IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
                          PER LA LOMBARDIA 
 
 
                           Sezione Seconda 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 1032 del 2017, proposto da   Associazione
Culturale Madni, in persona del legale  rappresentante  pro  tempore,
rappresentata e difesa dall'avvocato Emanuele  Corli,  con  domicilio
eletto presso la Segreteria del Tribunale  Amministrativo  Regionale,
in Milano, Via Filippo Corridoni, 39; 
    contro Comune di  Castano  Primo,  in  persona  del  Sindaco  pro
tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato  Alberto  Fossati,  con
domicilio eletto presso lo studio del difensore in Milano,  Corso  di
Porta Vittoria, 28; 
    per l'annullamento della determinazione assunta in data 13  marzo
2017 dal Responsabile  del  Servizio  lavori  pubblici  territorio  e
ambiente  della  Citta'  di  Castano   Primo,   avente   ad   oggetto
l'annullamento del permesso di costruire n.  17/2015,  rilasciato  in
data 15 gennaio 2016 all'Associazione Culturale Madni  (e  successive
varianti),  nonche'  di   ogni   atto   presupposto,   connesso   e/o
conseguente, ivi  compreso  il  rapporto  di  Polizia  Locale  del  9
novembre 2016 prot. n. 2269, richiamato nell'atto impugnato. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio del  Comune  di  Castano
Primo; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti l'articolo 134 della Costituzione, l'articolo 1 della legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'articolo 23 della  legge  11
marzo 1953, n. 87; 
    Visto l'articolo 36, comma 2, e l'articolo 79, cod. proc. amm.; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  14  febbraio  2018  la
dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le  parti  i  difensori
come specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                           Fatto e Diritto 
 
    1. L'Associazione Culturale Madni ha impugnato la  determinazione
del Responsabile del Servizio lavori pubblici, territorio e  ambiente
del Comune di Castano Primo  con  la  quale  e'  stato  annullato  il
permesso di costruire n. 17/2015, rilasciato alla stessa Associazione
il 15 gennaio 2016. 
    Ha, inoltre,  censurato  il  rapporto  della  Polizia  locale  di
Castano Primo del 9 novembre 2016, richiamato  nel  provvedimento  di
annullamento. 
    2.  L'Associazione  ricorrente  e'  diretta,  in  base   all'atto
costitutivo e dallo statuto, a perseguire i seguenti scopi: 
        «a)  mantenere  e  valorizzare  le  tradizioni  culturali   e
religiose dei Paesi d'origine dei Musulmani residenti nel  territorio
del Castanese, rafforzare  il  legame  di  fratellanza  umana  con  i
cittadini locali attraverso lo scambio culturale,  la  collaborazione
sociale, la vicinanza civile all'interno di un quadro di  rispetto  e
di integrazione, in accordo con i valori della Repubblica Italiana  e
nel pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti. 
        b) far rivivere gli insegnamenti del  Profeta  (Sunna)  e  la
Rivelazione Divina (Corano). 
        c) promuovere una condotta morale che porti alla pratica  del
bene. 
        d)  organizzare  e  facilitare  viaggi   di   studio   e   di
pellegrinaggio (Mecca-Medina). 
        e) organizzare e facilitare le  procedure  di  sepoltura  dei
Musulmani anche presso il paese d'origine. 
        f)  organizzare  corsi  e  manifestazioni  o  eventi  per  la
promozione della cultura musulmana e le lingue e tradizioni del paese
di origine degli associati». 
    Secondo quanto  risulta  agli  atti  del  giudizio,  con  istanza
depositata il 9 gennaio 2013, l'Associazione ha chiesto al Comune  di
Castano Primo un «Parere preventivo all'esercizio  dell'attivita'  di
culto» presso gli «immobili siti in Castano Primo, Via Friuli n.  1».
Nell'istanza  si  evidenziava,  tra   l'altro,   che   il   complesso
immobiliare era costituito «da n. 2 fabbricati a uso residenziale, n.
2 fabbricati a uso deposito, n. 1 fabbricato a uso autorimessa  oltre
ad area di pertinenza» e che tale complesso - che in caso  di  parere
positivo sarebbe stato ristrutturato - ricadeva in zona urbanistica B
3.1  «residenziale  di  completamento  edilizio  del  tessuto  urbano
consolidato». 
    L'istanza e' stata riscontrata dal Comune  con  la  nota  del  22
marzo  2013,  con  la  quale  e'   stato   reso   parere   favorevole
all'utilizzazione  richiesta  dall'Associazione,  in   considerazione
della localizzazione degli immobili  nella  zona  urbanistica  B  3.1
«dove  la  destinazione  principale  e'  quella  residenziale  e   le
attrezzature culturali, che rientrano nella fattispecie dei  «servizi
alla persona» compatibili con la residenza, sono quindi ammissibili».
Il Comune precisava, inoltre, che «Per poter utilizzare in tal  senso
gli immobili prescelti, e' necessario pertanto inoltrare richiesta di
idoneo titolo abilitativo tendente al  mutamento  della  destinazione
d'uso, adottando tutte le  specifiche  prescrizioni  impartite  dalla
normativa vigente. Nella redazione dell'istanza, dovra' essere  posta
particolare attenzione al  reperimento  dei  Posti  Auto  interni  al
lotto, nelle quantita' previste all'art. 12 della  N.T.A.  del  Piano
delle Regole, inerenti la  nuova  destinazione  d'uso  (servizi  alla
persona). Dovranno essere inoltre computati e successivamente versati
i  contributi  relativi  agli  Oneri  di  Urbanizzazione  dovuti   in
relazione alla trasformazione dell'uso da «residenziale»  a  «servizi
alla persona compatibili», secondo le vigenti tariffe». 
    Stante il parere preventivo favorevole del Comune, l'Associazione
ha quindi dato corso, il 28 ottobre 2013, all'acquisto del  complesso
immobiliare di Via Friuli n. 1. 
    L'Associazione   ha   poi   ottenuto,   il   24   luglio    2015,
l'autorizzazione paesaggistica «per la realizzazione  di  ampliamento
edificio esistente con cambio di destinazione d'uso  da  residenza  a
servizio alla persona», e ha quindi domandato, il 20 agosto 2015,  il
permesso di costruire, che e' stato effettivamente rilasciato  il  15
gennaio 2016. 
    A cio' e' seguita, il  5  luglio  2016,  la  presentazione  della
comunicazione di inizio dei lavori. 
    E'  poi   avvenuto   che   il   Comune   ha   manifestato   dubbi
all'Associazione in ordine all'effettiva possibilita' di destinare il
complesso immobiliare di Via Friuli n. 1 all'esercizio del culto.  Si
sono, quindi, tenuti una  serie  di  incontri  con  i  rappresentanti
dell'Associazione, la quale ha stabilito  spontaneamente,  in  questa
fase,  di  sospendere  i  lavori  dal  13   ottobre   2016,   dandone
comunicazione all'Amministrazione. 
    Gli approfondimenti svolti  hanno,  infine,  condotto  il  Comune
all'adozione del provvedimento  del  13  marzo  2017,  impugnato  nel
presente giudizio, con il  quale  e'  stato  disposto  l'annullamento
d'ufficio del permesso di costruire n. 17/2015 del 15 gennaio 2016. 
    3.    Le     motivazioni     della     determinazione     assunta
dall'Amministrazione, illustrate nel corpo dell'atto, evidenziano, in
particolare, che: 
        -  il  Comune  ha  appurato  che  l'intervento  edilizio   e'
preordinato alla realizzazione di un'attrezzatura religiosa, ai sensi
dell'articolo 71 della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12, come  si
evince: dalle  finalita'  dell'Associazione  Culturale  Madni;  dagli
elementi architettonici, quali la nicchia orientata a Sud-Est  (ossia
in direzione della Mecca); dalla distribuzione  interna  dei  locali,
che sono formati da una sala principale al piano terra e da un blocco
di  servizi  igienici  al  piano  interrato,  questi  ultimi  servizi
chiaramente preordinati alle  pratiche  propedeutiche  alle  funzioni
religiose del rito musulmano (si tratterebbe, in altri termini, delle
vasche per le abluzioni rituali);  dalle  stesse  dichiarazioni  rese
dall'Associazione nel procedimento  di  rilascio  dell'autorizzazione
paesaggistica, dalle quali risulta chiaramente la volonta' di attuare
la destinazione a luogo di culto; 
        - la realizzazione di un tale  intervento  edilizio,  diretto
allo svolgimento non occasionale anche di attivita' di culto,  ricade
nella categoria urbanistica prevista dall'articolo 71, comma 1, lett.
b) e c-bis) della legge regionale n. 12 del 2005;  categoria  per  la
cui attuazione e' richiesta  la  preventiva  approvazione  del  Piano
delle attrezzature religiose di cui all'articolo 72, comma  1,  della
medesima legge regionale; 
        - allo stato, il Comune di Castano Primo  non  e'  dotato  di
tale Piano, per cui il permesso di costruire e' stato rilasciato  «in
assenza di un iter procedurale atto a garantire la trasparenza  degli
atti assunti attraverso meccanismi di partecipazione e  consultazione
della cittadinanza»; 
        - «la situazione viabilistica dell'area di  cui  sopra,  come
emerge nel rapporto della Polizia locale  del  9  novembre  2016,  n.
prot. 2269, non e' idonea, ne' allo stato  e  neppure  anche  con  le
misure indicate nel  rapporto  stesso,  a  sopportare  il  carico  di
traffico  e  di  posteggio  indotto  dall'affluenza  di  persone   in
relazione alla pratica del culto»; 
        - l'annullamento del titolo edilizio «non risponde ad un mero
ripristino della legalita' formale violata,  bensi'  ad  un  concreto
interesse pubblico diretto ad impedire l'esercizio di un'attivita' di
culto,  per  sua  natura  aperta  ad  un  numero   indeterminato   di
destinatari, in un'area  inidonea  per  le  sue  ridotte  dimensioni,
inserita  in  una  zona  altamente  residenziale,  inadatta  per   le
condizioni viabilistiche di contorno e per la carenza di parcheggio»; 
        - i lavori sono stati sospesi dall'Associazione e «anche  per
tale ragione non puo' dirsi consolidato alcun affidamento  in  favore
dell'Associazione Madni, consapevole dei  profili  di  illegittimita'
del permesso di  costruire  esposti  nel  corso  di  incontri  con  i
rappresentanti dell'Amministrazione comunale». 
    4. Nel censurare il  provvedimento  comunale,  la  ricorrente  ha
allegato i seguenti motivi: 
        I)  violazione  dell'articolo  72,  comma  8,   della   legge
regionale n. 12 del 2005 e dell'articolo 11 delle disposizioni  sulla
legge in generale, nonche' eccesso di  potere  per  travisamento  dei
fatti e difetto di istruttoria e di motivazione; cio'  in  quanto  il
complesso  immobiliare   della   ricorrente   rientrerebbe   tra   le
«attrezzature religiose esistenti» al 6  febbraio  2015,  ossia  alla
data in cui e' entrata in vigore la legge regionale 3 febbraio  2015,
n.  2,  che  ha  modificato  la  legge  regionale  n.  12  del  2005,
introducendo il Piano delle attrezzature religiose; conseguentemente,
la realizzazione dell'intervento oggetto del  permesso  di  costruire
non sarebbe  subordinato  all'approvazione  dell'apposito  Piano,  ma
beneficerebbe dell'esenzione dalla nuova disciplina,  secondo  quanto
ora disposto dall'articolo 72, comma 8, della legge regionale  n.  12
del  2005;  in  particolare,  la  natura  di  attrezzatura  religiosa
esistente deriverebbe dal fatto che  l'Associazione  Culturale  Madni
sarebbe presente sul territorio di  Castano  Primo  sin  dal  2007  e
avrebbe trasferito la propria sede nel complesso di Via Friuli  n.  1
dal 28 ottobre 2013; 
        II) violazione degli articoli 6, 12 e 27 delle Norme Tecniche
di Attuazione (NTA) del Piano delle Regole del Piano di Governo (PGT)
ed eccesso di potere, perche' il permesso di costruire rilasciato  in
favore della ricorrente rispetterebbe integralmente, in  realta',  le
previsioni dello strumento  urbanistico;  cio'  in  quanto,  in  base
all'articolo 10, comma 3,  lett.  f),  della  legge  regionale  della
Lombardia n. 12 del 2005, il Piano delle Regole stabilisce,  per  gli
ambiti del tessuto urbano  consolidato,  le  destinazioni  d'uso  non
ammissibili, con la conseguenza che dovrebbero  reputarsi  consentite
tutte le destinazioni  d'uso  non  espressamente  escluse;  nel  caso
oggetto del presente giudizio, la destinazione «servizi alla persona»
rientrerebbe tra quelle non vietate nella zona B 3.1, ove  ricade  il
complesso immobiliare di proprieta'  dell'Associazione;  inoltre,  in
base all'articolo 6 delle NTA, il cambio di  destinazione  d'uso  per
l'insediamento  di  tali  servizi  non   comporterebbe   neppure   un
fabbisogno aggiuntivo  di  servizi  e  attrezzature  pubbliche  e  di
interesse pubblico, mentre la dotazione di posti  auto  pertinenziali
sarebbe stata assicurata in misura persino sovrabbondante rispetto  a
quanto richiesto dall'articolo 12 delle stesse NTA  per  la  predetta
destinazione «servizi alla persona»; 
        III) violazione del Piano dei Servizi del PGT ed  eccesso  di
potere,  perche'  sarebbe  del   tutto   apodittica   l'affermazione,
contenuta nel provvedimento impugnato, secondo la quale dal  rapporto
della Polizia locale si evincerebbe  un  aggravio  del  traffico  non
sostenibile;  nello  stesso  rapporto  si   suggerirebbe   anche   di
incrementare la dotazione di parcheggi pubblici, ma  il  suggerimento
non troverebbe  alcun  riscontro  nelle  previsioni  dello  strumento
urbanistico, le quali  consentono  l'insediamento  di  «servizi  alla
persona», senza necessita'  di  incrementare  la  dotazione  di  tali
servizi; in ogni caso, il complesso immobiliare sarebbe situato in un
contesto periferico, a bassa densita' abitativa, e  senza  criticita'
viabilistiche, tanto che lo stesso Comandante  della  Polizia  locale
avrebbe ammesso che  il  disagio  causato  dalle  auto  in  sosta  su
entrambi i lati della strada,  gia'  valutato  in  passato,  potrebbe
essere superato con  un'ordinanza  di  regolazione  della  sosta;  il
giudizio espresso dall'Amministrazione sulla situazione  viabilistica
dell'area non sarebbe, percio',  coerente  con  lo  stato  reale  dei
luoghi; 
        IV)  difetto  di  motivazione,  violazione  dei  principi  di
proporzionalita' e di non  aggravamento,  nonche'  contraddittorieta'
manifesta;  cio'  in  quanto  la  legge  regionale  dovrebbe   essere
interpretata nel senso che la previa  approvazione  del  Piano  delle
attrezzature religiose dovrebbe  essere  richiesta  soltanto  per  la
realizzazione di strutture di grandi dimensioni,  ma  non  anche  per
quelle di modesta entita',  quale  quella  oggetto  del  permesso  di
costruire rilasciato in favore della ricorrente; il provvedimento  di
annullamento del permesso di costruire, subordinando la realizzazione
della destinazione richiesta al Piano delle  attrezzature  religiose,
si porrebbe in contraddizione con le  determinazioni  precedentemente
assunte dal Comune, con il principio costituzionale di buon andamento
dell'amministrazione  e  con   il   divieto   di   aggravamento   del
procedimento amministrativo; peraltro, la  ricorrente  avrebbe  anche
inutilmente rappresentato  al  Comune  la  propria  disponibilita'  a
incrementare le aree da destinare a parcheggio all'interno del  lotto
di proprieta'; il provvedimento  di  annullamento  sarebbe,  percio',
immotivato, irragionevole  e  sproporzionato  rispetto  all'interesse
pubblico al ripristino della legalita' violata; 
        V) incostituzionalita' dell'articolo 72, comma 5, della legge
regionale n. 12 del 2005 e contrasto della disposizione regionale con
la normativa europea; cio'  in  quanto  il  predetto  comma  5,  come
sostituito dall'articolo 1 della  legge  regionale  n.  2  del  2015,
stabilirebbe  la  mera  facolta'  discrezionale  dei  Comuni,  e  non
l'obbligo,  di  prevedere  la  realizzazione  di  edifici  di   culto
attraverso   l'apposito   Piano   delle    attrezzature    religiose;
risulterebbero, quindi, violati gli articoli 2, 3, 8, 19,  20  e  117
della Costituzione, nonche' con l'articolo 118,  primo  comma,  della
Costituzione; sarebbe violata anche la direttiva  2000/43/CE  del  29
giugno 2000, che attua il principio della parita' di trattamento  fra
le persone, indipendentemente  dalla  razza  e  dall'origine  etnica,
comprendendo tra le liberta' fondamentali il diritto alla liberta' di
associazione e il diritto  all'accesso  ai  beni  e  ai  servizi:  in
quest'ultimo ambito  rientrerebbe  l'edilizia  religiosa,  in  quanto
preordinata alla fornitura di un servizio; 
        VI) violazione dell'articolo 21-nonies della legge n. 241 del
1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di  motivazione,
nonche' violazione dei principi di  imparzialita'  e  buon  andamento
dell'azione  amministrativa;  cio'  in  quanto  la  motivazione   del
provvedimento di autotutela non evidenzierebbe il  compimento  di  un
apprezzamento in concreto dell'interesse pubblico alla rimozione  del
titolo; in sostanza, l'Amministrazione avrebbe  manifestato  la  mera
intenzione di ripristinare la legalita' violata, senza  tenere  conto
della situazione di fatto (destinazione dei servizi dell'Associazione
a una ristretta platea,  costituita  dalle  circa  sessanta  famiglie
iscritte, le quali non frequenterebbero la  sede  contemporaneamente;
contesto territoriale caratterizzato da una bassa densita' abitativa,
da adeguata viabilita' e dalla  presenza  di  parcheggi  pubblici  in
parte  inutilizzati);  sarebbe   stato   ingiustamente   leso   anche
l'affidamento ingenerato nell'Associazione, la quale, confidando  nel
parere preventivo positivo del  Comune,  avrebbe  acquistato  l'area,
richiesto il titolo edilizio e dato avvio ai lavori; 
        VII) violazione, sotto altro profilo, dell'articolo 21-nonies
della legge n. 241  del  1990  e  del  principio  di  buon  andamento
dell'azione amministrativa, perche' - tenuto conto del modo in cui si
e' snodata la complessa vicenda amministrativa, a partire dal  parere
preliminare richiesto al Comune - l'annullamento del titolo  edilizio
sarebbe avvenuto oltre il termine ragionevole; 
        VIII) ancora violazione dell'articolo 21-nonies  della  legge
n. 241 del 1990, eccesso di  potere  per  difetto  di  istruttoria  e
carenza di motivazione e violazione dei principi di cui  all'articolo
97  della  Costituzione,  perche'  l'Amministrazione  avrebbe  dovuto
ponderare l'interesse pubblico alla luce dell'interesse del  privato,
il  quale,  nel  caso  di  specie,  includerebbe  non  solo  lo   ius
aedificandi,  ma  anche  il   complesso   delle   tutele   apprestate
dall'articolo 19 della Costituzione alla liberta' di religione; 
        IX) difetto di  motivazione  e  violazione  dei  principi  di
proporzionalita' e di non aggravamento, in  quanto,  nell'ambito  del
complesso immobiliare di proprieta' dell'Associazione,  il  corpo  di
fabbrica confinante con Via Friuli avrebbe mantenuto la  destinazione
residenziale:    circostanza,    questa,    che    avrebbe    imposto
all'Amministrazione di procedere, al piu',  a  un  annullamento  solo
parziale del titolo edilizio. 
    5. Si e' costituito il Comune di Castano Primo, insistendo per il
rigetto del ricorso. 
    6. In esito alla camera di consiglio fissata per  la  trattazione
cautelare della causa, la Sezione ha emesso l'ordinanza n. 780 del 20
giugno 2017, con la quale  ha  disposto  la  fissazione  dell'udienza
pubblica, ritenendo che il ricorso ponesse questioni  di  particolare
complessita', da vagliare in sede di merito, anche in  considerazione
della   possibilita'   di   ravvisare   profili   di   dubbio   sulla
compatibilita' costituzionale delle previsioni dell'articolo 72 della
legge regionale n.  12  del  2005,  laddove  dall'applicazione  delle
relative disposizioni deriva  il  divieto  incondizionato  di  aprire
nuovi  luoghi  di  culto  in  assenza   dell'apposito   Piano   delle
attrezzature religiose approvato dal Comune. 
    7. All'udienza  pubblica  fissata  la  causa  e'  stata,  infine,
trattenuta in decisione. 
    8. Il Collegio anticipa sin d'ora di ritenere che tutti i  motivi
di ricorso siano infondati, a eccezione del quinto, la cui  soluzione
impone di sollevare innanzi alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 72,  commi  1  e  2,  della
legge regionale 11 marzo 2005, n.  12,  nel  testo  risultante  dalle
modifiche apportate dall'articolo 1, comma 1, lett. c),  della  legge
regionale 3 febbraio 2015, n. 2, sotto i profili e per le ragioni che
si illustreranno piu' oltre. 
    9. La trattazione  del  ricorso  richiede,  peraltro,  una  breve
premessa ricostruttiva della cornice  normativa  entro  la  quale  si
inquadra la presente controversia. 
    9.1 La legge regionale della  Lombardia  11  marzo  2005,  n.  12
(«Legge  per  il  governo  del  territorio»)  reca,  nella  Parte  II
(«Gestione del territorio»), un Titolo IV  dedicato  alle  «Attivita'
edilizie specifiche». Nell'ambito di questo Titolo,  il  Capo  III  -
composto dagli articoli 70-73 della  legge  -  detta  «Norme  per  la
realizzazione di edifici di  culto  e  di  attrezzature  destinate  a
servizi religiosi». 
    Le  previsioni  contenute   nel   suddetto   Capo   stabiliscono,
anzitutto, che le  «attrezzature  di  interesse  comune  per  servizi
religiosi», come definite  all'articolo  71,  comma  1,  della  legge
regionale, «costituiscono opere di urbanizzazione secondaria ad  ogni
effetto»  (cosi'  il  comma  2  dello  stesso  articolo  71,  tuttora
vigente). 
    Quanto alla localizzazione sul territorio di  tali  attrezzature,
l'articolo 71, comma 1, stabiliva, nel suo tenore  originario,  prima
delle modifiche apportate dalla legge regionale 3 febbraio  2015,  n.
2, che il Piano dei Servizi - che e' uno degli atti di cui si compone
il  Piano  di  Governo  del  Territorio  -   dovesse   specificamente
individuare, dimensionare  e  disciplinare  «le  aree  che  accolgono
attrezzature  religiose,  o  che  sono  destinate  alle  attrezzature
stesse», e cio'  «sulla  base  delle  esigenze  locali,  valutate  le
istanze avanzate  dagli  enti  delle  confessioni  religiose  di  cui
all'articolo 70». 
    Tali ultimi soggetti erano individuabili, in  particolare,  negli
«enti istituzionalmente competenti in materia di culto  della  Chiesa
Cattolica»  (articolo  70,  comma  1)  e  negli  «enti  delle   altre
confessioni  religiose  come  tali  qualificate  in  base  a  criteri
desumibili  dall'ordinamento  ed   aventi   una   presenza   diffusa,
organizzata e stabile nell'ambito del comune (...), ed i cui  statuti
esprimano il carattere religioso delle loro finalita' istituzionali e
previa stipulazione di convenzione tra il  comune  e  le  confessioni
interessate» (articolo 70, comma 2). 
    Era, inoltre, stabilito che, indipendentemente dalla dotazione di
attrezzature religiose esistenti, «nelle aree in cui  siano  previsti
nuovi insediamenti residenziali, il piano  dei  servizi,  e  relative
varianti, assicura nuove aree  per  attrezzature  religiose,  tenendo
conto delle  esigenze  rappresentate  dagli  enti  delle  confessioni
religiose di cui all'articolo 70» (articolo 72, comma 2). 
    Apposite previsioni erano pure dettate per  la  realizzazione  di
attrezzature religiose di interesse sovracomunale (articolo 71, comma
3). 
    Quanto  alla  ripartizione  delle  attrezzature  tra   gli   enti
interessati, questa doveva essere operata «in base  alla  consistenza
ed incidenza sociale  delle  rispettive  confessioni»  (articolo  71,
comma 4). 
    Era, inoltre, stabilito che, fino all'approvazione del Piano  dei
Servizi,  la  realizzazione  di  nuove  attrezzature  per  i  servizi
religiosi fosse «ammessa unicamente su aree classificate  a  standard
nei vigenti strumenti urbanistici generali e specificamente destinate
ad  attrezzature  per  interesse  comune»  (cosi'  il   comma   4-bis
dell'articolo 71, introdotto dall'articolo 1, comma  1,  lett.  hhh),
della legge regionale 14 marzo 2008, n. 4). 
    Infine, l'articolo 73  dettava  (e  detta  tuttora)  disposizioni
relative alle  modalita'  di  finanziamento  della  realizzazione  di
attrezzature religiose da parte di ciascun comune. 
    9.2 La suddetta disciplina ha subito incisive modifiche a seguito
dell'entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2015,  n.  2;
modifiche che - si anticipa sin d'ora - sono state in  parte  colpite
da  una  dichiarazione  di  incostituzionalita',  per  effetto  della
sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2016. 
    9.2.1  La  nuova  legge   ha,   anzitutto,   innovato   in   modo
significativo la disciplina dettata  dall'articolo  70,  in  tema  di
individuazione degli enti  delle  confessioni  religiose  deputati  a
realizzare  attrezzature  religiose  sul  territorio  comunale.  Tali
soggetti sono stati, infatti, individuati, oltre che negli enti della
Chiesa cattolica, anche negli «enti delle altre confessioni religiose
con le quali lo Stato ha gia' approvato con legge la relativa  intesa
ai sensi dell'articolo 8, terzo  comma,  della  Costituzione»  (nuovo
articolo 70, comma  2)  e  negli  enti  delle  ulteriori  confessioni
religiose, non firmatarie  di  intesa,  in  presenza  di  determinati
requisiti specifici (articolo 70, comma 2-bis). 
    Per gli enti diversi da quelli della Chiesa cattolica  e'  stato,
peraltro, previsto che l'applicazione delle previsioni in materia  di
attrezzature di interesse religioso sia subordinata alla stipulazione
di «una convenzione a fini urbanistici  con  il  comune  interessato»
(articolo 70, comma 2-ter). 
    E'  stata,  ancora,  prevista  l'istituzione  di   una   Consulta
regionale,  nominata  con  provvedimento  della   Giunta   regionale,
deputata al «rilascio  di  parere  preventivo  e  obbligatorio  sulla
sussistenza dei requisiti» per l'accreditamento presso i Comuni degli
enti di confessioni religiose che non abbiano stipulato intese con lo
Stato,  al  fine  della  realizzazione  di   attrezzature   religiose
(articolo 70, comma 2-quater). 
    9.2.2 E' stata, inoltre, radicalmente  modificata  la  disciplina
relativa alla localizzazione delle attrezzature religiose,  contenuta
all'articolo 72. 
    Sotto questo profilo, si e' stabilito, anzitutto,  che  «Le  aree
che accolgono  attrezzature  religiose  o  che  sono  destinate  alle
attrezzature stesse sono specificamente individuate nel  piano  delle
attrezzature religiose, atto separato facente  parte  del  piano  dei
servizi, dove vengono dimensionate e disciplinate  sulla  base  delle
esigenze locali,  valutate  le  istanze  avanzate  dagli  enti  delle
confessioni religiose di cui all'articolo 70» (articolo 72, comma 1).
Il Piano delle attrezzature religiose e'  «sottoposto  alla  medesima
procedura di approvazione dei piani componenti il PGT» (articolo  72,
comma 3) e deve prevedere una serie di contenuti specifici  (articolo
72, comma 7), consistenti in prescrizioni  di  dotazioni  di  servizi
(lett. a), b) e d), del comma 7), caratteristiche  costruttive  delle
attrezzature religiose (lett. e), f) e g) del  comma  7)  e  apposite
distanze tra le  strutture  da  destinare  alle  diverse  confessioni
religiose, sulla base delle distanze minime  stabilite  dalla  Giunta
regionale (lett. c) del comma 7). 
    E', poi, stabilito che  «L'installazione  di  nuove  attrezzature
religiose presuppone il piano di cui al comma 1;  senza  il  suddetto
piano non puo' essere installata nessuna nuova attrezzatura religiosa
da confessioni di cui all'articolo 70» (articolo 72, comma 2). E,  in
questa prospettiva, la legge regionale dispone pure che «I comuni che
intendono prevedere  nuove  attrezzature  religiose  sono  tenuti  ad
adottare e approvare il  piano  delle  attrezzature  religiose  entro
diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della  legge  regionale
recante "Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n.  12  (Legge
per il governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle
attrezzature per servizi religiosi".», ossia la stessa legge n. 2 del
2015; «Decorso detto termine il  piano  e'  approvato  unitamente  al
nuovo PGT» (articolo 72, comma 5). 
    9.3 Le previsioni in materia di attrezzature religiose introdotte
dalla legge regionale n. 2 del 2015 sono state  in  parte  dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  63  del
2016, in esito al giudizio in via d'azione  promosso  dal  Presidente
del Consiglio dei Ministri contro la predetta legge. 
    Piu' in dettaglio, la Corte ha dichiarato fondate, per violazione
degli artt. 3,  8,  19  e  117,  secondo  comma,  lettera  c),  della
Costituzione, le questioni di legittimita' costituzionale  aventi  ad
oggetto: 
        - l'articolo 70, comma 2-bis, ove erano stabiliti i requisiti
che gli enti delle confessioni  religiose  che  non  hanno  stipulato
un'intesa con lo Stato avrebbero dovuto possedere al fine di accedere
alla possibilita' di realizzare attrezzature religiose; 
        - l'articolo 70, comma 2-quater, che sottoponeva al vaglio di
un'apposita Consulta regionale lo scrutinio in ordine al possesso  di
tali requisiti. 
    La Corte ha, inoltre, riscontrato la fondatezza  delle  questioni
con le quali si prospettava la violazione della competenza  esclusiva
statale  in  materia  di  ordine  pubblico  e   sicurezza,   di   cui
all'articolo 117, secondo comma, lettera h),  della  Costituzione  ad
opera delle previsioni contenute: 
        - all'articolo  72,  comma  4,  primo  periodo,  della  legge
regionale, ove si prevedeva che, nel corso del  procedimento  per  la
predisposizione del Piano  delle  attrezzature  religiose,  venissero
acquisiti  «i  pareri  di  organizzazioni,  comitati  di   cittadini,
esponenti e rappresentanti delle forze dell'ordine oltre agli  uffici
provinciali di questura e prefettura al fine  di  valutare  possibili
profili di sicurezza pubblica, fatta salva l'autonomia  degli  organi
statali»; 
        - all'articolo 72, comma 7, lett. e), ove si prescriveva  che
il Piano  dovesse  prevedere,  per  le  attrezzature  religiose,  «la
realizzazione   di   un   impianto   di   videosorveglianza   esterno
all'edificio, con onere a carico dei  richiedenti,  che  ne  monitori
ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale
o forze dell'ordine». 
    9.4 L'intervento della Corte non ha, invece, toccato - in  quanto
non  sottoposta  allo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale  -
l'architettura del sistema prefigurato dalla legge regionale n. 2 del
2015 al fine  dell'insediamento  sul  territorio  delle  attrezzature
religiose e,  in  particolare,  la  necessaria  subordinazione  della
realizzazione di tali attrezzature all'approvazione  di  un  apposito
Piano. 
    La Corte ha, infatti, espressamente evidenziato che  non  formava
oggetto  del  giudizio  «l'art.  72,  comma  1,  della  stessa  legge
regionale n. 12 del 2005, il quale ricollega alla  valutazione  delle
"esigenze locali", previo esame delle diverse istanze  confessionali,
la programmazione urbanistica delle attrezzature religiose». 
    Per  quanto  qui  rileva,  la  Corte  ha,   inoltre,   dichiarato
manifestamente inammissibile, per inconferenza del parametro  evocato
- ossia l'articolo 117, secondo comma, lett. l), della Costituzione -
la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  72,  comma
5, della legge regionale n. 12 del 2005,  ove  si  stabilisce  che  i
Comuni che intendano prevedere nuove attrezzature  religiose  debbano
approvare il relativo  Piano  entro  diciotto  mesi  dall'entrata  in
vigore della legge e che, in  mancanza,  si  provveda  unitamente  al
nuovo Piano di Governo del Territorio. 
    10.  Premessa  questa  ricostruzione  del  quadro  giuridico   di
riferimento, puo' passarsi all'esame delle questioni prospettate  con
il ricorso. 
    11. Come detto, il  Comune  di  Castano  Primo  ha  annullato  in
autotutela  il   permesso   di   costruire   rilasciato   in   favore
dell'Associazione  Culturale  Madni,  riscontrando   che   le   opere
assentite consistevano nella realizzazione di un  edificio  destinato
al culto e che il titolo edilizio era stato emesso,  tuttavia,  senza
procedere preventivamente all'approvazione dell'apposito Piano  delle
attrezzature  religiose,  prescritto  dall'articolo  72  della  legge
regionale n. 12 del 2005, come modificato dalla legge regionale n.  2
del 2015. 
    12.  Con  il  primo  motivo,  la  ricorrente  ha  contestato   la
sussistenza  stessa  del  predetto  profilo  di  illegittimita'   del
permesso di costruire. In particolare, l'Associazione  ha  richiamato
l'articolo 72, comma 8, della legge regionale n. 12 del 2005, ove  si
stabilisce  che  «Le  disposizioni  del  presente  articolo  non   si
applicano alle  attrezzature  religiose  esistenti  alla  entrata  in
vigore della legge recante "Modifiche alla legge regionale  11  marzo
2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) - Principi  per  la
pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi".», ossia  la
legge n. 2 del 2015, entrata in vigore il 6 febbraio 2015. 
    12.1 Secondo  la  ricorrente,  la  destinazione  ad  attrezzature
religiose dell'edificio di Via Friuli  n.  1  sarebbe  stata  attuata
precedentemente all'entrata in vigore  della  legge  ora  richiamata,
poiche' l'Associazione sarebbe presente  sul  territorio  di  Castano
Primo sin dal 2007 e avrebbe trasferito la propria sede nel complesso
di Via Friuli n. 1 dal 28 ottobre 2013. Inoltre, la destinazione  dei
locali  a   sede   dell'Associazione,   fin   da   epoca   precedente
all'intervento di ristrutturazione, risulterebbe anche  dalle  tavole
allegate alla domanda di rilascio del permesso  di  costruire,  sulle
quali nulla l'Amministrazione avrebbe obiettato. 
    Conseguentemente,  tale  destinazione,  in  quanto  preesistente,
rientrerebbe tra quelle escluse  dall'ambito  di  applicazione  della
legge regionale sopravvenuta. 
    12.2 Al riguardo, deve tuttavia osservarsi che, nel fare salve le
«attrezzature religiose esistenti»,  l'articolo  72,  comma  8  della
legge regionale n. 12 del 2005 non puo' aver avuto  riguardo  se  non
alle strutture giuridicamente esistenti con la predetta destinazione,
e non anche agli immobili destinati ad attivita' di culto in  via  di
mero fatto e senza un apposito titolo. E cio' tanto piu' tenuto conto
che, sin da prima della novella del 2015, la legge  regionale  n.  12
del 2005 reca un'apposita previsione secondo la quale «I mutamenti di
destinazione  d'uso   di   immobili,   anche   non   comportanti   la
realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla creazione di luoghi
di culto e luoghi destinati a centri  sociali,  sono  assoggettati  a
permesso di costruire» (cosi' l'articolo 52,  comma  3-bis,  aggiunto
dall'articolo 1, comma 1, lett. m) della legge  regionale  14  luglio
2006, n. 12). 
    12.3 Nel caso oggetto del presente giudizio, e' incontroverso che
la modifica della  destinazione  del  complesso  immobiliare  di  Via
Friuli n. 1 sia avvenuta giuridicamente solo a seguito  del  permesso
di costruire n. 17/2015  del  15  gennaio  2016.  Ne  deriva  che,  a
prescindere dall'eventuale utilizzazione  di  fatto  dei  fabbricati,
tale destinazione non puo' essere ritenuta preesistente al 6 febbraio
2015. 
    12.4 Da cio' il rigetto della censura. 
    13.  Con  il  secondo  motivo,  la  ricorrente   afferma   ancora
l'insussistenza di qualsivoglia vizio di legittimita' del permesso di
costruire  annullato  d'ufficio  dal  Comune,  evidenziando  che   il
complesso immobiliare di cui e' proprietaria ricade in  zona  B  3.1,
nella  quale  non  sarebbe  vietata  la  destinazione  «servizi  alla
persona». Inoltre, il cambio di destinazione d'uso per l'insediamento
di tali servizi non comporterebbe neppure un fabbisogno aggiuntivo di
attrezzature pubbliche e di interesse  pubblico.  Sarebbero,  infine,
assicurate abbondantemente le superfici per posti auto  pertinenziali
prescritte dal PGT. 
    13.1 Deve,  tuttavia,  rilevarsi  che  l'intervento  oggetto  del
permesso di  costruire  rilasciato  in  favore  della  ricorrente  e'
destinato alla realizzazione «attrezzature di  interesse  comune  per
servizi religiosi», come definite dall'articolo 71,  comma  1,  della
legge regionale n. 12 del 2005. 
    Secondo la suddetta previsione normativa, infatti, rientrano  tra
tali attrezzature: «gli  immobili  destinati  al  culto»  (lett.  a);
quelli  «destinati  all'abitazione  dei  Ministri  del   culto,   del
personale di servizio,  nonche'  quelli  destinati  ad  attivita'  di
formazione   religiosa»   (lett.   b);    gli    immobili    adibiti,
«nell'esercizio  del  ministero  pastorale»   allo   svolgimento   di
«attivita' educative, culturali, sociali,  ricreative  e  di  ristoro
compresi  gli  immobili  e  le  attrezzature  fisse  destinate   alle
attivita' di oratorio e similari  che  non  abbiano  fini  di  lucro»
(lett. c); gli immobili, infine, «destinati a sedi  di  associazioni,
societa' o comunita' di persone in qualsiasi forma costituite, le cui
finalita'  statutarie  o  aggregative  siano   da   ricondurre   alla
religione, all'esercizio del culto o alla professione religiosa quali
sale di preghiera, scuole di religione  o  centri  culturali»  (lett.
c-bis). 
    Nel caso dell'immobile di Via Friuli n. 1, l'attuazione  di  tale
destinazione, mediante il permesso  di  costruire  annullato,  e'  da
ritenere incontroversa,  atteso  che  l'Associazione  ha  apertamente
dichiarato, sin dalla  richiesta  di  parere  preventivo  diretta  al
Comune, di voler destinare il complesso immobiliare all'attivita'  di
culto. Tale dichiarazione  trova  riscontro,  del  resto,  sia  nelle
finalita' dell'Associazione, che nelle caratteristiche  del  progetto
presentato,   secondo   quanto   correttamente   evidenziato    nelle
motivazioni del provvedimento di autotutela. 
    13.2 Cio' posto, deve rilevarsi che dal  quadro  normativo  sopra
richiamato risulta chiaramente come la destinazione  di  immobili  ad
«attrezzature di interesse comune per servizi  religiosi»  trovi  una
propria disciplina specifica nella medesima legge regionale, che  non
consente di assimilare tale destinazione ad altre ritenute  analoghe,
ivi inclusa quella a strutture per «servizi alla persona», secondo la
denominazione impiegata nel parere preventivo emesso  dal  Comune  di
Castano Primo. 
    Sono, percio', inconferenti le diffuse allegazioni che  la  parte
svolge sulla base del presupposto che la destinazione prevista per il
complesso immobiliare sia quella di «servizi alla persona». 
    13.3  Conseguentemente,  anche  il  secondo  motivo  deve  essere
respinto. 
    14. Vanno quindi esaminate, per  ragioni  di  ordine  logico,  le
censure  prospettate  nella  prima  parte  del   quarto   motivo   di
impugnazione,  laddove  l'Associazione  ricorrente  contesta  ancora,
sotto altro profilo, la sussistenza del  vizio  di  legittimita'  del
permesso di costruire riscontrato dal Comune. 
    14.1 La ricorrente sostiene, in particolare,  che  l'articolo  72
della legge regionale n. 12 del 2005 andrebbe interpretato nel  senso
che la previa approvazione del  Piano  delle  attrezzature  religiose
sarebbe richiesta solo per le strutture di grandi dimensioni, ma  non
anche per quelle di modesta entita', quale la sede  dell'Associazione
Culturale Madni. 
    14.2  L'interpretazione  proposta  dalla  ricorrente  non   puo',
tuttavia, essere accolta, in quanto  si  pone  in  contrasto  con  il
chiaro e inequivocabile tenore della legge. 
    L'articolo  72,  infatti,   si   riferisce   alle   «attrezzature
religiose», senza alcuna specificazione ulteriore, e il comma  2  del
predetto articolo afferma espressamente -  come  sopra  detto  -  che
l'installazione  di   nuove   attrezzature   religiose   «presuppone»
l'apposito Piano e che «senza  il  suddetto  piano  non  puo'  essere
installata nessuna nuova attrezzature religiosa da confessioni di cui
all'articolo 70». 
    La lettera della legge non lascia dubbi, percio', in ordine  alla
concreta   portata   delle   sue   previsioni,    le    quali    sono
inequivocabilmente   dirette   a   stabilire   un   divieto   rivolto
indiscriminatamente  nei  confronti  di  qualsivoglia   «attrezzatura
religiosa», che si tratti di un luogo di culto destinato ad  attirare
grandi flussi di fedeli o di una modesta sala di preghiera. 
    14.3 In questo senso, le censure di violazione  dei  principi  di
proporzionalita', di non aggravamento del procedimento amministrativo
e di buon  andamento  dell'Amministrazione  non  colgono  nel  segno,
poiche'  il  provvedimento  assunto  dal   Comune   risulta   fondato
sull'unica interpretazione consentita della legge regionale. 
    Tali considerazioni assumono invece rilievo, come meglio si dira'
nel prosieguo, al fine di corroborare i dubbi che il  Collegio  nutre
in  ordine  alla  legittimita'  costituzionale   delle   disposizioni
contenute all'articolo 72 della legge regionale n. 12 del  2005,  nei
sensi di cui si dira' piu' oltre. 
    15. Alla luce delle censure sin qui scrutinate, il  provvedimento
di autotutela  assunto  dal  Comune  risulta,  dunque,  correttamente
fondato sul presupposto dell'illegittimita' del permesso di costruire
n. 17/2015, poiche' e' effettivamente riscontrabile un contrasto  del
titolo edilizio con le  previsioni  di  legge  regionale  piu'  volte
richiamate. 
    16. Puo', quindi, passarsi all'esame  delle  censure  prospettate
dalla ricorrente con il  terzo,  il  sesto,  il  settimo  e  l'ottavo
motivo, nonche' di quelle articolate nella seconda parte  del  quarto
motivo. 
    Tutte  queste  censure,  che  possono   essere   complessivamente
scrutinate, mirano infatti a contestare sostanzialmente le ragioni di
interesse pubblico addotte dal Comune a sostegno del provvedimento di
annullamento  d'ufficio  del  permesso  di  costruire,  e  quindi   a
contestare la sussistenza dei presupposti - ulteriori  rispetto  alla
mera illegittimita'  del  provvedimento  eliminato  -  cui  la  legge
subordina l'esercizio del potere di autotutela. 
    16.1  Occorre  ricordare  anzitutto  che,  in  base  all'articolo
21-nonies  della  legge  n.  241   del   1990,   l'annullamento   del
provvedimento  amministrativo  richiede,   oltre   all'illegittimita'
dell'atto, anche la sussistenza di un interesse pubblico  concreto  e
attuale  alla  sua  rimozione.  Tale  interesse  deve,  poi,  trovare
adeguata evidenziazione,  mediante  un'idonea  motivazione,  che  dia
conto della ponderazione degli interessi in gioco, inclusi quelli dei
destinatari dell'atto e dei controinteressati, anche  alla  luce  del
tempo trascorso dall'adozione del provvedimento; l'annullamento deve,
inoltre, intervenire  entro  un  termine  ragionevole,  comunque  non
superiore a diciotto mesi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI,  27
aprile 2015, n. 2123, ove si evidenzia che la potesta' di  autotutela
deve «(...) considerare la legittimita' del provvedimento che  ne  e'
oggetto in base al principio «tempus  regit  actum»  e  -  una  volta
accertata   l'effettiva    sussistenza    di    vizi,    rapportabili
all'emanazione   dell'atto   -   e'   poi   chiamata    a    valutare
discrezionalmente la  sussistenza  degli  ulteriori  presupposti  per
intervenire, previo bilanciamento degli interessi  sia  pubblici  che
privati»). 
    Nel caso oggetto del presente  giudizio,  deve  ritenersi  che  -
contrariamente a quanto allegato dalla ricorrente - il  provvedimento
di autotutela non sia  stato  diretto  a  ripristinare  meramente  la
legalita' violata, ma  abbia  svolto  una  valutazione  in  concreto,
ponderando l'interesse pubblico alla luce del contrapposto  interesse
del privato, e pervenendo alla  determinazione  conclusiva  entro  un
termine ragionevole in rapporto alle circostanze. 
    16.2  Dalla  motivazione  dell'atto  emerge,  anzitutto,  che  le
ragioni  di  interesse  pubblico  ritenute  prevalenti   dal   Comune
attengono  all'impatto  dell'opera  sul  contesto  urbano.  A  questo
proposito, l'Amministrazione ha acquisito un rapporto  della  Polizia
locale, diffusamente richiamato nella determinazione  di  autotutela,
ove sono state illustrate  le  ritenute  criticita'  derivanti  dalla
realizzazione del nuovo luogo di culto. 
    Piu' in dettaglio, l'Amministrazione ha evidenziato  le  ricadute
dell'opera sulla situazione viabilistica dell'area e  sul  fabbisogno
di parcheggi, nei termini gia' sopra riportati. 
    La ricorrente  ha  diffusamente  contestato  le  ragioni  addotte
dall'Amministrazione. Tali contestazioni, tuttavia, non  colgono  nel
segno. 
    Non sono rilevanti, anzitutto, le  deduzioni  che  l'Associazione
svolge assumendo che la dotazione di parcheggi sia adeguata  rispetto
alla destinazione «servizi alla persona».  Come  detto,  infatti,  il
complesso e' stato adibito ad «attrezzature religiose», ossia  a  una
destinazione distinta e non sovrapponibile a quella di «servizi  alla
persona», in virtu' di una precisa scelta del legislatore regionale. 
    Neppure colgono nel segno le ulteriori affermazioni della  parte,
la quale sostiene, producendo anche alcune immagini fotografiche, che
nel contesto urbano vi sarebbe addirittura un esubero di parcheggi, e
che quanto esposto nel provvedimento non troverebbe  riscontro  nello
stato effettivo dei luoghi. Si tratta, infatti, di mere  allegazioni,
prive di riscontri probatori adeguati, come tali inidonee a  scalfire
l'attendibilita'  della  valutazione  tecnica  svolta  dalla  Polizia
locale in ordine alla situazione viabilistica dell'area. 
    16.3 Nel provvedimento impugnato il Comune ha, inoltre, affermato
che la mancata  previa  approvazione  del  Piano  delle  attrezzature
religiose comporta che il permesso di costruire sia stato  rilasciato
«in assenza di un iter procedurale atto a  garantire  la  trasparenza
degli atti  assunti  attraverso  i  meccanismi  di  partecipazione  e
consultazione della cittadinanza». 
    In proposito, la ricorrente allega che tale affermazione  sarebbe
un fuor d'opera, tenuto conto del fatto che la Corte  costituzionale,
con la sentenza  n.  63  del  2016,  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'articolo 72 della legge regionale n. 12 del 2005,
nella parte in cui - al primo periodo del comma 4 - prevedeva che nel
corso del procedimento di formazione  del  Piano  delle  attrezzature
religiose venissero acquisiti «i pareri di  organizzazioni,  comitati
di cittadini, esponenti  e  rappresentanti  delle  forze  dell'ordine
oltre agli uffici provinciali di questura e  prefettura  al  fine  di
valutare  possibili  profili  di  sicurezza  pubblica,  fatta   salva
l'autonomia degli organi statali». 
    Occorre osservare, tuttavia, che l'eliminazione di  tale  periodo
non toglie che il Piano delle attrezzature  religiose  sia  un  «atto
separato facente parte del piano dei servizi» (ai sensi dell'articolo
72, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005) e  che  tale  atto
sia,  conseguentemente,  «sottoposto  alla  medesima   procedura   di
approvazione dei piani componenti il PGT»  (articolo  72,  comma  3).
Deve, percio', concordarsi  con  la  difesa  comunale,  la  quale  ha
evidenziato che, con la frase sopra riportata,  l'Amministrazione  ha
inteso fare riferimento unicamente al mancato  svolgimento  dell'iter
di formazione degli atti facenti  parte  del  Piano  di  Governo  del
Territorio.  In  questa  prospettiva,  il  Comune  ha   ritenuto   di
riscontrare un'ulteriore ragione  a  sostegno  dell'annullamento  del
titolo  edilizio  nella  circostanza  che,  mancando  il  Piano,  non
sarebbero  state  assicurate  la  trasparenza  delle  scelte  operate
dall'Amministrazione  e  la   partecipazione   della   collettivita',
garantite dal procedimento di formazione dello strumento urbanistico. 
    16.4 L'Associazione sottolinea, poi, che il Comune, annullando in
autotutela il permesso di costruire, avrebbe contraddetto il  proprio
precedente operato, tenuto conto  della  circostanza  che  il  titolo
edilizio era stato  chiesto  e  ottenuto  solo  dopo  che  la  stessa
Amministrazione aveva emesso un parere preventivo favorevole. 
    Inoltre, nell'esercizio dell'autotutela  non  si  sarebbe  tenuto
conto adeguatamente dell'affidamento ingenerato nella ricorrente  dal
comportamento del Comune. 
    16.4.1 Deve tuttavia osservarsi che, in ogni ipotesi nella  quale
un'amministrazione  annulla  in  autotutela  un  proprio  atto,  essa
necessariamente  «contraddice»   il   proprio   precedente   operato,
rimuovendone gli esiti. Cio', tuttavia, non toglie  che  l'autotutela
sia un istituto espressamente contemplato dalla legge, il quale trova
il proprio fondamento nel principio  di  inesauribilita'  del  potere
amministrativo (salvi i limiti temporali introdotti dal legislatore). 
    Ne'  potrebbe  ritenersi  che,  nel  caso  oggetto  del  presente
giudizio,  un  profilo  specifico  di  contraddittorieta'  dell'agire
amministrativo sia  ravvisabile  nella  precedente  emissione  di  un
parere preventivo favorevole. 
    Deve premettersi che i titoli edilizi sono rilasciati in presenza
delle condizioni  stabilite  dalla  legge,  senza  alcun  margine  di
discrezionalita' in capo  all'Amministrazione.  Conseguentemente,  la
circostanza che - eventualmente in modo errato - il Comune  renda  un
parere favorevole alla successiva emissione del permesso di costruire
non puo' in ogni caso vincolare l'Ente, in contrasto con la legge,  a
considerare quel titolo legittimo. 
    Occorre poi tenere presente che il parere  preventivo  aveva  una
valenza necessariamente limitata al  permanere  della  situazione  di
fatto e di diritto presa  in  esame  dall'Amministrazione.  E,  sotto
questo profilo, rileva la circostanza che tale parere  risale  al  22
marzo 2013,  e  quindi  e'  stato  emesso  sulla  base  del  contesto
normativo precedente l'entrata in vigore della legge regionale  n.  2
del 2015. Inoltre, il permesso  di  costruire  risulta  essere  stato
richiesto molto tempo dopo rispetto al parere, atteso che la relativa
istanza risale soltanto all'agosto del 2015. 
    Per tutte queste ragioni, non  puo'  ipotizzarsi  un  profilo  di
contraddittorieta' nell'operato del  Comune,  tale  da  far  emergere
l'illegittimita' della determinazione di autotutela. 
    16.4.2 D'altro canto, il  provvedimento  impugnato  risulta  aver
preso    specificamente    in     considerazione     la     posizione
dell'Associazione. Il Comune ha, tuttavia, ritenuto  motivatamente  -
per le ragioni sopra riportate - che l'interesse della parte  privata
fosse  recessivo  rispetto   all'interesse   pubblico   in   concreto
all'eliminazione  del  titolo   illegittimo.   L'Amministrazione   ha
valorizzato, tra l'altro, il fatto che, poco dopo l'avvio,  i  lavori
siano stati spontaneamente sospesi dalla stessa Associazione. 
    Anche sotto questo profilo, il provvedimento risulta sorretto  da
una motivazione sufficiente, e come tale insindacabile nel merito dal
giudice amministrativo. 
    16.5 Infine,  il  provvedimento  di  autotutela  e'  da  ritenere
tempestivamente assunto, in rapporto alle circostanze di fatto. 
    Come detto, il titolo edilizio e' stato rilasciato il 15  gennaio
2016, mentre la determinazione di annullamento e' stata  adottata  il
13 marzo 2017. Conseguentemente, emerge  anzitutto  il  rispetto  del
termine massimo di diciotto mesi prescritto  dall'articolo  21-nonies
della legge n. 241 del 1990. 
    L'annullamento  risulta  inoltre  intervenuto  in  un  tempo  non
irragionevole, in rapporto alle circostanze, tenuto conto  del  fatto
che: 
        - i lavori erano stati avviati soltanto nel luglio del 2016 e
poi sospesi spontaneamente gia' nel mese di ottobre; 
        - dallo stesso mese di ottobre il Comune aveva  rappresentato
all'Associazione  i  profili  di  illegittimita'  del   permesso   di
costruire, avviando un confronto con la parte in  ordine  alle  sorti
del titolo edilizio. 
    Non puo', invece, accedersi alla tesi della  ricorrente,  secondo
la   quale   la   ragionevolezza   del   termine   per    l'esercizio
dell'autotutela andrebbe valutata tenendo conto del decorso di  oltre
diciotto mesi dal rilascio del parere preventivo del Comune. La legge
collega, infatti, il predetto termine massimo solo  all'adozione  del
provvedimento, e non  alle  pregresse  vicende  amministrative.  Tali
vicende  non  possono  percio'  rilevare  neppure   ai   fini   della
valutazione  della  ragionevolezza  del  tempo  intercorso  prima  di
assumere la  determinazione  di  annullamento.  Peraltro,  come  gia'
ricordato, il parere preventivo risale al 22 marzo 2013, e quindi  e'
stato  emesso  molto  tempo  prima  rispetto  all'istanza  stessa  di
rilascio del permesso di costruire, oltre che sulla base del contesto
normativo allora vigente. 
    Ne consegue il rigetto anche di questa censura. 
    16.6  In  definitiva,  tutti  i  motivi  fin  qui  congiuntamente
scrutinati vanno respinti. 
    17. Con il nono motivo, l'Associazione  sostiene  che  il  Comune
avrebbe dovuto annullare solo in parte il titolo edilizio, perche' il
corpo di  fabbrica  confinante  con  Via  Friuli  non  sarebbe  stato
interessato da un passaggio  da  una  «funzione  precedente»  ad  una
«funzione nuova» in quanto  l'edificio,  gia'  adibito  a  residenza,
avrebbe mantenuto la destinazione abitativa. 
    17.1 Al riguardo, la difesa comunale  ha,  tuttavia,  evidenziato
che, con  riguardo  a  questo  secondo  fabbricato,  il  permesso  di
costruire autorizzava parimenti la modifica dell'uso da «residenza» a
«servizi alla persona» e che nell'agosto  2016  l'Associazione  aveva
dichiarato di rinunciare a tale modifica, mantenendo la  destinazione
residenziale. Per questa ragione, secondo il  Comune,  la  parte  non
avrebbe alcun interesse alla censura. 
    Secondo la ricorrente, l'interesse invece sussisterebbe,  perche'
l'annullamento del titolo edilizio avrebbe impedito  all'Associazione
di ultimare i lavori di manutenzione straordinaria e di utilizzare il
corpo di fabbrica per usi residenziali. 
    17.2 Il  Collegio  ritiene  che  la  censura  sia  effettivamente
inammissibile per mancanza di interesse. 
    Nell'integrazione alla relazione tecnica cui  fa  riferimento  il
Comune, il tecnico dell'Associazione ricorrente afferma che «Il primo
fabbricato, lato strada principale, e' composto da n° 2 piani,  piano
terra e primo piano.  Entrambi  non  subiranno  interventi  di  opere
murarie. Al piano terra rimarra' residenziale senza alcun  cambio  di
destinazione  d'uso.  E  rifacimento  facciata  color   giallo   come
esistente.». 
    Per effetto di tali dichiarazioni della  parte,  il  permesso  di
costruire e'  stato  «svuotato»  della  sua  valenza  autorizzatoria,
limitatamente al fabbricato prospiciente la Via Friuli, atteso che le
opere  residue  non  richiedevano  comunque  il  rilascio  di  quello
specifico titolo. 
    Per questa ragione, non  si  comprende  come  l'annullamento  del
permesso di costruire  possa  aver  determinato  l'impossibilita'  di
adibire l'immobile all'uso residenziale, cui era gia' precedentemente
destinato. La parte, inoltre, non  chiarisce  in  cosa  consistano  i
lavori  di  manutenzione  straordinaria  che  verrebbero   a   essere
preclusi,   considerato   che    -    secondo    quanto    risultante
dall'integrazione  alla  relazione  tecnica   -   non   e'   prevista
l'esecuzione di opere murarie. Inoltre, laddove il rifacimento  della
facciata dovesse consistere nella mera ritinteggiatura, nell'identica
colorazione  precedente,  si  tratterebbe   di   un   intervento   di
manutenzione ordinaria, eseguibile in regime di edilizia libera. 
    Peraltro, e in ogni caso, eventuali lavori di  sola  manutenzione
straordinaria, non incidenti sulle parti  strutturali  dell'edificio,
ben potrebbero essere compiuti in ogni  momento  sulla  base  di  una
semplice comunicazione asseverata di  inizio  dei  lavori,  ai  sensi
dell'articolo 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi  comunque
di opere che non richiedono il permesso di costruire. 
    17.3 Da cio' l'inammissibilita' della censura. 
    18. Fin qui, tutti i motivi di ricorso trattati, a  giudizio  del
Collegio, non meritano accoglimento. Rimane, tuttavia, da  scrutinare
il quinto motivo, con  il  quale  l'Associazione  ricorrente  lamenta
l'illegittimita'  costituzionale   dell'articolo   72   della   legge
regionale  n.  12  del  2005,  nonche'  il  contrasto  della   stessa
previsione con la direttiva 2000/43/CE del 29 giugno 2000 («Direttiva
del Consiglio che attua il principio della parita' di trattamento fra
le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica»). 
    18.1 Al riguardo, deve anzitutto escludersi che possa  ravvisarsi
un profilo di incompatibilita'  della  disciplina  normativa  con  la
direttiva ora richiamata. 
    In disparte ogni altra considerazione,  deve  infatti  osservarsi
che il campo di applicazione della direttiva e' limitato agli  ambiti
indicati all'articolo 3. 
    Secondo la ricorrente, l'edilizia religiosa  sarebbe  preordinata
alla fornitura di un «servizio».  Con  tale  affermazione,  la  parte
implicitamente richiama la fattispecie di cui al comma 1,  lett.  h),
del suddetto articolo 3, ove si afferma che la direttiva  si  applica
«all'accesso a beni e servizi che sono a disposizione del pubblico  e
alla loro fornitura, incluso l'alloggio». 
    Il riferimento, tuttavia, non e' da ritenere  pertinente,  atteso
che lo stesso articolo 3 reca disposizioni operanti «Nei  limiti  dei
poteri conferiti alla Comunita'», e  quindi  trova  applicazione  con
riferimento  alla  sola  dimensione  del   mercato   unico   europeo;
dimensione che non presenta alcuna attinenza  con  l'esercizio  delle
liberta' religiose. In  questa  prospettiva,  il  termine  «servizi»,
contenuto nella locuzione sopra riportata, va percio' inteso in senso
strettamente  economico  e  non  puo',  conseguentemente,   includere
l'edilizia religiosa, ne' comunque le condizioni per  l'esercizio  di
un culto. 
    Ne deriva che non si  pone  neppure  il  problema  di  verificare
l'effettiva compatibilita' della disciplina di legge regionale con la
direttiva, questione peraltro dedotta dalla ricorrente in termini del
tutto generici e apodittici. 
    18.2 Il Collegio ritiene, invece, di dover  condividere  i  dubbi
sulla  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  72  della   legge
regionale n. 12 del 2005, nei sensi e nei limiti che si esporranno di
seguito, e di dover quindi  rimettere  la  soluzione  delle  relative
questioni alla Corte costituzionale. 
    18.3 Va, conseguentemente, rinviata all'esito del giudizio  della
Corte anche la domanda  di  risarcimento  del  danno,  pure  proposta
dall'Associazione ricorrente. 
    19. Il Collegio  dubita,  in  particolare,  della  compatibilita'
dell'articolo 72, commi 1 e 2, della legge regionale della  Lombardia
11 marzo 2005, n. 12, nel testo risultante dalle modifiche  apportate
dall'articolo 1, comma 1, lett. c), della legge regionale 3  febbraio
2015, n. 2, con gli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione. 
    20.  In  punto  di  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale, il Collegio  evidenzia  che  sono  stati  trattati  e
ritenuti  non  meritevoli  di  accoglimento   tutti   i   motivi   di
impugnazione  proposti  dalla  parte,  a  eccezione  del  tema  della
legittimita'  costituzionale  delle  previsioni  di  legge  regionale
applicate dal Comune. 
    Conseguentemente, la decisione della causa dipende esclusivamente
dalla  soluzione  della   questione   attinente   alla   legittimita'
costituzionale  delle  previsioni  dell'articolo   72   della   legge
regionale n. 12  del  2005,  sulla  cui  base  e'  stato  assunto  il
provvedimento di autotutela censurato nel presente giudizio. 
    Il suddetto motivo di censura e' rilevante, atteso che le ragioni
di interesse pubblico all'annullamento, che - come sopra illustrato -
il Comune ha indicato nel provvedimento impugnato non  sono  da  sole
sufficienti a sorreggere l'eliminazione  del  permesso  di  costruire
gia' rilasciato in favore della ricorrente. L'esercizio del potere di
autotutela richiede, infatti, ai sensi dell'articolo 21-nonies  della
legge n. 241 del 1990, anzitutto l'illegittimita'  del  provvedimento
annullato. E, come  detto,  l'accertamento  di  tale  profilo  riposa
esclusivamente  nella  soluzione  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale prospettate nei confronti della legge regionale. 
    Da tali questioni dipende, percio', l'esito del giudizio. 
    21. Sempre in punto di rilevanza, il Collegio  deve  prendere  in
considerazione la portata della legge regionale 25 gennaio  2018,  n.
5, recante «Razionalizzazione dell'ordinamento regionale. Abrogazione
di disposizioni di legge.», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della
Regione Lombardia del 29 gennaio 2018, Supplemento n. 5. 
    La  suddetta  legge  reca,  all'articolo  2   -   dedicato   alla
«Abrogazione di leggi» - la previsione secondo la quale «A  decorrere
dall'entrata in vigore della presente legge sono o restano  abrogate:
...b) le  seguenti  leggi  o  disposizioni  operanti  modifiche  alla
legislazione regionale... 69) L.R. 3 febbraio 2015, n.  2  (Modifiche
alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il  governo  del
territorio) - Principi per la pianificazione delle  attrezzature  per
servizi religiosi);». 
    E' stata, dunque, disposta l'abrogazione della legge regionale n.
2 del 2015, che - come piu' volte ripetuto - ha  novellato  la  legge
regionale n. 12  del  2005,  dettando  la  disciplina  applicata  dal
provvedimento impugnato nel presente giudizio. 
    Occorre, dunque, domandarsi se  tale  previsione  possa  influire
sulla rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale che si
intendono rimettere alla Corte costituzionale. 
    21.1  Il  Collegio  rileva,  anzitutto,  che   il   provvedimento
impugnato nel presente giudizio e' precedente alla legge regionale n.
5 del 2018, per cui la sua legittimita' va valutata in base al quadro
normativo vigente al tempo della sua adozione. 
    Conseguentemente, la norma regionale abrogatrice sopravvenuta non
potrebbe comunque far venire meno la  rilevanza  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale relative al testo della legge n.  12  del
2005, nella formulazione in vigore  quando  e'  stato  rilasciato  il
permesso  di  costruire   annullato,   e   anche   al   tempo   della
determinazione di autotutela qui censurata. 
    21.2 In ogni caso, e' pure da escludere che la legge regionale n.
5 del 2018 abbia modificato l'articolo 72 della legge regionale n. 12
del 2005, il quale e' da ritenere  a  tutt'oggi  vigente  nel  tenore
risultante dalle modificazioni apportate dalla legge regionale  n.  2
del 2015. 
    L'operazione  disposta  dal  legislatore  regionale   e'   stata,
infatti, di  mero  riordino  legislativo,  come  risulta  chiaramente
dall'articolo  1  della  legge  regionale  n.  5   del   2018,   ove,
nell'indicare le finalita' dell'intervento normativo, si enuncia  che
«La   presente   legge   opera   interventi   di    manutenzione    e
razionalizzazione  tecnica  dell'ordinamento   regionale   attraverso
interventi abrogativi di leggi o di disposizioni di legge. Per  tutte
le disposizioni oggetto di abrogazione sono fatti salvi  gli  effetti
secondo quanto previsto dall'articolo 4.». 
    Il richiamato articolo 4 stabilisce, a sua volta, che «Sono fatti
salvi gli effetti prodotti o comunque derivanti dalle leggi  e  dalle
disposizioni abrogate dalla presente  legge,  comprese  le  modifiche
apportate  ad  altre   leggi.   Restano   pertanto   confermate,   in
particolare, le autorizzazioni, le variazioni,  i  rifinanziamenti  e
ogni altro effetto giuridico,  economico  o  finanziario  prodotto  o
comunque derivante dalle disposizioni in materia di bilancio, nonche'
le variazioni testuali  apportate  alla  legislazione  vigente  dalle
leggi  abrogate  dalla  presente   legge,   ove   non   superate   da
integrazioni,  modificazioni  o   abrogazioni   disposte   da   leggi
intervenute successivamente. Trova inoltre applicazione, per le leggi
di cui all'articolo 3, anche quanto previsto dall'articolo 24,  comma
2, della L.R. 29/2006». 
    Il legislatore regionale ha, cioe',  inteso  eliminare  le  leggi
enumerate  -  tra  le  quali  la  legge  n.  2  del  2015  -   intese
esclusivamente  quali  atti  fonte,  ossia  quali   «veicoli»   delle
modificazioni  apportate  ad  altre  leggi;   «veicoli»   che   hanno
sostanzialmente esaurito i loro  effetti  con  l'introduzione  stessa
delle novelle. Le leggi modificate non sono  state,  invece,  toccate
dall'intervento di riordino, il quale non ha inteso apportare  alcuna
variazione sostanziale al corpus legislativo regionale. 
    21.3 Deve, percio', confermarsi la rilevanza delle  questioni  di
legittimita' costituzionale che si passa a esporre. 
    22.  Come  detto,   il   Collegio   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'articolo 72, commi 1 e 2, della  legge  regionale
n. 12 del 2015, come modificata dalla legge regionale n. 2 del 2015. 
    22.1 In particolare, il comma 1 dell'articolo 72  stabilisce  che
«Le aree che accolgono attrezzature religiose o  che  sono  destinate
alle attrezzature stesse sono specificamente  individuate  nel  piano
delle attrezzature religiose, atto separato facente parte  del  piano
dei servizi, dove vengono  dimensionate  e  disciplinate  sulla  base
delle esigenze locali, valutate le istanze avanzate dagli enti  delle
confessioni religiose di cui all'articolo 70». 
    Il successivo comma 2  aggiunge,  poi,  che  «L'installazione  di
nuove attrezzature religiose presuppone il piano di cui al  comma  1;
senza il suddetto piano non  puo'  essere  installata  nessuna  nuova
attrezzatura religiosa da confessioni di cui all'articolo 70». 
    22.2 Dalla lettura di tali previsioni, discende che: 
        -  la  realizzazione  di  ogni  e  qualsivoglia  attrezzatura
religiosa deve trovare  necessariamente  previsione  in  un  apposito
Piano comunale, costituente un atto separato facente parte del  Piano
dei Servizi (articolo 72, comma  1),  che  a  sua  volta  e'  l'atto,
componente  il  Piano  di  Governo  del   Territorio,   deputato   ad
«assicurare una dotazione globale di aree per attrezzature  pubbliche
e di interesse pubblico e generale, le eventuali aree per  l'edilizia
residenziale pubblica e da dotazione a verde, i corridoi ecologici  e
il sistema del verde di connessione tra territorio  rurale  e  quello
edificato, nonche' tra le opere viabilistiche e le  aree  urbanizzate
ed una  loro  razionale  distribuzione  sul  territorio  comunale,  a
supporto delle funzioni insediate  e  previste»,  in  base  a  quanto
previsto dall'articolo 9 della stessa legge regionale n. 12 del 2005; 
        -  in  assenza  del  suddetto  Piano,  nessuna  «attrezzatura
religiosa» e' realizzabile (articolo  72,  comma  1)  e,  anche  dopo
l'approvazione del Piano, nessuna attrezzatura e' realizzabile al  di
fuori  delle  aree  a  cio'  specificamente  destinate   (comma   1),
indipendentemente dalla circostanza che  si  tratti:  di  edifici  di
culto o di altre attrezzature religiose, secondo l'ampia  definizione
di  cui  all'articolo  71,  comma  1,  della  legge   regionale;   di
attrezzature necessarie per assicurare la dotazione  di  standard  di
urbanizzazione secondaria di insediamenti esistenti o da  realizzare,
ovvero di luoghi di culto che privati cittadini chiedano  liberamente
di poter realizzare, al fine di professare collettivamente la propria
religione; di strutture di grandi dimensioni, destinate a determinare
un largo afflusso di  fedeli,  ovvero  di  semplici  sale  di  culto,
dedicate a una frequentazione limitata a poche decine di persone;  di
edifici realizzati a iniziativa pubblica o con  contributi  pubblici,
ovvero a iniziativa del tutto privata. 
    22.3 Secondo l'avviso del Collegio, le suddette  previsioni  sono
di dubbia legittimita'  costituzionale,  come  meglio  si  dira'  nel
prosieguo,  in   quanto   preordinano   una   completa   e   assoluta
programmazione  pubblica   della   realizzazione   di   «attrezzature
religiose»,  in  funzione   delle   «esigenze   locali»   -   rimesse
all'apprezzamento discrezionale del  Comune  -  a  prescindere  dalle
caratteristiche in concreto di  tali  opere,  e  persino  della  loro
destinazione alla fruizione da parte  di  un  pubblico  piu'  o  meno
esteso, introducendo cosi' un controllo pubblico totale,  esorbitante
rispetto alle  esigenze  proprie  della  disciplina  urbanistica,  in
ordine all'apertura di qualsivoglia  spazio  destinato  all'esercizio
del culto (o anche di semplici  attivita'  culturali  a  connotazione
religiosa). 
    22.4 Va, invece, evidenziato che non e' specificamente  rilevante
nel presente giudizio l'eventuale illegittimita'  costituzionale  del
comma 5 dello stesso articolo 72, ove si stabilisce che «I comuni che
intendono prevedere  nuove  attrezzature  religiose  sono  tenuti  ad
adottare e approvare il  piano  delle  attrezzature  religiose  entro
diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della  legge  regionale
recante "Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n.  12  (Legge
per il governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle
attrezzature per servizi religiosi". Decorso detto termine  il  piano
e' approvato unitamente al nuovo PGT». 
    La suddetta disposizione potrebbe apparire di dubbia legittimita'
costituzionale, laddove indica come meramente facoltativa  l'adozione
del Piano delle attrezzature religiose entro il termine  di  diciotto
mesi dall'entrata in vigore della legge  regionale  n.  2  del  2015,
stabilendo che, superato tale termine, all'approvazione del Piano  si
provveda soltanto in occasione della nuova pianificazione comunale. 
    Nella  presente   controversia   si   fa   questione,   tuttavia,
dell'annullamento  in  autotutela  di  un   permesso   di   costruire
rilasciato  prima  del  decorso  del   termine   di   diciotto   mesi
dall'entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 2015, ossia  in
un momento in cui il Comune di Castano Primo sarebbe stato ancora  in
termini per sospendere l'iter  di  rilascio  del  titolo  edilizio  e
adottare il Piano deputato all'inserimento sul  territorio  di  nuove
attrezzature religiose. Non e' percio' idonea a  influire  sull'esito
del giudizio la specifica questione attinente  all'obbligatorieta'  o
facoltativita' del  suddetto  piano  e  alle  conseguenze  della  sua
mancata adozione entro il predetto termine di diciotto mesi. 
    Anche laddove il Piano  fosse  stato  obbligatorio,  infatti,  il
Comune sarebbe stato in tempo per adottarlo e, quindi, il permesso di
costruire  rilasciato  prima  dei  diciotto  mesi  sarebbe   comunque
illegittimo. 
    23. Cosi' perimetrato  l'ambito  delle  questioni  rilevanti,  in
relazione  alla  portata  delle   disposizioni   regionali   che   si
sottopongono allo scrutinio della Corte costituzionale, deve passarsi
a illustrare compiutamente le ragioni per le quali si ritengono  tali
questioni non manifestamente infondate. 
    23.1 A giudizio del Collegio, l'equivoco di fondo  da  cui  muove
l'impostazione  seguita  dal  legislatore   regionale   e'   che   le
«attrezzature religiose», delle quali gli edifici di culto  sono  una
species, debbano essere trattate solo ed esclusivamente  quali  opere
di urbanizzazione secondaria (articolo 71, comma 2), da inserirsi nel
contesto urbano mediante un apposito Piano comunale che ne stabilisce
sia la localizzazione che il dimensionamento (articolo 72, commi 1  e
2). E cio' prescindendo dalle caratteristiche del singolo intervento,
dalla  circostanza  che  tali  attrezzature   siano   o   non   siano
strettamente  necessarie  ad  assicurare  la  dotazione  di  standard
urbanistici funzionale a un dato insediamento residenziale, e persino
dalla destinazione di tali opere a una piu' o meno  estesa  fruizione
pubblica. 
    23.2 Che sia cosi',  e  che  nessun'altra  interpretazione  della
legge regionale sia consentita, in base alla  lettera  e  alla  ratio
delle previsioni di legge, si evince  chiaramente  dalla  circostanza
che l'articolo 71, comma 1, riferendosi alle «attrezzature  religiose
di interesse comune», include tra tali attrezzature tutti gli edifici
aventi una determinata destinazione urbanistica - edifici  di  culto,
abitazioni di ministri di culto, attivita' di  formazione  religiosa,
sedi di associazioni culturali connotate da finalita' religiose  -  a
prescindere dalle caratteristiche in concreto di tali opere  e  dalla
loro specifica preordinazione al  fine  di  assicurare  la  richiesta
dotazione di opere di urbanizzazione secondaria in favore di un  dato
insediamento. 
    E tale necessaria lettura della legge regionale e'  ulteriormente
comprovata dalla circostanza che tale previsione si salda con  quella
dell'articolo 72, comma 2, laddove, nell'introdurre  il  nuovo  Piano
delle  attrezzature  religiose,  si  stabilisce  che  «nessuna  nuova
attrezzatura religiosa» possa essere installata in assenza del Piano. 
    Infine, l'interpretazione ora evidenziata, oltre a essere l'unica
compatibile con la lettera e con la ratio della legge  regionale,  e'
anche quella  accolta  nella  prassi  amministrativa,  fondata  sulla
circolare  regionale  20  febbraio  2017,  n.   3   («Indirizzi   per
l'applicazione della legge regionale 3 febbraio 2015, n. 2 «Modifiche
alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (legge per il  governo  del
territorio) - Principi per la pianificazione delle  attrezzature  per
servizi religiosi»», pubblicata sul BURL, Supplemento  ordinario,  22
febbraio 2017, n. 8). 
    23.3  Tale  impostazione,  tuttavia,  finisce   per   determinare
l'accentramento in capo all'Amministrazione locale  della  scelta  in
ordine a tempi, luoghi  e  distribuzione  tra  le  varie  confessioni
religiose  dei  luoghi  di  culto  che  si  prevede  di  aprire   sul
territorio,  senza  consentire,  al   di   fuori   di   tale   rigida
predeterminazione,   avocata   alla   mano   pubblica,   neppure   la
realizzazione, a iniziativa privata e in  aree  comunque  idonee  dal
punto di vista urbanistico, di modeste sale di preghiera. 
    In altri  termini,  il  presupposto  su  cui  si  fonda  l'intera
architettura  della  disciplina  regionale  lombarda  in  materia  di
edifici di culto consiste nell'individuazione di  una  corrispondenza
biunivoca tra le «attrezzature religiose di interesse comune», di cui
all'articolo  71,  comma  1,  costituenti  opere  di   urbanizzazione
secondaria, e le «attrezzature religiose» di cui all'articolo 72,  di
modo che tutte tali attrezzature  sono  trattate  allo  stesso  modo,
ossia  quali  opere  di  urbanizzazione  secondaria   soggette   alla
necessaria previa programmazione comunale. E cio' a prescindere dalla
circostanza che il  loro  inserimento  nel  territorio  debba  essere
effettivamente   preordinato   dall'Amministrazione,   al   fine   di
assicurare la proporzionata dotazione di standard  di  urbanizzazione
secondaria a servizio di insediamenti  residenziali,  ovvero  che  si
tratti di libere iniziative di enti religiosi, comunita' di fedeli  o
gruppi di cittadini, al  solo  scopo  di  assicurare  ai  fedeli  che
intendano praticare un dato culto di disporre di un  luogo  idoneo  a
praticarlo collettivamente. 
    24. Il Collegio e'  dell'avviso  che  tale  impostazione  collida
anzitutto con l'articolo 19 della Costituzione. 
    24.1 Secondo  l'insegnamento  della  Corte  costituzionale,  «Con
l'art. 19 il legislatore costituente riconosce a tutti il diritto  di
professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale
o associata, di farne propaganda e di  esercitare  in  privato  o  in
pubblico il culto, col solo e ben comprensibile, limite che il  culto
non si estrinsechi in riti contrari al buon costume.  La  formula  di
tale articolo non potrebbe, in tutti  i  suoi  termini,  essere  piu'
ampia, nel senso di comprendere tutte le  manifestazioni  del  culto,
ivi indubbiamente incluse, in quanto forma  e  condizione  essenziale
del suo pubblico esercizio, l'apertura di  templi  ed  oratori  e  la
nomina dei relativi ministri.» (sentenza n. 59 del 1958). 
    Proprio con riferimento alla legge regionale della  Lombardia  n.
12 del 2005, come modificata dalla legge regionale n. 2 del 2015,  la
Corte ha poi ribadito il proprio costante insegnamento,  evidenziando
che «Il libero esercizio del culto e'  un  aspetto  essenziale  della
liberta' di religione» e che  «L'apertura  di  luoghi  di  culto,  in
quanto forma e condizione essenziale per il pubblico esercizio  dello
stesso, ricade nella tutela garantita dall'art. 19  Cost.,  il  quale
riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede religiosa,
in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di
esercitare in privato o in pubblico il culto, con il solo limite  dei
riti contrari al buon costume.» (sentenza n. 63 del 2016). 
    24.2 Cio' posto, non si intende ovviamente negare - ne' si dubita
- che la Regione, nell'esercizio della propria  potesta'  legislativa
in materia di «governo del  territorio»,  attribuitale  dall'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, possa  dettare  una  disciplina
legislativa specificamente dedicata all'inserimento urbanistico delle
attrezzature religiose e degli edifici di culto.  Questo  aspetto  e'
stato affermato dalla Corte, tra l'altro, nella  richiamata  sentenza
n. 63 del 2016. 
    La Corte ha, tuttavia, rimarcato che la legislazione regionale in
materia di edilizia del culto «trova la sua ragione e giustificazione
- propria della materia urbanistica - nell'esigenza di assicurare uno
sviluppo  equilibrato  ed  armonico  dei  centri  abitativi  e  nella
realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro piu' ampia
accezione, che comprende percio' anche i servizi religiosi» (sentenza
n. 195 del 1993, richiamata dalla sentenza n. 63 del 2016) e che «Non
e', invece, consentito al legislatore regionale, all'interno  di  una
legge  sul  governo  del  territorio,  introdurre  disposizioni   che
ostacolino o compromettano la liberta' di religione» (sentenza n.  63
del 2016). 
    24.3 Come detto, l'articolo 72,  commi  1,  2  e  5  della  legge
regionale n. 12  del  2005  istituiscono  un  sistema  nel  quale  le
attrezzature religiose di qualsivoglia natura, inclusi  i  luoghi  di
culto, devono essere necessariamente realizzati nelle  aree  e  negli
immobili stabiliti dal Comune, al quale spetta, per questa via,  ogni
discrezionalita' in ordine all'apertura di luoghi di culto,  pubblici
o privati, sul proprio territorio. 
    Deve, inoltre, ricordarsi che, in base al comma  1  dell'articolo
72, il dimensionamento e la  disciplina  di  tali  attrezzature  sono
stabilite dal Comune «sulla base delle esigenze  locali».  Locuzione,
questa, su cui anche  la  Corte  ha  richiamato  l'attenzione,  nella
sentenza n. 63 del 2016, pur evidenziando che la previsione del comma
1 dell'articolo 72 non era stata sottoposta al suo sindacato. 
    24.3.1 Ora, l'impostazione seguita dal legislatore regionale  non
porrebbe  dubbi   di   compatibilita'   con   l'articolo   19   della
Costituzione, ad avviso del Collegio, se il Piano delle  attrezzature
religiose intervenisse al  solo  scopo  di  censire  le  attrezzature
esistenti aperte al pubblico, verificare il fabbisogno  di  ulteriori
attrezzature, e provvedere conseguentemente. 
    In  questi  termini,   la   previsione   sarebbe   effettivamente
ragionevole  e  funzionale  allo  scopo  di   assicurare   l'adeguata
dotazione  di  edifici  di  culto  a  servizio   degli   insediamenti
residenziali, che  e'  compito  propriamente  rientrante  tra  quelli
demandati al Piano dei Servizi. In questa prospettiva, sarebbe  anche
ragionevole il dimensionamento delle attrezzature religiose  in  base
alle esigenze riscontrate localmente. La stessa Corte  costituzionale
ha,  infatti,  affermato  che,  «come  e'   naturale   allorche'   si
distribuiscano utilita' limitate, quali le sovvenzioni pubbliche o la
facolta' di consumare suolo», nella ponderazione  rimessa  al  Comune
«si dovranno valutare tutti i  pertinenti  interessi  pubblici  e  si
dovra'  dare  adeguato  rilievo  all'entita'   della   presenza   sul
territorio  dell'una  o  dell'altra  confessione,   alla   rispettiva
consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto  riscontrate
nella popolazione» (sentenza n. 63 del 2016). 
    24.3.2 La disciplina regionale, tuttavia, si  spinge  oltre  tale
obiettivo, stabilendo che - in assenza o comunque al di  fuori  delle
previsioni  del  Piano  delle  attrezzature  religiose  -   non   sia
consentita l'apertura di alcuna attrezzatura religiosa, a prescindere
dal contesto e dal carico urbanistico generato dalla specifica opera. 
    Per questa via, si determina  un  ostacolo  di  fatto  al  libero
esercizio  del  culto,  poiche'   la   possibilita'   di   esercitare
collettivamente e in forma pubblica  i  riti  non  contrari  al  buon
costume - garantita dalla Costituzione - viene a  essere  subordinata
alla pianificazione comunale e, quindi, al controllo pubblico. 
    Cio',  secondo  l'avviso  del  Collegio,  determina   un'indebita
limitazione della liberta' di religione, perche': 
        - e' fisiologico che la  programmazione  comunale  intervenga
necessariamente con cadenze periodiche  pluriennali  (quelle  tipiche
della pianificazione); circostanza, questa, che di per se'  determina
un differimento nella possibilita' di soddisfare le esigenze di culto
della collettivita'; 
        - come detto, il Piano dei Servizi e' deputato a  operare  il
dimensionamento delle attrezzature religiose, in base alla situazione
del contesto, e non garantisce la previsione di luoghi di  culto  per
tutti gli enti di confessioni religiose o per le singole comunita' di
fedeli. 
    Tuttavia,  la  liberta'  di  esercizio  collettivo   del   culto,
assicurata dall'articolo 19 della Costituzione, non puo' risentire in
termini cosi' stringenti della  programmazione  urbanistica,  ne'  e'
assicurata   soltanto   ai   culti   dotati   di   una    determinata
rappresentativita' in ambito locale. Al  contrario,  la  Costituzione
garantisce l'esercizio pubblico del culto, con  il  solo  limite  del
rispetto del buon costume, anche  una  comunita'  composta  da  pochi
fedeli (come nel caso  oggetto  del  presente  giudizio,  ove  si  fa
questione della sede  di  un'Associazione  religiosa  cui  aderiscono
circa sessanta famiglie). 
    25. Ne' potrebbe ritenersi che  le  limitazioni  all'apertura  di
luoghi di  culto  stabilite  dalla  legge  regionale  siano  sorrette
adeguatamente dallo scopo di assicurare il corretto  inserimento  sul
territorio delle attrezzature religiose. 
    A giudizio del Collegio, le previsioni normative sopra richiamate
appaiono, infatti, eccedenti rispetto allo scopo, in modo tale da far
emergere   anche   la   violazione   dei   fondamentali   canoni   di
ragionevolezza,  proporzionalita'   e   non   discriminazione   posti
dall'articolo 3 della Costituzione. 
    25.1 Deve, infatti, tenersi presente che il comma 7 dell'articolo
72 ha stabilito quali caratteristiche costruttive  debbano  avere  le
attrezzature religiose e  quali  dotazioni  aggiuntive  di  parcheggi
debbano essere  assicurate,  in  proporzione  alle  dimensioni  della
struttura (v. lett. d). 
    A cio' deve aggiungersi che, in linea di principio,  gli  edifici
religiosi  sono  funzionali  all'insediamento  abitativo  e,  quindi,
dovrebbero essere in  linea  di  massima  realizzabili  negli  ambiti
urbani ove e' previsto l'insediamento della funzione residenziale,  o
in  ambiti  prossimi,  ferma  restando  la  potesta'  del  Comune  di
stabilire limitazioni,  anche  in  funzione  delle  dimensioni  della
struttura, tenuto conto del contesto locale, nei suoi diversi aspetti
(viabilita', parcheggi, e via dicendo). 
    Tutte le previsioni  costruttive  e  di  inserimento  urbanistico
delle attrezzature religiose ben possono, tuttavia - sulla base delle
indicazioni  contenute  nella  legge  regionale  -  trovare  adeguata
previsione nelle ordinarie prescrizioni degli strumenti  urbanistici.
E cio' tenuto conto anche della  circostanza  che  l'apertura  di  un
edificio di culto, da un punto di vista di  assetto  del  territorio,
appare non  differire  sensibilmente  dalla  realizzazione  di  altri
luoghi di aggregazione sociale, quali palestre, case di cura, scuole,
centri culturali non aventi finalita' religiose, e simili.  Per  tali
diverse strutture  non  e',  tuttavia,  stabilita  un'analoga  rigida
programmazione comunale. 
    In termini piu' espliciti, si evidenzia che la natura  di  «opere
di urbanizzazione secondaria» e' comune - ad esempio -  alle  scuole.
Anche per le scuole la relativa dotazione minima deve essere prevista
nel Piano dei Servizi. Cio', tuttavia, non  preclude  ai  privati  la
possibilita'  di  aprire  liberamente  ulteriori  scuole  e  istituti
d'istruzione privati, nell'esercizio della liberta' costituzionale di
insegnamento, purche' nel rispetto di tutte le  previsioni  di  piano
atte ad assicurare il corretto  inserimento  di  tali  strutture  nel
contesto urbanistico. Non e', invece, previsto che i privati  debbano
attendere, a tal fine, l'approvazione di un apposito Piano,  volto  a
dimensionare,   canalizzare   e   predeterminare   completamente    e
rigidamente la localizzazione delle scuole  e,  per  questa  via,  il
contenuto dell'intera offerta  scolastica  sul  territorio  comunale,
persino laddove si tratti dell'apertura di un corso limitato a  poche
decine o a qualche centinaio di iscritti. 
    Il differente trattamento riservato, sotto questo  profilo,  alle
attrezzature religiose appare, percio', del  tutto  ingiustificato  e
discriminatorio, rispetto a quello riservato  ad  altre  attrezzature
comunque destinate alla fruizione pubblica, potenzialmente  idonee  a
generare  un  impatto  analogo,  o  persino  maggiore,  nel  contesto
urbanistico. E tale trattamento e'  tanto  piu'  sperequato,  ove  si
consideri che la legge regionale n. 12  del  2005  e'  informata,  in
linea di massima, al principio del favor verso il libero insediamento
delle destinazioni d'uso compatibili con  la  destinazione  di  zona,
salve le  esclusioni  stabilite  dallo  strumento  urbanistico  (cfr.
articoli 51 e 10, comma 3, lett. f), della legge regionale n. 12  del
2005). 
    25.2 In definitiva, secondo l'avviso del  Collegio,  l'avocazione
al Comune dell'integrale programmazione della  localizzazione  e  del
dimensionamento delle attrezzature religiose finisce per eccedere gli
scopi propri della disciplina dell'assetto del  territorio  comunale,
producendo, di fatto, effetti simili  all'autorizzazione  governativa
all'apertura dei luoghi di culto, prevista dall'articolo 1 del  regio
decreto 28 febbraio 1930, n. 289, gia' dichiarato  costituzionalmente
illegittimo dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  n.  59  del
1958. 
    26. La violazione degli articoli 3 e 19 della Costituzione, sotto
i  profili  ora  detti,  ridonda  anche  nella  lesione  dei  diritti
inviolabili   della   persona,   tutelati   dall'articolo   2   della
Costituzione (v. Corte cost., sentenza n. 195 del  1993),  stante  la
centralita' del credo religioso quale espressione della  personalita'
dell'uomo, tutelata nella sua affermazione individuale e collettiva. 
    27. Per  tutte  le  ragioni  esposte,  questo  Tribunale  ritiene
rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita'
costituzionale sopra illustrate. 
    Va, conseguentemente, disposta la sospensione del giudizio  e  la
rimessione delle predette questioni  alla  Corte  costituzionale,  ai
sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Deve essere rinviata, infine,  all'esito  della  pronuncia  della
Corte anche la trattazione della domanda di risarcimento  del  danno,
come sopra detto, nonche' la  decisione  in  ordine  alle  spese  del
giudizio.