TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA Sezione penale Il Tribunale, composto dai Magistrati: dott. Francesco Caruso - Presidente; dott. Cristina Beretti - Giudice; dott. Andrea Rat - Giudice. Ordinanza 1. Avanti l'intestato Tribunale si sta celebrando il maxi processo, cosiddetto processo Aemilia, che vede imputate piu' di centocinquanta persone sia per il reato di associazione a delinquere di stampo 'ndranghetistico che per molteplici reati fine aggravati dall'art. 7, legge n. 203/1991. All'odierna udienza tutti i difensori, con il consenso degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere, hanno aderito allo sciopero proclamato dall'OUA. Nel solo mese di maggio, la presente rappresenta la seconda astensione proclamata dagli organismi di categoria alla quale hanno aderito i difensori ed acconsentito gli imputati che si trovano in stato di custodia cautelare in carcere. Nella precedente occasione, il Tribunale, dubitando della legittimita' della disciplina dettata dai codice di autoregolamentazione e contenuta nell'art. 4, comma 1, lettera b), aveva sollecitato, ai sensi dell'art. 13, lettere a) e b), legge n. 146/1990, la Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali a pronunciarsi su una serie di questioni che qui si riportano cosi' come all'epoca strutturate: «... Nel disporre il rinvio dell'udienza osserva tuttavia il tribunale come la specifica previsione del codice di autoregolamentazione che consente agli avvocati di dare corso alla dichiarazione di astensione in un processo con rilevante numero di detenuti (oltre venti), in qualche caso sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, se gli imputati prestino consenso all'iniziativa dei propri difensori, presenti profili da sottoporre in via preliminare alla autonoma valutazione della Commissione affinche' la stessa, sulla base dell'esperienza del caso concreto, possa rivalutare il consenso dato al predetto Codice sulla base delle forme e degli strumenti d'azione che alla stessa Commissione sono conferiti dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Segnala il tribunale come la disposizione in questione, applicata nel contesto di un processo delle dimensione di quello attualmente in corso avanti al tribunale di Reggio Emilia con circa centocinquanta imputati, centinaia di capi d'imputazione, centinaia di testimoni, migliaia di pagine di trascrizioni, di intercettazioni telefoniche e ambientali, in corso da oltre un anno, con prevedibile ulteriore lunga durata, con elevatissimi costi per la collettivita' per vigilanza, sicurezza, predisposizione dell'aula d'udienza, servizi di videoconferenza e di assistenza tecnica, e altro ancora e soprattutto con detenuti in custodia cautelare dal 28 gennaio 2015, non realizza alla prova dell'esperienza concreta quel giusto equilibrio di valori e interessi contrapposti che la Suprema Corte considera per principio attuato dal giudizio della Commissione di garanzia che supera ogni diversa concreta valutazione di altri organi. Il tribunale intende soffermarsi sulla previsione che consente a oltre venti detenuti che si protestano innocenti e che proprio in forza di tale rivendicata posizione processuale hanno nelle precedenti occasioni di astensione dalle udienze, svoltesi in marzo e aprile di quest'anno, negato il consenso ai difensori, di cambiare opinione e di accedere alla richiesta dei propri difensori, abdicando alla tutela del proprio fondamentale diritto di essere processati nel piu' breve tempo possibile e comunque in tempi ragionevoli, rinunciando pertanto a qualsivoglia possibilita' di tutela della presunzione di innocenza e della liberta' personale, se solo si considera che per effetto del consenso prestato, i detenuti subiranno la sospensione dei termini di custodia cautelare di fase per un tempo che resta affidato alla discrezionalita' del giudice nel determinare il calendario delle nuove udienze e che in ipotesi potrebbe essere ben piu' lungo rispetto a una ripresa dei lavori d'aula al termine dello sciopero proclamato: una sospensione di termini che potrebbe essere ancora prolungata in occasione di nuove sospensioni che dovessero cadere nel corso di un processo che si presenta ancora lungo, non avendo gli avvocati esaurito il pacchetto di giornate di astensione che il codice di autoregolamentazione assicura. In sostanza, in questa prospettiva, sono gli imputati detenuti a pagare il costo dell'astensione poiche' non solo la loro custodia cautelare potrebbe protrarsi per tempi non predefiniti ma rispetto a un'eventuale valutazione di ingiusta detenzione non potrebbero far valere in alcun modo il diritto all'indennizzo per tutti i giorni di ingiusta custodia cautelare sofferta, in parte qua imputabile alla scelta di consentire all'astensione dei difensori e quindi alla disponibilita' del proprio diritto ad essere giudicati in custodia cautelare entro i rigorosi termini di fase fissati dal codice di procedura. In sostanza il tribunale, riservandosi di valutare approfonditamente la questione di legittimita' costituzionale dell'attuale assetto normativo dell'astensione dei difensori, considera elemento costitutivo di una tale valutazione la risposta che la Commissione vorra' dare, tramite l'esercizio dei poteri di competenza, all'interpello di questo tribunale di rivalutare sul punto l'approvazione concessa al Codice di autoregolamentazione dell'astensione dei professionisti avvocati che sembra violare il principio di indisponibilita' della liberta' personale, il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, posto che viene attribuito allo sciopero dei difensori una valenza superiore allo sciopero di altre categorie di lavoratori del settore regiustizia, quali ad esempio magistrati e personale di cancelleria, tenuti inderogabilmente a celebrare processi con imputati detenuti in costanza di astensione dalle udienze, il principio di presunzione di innocenza, e il diritto di difesa. E' evidente, infatti, che il sistema, nell'assegnare all'imputato detenuto la scelta sul consentire o meno l'astensione del proprio difensore mette in fibrillazione il rapporto fiduciario e in conflitto la posizione dell'assistito con quella del difensore, facendo pagare al detenuto che non sia d'accordo con la richiesta del difensore il rischio di compromissione del rapporto fiduciario, tanto piu' se, come sembra, il costo dell'eventuale ingiusta detenzione subita per effetto della sospensione del termine di custodia cautelare finisca col ricadere unicamente sul detenuto al quale tale periodo non dovrebbe essere risarcibile. Su questa linea sembra irragionevole che i costi dell'astensione dei difensori ricadano sull'imputato detenuto, presunto innocente, che rappresenta un soggetto esterno alle ragioni dello sciopero, non certo controparte sia pure in senso lato della categoria in sciopero, a meno di non voler considerare l'imputato detenuto come parte dell'utenza del servizio giustizia che, secondo una tesi, costituisce la controparte dello sciopero degli avvocati. Ma in questo modo, paradossalmente, chi paga i costi dello sciopero sono gli stessi clienti dell'avvocato, imponendo di estendere il rapporto fiducia e il rapporto di prestazione d'opera fino a imporre al cliente un costo e un sacrificio del tutto inaccettabile quale la rinuncia a giorni di liberta' personale, il protrarsi della cui privazione il cliente deve accettare se intende mantenere il rapporto fiduciario e comunque quale prezzo della difesa. Ma anche a volere considerare la questione sotto diverso ambito e' evidente come lo Stato non possa rimettere a scelte privatistiche e soggettive la rigorosa disciplina di pubblico interesse sulla durata della custodia cautelare. La liberta' e la sicurezza sono diritti fondamentali che lo Stato deve assicurare ai cittadini, operando opportuni bilanciamenti con altri interessi pubblici di pari rango. Tra i casi che in base alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo giustificano la detenzione della persona non sono e non potrebbero essere previste quelle situazioni in cui l'arresto del soggetto si protrae per la tutela dell'interesse di categoria dei difensori. E se una soluzione del genere potrebbe essere riconosciuta nelle situazioni eccezionali di cui all'art. 7 del Codice di autoregolamentazione, in cui per la tutela dei principi fondamentali il detenuto puo' anche rinunciare alla vita e ad altri beni fondamentalissimi, come forma di protesta estrema per la tutela dei principi costituzionali, tutto cio' non appare prima facie plausibile in una situazione di ordinaria conflittualita' quale quella attualmente in corso. Va poi considerato, secondo una diversa prospettazione, che la sospensione dei termini di custodia cautelare e' relativa sola alla fase in cui si verifica la relativa causa. Tale sospensione non incide sui termini di durata massima della custodia cautelare. Cio' significa che lo sciopero degli avvocati, assentito dai detenuti, finisce con l'incidere su elementi di base della sovranita' popolare, finendo con l'incidere sull'equilibrio che la legge ha individuato tra sacrificio complessivo della liberta' personale prima della condanna definitiva, ed esigenze di sicurezza, particolarmente elevate in determinati casi, che impongono che il processo si svolga con gli imputati in custodia cautelare. In questo modo lo sciopero degli avvocati incide direttamente, privandole di corrispondente efficacia, sulle determinazioni legislative che assegnano all'autorita' giudiziaria un certo tempo per pronunciare la sentenza definitiva con imputato detenuto, congelando tutte i periodi di sciopero che si svolgono durante le diverse fasi del processo che possono cumulativamente giungere a diversi mesi, per ogni anno di durata del processo. Se il legislatore non tollera che la durata complessiva del processo nelle sue diverse fasi incida sulla liberta' dell'imputato oltre un certo limite, alla base di tale vincolo deve esserci la garanzia che l'autorita' giudiziaria possa operare efficacemente per tutta la durata dei termini concessi; se una parte di tempo viene consumata per impedimenti non imputabili all'autorita' che deve gestire il processo ma alle unilaterali determinazioni di un'associazione privata, cio' che viene messo in discussione e' direttamente il principio di sovranita' popolare che s'incarna nella legge processuale i cui contenuti vengono unilateralmente e arbitrariamente modificati di fatto per unilaterale determinazione di una categoria, rappresentativa soltanto dei propri associati. Tutte le esigenze sottese alla determinazione di un certo tempo massimo di durata della custodia cautelare sono cosi' violate e compromesse, attraverso l'effetto dello sciopero sui termini massimi di custodia. In questo modo l'avvocatura ha la possibilita' di determinare unilateralmente con il consenso dei propri clienti - che da questo punto di vista potrebbero nutrire un perverso interesse allo sciopero che finisce con l'incidere sulla possibilita' di concludere il processo prima della scadenza dei termini massimi di custodia - il tempo effettivo che puo' essere dedicato alla trattazione in vista della scadenza dei termini, in un intreccio di interessi contrari a quelli prevalenti dello Stato di diritto, di cui si celebrerebbe l'ineffettivita' e quindi l'incapacita' di garantire l'interesse di tutti i cittadini e un ragionevole contemperamento degli interessi diversi da quelli dell'imputato detenuto. Alla luce delle considerazioni che precedono, il tribunale, nel disporre il rinvio dell'udienza alla prima utile, ritiene che l'attuale concreta situazione che dimostra la dubbia compatibilita' dell'indicata norma del codice di autoregolamentazione con beni e interesse di maggior rango costituzionale, debba essere sottoposta al giudizio della Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, affinche' la stessa possa, se del caso, rivalutare l'approvazione del codice di Autoregolamentazione dell'astensione degli avvocati dalle udienze, fornendo in via autonoma, in caso di mancato nuovo accordo, una diversa regolamentazione dell'astensione degli avvocati in presenza di imputati detenuti, in assenza delle situazioni di cui all'art. 7 dell'attuale codice di autoregolamentazione. La sollecitazione alla Commissione di garanzia e' svolta ai sensi dell'art. 13, lettere a) e b), legge n. 146/1990 che attribuisce alla Commissione stessa poteri di iniziativa officiosa su ogni questione concernente gli accordi o codice di autoregolamentazione. In accoglimento della sollecitazione del Tribunale, la Commissione di garanzia ha deliberato di convocare le associazioni di rappresentanza degli avvocati al fine di riaprire un confronto finalizzato alla revisione del vigente codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati con particolare riferimento all'art. 4, lettera b).». La sollecitazione della Commissione non ha portato ad alcun ripensamento ne' ad alcun raffreddamento del conflitto. Va infine ricordato, per completezza, che gia' nei mesi precedenti gli organismi di categoria avevano proclamato altre astensioni alle quali, tuttavia, gli imputati detenuti non avevano prestato il proprio consenso a che i propri difensori aderissero alla astensione proclamata. Il mutamento di opinione degli imputati detenuti ha coinciso con l'adozione da parte del tribunale di ordinanze istruttorie cui le difese si sono opposte. 2. La disciplina in materia di astensione degli avvocati e' dettata, oltre che dalla fonte costituzionale (art. 18 Cost.) dalla legge n. 146 del 1990, cosi' come modificato dalla legge n. 83 del 2000, recante «norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati» nonche' nel Codice di autoregolamentazione delle astensioni delle udienze degli avvocati. Nel dettaglio: a) L'art. 2-bis della legge n. 146/1990 prevede che: «L'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalita' dei servizi pubblici di cui all'art. 1, e' esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili di cui al medesimo articolo. A tale fine la Commissione di garanzia di cui all'art. 12 promuove l'adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all'art. 1. Se tali codici mancano o non sono valutati idonei a garantire le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1, la Commissione di garanzia, sentite le parti interessate nelle forme previste dall'art. 13, comma 1, lettera a), delibera la provvisoria regolamentazione. I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a quello indicato al comma 5 dell'art. 2, l'indicazione della durata e delle motivazioni dell'estensione collettiva, ed assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1. b) I commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge n. 146 del 1990, richiamati, con il sistema del rinvio, dal riportato art. 2-bis, stabiliscono che: «1. Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla liberta' ed alla sicurezza, alla liberta' di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla liberta' di comunicazione. 2. Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivita', nel contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dell'art. 2: ...». c) L'art. 4, comma 1, lettera b) stabilisce che: L'astensione non e' consentita nella materia penale in riferimento ai «... procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l'imputato chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall'art. 420-ter, comma 5 (introdotto dalla legge n. 479/1999) del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l'astensione del difensore. In tal caso il difensore di fiducia o d'ufficio, non puo' legittimamente astenersi ed ha l'obbligo di assicurare la propria prestazione professionale.». 3. Allo stato, un importante approdo interpretativo della disciplina sopra indicata e' stato raggiunto dalla sentenza L. delle Sezioni unite (n. 40187 del 29 settembre 2014). Il massimo consesso nomofilattico, dopo un'articolata disamina dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi in materia, ha per un verso ribadito la valenza cogente erga omnes delle norme del codice di autoregolamentazione, aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare; per altro verso, hanno escluso la configurabilita', nell'attuale assetto normativo, di un potere giudiziale di bilanciamento («se non in ipotesi eccezionali ed in limiti molto ristretti») tra il diritto all'astensione e gli altri diritti e valori di rilievo costituzionale, essendo tale bilanciamento gia' stato operato dal legislatore e dalle predette fonti secondarie. A sostegno di tali conclusioni, la sentenza ha tra l'altro valorizzato: a) la natura non di mera liberta', ma di vero e proprio diritto avente un sicuro fondamento costituzionale, che deve essere riconosciuta all'astensione forense; b) la riconduzione nell'ambito del «diritto oggettivo» delle norme contenute nel codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo, essendo state fissate da una specifica fonte normativa, cui il legislatore primario ha attribuito la specifica competenza a disciplinare la materia dell'astensione; e) la gia' avvenuta integrale regolazione di quest'ultima da parte del legislatore e delle fonti secondarie, che hanno cosi' realizzato un compiuto bilanciamento tra il diritto ad astenersi e gli altri diritti e valori di rilievo costituzionale (diritto di difesa e di azione, interesse dello Stato ad evitare la prescrizione, ecc.); d) la riserva al giudice, invece, della valutazione relativa alla conformita' degli atti, costituenti concreto esercizio del diritto ad astenersi, rispetto alla normativa primaria e secondaria predetta, correttamente interpretata; e) la possibilita' per il giudice di compiere, in detta fase, un «bilanciamento indiretto» degli interessi in gioco, attraverso un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata delle norme primarie e secondarie, ovviamente con i limiti costituiti dalla lettera della disposizione e dalla ratio della soluzione normativa; f) la possibilita' di ipotizzare un bilanciamento giudiziale solo in ipotesi eccezionali, quali il venir meno della vigenza delle fonti secondarie, o l'emersione di diritti e valori costituzionali ulteriori (non riconducibili cioe' a quelli per i quali e' gia' normativamente avvenuto il bilanciamento): non potendo ritenersi sufficiente, a tali fini, il richiamo a generiche «esigenze di giustizia» concernenti ad es. il disagio per i testi residenti in localita' lontane. Considerato in diritto Questo tribunale, dovendo provvedere sulla richiesta di rinvio dell'udienza, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge n. 149 del 12 giugno 1990 nella parte in cui consente, con riferimento all'astensione collettiva dalle prestazioni dei professionisti avvocati, che il codice di autoregolamentazione adottato dalla categoria professionale in questione, come rappresentata dalle associazioni di categoria, valutato idoneo dalla «Cominissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007, pubblidato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 3008, preveda una disposizione quale quella contenuta nell'art. 4, comma 1, lettera b) che, nel disciplinare le prestazioni indispensabili alle quali il professionista avvocato non puo' sottrarsi neppure in presenza di un'astensione collettiva di categoria legittimamente proclamata, esclude dal divieto di astensione i procedimenti e i processi nei quali l'imputato o gli imputati si trovino in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove gli imputati o alcuni di essi non chiedano espressamente che si proceda, malgrado l'astensione del difensore. Solo in tal caso il difensore di fiducia o d'ufficio e' tenuto alla prestazione professionale. La legge, integrata dal codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione di garanzia, consente ai difensori nei processi penali di astenersi anche in processi con detenuti, a meno che gli imputati in stato di custodia cautelare non chiedano espressamente che si proceda nonostante i difensori abbiano aderito all'astensione collettiva dalle udienze. La questione che il tribunale intende sollevare con riferimento al citato art. 2-bis, legge n. 149/1990 e' rilevante in relazione alla decisione che il tribunale deve adottare di disporre il rinvio dell'odierna udienza nella quale tutti i difensori hanno ritualmente dichiarato di aderire all'astensione collettiva proclamata dall'associazione delle Camere penali, per ogni altro aspetto conforme alle regole e prescrizioni formali e sostanziali previste dal predetto codice di autoregolamentazione. In presenza di una astensione collettiva dei professionisti avvocati ai sensi dell'art. 2-bis, legge n. 149/1990, conforme al codice di autoregolamentazione previsto dal medesimo articolo, il tribunale secondo il diritto vivente non ha alcuna possibilita' di valutare autonomamente la legittimita' dell'astensione e di bilanciare il diritto all'astensione con altri beni e valori costituzionalmente rilevanti ma deve disporre il rinvio, nonostante sia evidente il pregiudizio per altri fondamentali diritti della persona e del cittadino imputato, producendo conseguentemente gli effetti che si connettono al rinvio determinato dall'astensione dei difensori: sospensione del termine di prescrizione fino alla nuova udienza; analogamente, sospensione dei termini di custodia cautelare per la fase del dibattimento di primo grado in corso. In sostanza il tribunale in base alla norma vigente deve prendere atto dell'esistenza di una fattispecie conforme alla regola di diritto dettata da Cassazione sezioni unite, 27 marzo 2014, n. 40187, L., dare atto del diritto al rinvio dei difensori e della sospensione dei termini anzidetti fino alla nuova udienza che il tribunale potrebbe fissare in modo del tutto discrezionale, sospendendo il dibattimento non necessariamente per pochi giorni ma anche per settimane o addirittura mesi, secondo le proprie esigenze organizzative. Come e' noto il «diritto al rinvio», attribuito dal sistema legale ai professionisti avvocati che deliberino l'astensione collettiva in modo conforma al codice di autoregolamentazione approvato, e' un portato del diritto vivente sancito dalle recenti pronunce delle sezioni unite, a partire dalla citata sentenza «L.». Secondo la giurisprudenza di legittimita' il Codice di autoregolamentazione ha valore di legge ed efficacia erga omnes, una volta integrati i presupposti di legittimita' dell'astensione, e non residua in capo al giudice alcun potere di valutazione e di bilanciamento tra il diritto del difensore e la tutela di altri diritti fondamentali aventi copertura costituzionale. L'indicazione perentoria che la giurisprudenza di legittimita' fornisce al giudice di merito e' nel senso che la disciplina regolamentare assume il ruolo di vera e propria fonte «legislativa», autosufficiente a determinare il contemperamento tra i diversi interessi in gioco gia' in astratto, senza che sia rimesso alcun margine alla valutazione del giudice nel caso concreto. Le Sezioni unite hanno determinato l'esatto ambito di operativita' e la forza cogente da riconoscere alla normativa regolamentare, escludendo margini di discrezionalita' e di interpretazione, stante la chiusura di tutti gli spazi, salvo un profilo, di cui si dira' ma che non consente di giungere a soluzione diversa dal riconoscimento del diritto al rinvio. L'organo giudicante deve considerarsi vincolato dai principi fissati dal Codice di autoregolamentazione e non puo' procedere, in totale autonomia, al bilanciamento degli interessi in gioco, rispondendo a logiche diverse da quelle sottese alla logica regolamentare. Per le Sezioni unite il Codice di autoregolamentazione «contiene una normativa di valore secondario, o regolamentare, che ha efficacia obbligatoria per tutti i soggetti dell'ordinamento, ed in primo luogo, quindi, nei confronti del giudice, il quale e' tenuto a rispettarla ed applicarla». La natura di norme di «diritto oggettivo» attrae le disposizioni regolamentari nell'orbita della «legge», della quale pertanto vengono applicati i principi generali in punto di efficacia, ricorribilita' ed interpretazione. Tale posizione giustifica per un primo aspetto la rilevanza della q.l.c. che si intende proporre, posto che dovendosi dare attuazione alle disposizioni dei Codice che assumono rango di norma primaria e non essendovi spazio per diverse letture interpretative delle norme del Codice di autoregolamentazione che possano escludere il riconoscimento della sussistenza del diritto nel caso concreto, il contemperamento tra il diritto all'astensione collettiva dei professionisti e gli altri diritti costituzionalmente tutelati trova la completa realizzazione nella «legge», come definita dalla Suprema Corte, che ha risolto a monte il giudizio di bilanciamento tra i contrapposti valori in gioco, sulla base di parametri oggettivi, certi, generali ed astratti, non rimessi a valutazioni discrezionali del singolo caso. Ne' il correttivo introdotto in extremis nell'ultima parte della motivazione della sentenza L. consente di giungere a conclusioni diverse. La Suprema Corte ammette, infatti, seppure come ipotesi marginale, «che possano residuare diritti o valori costituzionali diversi ed ulteriori rispetto a quelli considerati dalla legge o dal Codice di autoregolamentazione, tali da poter ancora giustificare l'esercizio di un potere discrezionale del giudice volto a limitare il diritto costituzionale di liberta' del difensore di astenersi». Se, dopo avere escluso la sussistenza di ogni potere diretto di effettuare il bilanciamento la Corte di cassazione reintroduce uno strumento di bilanciamento in via indiretta, tale strumento non puo' essere utilizzato in modo da negare cio' che si e' poco prima affermato e cioe' che e' compito esclusivo del legislatore, anche attraverso lo strumento secondario e regolamentare, individuare l'esatto punto di equilibrio tra i differenti interessi in gioco. Ne segue che sul piano applicativo e dell'interpretazione delle norme non si possono introdurre criteri di bilanciamento che il legislatore ha giudicato espressamente irrilevanti o soccombenti, nel momento in cui ha autorizzato la negoziazione tra la categoria interessata e la Commissione di garanzia. Se si e' ritenuto da parte del legislatore di abdicare a una diretta tutela di tutti gli altri, valori costituzionali in gioco, demandandone la tutela alla Commissione di garanzia delegata a tutelarli su un piano meramente negoziale; e se la Suprema Corte ha fissato rigorosi confini all'intervento del giudice e al suo potere d'interpretazione, non vi e' interpretazione adeguatrice che possa far ritornare in gioco quei valori che il Codice di autoregolamentazione espressamente subordina al diritto di astensione dei difensori. Ne segue che il tentativo di recupero di un potere discrezionale del giudice, sul piano dell'interpretazione in concreto della norma regolamentare, alla luce di «altri» principi e valori costituzionali, trova il limite invalicabile di ogni attivita' interpretativa: l'interpretazione non puo' allontanarsi dal dettato normativo tanto da conseguire risultati contra legem, dovendosi percorrere in tali ipotesi la strada della questione di legittimita' costituzionale. Nel caso in esame, la disciplina legislativa scaturente dal Codice di autoregolamentazione regola espressamente, con chiarezza e senza alcun vuoto normativo, la situazione normativa che questo tribunale considera costituzionalmente illegittima perche' lesiva di altri fondamentali diritti della persona e di principi costituzionali inderogabili. Nella disciplina regolamentare tutti i confliggenti valori costituzionali, la liberta' personale, il diritto di difesa dell'imputato in vinculis, il giusto processo, la garanzia che il processo con imputati detenuti nei cui confronti sussistono esigenze cautelari e percio' in custodia cautelare si svolga in tempi compatibili con la presunzione di innocenza, e quindi il giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processali e tempi della custodia, sono espressamente considerati e valutati come subvalenti rispetto al diritto di astensione dei difensori, ai tempi processuali e ai tempi della custodia, per cui nessun margine residua per individuare valori espressamente non contemplati da fare valere in via interpretativa posto che tutti i valori costituzionali soccombenti si ritiene siano stati espressamente valutati nel momento in cui si e' consentito il rinvio del processo e la protrazione della custodia cautelare per tutta la durata dell'astensione collettiva, sol che non vi sia espressa manifestazione contraria dell'imputato e quindi rimettendo alla disponibilita' del soggetto interessato la tutela di valori che hanno un ben diverso valore pubblico e costituzionale, che come tali prescindono dalla considerazione del singolo direttamente interessato, e debbono essere tutelati in quanto tali. I beni e i valori costituzionali in gioco hanno rilievo pubblico; la tutela dei diritti fondamentali dell'individuo va garantita, a prescindere dalla valutazione che ne faccia il singolo titolare; si tratta di diritti irrinunciabili, indisponibili, irriducibili a valutazioni di convenienza soggettiva e privata, essendo la loro tutela finalizzata anche al mantenimento degli equilibri costituzionali nel rapporto tra potere dello Stato di garantire la sicurezza e il rispetto delle leggi attraverso il giusto processo, e il diritto del cittadino al rispetto delle liberta' fondamentali; un equilibrio che va assicurato dal legislatore in ossequio alla Costituzione, senza improprie deleghe o rimessioni a terzi, foss'anche il diretto titolare del diritto. La rilevanza della questione va esaminata sotto altro distinto profilo. L'ordinanza che il tribunale deve adottare non riguarda evidentemente il merito del processo ma attiene ad un giudizio incidentale che concerne il riconoscimento del «diritto al rinvio» dei difensori che, totalitariamente, hanno dichiarato di aderire all'astensione collettiva dalle udienze con l'effetto di determinare la sospensione dei termini di custodia cautelare per gli imputati detenuti e dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. La questione che il tribunale intende affrontare riguarda peraltro solo il primo dei due effetti e i suoi riflessi sulla gestione e durata dei processi con imputati detenuti. Il processo, nel quale la questione e' sollevata, e' un processo di criminalita' organizzata (imputazioni prevalenti ex art. 416-bis c.p.) con piu' di centocinquanta imputati, centinaia di capi d'imputazione una mole abnorme di atti di indagine e di prove assunte e da assumere, comprese decine di migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali. In questo contesto la reiterazione di astensioni e di rinvii disarticola e sconvolge la programmazione della fase dibattimentale, con aggravio consistente dei costi, posto che l'allestimento dell'aula, la sua sicurezza, servizi di vigilanza e di videocollegamento producono rilevatiti costi fissi. Si tratta peraltro di quelle generiche esigenze di giustizia che la Cassazione ha valutato come recessive rispetto al diritto di astensione. Il profilo che il tribunale intende esaminare e' percio' diverso e attiene all'effetto del rinvio sulla liberta' personale degli imputati, sul giusto processo con imputati detenuti, sul diritto di difesa, sul rapporto tra ragionevole durata del processo e durata del termine massimo di «carcerazione preventiva» che il legislatore ha fissato in determinati limiti. La rilevanza della questione attiene alla decisione intermedia sul riconoscimento del diritto al rinvio. Se la Corte dovesse dichiarare l'illegittimita' della norma che si sottopone allo scrutinio di costituzionalita' non si avrebbe la sospensione dei termini (di custodia e di prescrizione) come effetto del riconosciuto diritto insindacabile del difensore ad astenersi dall'udienza, in assenza di espressa richiesta contraria dell'imputato, ma come conseguenza della sospensione ex lege del processo per l'incidente di costituzionalita'. Il che produce una significativa differenza giuridica posto che la sospensione del termine non deriva direttamente dalla richiesta degli imputati e dei loro difensori, ma dalla necessita' di sollevare l'incidente di costituzionalita' per fare dichiarare l'illegittimita' della norma che sancisce il diritto al rinvio nella fattispecie considerata. Cio' posto, i profili di illegittimita' costituzionale che questo tribunale ritiene di sottoporre alla Corte costituzionale sono i seguenti: a) violazione dell'art. 13, commi primo e quinto, in relazione all'art. 27 della Costituzione, nella parte in cui stabilisce l'inviolabilita' della liberta' personale e la rigorosa definizione per via legislativa dei casi in cui l'imputato debba essere sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere durante lo svolgimento del processo. Ritiene il tribunale che il principio in questione esclude che l'imputato possa subire il protrarsi della restrizione della liberta' personale per motivi diversi da quelli considerati espressamente dalla legge con riferimento a quegli essenziali interessi pubblici che giustificano il ricorso dell'imputato, presunto innocente, alla custodia cautelare in carcere. La presunzione di non colpevolezza che accompagna l'imputato fino al momento della sentenza definitiva comporta che non soli i casi di restrizione della liberta' per esigenze processuali e di sicurezza nella fase processuale siano tassativamente definiti dalla legge, ma che la stessa durata della custodia sia fissata dal legislatore nell'esclusiva considerazione delle esigenze che giustificano un ragionevole contemperamento del diritto di liberta' fino a sentenza irrevocabile. La tassativita' dei casi di restrizione della liberta' personale si estende anche alla durata della stessa nel senso che le sole ragioni che possono giustificare per i tempi stabiliti dal legislatore la privazione della liberta' devono essere espressamente considerate dal legislatore senza che quel vincolo di legalita' possa essere riempito da considerazioni esterne, diverse da quelle espressamente considerate dal legislatore. Il sistema costituzionale e la normativa sulla custodia cautelare nel processo penale sono rigidamente orientate a far si' che la custodia cautelare fino a sentenza definitiva abbia la minor durata possibile, compatibilmente con le esigenze cautelari e processuali. Solo le esigenze cautelari e i tempi ragionevoli dell'accertamento giudiziale possono giustificare ai sensi dei parametri costituzionali invocati la durata della custodia. Cio' significa che non solo l'imputato non possa disporne ma che la protrazione della custodia (determinata dalla sospensione dei termini di fase ai sensi dell'art 303, primo comma, lettere a) e b) c.p.p.) possa avvenire solo per specifiche esigenze difensive, valutate dal giudice che puo' in ogni momento respingere richieste di rinvio provenienti dall'imputato o dal suo difensore, quando non determinate da ragioni di legittimo impedimento o da concrete esigenze di difesa. Non e' questo il caso del rinvio richiesto, per consentire al difensore di aderire all'astensione collettiva. In questo caso, trattandosi di esigenza estranea all'interesse difensivo dell'imputato, ininfluente rispetto alla sua posizione processuale, del tutto avulsa dagli interessi materiali in gioco nel processo, il rinvio che provoca la sospensione dei termini di custodia cautelare e' estraneo al rigido sistema costituzionale di tutela della liberta' personale e di restrizione finalizzata esclusivamente alla tutela di esigenze di sicurezza e processuali nella fase di celebrazione del processo. Si osservi che il rinvio del processo per adesione dell'imputato all'astensione del proprio difensore produce non solo il protrarsi ingiusto della custodia cautelare dell'imputato presunto innocente, specie se tale innocenza dovesse essere accertata all'esito del processo ma anche l'impossibilita' per l'ingiustamente detenuto di fare valere diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione per i giorni di custodia cautelare sofferti, per avervi dato causa per dolo o colpa grave. In concreto per avere prolungato volontariamente la custodia ingiusta eventualmente sofferta. Un ordinamento che garantisce con tale rigore il diritto di liberta' personale non puo' ammettere che di essa si faccia libera disponibilita' per consentire ai professionisti avvocati di esercitare anche nei processi con detenuti il diritto all'astensione dalle udienze per ragioni rilevanti per la categoria professionale. Qui, ad avviso del tribunale, vi e' quel conflitto, con diritti costituzionali della persona che a norma dell'art. 1 della stessa legge n. 149/1990 avrebbe dovuto portare all'esclusione dal codice di autoregolamentazione del diritto di astensione dalle udienze, in presenta di imputati detenuti; b) sotto altro profilo la disciplina dell'astensione dalle udienze degli avvocati in processi con imputati detenuti confligge con l'ultimo comma dell'art. 13 ultimo comma della Costituzione, in relazione al principio di ragionevole durata del processo (111 primo e secondo comma C.), nonche' al principio di subordinazione del giudice alla legge e alla sovranita' popolare, espressa da quest'ultima: 101/1-2 C. Il parametro va integrato con riferimento all'art. 1 della Costituzione (principio di sovranita' popolare) e 70 della Costituzione. La questione concerne l'esclusiva competenza del legislatore, espressione della sovranita' popolare, a stabilire il tempo massimo assegnato all'autorita' giudiziaria per concludere il processo a carico di imputati detenuti. Un tempo massimo cui fa da pendant la valutazione del tempo giudicato assolutamente necessario a definire determinati processi con imputati detenuti. Se il legislatore ha assegnato un termine massimo per la pronuncia di una sentenza irrevocabile con imputato detenuto, contemperando attraverso la fissazione di termini massimi le esigenze cautelari con il diritto alla liberta' personale del presunto innocente, significa che solo il legislatore interprete della sovranita' popolare puo' stabilire quanto tempo sia necessario ed entro quanto tempo lo Stato deve definire i processi nei diversi gradi di giudizio con imputati detenuti. La gestione e l'uso del tempo per concludere il processo nei tre gradi di giudizio e' affidato dal legislatore all'autorita' giudiziaria che ha la responsabilita' di definire in tempi ragionevoli i processi anche per assicurare che le esigenze cautelati che giustificano le misure cautelari non siano frustrate dall'abnorme durata delle diverse fasi del processo. Se sulla gestione e sulla durata dei tempi processuali intervengono fattori diversi da quelli espressamente considerati dal legislatore nella previsione della ragionevole durata, fattori esterni incidenti potestativamente sui tempi assegnati per giungere a sentenza, non sara' piu' il legislatore e tramite esso il popolo' a fissare il tempo della giustizia ma singoli soggetti o categorie che finiscono col disporre della durata di detti termini in violazione dei suddetti principi fondamentali. E' noto infatti che per nessuna ragione nei processi con imputati detenuti la custodia cautelare puo' oltrepassare, in relazione a tutti i gradi di giudizio, i termini di durata complessiva fissati nell'ultimo comma dell'art. 303 c.p.p. Cio' significa che il rinvio delle udienze nel primo grado di giudizio, a seguito dell'astensione dei difensori nei processi con imputati detenuti non e' affatto neutro, quanto agli effetti sulla possibilita' di definire il giudizio nei diversi gradi entro i termini massimi complessivi ma finisce con l'erodere il tempo che il legislatore ha ritenuto e assegnato come ragionevole per definire tempestivamente il processo nei tre gradi, prima della scadenza dell'invalicabile termine cumulativo dei massimi di fase. Attraverso l'astensione dalle udienze con imputati detenuti, la categoria professionale interessata priva l'amministrazione della giustizia di parte del tempo che il legislatore ha ritenuto ragionevole assegnare all'autorita' giudiziaria per pronunciare la sentenza definitiva nel rispetto degli interessi, dei diritti e dei principi che solo il legislatore puo' considerare rilevanti. Ne' puo' dirsi che non sussiste antinomia tra norme di pari grado che possono coesistere tra loro, attribuendo alla norma che disciplina l'astensione degli avvocati il potere di derogare a regole processuali, espressione di fondamentali principi costituzionali in materia di giusto processo. Ritiene il tribunale che nel caso di specie il bilanciamento sia stato effettuato senza tenere conto dei preminenti interessi e principi costituzionali che trovano fondamento nel principio di sovranita' popolare attraverso la legge. Il bilanciamento in base a tali principi esige che l'astensione dalle udienze non deve interferire con fondamentali manifestazioni di sovranita' consistenti nell'esercizio dell'azione penale, nell'applicazione della legge penale, demandata alla magistratura nelle forme e nei modi stabiliti esclusivamente dalla legge processuale, nel rispetto dei principi del giusto processo. Si tratta di interferenze settoriali e di categoria che finiscono col determinare unilateralmente il contenuto effettivo delle norme processuali. Nel caso dell'astensione collettiva degli avvocati penalisti nei processi con detenuti i termini di custodia complessivi e quindi il tempo entro cui il processo si deve concludere per evitare la scarcerazione dell'imputato, subisce variazioni dipendenti dal numero e dalla durata delle astensioni dalle udienze, unilateralmente decise dalle associazioni di categoria, incidenti anche sul principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia e sul principio di uguaglianza, posto che la possibilita' di definire i processi entro il termine previsto dalla legge dipende dalla maggiore o minore durate delle astensioni dei difensori e dalla partecipazione o meno del difensore alle astensioni proclamate dalla categoria; c) quest'ultimo rilievo mette in evidenza la torsione che la norma sull'astensione dalle udienze con imputati detenuti produce sul diritto di difesa ex art. 24 C., in relazione all'art. 3. Non vi e' dubbio che la relazione tra difensore e imputato assistito e' una relazione asimmetrica. L'imputato si affida al proprio difensore di fiducia sia in ragione di un intuitus sia per ragioni tecniche e professionali. Quando si chiede all'imputato di consentire all'astensione del difensore, pur nella consapevolezza del costo che tale astensione potrebbe provocare per l'imputato detenuto, si incunea nella relazione tra imputato e difensore un elemento psicologico di valutazione della condotta del difensore estraneo alle ragioni della scelta, un fattore non inerente alla relazione professionale, che introduce nella stessa un elemento non tecnico ma latamente «politico», non strettamente legato alle ragioni della difesa, potenzialmente inquinante del rapporto fiduciario, l'imputato potendo accettare la scelta del proprio difensore suo malgrado, al solo scopo di conservare il rapporto con il proprio difensore ma al contempo dovendo rinunciare a far valere le sue esigenze. Far dipendere dunque dall'imputato detenuto la scelta di consentire al proprio difensore se astenersi o meno mette sullo stesso piano soggetti che sono su un piano diverso, imponendo all'imputato detenuto, e quindi in condizioni di minorita', una scelta estranea al proprio interesse alla definizione piu' rapida possibile del processo e alle ragioni della scelta del difensore, richiedendogli un'opzione e un atto di volonta' che non sono e non possono essere libere, in questo modo strumentalizzandosi l'imputato alle finalita' dell'astensione del difensore, finalita' estranee ai criteri e alle ragioni della difesa; d) tutte le,ragioni sopra svolte vanno riesaminate e rivalutate alla stregua dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'intrinseca irragionevolezza della previsione normativa che finisce nel solo caso degli avvocati con l'attribuire alla manifestazione di protesta e alla rivendicazione di categoria un peso abnorme e sproporzionato, ben diverso e, superiore da quello di cui possono disporre altre categorie di lavoratori autonomi e professionisti, proprio perche' l'astensione degli avvocati nei processi con imputati detenuti interferisce per le ragioni indicate col bene fondamentale della liberta' personale valore che nella gerarchia dei beni supremi sta sotto solo al bene della vita e dell'integrita' personale, beni che, a loro volta, non possono essere in alcun modo essere compromessi o messi in pericolo da astensioni dei professionisti o lavoratori autonomi. D'altra parte, potendo i professionisti avvocati con la loro astensione nei processi con detenuti, il cui consenso potrebbe considerarsi, come visto, per certi aspetti non genuino e per altri indisponibile, far valere il peso specifico di un disagio grave arrecato a un servizio pubblico essenziale quale l'Amministrazione della Giustizia penale con imputati detenuti, in assenza di qualsivoglia contrappeso derivante dalla mancanza di ogni potere dell'autorita' pubblica di ricorrere a precettazione o ad altre iniziative di contrasto nei casi di particolare disagio provocato all'interesse prevalente, la disciplina dell'astensione, limitata alla sola stipula di un codice di autoregolamentazione in assenza di vincoli e limiti normativi pregiudiziali, appare altamente irragionevole potendo mettere a rischio e compromettere quel fondamentalissimo bene che e' la liberta' personale da un lato e la sicurezza collettiva dall'altro. Si considerino poi le differenze che anche normativamente la legge n. 146 prevede tra le astensioni nei servizi pubblici disciplinati dall'art. 2 e quelli regolati dall'art. 2-bis; e) a questo proposito e' sufficiente considerare, sempre in tema di violazione del principio di eguaglianza, che la legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali prevede una ben piu' cogente disciplina dello sciopero dei dipendenti del Ministero della giustizia addetti al servizio di assistenza all'udienza penale. Le prestazioni che tali dipendenti sono tenuti ad assicurare ai sensi degli articoli 1 e 2 della legge n. 146/1990, pur in costanza di astensione, sono sia l'assistenza alle udienze di convalida di arresti e fermi sia le udienze con imputati detenuti. Citiamo dall'art. 1, secondo comma, delle legge n. 146: 2. Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivita', nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dell'art. 2; a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della liberta' e della sicurezza della persona, dell'ambiente e del patrimonio storico-artistico; la sanita': l'igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l'approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessita', nonche' la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi: l'Amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della liberta' personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonche' ai processi penali con imputati in stato di detenzione. Omissis. Appare evidente la disparita' di trattamento rispetto a quest'altra categoria di lavoratori che assicurano il servizio della giustizia penale, la cui dignita' come persone e come lavoratori non puo' essere menomata attribuendo agli avvocati un maggior diritto nello stesso ambito dell'astensione dalle udienze per ragioni sindacali. Cio' senza considerare il codice di autoregolamentazione dello sciopero dei magistrati che stabilisce come in materia penale l'astensione non e' consentita nei procedimenti e processi con imputati detenuti. Trattandosi di attivita' che ugualmente interferiscono con diritti fondamentali della persona, una diversita' di trattamento dell'astensione collettiva non puo' essere ammessa, attribuendo agli avvocati il privilegio negativo ed esclusivo di impedire la celebrazione di processi indilazionabili quali sono quelli con imputati detenuti, sia pure con il consenso dei clienti. f) Ultimo profilo, infine, di intrinseca irragionevolezza della norma impugnata sta nel fatto che lo stesso codice di autoregolamentazione dell'astensione degli avvocati prevede alla lettera a) dello stesso art. 4 1, il divieto di astensione nei casi di assistenza al compimento degli atti di perquisizione e sequestro, alle udienze di convalida dell'arresto e del fermo, a quelle afferenti misure cautelari, agli interrogatori ex art. 294 del codice di procedura penale, all'incidente probatorio ad eccezione dei casi in cui non si verta in ipotesi di urgenza, come ad esempio di accertamento peritale complesso, al giudizio direttissimo e al compimento degli atti urgenti di cui all'art. 467 del codice di procedura penale. Orbene le differenze tra gli istituti sopra indicati e i processi con imputati detenuti non appaiono tali da giustificare l'esistente radicale differenza di disciplina. Proprio in relazione a cio' che si e' detto sulla necessita' che il processo penale con imputati detenuti si deve concludere nei termini normativamente previsti per prevenire una liberazione priva di base sostanziale ma imputabile solo ai tempi del processo, le istanze di urgenza di tali processi sono altrettanto rilevanti e decisive per il corretto assetto della giustizia penale. Si tenga conto che in quelle diverse situazioni esistono istituti che consentirebbero di procedere anche nell'assenza del difensore mentre nel procedimento penale tali istituti ernergenziali non esistono.