LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda Sezione civile composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: Vincenzo Mazzacane - Presidente; Luigi Giovanni Lombardo - rel. consigliere; Giuseppe Grasso, consigliere; Raffaele Sabato, consigliere; Gianluca Grasso, consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 22933-2016 proposto da: B. B. elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Zebio 37, presso lo studio dell'avvocato Alessandro Graziani, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Massimo Rossi; ricorrente; Contro Consiglio notarile di Milano, elettivamente domiciliato in Roma, Via Sistina 42, presso lo studio dell'avvocato Francesco Giorgianni, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Matteo Gozzi e Remo Danovi; controricorrente; nonche' contro Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano; intimati; avverso l'ordinanza n. 1605/2015 della Corte d'appello di Milano, depositata il 12 luglio 2016; Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18 luglio 2017 dal consigliere Luigi Giovanni Lombardo; Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Alberto Celeste, che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso; Udito l'avvocato Massimo Rossi, difensore della ricorrente, che ha chiesto raccoglimento del ricorso; Udito l'avvocato Francesco Giorgianni, difensore del resistente, che ha chiesto raccoglimento del controricorso; Fatti di causa 1. - La notaio B. B., esercente in ..., fu sottoposta a procedimento disciplinare su richiesta del Consiglio notarile di Milano e, con decisione n.... della Commissione amministrativa regionale di disciplina (CO.RE.DI.) della Lombardia, fu condannata alla sanzione disciplinare della destituzione. Era avvenuto che, in vari esposti pervenuti al Consiglio notarile di Milano, diversi clienti della notaio avevano lamentato che quest'ultima, quale sostituto di imposta, non aveva versato all'erario le somme trattenute - in occasione degli atti da lei rogati - ai fini del pagamento delle imposte indirette, cosicche' l'Agenzia delle entrate aveva richiesto ai clienti della medesima di versare le imposte de quibus. Per fatti analoghi la notaio B. era stata gia' sottoposta per due volte a procedimento disciplinare dinanzi alla CO.RE.DI. della Lombardia ed era stata condannata, con decisione n. ... del ..., alla sanzione di mesi due di sospensione e, con decisione n. ... del ..., alla sanzione di un anno di sospensione. 2. - Avverso la decisione della Commissione amministrativa regionale di disciplina della Lombardia, l'incolpata propose reclamo alla Corte di appello di Milano, che, con ordinanza del 12 luglio 2016, rigetto' il gravame. 3. - Per la Cassazione di tale ordinanza ha proposto ricorso B. B. sulla base di sei motivi. Ha resistito con controricorso il Consiglio notarile di Milano, che ha proposto altresi' ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano e il Procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale sono rimasti intimati. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 codice di procedura civile Ragioni della decisione Col ricorso la notaio B. lamenta, tra le altre doglianze, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 n. 3 codice di procedura civile), nonche' il vizio di motivazione del provvedimento impugnato (ex art. 360 n. 5 codice di procedura civile), per avere la Corte di appello ritenuto che l'art. 147, secondo comma, dell'ordinamento del notariato imponga sempre la irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione qualora il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per violazione del medesimo art. 147, violi nuovamente la medesima disposizione e per avere, altresi', ritenuto che l'irrogazione della destituzione non possa essere esclusa dalla concessione delle attenuanti generiche. Va premesso che l'art. 144, primo comma, della legge 16 febbraio 1913 n. 89 («Ordinamento del notariato e degli archivi notarili»), come sostituito dall'art. 26 decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, stabilisce: «Se nel fatto addebitato al notaio ricorrono circostanze attenuanti ovvero quando il notaio, dopo aver commesso l'infrazione, si e' adoperato per eliminare le conseguenze dannose della violazione o ha riparato interamente il danno prodotto, la sanzione pecuniaria e' diminuita di un sesto e sono sostituiti l'avvertimento alla censura, la sanzione pecuniaria, applicata nella misura prevista dall'art. 138-bis, comma 1, alla sospensione e la sospensione alla destituzione». L'art. 147 dell'ordinamento dei notariato, come sostituito dall'art. 30 decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, stabilisce poi: «E' punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi piu' gravi, con la destituzione, il notaio che pone in essere una delle seguenti condotte: a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignita' e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile; b) viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato; c) fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicita' non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile. La destituzione e' sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all'ultima violazione». Nel quadro del trattamento sanzionatorio previsto per il notaio che si renda responsabile di illecito disciplinare, puo' rilevarsi come la disposizione dell'art. 144 detti una norma di «carattere generale», che vale per tutti i casi in cui non venga altrimenti disposto; una norma in forza della quale, ogni volta che ricorrono circostanze attenuanti, deve applicarsi una sanzione piu' lieve (nei termini previsti dalla stessa disposizione) rispetto a quella edittale. Al contrario, l'art. 147, secondo comma, detta una norma di «carattere speciale» rispetto alla detta regola generale: essa, per gli illeciti disciplinari previsti dal primo comma della medesima disposizione, stabilisce che «La destituzione e' sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all'ultima violazione». Cio' vuol dire che, in tale ipotesi, il trattamento sanzionatorio e' insensibile alla eventuale «lievita'» in concreto del fatto costituente illecito disciplinare, essendo la sanzione prevista dalla legge in modo inderogabile, sulla base di una presunzione iuris et de iure di gravita' del fatto. In altre parole, in presenza della recidiva reiterata infradecennale richiamata dall'art. 147, secondo comma, della legge citata, va sempre applicata la sanzione della destituzione, non potendosi, pur quando ricorrano circostanze attenuanti, addivenirsi alla sostituzione della sanzione della destituzione con quella della sospensione. Cosi' configurata la disciplina legislativa, la Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, in relazione agli articoli 3 e 24 Cost. E' costante, nella giurisprudenza costituzionale, la considerazione secondo cui l'art. 3 Cost. esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo sia alla funzione di difesa sociale sia a quella di tutela delle posizioni individuali. E la tutela del principio di proporzionalita', nel campo del diritto penale, ha condotto a «negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso le pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (Corte cost., sentenze n. 341 del 1994 e n. 409 del 1989). In questa prospettiva, va ricordato anche l'art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e che ha ora lo stesso valore giuridico dei trattati, in forza dell'art. 5, comma 1, del Trattato sull'Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 - a tenore del quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato». Proprio nel settore penale dell'ordinamento, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che il principio di proporzionalita' esige un'articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile l'adeguamento della pena alle effettive responsabilita' personali; tale principio costituisce un limite della potesta' punitiva statale, svolgendo una funzione di giustizia e anche di tutela delle posizioni individuali, in armonia con il «volto costituzionale» del sistema penale (Corte cost., sentenza n. 50 del 1980), caratterizzato - altresi' - dalla finalita' rieducativa della pena prescritta dall'art. 27 Cost. (Corte cost., sentenza n. 313 del 1990; si vedano anche le sentenze n. 183 del 2011, n. 129 del 2008, n. 251 e n. 68 del 2012; da ultimo, n. 74 e n. 236 del 2016). E' noto, peraltro, che il principio della proporzionalita' della sanzione e il conseguente divieto di automatismo sanzionatorio sono stati estesi, nella giurisprudenza costituzionale, dal campo del diritto penale ad altri campi del diritto e in particolare, per quanto qui rileva, al campo delle sanzioni disciplinari. Cosi', ad es., in materia di sanzioni disciplinari per i militari (Corte cost., sentenze n. 268 del 2016 e n. 363 del 1996); in materia di sanzioni disciplinari per i magistrati (Corte cost., sentenza n. 170 del 2015); in materia di sanzioni disciplinari per i ragionieri e periti commerciali (Corte cost., sentenza n. 2 del 1999). Anche nel capo delle sanzioni disciplinari per i notai, la Corte costituzionale ha gia' avuto occasione di applicare il principio della proporzionalita' della sanzione e il divieto di automatismo sanzionatorio. Cosi', nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'ormai abrogato art. 142, ultimo comma, della legge n. 89 del 1913, nella parte in cui prevedeva in via disciplinare la destituzione di diritto del notaio che fosse stato condannato per i reati indicati dall'art. 5, comma 1, numero 3), della medesima legge, la Corte costituzionale ha affermato che «La destituzione di diritto del notaio penalmente condannato per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della legge notarile, non costituisce un effetto penale della condanna ne' una pena accessoria, ma una sanzione disciplinare, la cui automatica ed indifferenziata previsione per l'infinita serie di situazioni che stanno nell'area della commissione di uno stesso, pur grave, reato, viola il «principio di proporzione» il quale e' alla base della razionalita' che domina il «principio di eguaglianza». E' pertanto costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 3 Cost. - l'art. 142, ultimo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nella parte in cui prevede che «e' destituito di diritto» il notaio che ha riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della stessa legge, anziche' riservare ogni provvedimento al procedimento disciplinare camerale del Tribunale civile, come per le altre cause enunciate nello stesso art. 142» (Corte cost., sentenza n. 40 del 1990). Orbene, tornando all'esame della norma posta dal secondo comma dell'art. 147 dell'ordinamento del notariato, si e' veduto come essa, nella sua perentorieta', preveda la destituzione del notaio per il solo fatto che lo stesso, dopo essere stato condannato per due volte alla sanzione della sospensione per la violazione dello stesso art. 147, contravvenga ancora una volta, nei dieci anni successivi, la medesima disposizione. Trattasi di una previsione che prescinde del tutto dalla considerazione della condotta posta in essere dal notaio e dalla gravita' della stessa e che non consente al giudice della disciplina di graduare la sanzione; graduazione che appare oltremodo necessaria considerato che il primo comma dell'art. 147 (nel punire il notaio che «compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignita' e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile; viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato; fa illecita concorrenza ad altro notaio (...) servendosi di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile») configura fattispecie di illecito disciplinare a forma libera (in questo senso, Cassazione, Sez. U, n. 25457 del 26 ottobre 2017), che possono avere, nei diversi casi concreti, una gravita' molto diversa tra loro. In altre parole, l'art. 147, secondo comma, cit. prevede una sorta di «automatismo sanzionatorio» correlato ad una presunzione iuris et de iure di gravita' del fatto e di pericolosita' dei recidivo reiterato, che preclude al giudice disciplinare di pervenire - nella fattispecie concreta - a diverse conclusioni mediante il giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti (anche generiche) eventualmente concorrenti. E secondo la giurisprudenza costituzionale, le presunzioni assolute, quando limitano un diritto della persona, violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioe' se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit, come avviene tutte le volte in cui sia «agevole» formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (Corte cost., sentenze n. 185 del 2015, n. 232 e n. 213 del 2013, n. 182 e n. 164 del 2011, n. 265 e n. 139 del 2010). Elevato e' percio' il rischio, nel procedimento disciplinare notarne, che il giudice della disciplina si trovi costretto ad infliggere al notaio la sanzione della destituzione per il solo fatto che ricorra la situazione descritta nella richiamata norma di cui all'art. 147, secondo comma, cit., pur quando, nel concreto, tale sanzione risulti di entita' eccessiva e non sia ragionevole in rapporto al disvalore della condotta. Sotto tale profilo, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nel testo attualmente in vigore, innanzitutto in rapporto all'art. 3 Cost., sia sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza per il fatto di assimilare situazioni che - di volta in volta - possono avere un disvalore molto diverso l'una dall'altra, sia sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, impedendo al giudice disciplinare l'adeguamento della sanzione alla gravita' in concreto dell'illecito commesso. Ma appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 anche in rapporto all'art. 24 Cost., per il fatto di precludere all'incolpato la possibilita' di chiedere al giudice di apprezzare la sua condotta in concreto e di pervenire all'irrogazione della sanzione piu' adeguata al caso. La soluzione della detta questione di legittimita' costituzionale risulta rilevante ai fini della decisione del presente ricorso, avendo la ricorrente lamentato proprio che la Corte di appello ha rifiutato di considerare la concedibilita' delle circostanze attenuanti generiche sul presupposto che le stesse non avrebbero potuto, nel caso di specie e ricorrendo la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 147 della legge n. 89 del 1913, escludere l'irrogazione della destituzione quale sanzione prevista inderogabilmente dalla legge. Va percio' dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913 n. 89, come sostituito dall'art. 30 decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 249, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione. Ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, alla dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.