TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA Sezione penale Il tribunale, composto dai magistrati: dott. Francesco Caruso, Presidente; dott. Cristina Beretti, giudice; dott. Andrea Rat, giudice; Ordinanza 1. Conviene ricordare ancora una volta che avanti l'intestato tribunale si sta celebrando il «maxi processo», comunemente denominato «Aemilia», che vede imputate piu' di 150 persone, per il reato di associazione a delinquere di stampo 'ndranghetistico oltre a molteplici reati fine aggravati dall'art. 7, legge n. 203/1991. All'odierna udienza tutti i difensori, con il consenso degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere, hanno ancora una volta aderito allo sciopero proclamato dall'Unione delle Camere penali. Si tratta della quinta settimana di astensione dalle udienze penali degli avvocati organizzati in associazioni di categoria. La proclamazione e l'adesione all'astensione generalizzata dalle udienze penali, sono avvenute nelle forme e nei modi stabiliti dal codice di autoregolamentazione, previsto dalla legge n. 146/1990 e successive modifiche per disciplinare modalita', tempi e condizioni dell'astensione degli avvocati nel servizio pubblico essenziale dell'amministrazione della giustizia penale. Va segnalato come le associazioni proclamanti hanno ignorato l'invito a revocare l'ennesima settimana di astensione (la quinta in cinque mesi e mezzo) rivolto dall'Autorita' garante per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Sul sito della Commissione si puo' leggere che l'Autorita' di garanzia per gli scioperi ha chiesto alle associazioni di rappresentanza degli avvocati di revocare lo sciopero proclamato dal 12 al 16 giugno, considerato che nel corso dell'anno, si sono svolte gia' ben quattro astensioni (per un totale di 18 giorni). Nel rivolgersi ai professionisti, la Commissione ha rammentato il rischio che l'ennesimo sciopero, proclamato in un breve arco temporale, «finirebbe per pregiudicare la buona amministrazione della giustizia penale nel suo complesso.». Il rifiuto di accogliere la richiesta dell'Autorita' rivela l'inadeguatezza della disciplina legislativa a salvaguardare il servizio pubblico della giustizia penale e la sostanziale mancanza di strumenti efficaci per regolamentare l'astensione degli avvocati, in particolare quella specifica forma di astensione in processi con imputati detenuti, come quello che questo tribunale sta trattando, senza uguali nel nord Italia per dimensioni, complessita', numero di imputati e di capi di imputazioni. Questo tribunale, dubitando della legittimita' della disciplina dettata dal codice di autoregolamentazione, contenuta nell'art. 4, comma 1, lettera b), ha sollecitato, ai sensi dell'art. 13, lettere a) e b), legge n. 146/1990, la Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali a pronunciarsi su una serie di questioni relative alla legittimita' costituzionale del sistema derivante dal combinato degli articoli 2-bis e 4, comma 1, lettera b) del codice di autoregolamentazione. Risulta che la Commissione abbia convocato presso di se' le associazioni di categoria e abbia prospettato l'esigenza di profonde modifiche nel codice di autoregolamentazione dell'astensione dei penalisti, con specifico riferimento alla materia dei procedimenti di criminalita' organizzata con imputati detenuti. In sostanza la Commissione di garanzia, nel richiamare gli avvocati a riaprire il confronto finalizzato alla revisione del vigente codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze (adottato in data 4 aprile 2007 da O.U.A., UCPI, ANFI, ANF, AIGA, UNCC, valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008), con particolare riferimento all'art. 4, lettera b), ha ritenuto di condividere le preoccupazioni di questo tribunale sulla tenuta costituzionale dell'assetto normativo vigente in materia di disciplina dell'astensione dalle udienze, quanto meno nei processi di criminalita' organizzata con imputati detenuti. Si richiama a questo proposito la lettera che la Commissione ha inviato a questo tribunale: Prot: 0007052/AVV dell'11 maggio 2017. Le sollecitazioni della Commissione non hanno portato ad alcun ripensamento ne' ad alcun raffreddamento del conflitto, dimostrando la difficolta' della Commissione nei confronti della potente categoria degli avvocati penalisti, i quali allo stato continuano a gestire, senza alcun ripensamento, l'astensione dalle udienze, secondo un codice di autoregolamentazione della cui legittimita' costituzionale l'organo garante dubita e nonostante questo. E' evidente come, in assenza di intervento del legislatore, il solo modo per riportare l'assetto normativo della materia alla normalita' costituzionale sia di invocare l'intervento risolutivo della Corte costituzionale che, come in occasione della storica sentenza n. 171 del 1996 dovra' valutare se l'attuale assetto normativo sia conforme alle esigenze di equilibrio tra valori costituzionali antagonisti e attui correttamente il bilanciamento tra i contrapposti valori in gioco: il diritto di liberta' degli avvocati di manifestare dissenso dalle scelte legislative in materia penale, e la necessita' di salvaguardare il nucleo minimo ed essenziale delle prestazioni che la giustizia penale deve erogare a salvaguardia dei fondamentali valori espressi dagli articoli 3/1, 13/1 e seguenti, 24/1-2, 27/2, 70, 97/2, 101/1-2, 102, 111 della Costituzione, sotto il profilo della tutela del principio del contraddittorio e della ragionevole durata, tanto piu' rilevante quando si tratta di giudizi penali con imputati detenuti. Tali processi devono essere trattati e definiti nel minor tempo possibile, un tempo calibrato esclusivamente sulle esigenze processuali e sulla disponibilita' delle risorse della giustizia, dovendosi garantire al contempo la minor sofferenza possibile ed una detenzione che, potendo risultare ingiusta dopo il giudizio, deve risolversi nel minor tempo per l'imputato presunto innocente. Al contempo deve essere assicurata la definizione del processo entro i tempi massimi e complessivi di custodia cautelare, previsti per i tre gradi di giudizio, nei confronti dell'imputato per il quale sussistono specifiche esigenze di custodia cautelare, che vanno salvaguardate anche con la tempestiva pronuncia della sentenza definitiva, prima della scadenza dei termini, nelle diverse fasi e nel complesso dei plurimi gradi di giudizio. Questo tribunale ha gia' sollevato con ordinanza del 23 maggio 2017 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge n. 146/1990, nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati (valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008) stabilisca (art. 4, comma 1, lettera b) che nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, si proceda malgrado l'astensione del difensore solo ove l'imputato lo chieda espressamente. I parametri costituzionali invocati sono quelli sopra riportati. In piu' nella precedente ordinanza vi e' solo uno specifico riferimento all'art. 1 che si combina con l'argomento sviluppato in relazione all'art. 70. Il contenuto sostanziale di detta ordinanza va qui confermato e richiamato e ad essa in ogni sua parte ci si riferisce, senza trascriverne il contenuto per elementare esigenza di ordine. In questa nuova ordinanza, determinata dall'ennesima dichiarazione di astensione degli avvocati, assentita dagli imputati detenuti, pur essa effettuata in modo conforme alle norme del codice di autoregolamentazione, il tribunale intende puntualizzare e precisare alcuni punti degli argomenti sviluppati nell'ambito della precedente ordinanza. 2. La disciplina in materia di astensione degli avvocati e' dettata, oltre che dalla fonte costituzionale (art. 18 della Costituzione), dalla legge n. 146 del 1990, cosi' come modificata dalla legge n. 83 del 2000, recante «norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati», nonche' nel codice di autoregolamentazione delle astensioni delle udienze degli avvocati. Per mere esigenze espositive si richiama il quadro normativo, riportato nella precedente ordinanza: a) l'art. 2-bis della legge n. 146/1990 prevede che: «L'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalita' dei servizi pubblici di cui all'art. 1, e' esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili di cui al medesimo articolo. A tale fine la Commissione di garanzia di cui all'art. 12 promuove l'adozione, da parte delle associazioni o degli organismi di rappresentanza delle categorie interessate, di codici di autoregolamentazione che realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento con i diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all'art. 1. Se tali codici mancano o non sono valutati idonei a garantire le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1, la Commissione di garanzia, sentite le parti interessate nelle forme previste dall'art. 13, comma 7, lettera a), delibera la provvisoria regolamentazione. I codici di autoregolamentazione devono in ogni caso prevedere un termine di preavviso non inferiore a quello indicato al comma 5 dell'art. 2, l'indicazione della durata e delle motivazioni dell'astensione collettiva, ed assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1»; b) i commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge n. 146 del 1990, richiamati, con il sistema del rinvio, dal riportato art. 2-bis, stabiliscono che: «1. Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla liberta' ed alla sicurezza, alla liberta' di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla liberta' di comunicazione. 2. Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivita', nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente all'insieme delle prestazioni individuate come indispensabili ai sensi dell'art. 2...» (omissis); c) l'art 4, comma 1, lettera b) stabilisce che: L'astensione non e' consentita nella materia penale in riferimento ai «... procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l'imputato chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall'art. 420-ter, comma 5 (introdotto dalla legge n. 479/1999) del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l'astensione del difensore. In tal caso il difensore di fiducia o d'ufficio, non puo' legittimamente astenersi ed ha l'obbligo di assicurare la propria prestazione professionale.». 3. Va anche qui, per esigenze espositive, riportato lo stato del diritto vivente, che muove dalla sentenza L. delle Sezioni unite (n. 40187 del 29 settembre 2014). Si e' scritto nella precedente ordinanza che «il massimo consesso nomofilattico, dopo un'articolata disamina dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi in materia, ha per un verso ribadito la valenza cogente erga omnes delle norme del codice di autoregolamentazione, aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare; per altro verso, ha escluso la configurabilita', nell'attuale assetto normativo, di un potere giudiziale di bilanciamento («se non in ipotesi eccezionali ed in limiti molto ristretti») tra il diritto all'astensione e gli altri diritti e valori di rilievo costituzionale, essendo tale bilanciamento gia' stato operato dal legislatore e dalle predette fonti secondarie. A sostegno di tali conclusioni, la sentenza ha tra l'altro valorizzato: a) la natura non di mera liberta', ma di vero e proprio diritto, avente un sicuro fondamento costituzionale, che deve essere riconosciuta all'astensione forense; b) la riconduzione nell'ambito del «diritto oggettivo» delle norme contenute nel codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo, essendo state fissate da una specifica fonte normativa, cui il legislatore primario ha attribuito la specifica competenza a disciplinare la materia dell'astensione; c) la gia' avvenuta integrale regolazione di quest'ultima da parte del legislatore e delle fonti secondarie, che hanno cosi' realizzato un compiuto bilanciamento tra il diritto ad astenersi e gli altri diritti e valori di rilievo costituzionale (diritto di difesa e di azione, interesse dello Stato ad evitare la prescrizione, ecc.); d) la riserva al giudice, invece, della valutazione relativa alla conformita' degli atti, costituenti concreto esercizio del diritto ad astenersi, rispetto alla normativa primaria e secondaria predetta, correttamente interpretata; e) la possibilita' per il giudice di compiere, in detta fase, un «bilanciamento indiretto» degli interessi in gioco, attraverso un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata delle norme primarie e secondarie, ovviamente con i limiti costituiti dalla lettera della disposizione e dalla ratio della soluzione normativa; f) la possibilita' di ipotizzare un bilanciamento giudiziale solo in ipotesi eccezionali, quali il venir meno della vigenza delle fonti secondarie, o l'emersione di diritti e valori costituzionali ulteriori (non riconducibili cioe' a quelli per i quali e' gia' normativamente avvenuto il bilanciamento): non potendo ritenersi sufficiente, a tali fini, il richiamo a generiche «esigenze di giustizia» concernenti ad esempio il disagio per i testi residenti in localita' lontane. Puo' essere peraltro opportuno riportare le regole di diritto che la Cassazione ha dettato sul punto: «Il bilanciamento tra il diritto costituzionale dell'avvocato che aderisce all'astensione dall'attivita' giudiziaria e i contrapposti diritti e valori costituzionali dello Stato e dei soggetti interessati al servizio giudiziario, e' stato realizzato, conformemente alle indicazioni della sentenza costituzionale n. 171 del 1996, in via generale dal legislatore primario con la legge n. 146 del 1990 (come modificata e integrata dalla legge n. 83 del 2000) e dalle suddette fonti secondarie alle quali e' stata dalla legge attribuita la competenza in materia, mentre al giudice spetta normalmente il compito di accertare se l'adesione all'astensione sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle competenti disposizioni primarie e secondarie, previa loro corretta interpretazione». Considerato in diritto Ancora una volta questo tribunale, dovendo provvedere sulla richiesta di rinvio dell'udienza, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis della legge n. 149 del 12 giugno 1990 nella parte in cui consente, con riferimento all'astensione collettiva dalle prestazioni dei professionisti avvocati, che il codice di autoregolamentazione adottato dalla categoria professionale in questione, come rappresentata dalle associazioni di categoria, valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2008, preveda una disposizione, quale quella contenuta nell'art. 4, comma 1, lettera b) che, nel disciplinare le prestazioni indispensabili alle quali il professionista avvocato non puo' sottrarsi neppure in presenza di un'astensione collettiva di categoria legittimamente proclamata, esclude dal divieto di astensione i procedimenti e i processi nei quali l'imputato o gli imputati si trovino in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove gli imputati o alcuni di essi non chiedano espressamente che si proceda, malgrado l'astensione del difensore. Solo in tal caso il difensore di fiducia o d'ufficio e' tenuto alla prestazione professionale. La legge, integrata dal codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione di garanzia, consente ai difensori nei processi penali di astenersi anche in processi con detenuti, a meno che gli imputati in stato di custodia cautelare non chiedano espressamente che si proceda, nonostante i difensori abbiano aderito all'astensione collettiva dalle udienze. Rispetto a quanto esposto nella precedente ordinanza, il tribunale intende qui approfondire l'argomento che attiene alla rilevanza e all'ammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale con riferimento alla natura giuridica e al valore del codice di autoregolamentazione. Dalla lettura della sentenza della suprema Corte prima richiamata, si comprende che per i giudici di legittimita' la legge n. 146/1990 considera il codice di autoregolamentazione come integrante la disciplina legale dell'astensione degli avvocati. Per la Cassazione la legge ha disciplinato l'astensione degli avvocati, rimediando alle censure della sentenza della Corte costituzionale n. 171/1996 e attuandone le indicazioni in tema di bilanciamento, rinviando per la disciplina specifica al codice di autoregolamentazione, fonte secondaria alla quale la legge attribuisce il rango di norma primaria, posto che il codice di autoregolamentazione in base all'art. 2-bis, legge n. 146/1990, come interpretato dalla Cassazione, e' la fonte autorizzata a porre la norma che regola l'astensione. Al giudice non e' permesso di disattendere il codice e neppure di denunciarne la difformita' rispetto alla norma primaria. Quest'ultima non detta alcuna specifica disciplina del contenuto del codice di autoregolamentazione, non pone limiti e condizioni rispetto ai quali effettuare un confronto di conformita' e coerenza per eventualmente disattendere il codice perche' contrario alla legge. Il legislatore nel caso dei professionisti, e a differenza di tutte le altre categorie di lavoratori dei servizi pubblici essenziali, si e' semplicemente spogliato del potere regolamentare e lo ha attribuito alla Commissione di garanzia con una norma di rinvio e di recepimento del codice di autoregolamentazione al quale finisce con l'attribuire la forza di norma primaria. Il rispetto delle misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili e' formula richiamata solo per attribuire alla Commissione di garanzia il compito di promuovere l'adozione da parte delle categorie interessate del codice di autoregolamentazione, finalizzato genericamente al «contemperamento» dei diritti costituzionalmente tutelati. Come questo contemperamento debba essere attuato la legge non dice; non formula indicazioni e criteri, non fornisce direttive e criteri di priorita'. La legge si limita a delegare al codice di autoregolamentazione la disciplina sostanziale dell'astensione (casi, modi circostanze, servizi essenziali da garantire, tempi, durata, modalita' di proclamazione, livelli essenziali ecc.). Si limita a richiedere l'indicazione della durata e della motivazione e un livello di prestazioni compatibile con le finalita' di cui all'art. 1. Quest'ultimo richiamo non fornisce tuttavia alcun elemento per autonomamente valutare se l'obiettivo di «compatibilita'» sia stato realizzato. In sostanza un'indicazione generica e una delega in bianco alla Commissione di garanzia, con l'effetto del recepimento sul piano sostanziale della disciplina del codice di autoregolamentazione, approvato dalla Commissione, che finisce con l'avere, attraverso la copertura della legge, rango e forza di norma primaria. Da qui l'ammonimento della Cassazione ai giudici di merito a non «toccare» il codice di autoregolamentazione, nel senso di non poterne sindacare autonomamente il contenuto, di non valutarne allo stesso modo la compatibilita' con altre norme di legge, di non eseguire autonomi bilanciamenti e sottovalutazione del valore delle norme del codice, da applicare «come se» fossero norme dettate dalla fonte primaria. La Cassazione dice che il bilanciamento tra il diritto costituzionale dell'avvocato che aderisce all'astensione e i contrapposti diritti e valori costituzionali dell'ordinamento e dei soggetti interessati al servizio giudiziario, e' stato realizzato, in via generale dal legislatore primario con la legge n. 146 del 1990 (come modificata e integrata dalla legge n. 83 del 2000) e dalle suddette fonti secondarie alle quali e' stata dalla legge attribuita la competenza in materia, mentre al giudice spetta normalmente il compito di accertare se l'adesione all'astensione sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle competenti disposizioni primarie e secondarie, previa loro corretta interpretazione. Il bilanciamento e' quindi materia di spettanza delle fonti primarie e secondarie, combinate tra loro, cui la legge attribuisce «la competenza in materia» (cioe' la competenza al bilanciamento); singolarmente il giudice non puo' effettuare un autonomo bilanciamento nel confronto tra le norme dell'ordinamento nel loro complesso ma deve limitarsi ad una interpretazione limitata al sottosistema della disciplina dell'astensione; la «corretta interpretazione» deve limitarsi alla lettura delle norme del codice in combinazione con le norme di legge che, come si e' visto, sono sostanzialmente prive di contenuti. Che questo sistema sia conforme alle indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 171/1996, cosi' come ritiene la Corte di cassazione, e' il quesito che il tribunale si e' posto, giungendo alla conclusione della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita', alla stregua di una pluralita' di parametri costituzionali. Sta di fatto che il diritto vivente, allo stato della giurisprudenza, non consente in alcun modo al tribunale di disapplicare o interpretare il codice di autoregolamentazione alla luce di parametri prevalenti rispetto ai quali misurare una eventuale illegittimita' delle disposizioni del codice. Trattandosi di norme poste e da applicarsi come se fossero legge, non resta al tribunale che rimetterne la valutazione alla Corte costituzionale, impugnando sia la fonte primaria che la fonte secondaria che determinano la disciplina normativa concreta della fattispecie in esame. Come gia' osservato nella precedente ordinanza, la questione che il tribunale intende sollevare con riferimento al citato art. 2-bis, legge n. 149/1990 e all'art 4, comma 1, lettera b) del codice di autoregolamentazione e' rilevante in relazione alla decisione che il tribunale deve adottare di disporre il rinvio dell'odierna udienza, nella quale tutti i difensori hanno ritualmente dichiarato di aderire all'astensione collettiva proclamata dalle Camere penali, per ogni altro aspetto conforme alle regole e prescrizioni formali e sostanziali previste dal predetto codice di autoregolamentazione. In presenza di una astensione collettiva dei professionisti avvocati, ai sensi dell'art 2-bis, legge n. 149/1990, conforme al codice di autoregolamentazione previsto dal medesimo articolo, il tribunale secondo il diritto vivente non ha possibilita' di valutare autonomamente la legittimita' dell'astensione e di bilanciare il diritto all'astensione con altri beni e valori costituzionalmente rilevanti ma deve disporre il rinvio, nonostante sia evidente il pregiudizio per altri fondamentali diritti della persona e del cittadino imputato. Tale rinvio produrrebbe di conseguenza gli effetti che si connettono al rinvio determinato dall'astensione dei difensori: sospensione del termine di prescrizione fino alla nuova udienza; analogamente, sospensione dei termini di custodia cautelare per la fase del dibattimento di primo grado in corso. Il tribunale, in base alla norma vigente, deve prendere atto dell'esistenza di una fattispecie conforme alla regola di diritto dettata da Cass. sez. un., 27 marzo 2014, n. 40187, L.; dare atto del diritto al rinvio dei difensori e della sospensione dei termini anzidetti, fino alla nuova udienza che il tribunale potrebbe fissare in modo del tutto discrezionale, sospendendo il dibattimento non necessariamente per pochi giorni ma anche per settimane o addirittura mesi, secondo le proprie esigenze organizzative. La norma che deve essere in concreto applicata in questa fase del processo e' quella che il combinato delle norme richiamate, fonda il «diritto al rinvio», attribuito dal sistema legale e dalla giurisprudenza della suprema Corte ai professionisti avvocati che deliberino l'astensione collettiva in modo conforme al codice di autoregolamentazione approvato, pure in presenza di imputati detenuti purche' costoro non chiedano procedersi nonostante l'astensione dei difensori. Si e' gia' detto ma conviene ripetere che per la giurisprudenza di legittimita' il codice di autoregolamentazione ha valore di legge ed efficacia erga omnes; una volta integrati i presupposti di legittimita' dell'astensione, secondo il codice medesimo, non residua in capo al giudice alcun potere di valutazione e di bilanciamento tra il diritto del difensore e la tutela di altri diritti fondamentali aventi copertura costituzionale. Tale posizione giustifica per un primo aspetto la rilevanza della q.l.c. che si intende proporre, posto che dovendosi dare attuazione alle disposizioni del codice e non essendovi spazio per diverse letture interpretative delle norme del codice di autoregolamentazione che possano escludere il riconoscimento della sussistenza del diritto nel caso concreto, il contemperamento tra il diritto all'astensione collettiva dei professionisti e gli altri diritti costituzionalmente tutelati trova completa realizzazione nella «legge» (rectius: nel combinato tra legge e codice di autoregolamentazione), come definita dalla suprema Corte; tale combinato, come detto, ha risolto a monte il conflitto, in modo che non ammette interpretazioni volte a intendere diversamente il bilanciamento tra i contrapposti valori in gioco, sulla base di parametri oggettivi, certi, generali ed astratti, non rimessi a valutazioni discrezionali del singolo caso. Ne' il correttivo introdotto in extremis nell'ultima parte della motivazione della sentenza L. consente di giungere a conclusioni diverse. Su questo punto si rinvia all'ordinanza del 23 maggio 2017, dovendosi escludere che il bilanciamento possa rientrare indirettamente secondo la tecnica marginalmente adombrata dalla suprema Corte. Sul piano applicativo e dell'interpretazione delle norme non si possono introdurre criteri di bilanciamento che il legislatore, nella lettura delle Sezioni unite, ha giudicato espressamente irrilevanti o soccombenti, nel momento in cui ha autorizzato la negoziazione tra la categoria interessata e la Commissione di garanzia. Se si e' ritenuto da parte del legislatore di abdicare a una diretta tutela di tutti gli altri valori costituzionali in gioco, demandandone la tutela alla Commissione di garanzia, delegata a tutelarli su un piano meramente negoziale, e se la suprema Corte ha fissato rigorosi confini all'intervento del giudice e al suo potere d'interpretazione, non vi e' interpretazione adeguatrice che possa far ritornare in gioco quei valori che il codice di autoregolamentazione espressamente subordina al diritto di astensione dei difensori. Ne segue che il tentativo di recupero di un potere discrezionale del giudice, sul piano dell'interpretazione in concreto della norma regolamentare, alla luce di «altri» principi e valori costituzionali, trova il limite invalicabile di ogni attivita' interpretativa: l'interpretazione non puo' allontanarsi dal dettato normativo tanto da conseguire risultati contra legem, dovendosi percorrere in tali ipotesi la strada della questione di legittimita' costituzionale. Nel caso in esame, la disciplina legislativa scaturente dal codice di autoregolamentazione regola espressamente, con chiarezza e senza alcun vuoto normativo, la situazione normativa che questo tribunale considera costituzionalmente illegittima perche' lesiva di altri fondamentali diritti della persona e di principi costituzionali inderogabili. Nella disciplina regolamentare tutti i confliggenti valori costituzionali, la liberta' personale, il diritto di difesa dell'imputato in vinculis, il giusto processo, la garanzia che il processo con imputati detenuti nei cui confronti sussistono esigenze cautelari e percio' in custodia cautelare si svolga in tempi compatibili con la presunzione di innocenza, e quindi il giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processuali e tempi della custodia, sono espressamente considerati e valutati come subvalenti rispetto al diritto di astensione dei difensori, per cui nessun margine residua per individuare valori espressamente non contemplati da fare valere in via interpretativa posto che tutti i valori costituzionali soccombenti si ritiene siano stati espressamente valutati nel momento in cui si e' reso obbligatorio (e a pena di nullita') nella situazione data il rinvio del processo e la protrazione della custodia cautelare per tutta la durata dell'astensione collettiva, sol che non vi sia espressa manifestazione contraria dell'imputato, e quindi rimettendo alla disponibilita' del soggetto interessato la tutela di valori che hanno un superiore rango costituzionale, che come tali prescindono dall'interesse del singolo, e debbono essere tutelati in quanto tali. I beni e i valori costituzionali in gioco hanno rilievo pubblico e costituzionale; la tutela dei diritti fondamentali dell'individuo nei suoi rapporti con il potere coercitivo dello Stato va garantita, a prescindere dalla valutazione che ne faccia il singolo titolare. Non si puo' valutare il consenso dell'imputato al prolungamento della privazione della liberta' personale oltre il tempo strettamente necessario alla celebrazione del processo, secondo i tempi scanditi dall'autorita' giudiziaria, alla stregua del consenso che in alcuni casi rende giustificato il fatto (la privazione della liberta') oggettivamente lesivo; cio' che fa dire alla dottrina penalistica che il bene della liberta' personale dell'onore e della dignita' sono diritti relativamente disponibili. Diritti la cui compressione per volonta' del soggetto consenziente puo' considerarsi lecita per esigenze temporanee o per motivi contingenti e comunque per limitazioni circoscritte e secondarie. Qui si tratta del potere dello Stato di privare il cittadino della liberta' personale che puo' essere attuato nelle sole forme, tempi e modi previsti dalla Costituzione che non contempla evidentemente in nessun caso il «consenso» del cittadino, avulso da qualsiasi interesse pubblico e processuale, come e' invece nel caso dell'art. 304, lettera A). E' questa norma nella quale il rinvio e' richiesto dall'imputato detenuto nell'interesse proprio e della sua difesa, per ragionevoli ragioni processuali e personali. Una domanda sottoposta al vaglio del giudice che puo' e deve effettuare in questo caso il bilanciamento in concreto con altri interessi che si oppongono al rinvio e finisce col coinvolgere sempre la responsabilita' dello Stato che deve concludere il processo entro i termini massimi o complessivi di cui al quarto comma dell'art. 303 del codice di procedura penale. Questo rinvio, pur prolungando i termini di custodia non esonera lo Stato dalla responsabilita' di sistema per irragionevole durata e ingiusta custodia cautelare. Nessun imputato trattenuto in custodia cautelate oltre il tempo prescritto dalla legge, potrebbe con il proprio consenso «scriminare» la condotta dolosa o colposa del funzionario che abbia commesso l'illecito, proprio perche' prima ancora della violazione del diritto del cittadino, risulta violato il principio di legalita' che limita, controlla e sospende il potere coercitivo dello Stato, limitazione che non puo' essere rimessa nella disponibilita' del cittadino e del privato. Che i tempi della custodia cautelare non possano essere logicamente ricondotti alla logica privatistica del «consenso dell'avente diritto», discende dal fatto che il potere cautelare e' regolato da norme imperative di diritto pubblico, rispetto alle quali non e' ammessa alcuna interferenza della volonta' del privato. Ed e' evidente come il consenso prestato all'astensione del proprio difensore, operando in una logica tutta privatistica, non puo' essere preso in alcuna considerazione dall'ordinamento, trattandosi di disciplina a carattere inderogabile perche' regola e limita il potere dello Stato che non puo' trovare eccezione ed esonero, volta per volta, nella volonta' dei soggetti interessati, essendo del tutto evidente quale deriva autoritaria potrebbe assumere il concedere ai singoli il potere di autorizzare lo Stato a derogare alle norme di garanzia. In questo campo si opera pertanto in materia di diritti irrinunciabili, indisponibili, irriducibili a valutazioni di convenienza soggettiva e privata, essendo la loro tutela finalizzata anche al mantenimento degli equilibri costituzionali nel rapporto tra potere dello Stato di garantire la sicurezza e il rispetto delle leggi attraverso il giusto processo, e il diritto del cittadino al rispetto delle liberta' fondamentali; un equilibrio, che va assicurato dal legislatore in ossequio alla Costituzione, senza improprie deleghe o rimessioni a terzi, fosse anche il diretto titolare del diritto. La rilevanza della questione va esaminata sotto altro distinto profilo. L'ordinanza che il tribunale deve adottare non riguarda evidentemente il merito del processo ma attiene ad un giudizio incidentale che concerne il riconoscimento del «diritto al rinvio» dei difensori che, totalitariamente, hanno dichiarato di aderire all'astensione collettiva delle udienze con l'effetto di determinare la sospensione dei termini di custodia cautelare per gli imputati detenuti e dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. La questione che il tribunale intende affrontare riguarda in particolare il primo dei due effetti e i suoi riflessi sulla gestione e durata dei processi con imputati detenuti, poiche' il riconoscimento del diritto al rinvio determina automaticamente il prolungarsi del termine massimo di custodia cautelare per tutta la durata del rinvio. Il profilo di legittimita' costituzionale attiene all'effetto del rinvio sulla liberta' personale degli imputati, sul giusto processo con imputati detenuti, sul diritto di difesa, sul rapporto tra ragionevole durata del processo e durata del termine massimo di «carcerazione preventiva» che il legislatore ha fissato in determinati limiti, rispetto ai quali il rinvio richiesto dai difensori finisce con l'incidere, in maggiore o minore misura sulla base delle autonome determinazioni del tribunale, vincolato da fattori esterni di tipo organizzativo e dalle disponibilita' delle risorse necessarie per muovere sollecitamente il processo, sulle quali incidono i rinvii imposti dalle astensioni. La rilevanza della questione attiene quindi alla decisione incidentale sul riconoscimento del diritto al rinvio. La pregiudizialita' della questione di l.c. e' limitata a questo profilo parziale e limitato, pur se di assoluta rilevanza dibattimentale. Nessuna rilevanza ha la questione rispetto alla decisione di merito e neppure rispetto ad altre decisioni intermedio di tipo istruttorio o cautelare (se non per il ricalcolo dei termini massimi di fase della custodia). Se la Corte costituzionale dovesse dichiarare l'illegittimita' della norma che si sottopone allo scrutinio di costituzionalita', non si avrebbe la sospensione dei termini (di custodia e di prescrizione) come effetto del riconosciuto diritto insindacabile del difensore ad astenersi dall'udienza, in assenza di espressa richiesta contraria dell'imputato, ma come conseguenza della sospensione ex lege del processo per l'incidente di costituzionalita'. Il che produce una significativa differenza giuridica, posto che la sospensione del termine non deriva direttamente dalla richiesta degli imputati e dei loro difensori ma dalla necessita' di sollevare l'incidente di costituzionalita' per fare dichiarare l'illegittimita' della norma che sancisce il diritto al rinvio nella fattispecie considerata. Cio' comporta che come in occasione della precedente ordinanza, il tribunale non deve affatto ordinare la sospensione del procedimento principale sull'accertamento delle responsabilita', rispetto al quale, come detto, la questione e' del tutto irrilevante ma deve sospendere semplicemente il segmento subprocedimentale concernente la decisione sul rinvio richiesto dai difensori e sui conseguenti effetti. Cio' va ribadito nei confronti delle parti che hanno frettolosamente preannunciato ricorso a giudice superiore per ottenere la Cassazione dell'ordinanza del 23 maggio nella parte in cui non sospende l'intero giudizio ma solo il segmento subprocedimentale, e ipotizzano addirittura nullita' e abnormita' nel successivo inter procedimentale. A questo proposito e a sostegno della decisione di questo tribunale conviene citare dal manuale di giustizia costituzionale di illustri autori, ove si legge: «La sospensione e' il provvedimento conseguente alla rilevanza della questione. Se la definizione del processo dipende dalla previa risoluzione della questione d'incostituzionalita', evidentemente esso deve restare sospeso fin tanto che la questione pregiudiziale non sia stata risolta. Non necessariamente, pero', deve sospendersi tutto il procedimento a quo, quando la questione di costituzionalita' riguardi, per cosi' dire, subprocedimenti inseriti sul tronco di quello principale. Si pensi, per esempio, a eccezioni d'incostituzionalita' che riguardano norme su provvedimenti cautelari interni allo svolgimento del processo. Inoltre, per cio' che riguarda l'assunzione delle prove, si potrebbe ammettere che il processo sia sospeso solo in relazione alla prova specifica regolata dalla norma della cui costituzionalita' si dubita ma prosegua per il resto, almeno fino a quando il risultato della prova debba essere valutato ai fini del decidere». Per quanto riguarda le specifiche censure d'incostituzionalita' della normativa risultante dall'art. 2-bis della legge n. 146/1990, il tribunale rinvia alle questioni poste con la precedente ordinanza, qui integralmente richiamata. Ritiene peraltro di affrontare la questione di l.c. sotto uno specifico profilo non adeguatamente affrontato dalla precedente ordinanza. Con la sentenza n. 171 del 1996 la Corte costituzionale dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 5 della legge n. 146/1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, nella parte in cui dette disposizioni non prevedono e disciplinano nel caso di astensione collettiva dall'attivita' giudiziaria degli avvocati: l'obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell'astensione; nonche' gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonche' le procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza. Nella sua disamina, la Corte muoveva dall'esigenza di salvaguardare, insieme al diritto di astensione, altri valori costituzionali meritevoli di tutela. Tra questi il diritto di azione e difesa di cui all'art. 24 della Costituzione nonche' i principi generali posti a tutela della giurisdizione. Richiamando l'art. 1, comma 1 della legge n. 146 del 1990, la Corte osserva come la legge, riguardo a tutti i lavoratori e prestatori d'opera del settore pubblico, considera essenziale il servizio pubblico che garantisce il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, espressamente enunciati (vita, salute, liberta', sicurezza, istruzione, comunicazione via di seguito enumerando). Si e' gia' sottolineato nella precedente ordinanza come in ossequio a tali valori il secondo comma dell'art. 1, rivolgendosi alle diverse categorie di pubblici dipendenti tra cui i lavoratori della giustizia o operanti in settori a questa connessi, prevede che il diritto di sciopero debba essere contemperato l'esercizio con i diritti fondamentali della persona, costituzionalmente tutelati, di cui al comma 1, e a tal fine il legislatore formula regole da rispettare e procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, per assicurare l'effettivita', nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi. Rivolgendosi alla generalita' dei lavoratori dei servizi pubblici il legislatore del 1990 non si limitava, come fara' quello del 2000, a porre il principio rimandando alla negoziazione con la Commissione di garanzia la redazione del codice di autoregolamentazione e quindi la determinazione delle norme sostanziali e di dettaglio ma imponeva, con particolare riferimento all'amministrazione della giustizia, un preciso obbligo di considerare servizio pubblico essenziale prevalente sul diritto di astensione, le attivita' concernenti i provvedimenti restrittivi della liberta' personale, i procedimenti cautelari ed urgenti, nonche' le attivita' nei processi penali con imputati in stato di detenzione. Queste attivita', in quanto coinvolgenti la tutela del diritto alla liberta' personale, da comprimere per il tempo strettamente necessario e comunque non superiore a determinati limiti, non potevano essere compromesse o rallentate o pregiudicate dal diritto di astensione. Questa precisa indicazione non e' stata invece ripetuta nell'art. 2-bis che anziche' enunciare espressamente le attivita' giudiziarie vincolate e prevalenti sul diritto di astensione come nel caso della restante parte dei lavoratori della giustizia, si limita ad affermare che la Commissione di garanzia, nel promuovere il codice di autoregolamentazione per gli avvocati, deve «assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1». Si potrebbe certamente discutere se il codice approvato dalla Commissione, nella parte relativa alla disciplina dei processi con detenuti, abbia effettivamente assicurato un livello di prestazioni «compatibile» con le finalita' di cui all'art. 1. Ma un discorso di questo tipo non solo appare scivoloso perche' appunto «compatibile» non significa «non diverso» da quello richiesto ai lavoratori di cui al primo comma, che devono inderogabilmente assicurare le prestazioni necessarie per celebrare processi con detenuti, ma soprattutto precluso dal diritto vivente che ha finito con l'attribuire al codice di autoregolamentazione il valore di norma primaria per la copertura ad esso offerta dalla legge. Le legge che ha integrato la normativa del 1990 sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (legge n. 83/2000), dunque, da un lato determina, come si osservava nella precedente ordinanza, una disparita' di trattamento con gli altri lavoratori della giustizia ma finisce irragionevolmente col non raccogliere l'indicazione tassativa gia' espressa dal legislatore del 1990, di considerare inderogabilmente le attivita' nei processi con imputati detenuti, come prestazioni essenziali. Cio' posto, appare evidente al tribunale come il legislatore del 2000 nel formulare l'art 2-bis non abbia accolto l'indicazione della Corte costituzionale di adottare «gli strumenti idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali», da richiedere ai professionisti impegnati nei processi penali, tra queste l'assistenza difensiva inderogabile nei processi con detenuti. Scrive la Corte, che la legge n. 146/1990 all'art. 1 non si limita a individuare le prestazioni che devono considerarsi essenziali ma elenca una serie di beni che costituiscono il catalogo dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati che devono essere comunque assicurati. Tra questi e' certamente l'amministrazione della giustizia. Ma la Corte non si limita a questo; fornendo un'indicazione precisa, testuale e ineludibile di quale possa essere la disciplina costituzionale, stabilisce che le prestazioni essenziali dei professionisti devono essere individuate «con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della liberta' personale ed a quelli cautelari e urgenti nonche' ai processi penali con imputati detenuti», ponendo quindi positivamente la regola minima che il legislatore deve adottare. E' la stessa Corte costituzionale a indicare quindi i processi con imputati detenuti come quel settore di attivita' dell'amministrazione della giustizia, di fronte al quale recede la liberta' di astensione. Ed e' evidente che l'essenzialita' di questo servizio, declinato nel contesto costituzionale, non ammette varianti e deroghe ascrivibili alle contingenti, mutevoli, decisioni dei soggetti interessati (come accaduto in questo processo nelle prime due settimane di astensione), posto che l'interesse alla celebrazione del processo in modo rapido e tempestivo, e' si' dell'imputato detenuto ma e' soprattutto interesse pubblico generale dei cittadini che esigono che in presenza dei detenuti la giustizia sia sollecita e rapida, senza condizionamenti e senza intralci, per revocare prima possibile la custodia cautelare dell'innocente o per mantenere, senza scarcerazioni imputabili a rallentamenti della macchina giudiziaria, lo stato custodiale dell'imputato eventualmente condannato, attualmente considerato meritevole di custodia anticipata. E' perentoria la Corte nell'affermare che quando la liberta' degli avvocati «si eserciti in contrasto con la tavola dei valori sopra richiamata, essa non puo' non arretrare per la forza prevalente di quelli». Contrariamente a quanto auspicato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 1996 anche oggi, nonostante l'introduzione dell'art 2-bis nella legge n. 146/1990, il meccanismo introdotto dal legislatore, con la delega alla Commissione di garanzia del potere di approvare il codice di autoregolamentazione, non appare idoneo a salvaguardare i fondamentali interessi costituzionali individuati dalla Corte e dallo stesso legislatore. L'impotenza della Commissione di garanzia nell'ottenere una modifica del codice di autoregolamentazione concordata con le associazioni degli avvocati, come risulta dalle recenti vicende di convocazioni delle associazioni e di rifiuto delle stesse di raccogliere le indicazioni della Commissione, del tutto consapevole della necessita' di modifica, rivela con tutta evidenza l'inadeguatezza del meccanismo ideato dal legislatore per disciplinare in senso costituzionalmente orientato l'astensione degli avvocati. Si puo' affermare, parafrasando la Corte, che il legislatore, non regolando analiticamente i casi in cui l'astensione pregiudica i beni costituzionali primari, ha finito col mantenere la situazione precedente, non avendo predisposto efficaci specifiche misure idonee ad evitare la compromissione di beni primari della convivenza civile che non tollera paralisi o rallentamenti della funzione giurisdizionale penale, in particolare quando e' in gioco la privazione della liberta' personale dell'imputato presunto innocente. Era la Corte costituzionale gia' nel 1996 a esigere «prescrizioni volte ad assicurare, durante l'astensione dall'attivita' giudiziaria, le prestazioni indispensabili». Tali prestazioni, espressamente identificate dalla Corte in quelle inerenti i processi con imputati detenuti, il sistema attualmente non garantisce, lasciando alla disponibilita' degli avvocati e degli imputati detenuti, agli accordi invisibili tra gli stessi, a strategie processuali eventualmente non trasparenti, la tutela di beni costituzionali che devono essere tutelati oggettivamente, nell'interesse della costituzionalita' dell'ordinamento sul punto. Va ricordato da ultimo un passo conclusivo della sentenza del 1996 nel quale la Corte mostra di considerare equiparabili, in termini di essenzialita', ai fini della tutela dei diritti fondamentali della persona, le prestazioni dei lavoratori subordinati della giustizia, per i quali vigevano gli indicati limiti allo sciopero (processi con detenuti ed altro) e gli avvocati e i professionisti autonomi; la Corte nell'affermare l'equiparabilita' delle prestazioni quanto al fine della tutela dei diritti, riconosceva l'impossibilita' di effettuare un'interpretazione estensiva e analogica della disciplina dei lavoratori dipendenti della giustizia a quella dei professionisti autonomi, ai quali per tale ragione detta legittima disciplina non poteva estendersi direttamente; cio' non impediva peraltro alla Corte di riconoscere che «l'astensione dalle udienze di questi attori del processo (gli avvocati), la cui presenza e' necessaria, incide - in misura non minore dello sciopero del personale delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie - sull'amministrazione della giustizia che e' servizio pubblico essenziale». In tal modo la Corte costituzionale riconosceva, ai fini della regolamentazione dell'astensione nel settore giustizia, la necessita' di equiparare sotto il profilo delle prestazioni essenziali le prestazioni dei dipendenti e quelle degli avvocati. Per queste ragioni oltre che per quelle esposte nell'ordinanza del 23 maggio 2016, il tribunale ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' come formulata nel dispositivo che segue.