero e della polizia giudiziaria». Alle riferite considerazioni questa Procura ricorrente aderisce integralmente. La norma e' stata adottata in violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale sancito dall'art. 112 Cost. Al riguardo pare sufficiente richiamare il giudizio espresso dal CSM (nella citata delibera 15 giugno 2017, che in parte evoca la precedente del 23 luglio 2009 - parere sul d.d.l. n. 1440/S-): «...non sfugge... il nesso strumentale sussistente tra il principio di obbligatorieta' dell'azione penale, sancito dall'art. 112 Cost., e la direttiva della disponibilita' diretta della polizia giudiziaria in favore dell'autorita' giudiziaria...»; si e' asserito altresi' che «Il principio espresso dall'art. 112 garantisce tra l'altro, secondo l'unanime insegnamento dottrinale, l'indipendenza funzionale del pubblico ministero da ogni altro potere e in particolare dal potere esecutivo...»; si e' osservato ancora che «... e' chiaro che, nonostante l'indipendenza di status del P.M. e il correlato obbligo di procedere di fronte a ogni notizia di reato, il principio di obbligatorieta' dell'azione penale potrebbe essere sostanzialmente eluso dalla concreta organizzazione della polizia giudiziaria, perche' quest'ultima - in quanto principale fonte di cognizione delle notitiae criminis, fondamentale strumento di indagine e organo esecutivo dei provvedimenti giudiziari in materia penale - rappresenta la "chiave di volta" dell'intero sistema dell'azione penale... »; si e' precisato poi che «e' ... evidente che ... «per quanto efficiente un sistema repressivo penale possa risultare, e' del tutto normale che gran parte dei reati commessi (...) rimangano impuniti e che la determinazione dei reati che debbano restare impuniti dipenda, oltre che dal caso e dalla capacita' degli autori di non farsi scoprire, soprattutto dalle scelte di politica giudiziaria compiute dagli organi di polizia giudiziaria e da chi li dirige», pertanto chi gestisce la polizia giudiziaria puo' condizionarne l'iniziativa determinando un rafforzamento della sua dipendenza dal potere esecutivo...» e si e' aggiunto infine che «Gli organi di polizia giudiziaria, ...nelle loro diverse articolazioni, integrano strutture gerarchicamente dipendenti dal Governo, ragion per cui essi stessi non sono assistiti dalle garanzie di autonomia e indipendenza che caratterizzano, invece, gli uffici del pubblico ministero». Evidente e' anche la stretta correlazione esistente tra azione penale obbligatoria e segretezza delle indagini, la deroga alla quale e' in concreto foriera di rischi per l'esito positivo delle investigazioni e, per cio' stesso, dell'effettivita' ed efficacia dell'esercizio dell'azione penale. Questa la ragione del sistema codicistico, che contempla limiti e tempi precisi e rigorosi per la segretezza. Regole, quelle del codice di rito, che la normativa in discussione disinvoltamente supera, peraltro a beneficio di organi dell'Amministrazione neppure dotati della connotazione di appartenenti alla polizia giudiziaria. Del tutto irrazionalmente perche' in assenza di giustificazioni coerenti con il sistema, inducendo dubbi addirittura in ordine alla possibile violazione anche dell' art. 3, comma 1, Cost. Del tutto gratuita e priva di ragionevolezza e' operata esclusione dai vincoli alla conoscenza dell'attivita' d'indagine di un'intera categoria di soggetti privi di legittimazione all'accesso ad essa. Tanto piu' che si tratta di atti segreti per gli stessi imputati ed i loro difensori. Si denuncia infine violazione delle prerogative costituzionali di cui all'art. 109 Cost., anche in tal caso richiamando adesivamente le considerazioni sviluppate dal CSM nella citata delibera: «... La Corte costituzionale, sin dalla remota sentenza n. 94/63, ha affermato che l'art. 109 della Costituzione, che conferisce all'Autorita' giudiziaria il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria, trova la sua piena giustificazione nelle superiori esigenze della funzione requirente e giudiziaria e nella necessita' di garantire alla magistratura la piu' sicura e autonoma disponibilita' dei mezzi d'indagine. Declinazione costituzionale, questa, meglio specificata sempre dalla Corte nella sentenza n. 114/68, ove si precisa che "... l'art. 109, a prescindere dalle sue possibili implicazioni di carattere organizzativo, delle quali molto si e' discusso e tuttora si discute, ma che qui non rilevano, ha comunque e per intanto il preciso e univoco significato (sul quale questa Corte si e' soffermata nella sentenza del 6 giugno 1963, n. 94) di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dall'autorita' giudiziaria, escludendo interferenze di altri poteri nella condotta delle indagini, in modo che la direzione ne risulti effettivamente riservata alla autonoma iniziativa dell'autorita' giudiziaria medesima". Tale sommaria delineazione della pregressa produzione consiliare e del formante giurisprudenziale costituzionale dimostra l'eterodossia della disposizione in esame rispetto all'assetto costituzionale della polizia giudiziaria, che intravede un rapporto di dipendenza funzionale della stessa dall'Autorita' giudiziaria, con chiara esclusione di possibili interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini. Ne consegue che la comunicazione in via gerarchica delle informazioni, prevista dalla legge senza alcun filtro o controllo del P.M. precedente, rivolte fra l'altro anche a soggetti che non rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e che, per la loro posizione apicale, vedono particolarmente stretto il rapporto di dipendenza organica dalle articolazioni potere esecutivo, appare non essere in linea con le prerogative riconosciute al pubblico ministero nell'esercizio dell'attivita' d'indagine, giacche' le stesse sono portate a conoscenza di soggetti esterni al perimetro dell'indagine stessa, e non per determinazione autonoma del magistrato (come pure puo' accadere per le necessita' organizzative o logistiche delle indagini), ma per vincolo di legge, con il rischio che ne consegue di possibili interferenze nell'esercizio dell'azione penale. Per altro, ma non minore, verso non v'e' dubbio che anche il menzionato obbligo del segreto investigativo sia strumentale all'attuazione del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, dell'efficacia della risposta giurisdizionale e dell'uguale soggezione dei cittadini alla legge». Conclusivamente occorre rimarcare il significato estremamente ambiguo dell'espressione "trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato". L'espressione si presta ad interpretazioni di ogni genere, da quella piu' restrittiva (non si tratta di "trasmettere alla scala gerarchica" le informative - e quindi non verrebbe violato alcun segreto o alcuna prerogativa dell'A.G. - ma solo di fornire le "notizie relative" e cioe' solo il fatto di aver inoltrato all'A.G. una certa informativa riguardante un certo reato, il tutto ai soli fini del coordinamento), fino alla piu' estensiva (non ha senso riferire alla scala gerarchica il mero "inoltro delle informative all'A.G.", senza riferire ai superiori anche il contenuto e gli sviluppi dell'attivita' investigativa", altrimenti che coordinamento sarebbe?). L'ambiguita' dell'espressione e le incertezze interpretative aprono uno scenario preoccupante e si riverberano sulla gravita' della denunciata lesione delle prerogative costituzionali dell'A.G. Se poi per la definizione del contenuto precettivo della disposizione che si contesta si fa riferimento alla disposizione dell' art. 8, comma 1, lett. a) della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, si rilevera' che, pur accedendo all'interpretazione piu' restrittiva del disposto dell'art. 18, comma 5, decreto legislativo n. 177/2016, il solo fatto che si faccia riferimento nella delega alle finalita' di "evitare duplicazioni e sovrapposizioni", nonche' assicurare... "una migliore cooperazione sul territorio al fine di evitare sovrapposizioni di competenze", fa comprendere che l'intervento "coordinante" della "gerarchia" si risolverebbe in una interferenza sulla conduzione delle indagini. Al contrario e non a caso, il nostro sistema giudiziario, in materia di coordinamento finalizzato "ad evitare sovrapposizioni di competenze", prevede sempre l'affidamento di tali compiti alla sola Autorita' Giudiziaria (DNAA, DDA, Procura generale presso la Corte di Cassazione, Procure Generali presso le Corti di Appello, norme sulla competenza, conflitti positivi e negativi ecc.), al limite con la partecipazione consultiva delle Forze dell'Ordine. Infine, il riferimento alla "gestione associata dei servizi strumentali", contenuto nella medesima norma del legislatore delegante, dimostra inequivocabilmente che l'interferenza della gerarchia nella conduzione delle indagini puo' essere veramente penetrante. Se, come e' possibile, per servizi strumentali si intendono anche i mezzi investigativi piu' invasivi (ad es. intercettazioni di comunicazioni), va da se' che la scala gerarchica sarebbe in tal modo legittimata a conoscerli, coordinarli ed addirittura "gestirli in modo associato", sottraendo tale competenza al coordinamento nazionale della DNAA.