LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima Sezione penale 
 
    composta da: 
        Mariastefania Di Tomassi, Presidente; 
        Michele Bianchi, relatore; 
        Teresa Liuni; 
        Raffaello Magi; 
        Alessandro Centonze, 
    ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da:  H.
B. nato il ... 
    avverso l'ordinanza del 23 maggio 2017 del Tribunale sorveglianza
di Firenze; 
    udita la relazione svolta dal consigliere Michele Bianchi; 
    lette le conclusioni del p.g.  dott.  Francesco  Salzano  che  ha
chiesto il rigetto del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con ordinanza pronunciata in data 23 maggio 2017 il  Tribunale
di sorveglianza di Firenze ha respinto il reclamo proposto da  H.  B.
avverso il decreto, pronunciato in data 28 marzo  2017,  con  cui  il
Magistrato di sorveglianza di Firenze aveva dichiarato  inammissibile
la richiesta di permesso premio avanzata dal medesimo condannato. 
    Il Tribunale premette che il condannato era, dal 24 luglio  2005,
in espiazione di pena determinata in ventuno anni e  cinque  mesi  di
reclusione, considerati il periodo sofferto in custodia  cautelare  e
la pena oggetto di indulto, per effetto di diverse condanne,  oggetto
di cumulo, per i reati di sequestro di persona a scopo di  estorsione
(tredici  anni  di  reclusione),  rapina  aggravata  e  cessione   di
stupefacenti aggravata per l'ingente quantita'. 
    Da' atto che in relazione alla condanna  per  l'art.  630  codice
penale era stata riconosciuta la circostanza attenuante del fatto  di
lieve entita' introdotta dalla sentenza n. 68 del  2012  della  Corte
costituzionale (con ordinanza  del  giudice  dell'esecuzione  del  27
settembre 2016). 
    Cio' nonostante, ritiene che il beneficio penitenziario richiesto
non  fosse  concedibile   in   quanto   precluso,   in   assenza   di
collaborazione, dal titolo del  reato,  ex  art.  630  codice  penale
appunto, in relazione al quale era intervenuta la  condanna  ad  anni
tredici di reclusione, ricompreso nell'elenco dei reati  ostativi  ai
sensi dell'art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354 (recante
Norme sull'ordinamento penitenziario). Non aveva,  infatti,  rilievo,
al  fine  della   esclusione   della   preclusione,   la   attenuante
riconosciuta ne' risultava alcuna  delle  ipotesi  di  collaborazione
effettiva, impossibile o irrilevante, di cui  al  comma  1-bis  della
norma citata, neppure prospettate dal condannato. 
    E  neppure  risultava  ancora  per  gli  altri  reati  l'avvenuta
espiazione di almeno  meta'  della  pena,  come  richiesto  dall'art.
30-ter, quarto  comma  lettera  c),  ord.  pen.,  avuto  riguardo  al
principio che, in presenza di plurime  condanne  riferibili  anche  a
reati  ostativi  alla  concessione  dei  benefici  penitenziari,   e'
necessario operare lo scioglimento del cumulo al  fine  di  accertare
che la pena inflitta per il  reato  ostativo  sia  stata  interamente
espiata e, in caso positivo, individuare il dies a quo, rilevante  al
fine di verificare la sussistenza  dei  requisiti  di  legge  per  la
concessione  del  beneficio,  dal  giorno  in  cui  e'  avvenuta   la
espiazione della pena per il reato ostativo e non  dall'inizio  della
carcerazione. 
    2. Ha proposto ricorso per cassazione personalmente H. B. 
    Osserva  che  il  riconoscimento  della  attenuante  della  lieve
entita' del fatto al reato di  cui  all'art.  630  codice  penale  e'
incompatibile con una valutazione della condotta in termini di  grave
allarme sociale e dunque risulta in contrasto con la ratio che ispira
la disciplina del divieto di concessione  dei  benefici  penitenziari
per certuni reati, considerati ostativi. 
    Denunzia, per conseguenza, la illegittimita' costituzionale,  con
riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen.
nella parte in cui, non dando rilievo alla attenuante della  speciale
tenuita' del fatto ai  fini  del  venir  meno  della  preclusione  ai
benefici penitenziari, detta una disciplina irragionevolmente diversa
rispetto a quella  prevista  nel  caso  di  riconoscimento  di  altre
attenuanti (art. 62, primo comma, n.  6;  114;  116,  secondo  comma,
codice penale). 
    Aggiunge di aver riportato condanna per spaccio di  stupefacenti,
in realta' e a  differenza  di  quanto  riportato  nel  provvedimento
impugnato, non aggravato ai sensi dell'art. 80 decreto del Presidente
della Repubblica n. 309/1990. La pena gia'  espiata  avrebbe  percio'
consentito l'accesso al beneficio. 
    3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso  sul
rilievo che la previsione normativa di reati cosi' detti ostativi  ai
benefici  penitenziari,  salva  l'avvenuta  collaborazione  con   gli
inquirenti  ovvero  i   casi   di   collaborazione   impossibile   od
oggettivamente irrilevante, non  viola  il  principio  costituzionale
della finalita' rieducativa della pena; ha aggiunto che correttamente
il Tribunale aveva ritenuto insussistenti le condizioni di legge  per
la concessione al ricorrente del beneficio richiesto. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  Preliminarmente  va  rilevato  che  il   ricorso   presentato
personalmente dalla parte e' ammissibile in  quanto  rivolto  avverso
ordinanza pronunciata in data 23  maggio  2017,  e  dunque  in  epoca
antecedente all'entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103,
che, novellando gli articoli 571 e 613 codice di procedura penale, ha
escluso la facolta' di proposizione di ricorso per  cassazione  senza
assistenza di difensore iscritto nell'albo speciale  della  Corte  di
cassazione (sul punto e' sufficiente richiamare Sez. Un., n. 8914 del
21 dicembre 2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272011). 
    2. Tanto posto, osserva il Collegio che appare  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
per contrasto con gli articoli 3 e 27 della  Costituzione,  dell'art.
4-bis ord. pen., nella parte in cui ricomprende fra i reati  ostativi
alla concessione dei benefici penitenziari, elencati al  comma  1,  e
richiamati nel comma 1-bis, anche il reato di cui all'art. 630 codice
penale in relazione al  quale  sia  stata  riconosciuta  la  speciale
attenuante della lieve entita' del fatto, introdotta con la  sentenza
della Corte costituzionale n. 68 del 2012. 
    3. La questione e' rilevante perche' dagli atti  risulta  che  il
ricorrente H. B., dopo essere stato condannato dalla Corte di appello
di Milano, con sentenza pronunciata in data 7 gennaio  2009,  per  il
reato di cui all'art. 630 codice penale, alla  pena  di  anni  18  di
reclusione, ha ottenuto in sede  esecutiva  (ordinanza  27  settembre
2016 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Prato)  la
riduzione  della  pena  ad  anni  13   di   reclusione,   grazie   al
riconoscimento della attenuante della lieve entita'  del  fatto,  per
effetto della sopravvenuta  sentenza  n.  68  del  2012  della  Corte
costituzionale. 
    Effettivamente risulta,  inoltre,  che  il  ricorrente  e'  stato
condannato anche  per  il  reato  di  cui  all'art.  73  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309 del  1990,  ma  non  aggravato  ai
sensi dell'art. 80, comma 2, medesimo decreto.  Sicche',  se  dovesse
escludersi l'ostativita' per il reato  di  cui  all'art.  630  codice
penale, attenuato  dalla  lieve  entita',  avrebbe  potuto  ritenersi
maturato il diritto ad  accedere  al  beneficio  ai  sensi  dell'art.
30-ter, comma quarto, lettera c), ord. pen.,  salvo,  ovviamente,  le
valutazioni  sulla  meritevolezza  del  beneficio,  da  rimettere  al
giudice di merito, che si e', invece, arrestato  al  profilo  formale
della preclusione in ragione del  titolo  di  reato,  in  assenza  di
prospettazione della collaborazione, effettiva o impossibile. 
    4. Quanto alla non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
costituzionalita' si osserva quanto segue. 
    4.1. La disciplina dettata dall'art. 4-bis ord. pen. e' frutto di
una serie di interventi  riformatori  che  si  sono  succeduti  negli
ultimi trent'anni. 
    Il legislatore, dopo la riforma di  cui  alla  legge  10  ottobre
1986,  n.  663,  che  aveva  ampliato  la  disciplina  dei   benefici
penitenziari, ha ritenuto opportuno realizzare interventi  correttivi
nel senso di una restrizione della accessibilita' a detti benefici. 
    Dapprima, con decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito in
legge 12 luglio 1991, n. 203,  che  ha  introdotto,  appunto,  l'art.
4-bis ord. pen., e' stato previsto un elenco di  reati  per  i  quali
veniva istituito il divieto di concessione dei benefici a  condizione
che, per alcuni (delitti cosi' detti di prima  fascia),  non  fossero
acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con
la criminalita' organizzata, ovvero, per altri (delitti  cosi'  detti
di  seconda  fascia),  fossero   acquisiti   in   positivo   elementi
dimostrativi della attualita' di tali collegamenti. 
    Fra i delitti ostativi «di prima fascia»  venivano  ricompresi  i
piu' gravi delitti associativi (art. 416-bis codice penale,  art.  74
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  309  del  1990)  e  il
sequestro di persona a scopo di estorsione, per i quali veniva  cosi'
istituita una presunzione (relativa) di  attualita'  di  collegamenti
con la criminalita' organizzata. 
    Si trattava, secondo quanto rimarcato dalla Corte  costituzionale
nella sentenza n. 149 del 2018, di delitti «tutti caratterizzati  dal
necessario, o almeno - come nel caso di  sequestro  estorsivo  -  dal
normale inserimento del reo in una compagine criminosa, o  ancora  da
sue specifiche connessioni con organizzazioni criminali». 
    Successivamente, con legge  7  agosto  1992,  n.  356,  e'  stato
richiesto, con riferimento ai delitti di  prima  fascia,  l'ulteriore
requisito,  per  consentire  l'accesso  ai  benefici,   della   utile
«collaborazione» con  gli  inquirenti,  istituto  previsto  dall'art.
58-ter ord. pen. 
    Dapprima la Corte costituzionale, con  le  sentenze  n.  357  del
1994, n. 68 del 1995, e il legislatore, poi, con la legge 23 dicembre
2002, n. 279, sono intervenuti  sul  requisito  della  collaborazione
dando  rilievo  ai  casi   di   collaborazione   impossibile   ovvero
oggettivante irrilevante (ove  risulti,  secondo  il  dato  normativo
vigente, nel primo caso, accertata  «la  limitata  partecipazione  al
fatto criminoso» ovvero «l'integrale accertamento dei fatti  e  delle
responsabilita'»  e,  nella  seconda  ipotesi,  l'applicazione  delle
circostanze attenuanti previste dall'art.  62,  primo  comma,  n.  6,
codice penale, anche qualora il risarcimento del danno  sia  avvenuto
dopo la sentenza di condanna, dall'art.  114  ovvero  dall'art.  116,
secondo comma, codice penale). 
    Successivamente, con  ulteriori  interventi  (legge  23  dicembre
2002, n. 279 e legge 23  aprile  2009,  n.  38),  e'  stato  ampliato
l'elenco dei delitti della  prima  e  seconda  fascia,  ed  e'  stato
previsto, per i condannati  per  reati  sessuali,  che  l'accesso  ai
benefici  sia  condizionato   alla   specifica   osservazione   della
personalita' per almeno un anno. 
    Risulta cosi' dettata  una  complessa  disciplina,  che  richiede
differenti requisiti di ammissibilita' in  relazione  al  titolo  del
reato della condanna in espiazione, di seguito sintetizzata: 
        per tutti i delitti  dolosi,  puo'  precludere  l'accesso  ai
benefici, compresa la liberazione  anticipata,  la  comunicazione  da
parte  del  Procuratore  nazionale  o   distrettuale   antimafia   di
collegamenti attuali con la criminalita' organizzata (comma 3-bis); 
        nel  caso  di  condanna  per  delitti  di   prostituzione   e
pornografia  minorile   (articoli   600-bis,   600-ter,   600-quater,
600-quinquies codice penale), delitti di violenza sessuale  (articoli
609-bis non di lieve  entita',  609-ter,  609-quater,  609-quinquies,
609-octies,  609-undecies  codice  penale),  l'accesso  alle   misure
alternative, esclusa la liberazione anticipata, richiede  assenza  di
prova di collegamenti  attuali  con  la  criminalita'  organizzata  e
positiva osservazione scientifica della personalita' condotta per  un
anno (comma 1-quater); 
        nel caso di condanna per i reati di  cui  agli  articoli  575
codice penale, 628, terzo comma, codice penale, 629,  secondo  comma,
codice penale, 416, commi primo e terzo, codice penale finalizzato al
compimento dei delitti di cui agli articoli 473 e 474 codice  penale,
416 codice penale finalizzato al compimento dei delitti di  cui  agli
articoli 600  -  604  codice  penale;  art.  73  aggravato  ai  sensi
dell'art. 80, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 309
del 1990; art. 12, commi 3, 3-bis, 3-ter decreto legislativo  n.  286
del 1998, l'accesso ai benefici, esclusa la  liberazione  anticipata,
richiede assenza di prova di collegamenti attuali con la criminalita'
organizzata (comma 1-ter); 
        nel caso di condanna per delitti con finalita' di  terrorismo
od  eversione  dell'ordine  democratico  commessi  mediante  atti  di
violenza, delitti di cui  agli  articoli  416-bis  e  416-ter  codice
penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni ovvero al  fine
di agevolare l'attivita' delle associazioni di tipo mafioso,  delitti
di riduzione in schiavitu' e tratta di persone  (articoli  600,  601,
602 codice penale), art. 630 codice penale, art. 12,  commi  1  e  3,
decreto legislativo n. 286 del  1998,  art.  291-quater  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 43  del  1973,  art.  74  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e' ammissibile l'accesso
ai benefici penitenziari, esclusa la liberazione anticipata, solo  in
caso di collaborazione ai sensi dell'art. 58-ter ord. pen. (comma  1)
ovvero, in  caso  di  collaborazione  impossibile  od  oggettivamente
irrilevante, se vi e' prova della assenza di collegamenti attuali con
la criminalita' organizzata e, in caso di collaborazione impossibile,
risulti  la  limitata   partecipazione   al   fatto   o   l'integrale
accertamento dei fatti e delle responsabilita'  ovvero,  in  caso  di
offerta di collaborazione oggettivamente irrilevante,  vi  sia  stato
riconoscimento delle attenuanti di cui agli articoli 62, primo comma,
n. 6, 114 e 116 codice penale o  l'avvenuto  risarcimento  del  danno
dopo la condanna (comma 1-bis). 
    4.2. Fuori delle ipotesi tassativamente previste ai limitati fini
del riconoscimento della collaborazione cosi' detta  irrilevante,  e'
consolidato  l'orientamento  della  giurisprudenza  secondo  cui   il
riconoscimento giudiziale di circostanze  attenuanti  non  rileva  ai
fini della previsione legale, di cui all'art. 4-bis,  comma  1,  ord.
pen., relativa ai  titoli  di  reato  ostativi  alla  concessione  di
benefici penitenziari, incidendo tale eventuale  riconoscimento  solo
in sede di commisurazione della pena. 
    Una interpretazione dell'art.  4-bis  ord.  pen.  nel  senso  che
l'elencazione normativa dei reati ostativi si riferisca solo ai  casi
in cui, giudizialmente,  non  siano  state  riconosciute  circostanze
attenuanti, anche incidenti sulla obiettiva gravita'  del  fatto,  e'
dunque impossibile alta luce dei dati testuali e del diritto vivente. 
    4.3.  La  giurisprudenza  costituzionale   ha,   d'altra   parte,
riconosciuto la conformita' alla Carta fondamentale  dei  divieti  di
concessione dei benefici penitenziari per i  condannati  per  certuni
titoli di reato in  assenza  di  una  scelta  collaborativa  con  gli
inquirenti da  parte  del  condannato,  osservando,  con  particolare
riferimento ai delitti ostativi di prima fascia, che  la  disciplina,
che condiziona l'accesso ai benefici al duplice requisito della prova
positiva della assenza di collegamenti attuali  con  la  criminalita'
organizzata  e  della  collaborazione  con  gli  inquirenti  -  nella
triplice alternativa accezione di collaborazione utile,  impossibile,
oggettivamente irrilevante -, e'  giustificata,  da  un  lato,  dalla
presunzione, per la comune esperienza criminologica, di  collegamenti
con la criminalita' organizzata legata a taluni titoli  di  reato  e,
dall'altro, dalla considerazione della valenza  della  collaborazione
alla stregua di un «comportamento che deve necessariamente concorrere
ai fini della  prova  che  il  condannato  ha  reciso  i  legami  con
l'organizzazione criminale di provenienza» (sentenze n. 273 del  2001
e n. 135 del 2003). 
    Parrebbe,  dunque,  che  alla  radice  della  compatibilita'   di
siffatta  disciplina  eccezionale  con  l'art.  27  Cost.   stia   il
presupposto della particolare natura delle condotte per le  quali  e'
intervenuta la condanna per la quale vige una sorta di presunzione di
non praticabilita' di valide alternative rieducative  in  assenza  di
collaborazione:  in   quanto   si   tratterebbe   di   condotte   che
costituiscono, di norma, espressione di una organizzata, e quindi con
caratteristiche di stabilita'  e  particolare  resistenza,  struttura
criminale. 
    5. Tale presupposto non  sembra  tuttavia  possa  ragionevolmente
presumersi con riferimento  alla  fattispecie  di  cui  all'art.  630
codice penale, specie nella ipotesi attenuata per  la  lieve  entita'
del fatto. 
    Gia' la fattispecie astratta dell'art. 630 codice  penale,  nella
attuale  formulazione,  e'  frutto  di  una   serie   di   interventi
legislativi nel corso degli anni '70 del  secolo  scorso,  volti,  in
funzione di esigenze  repressive  ritenute  indilazionabili,  da  una
parte, ad  aggravare  la  risposta  sanzionatoria  e,  dall'altra,  a
favorire condotte di desistenza ovvero di recesso attivo. 
    E' significativo  di  tale  percorso  il  fatto  che,  permanendo
l'identita'  del  fatto  tipico,  nella  originaria  formulazione  la
sanzione edittale prevista era della reclusione da  otto  a  quindici
anni, mentre in quella attuale,  modificata  per  effetto  della  con
legge 30 dicembre 1980, n. 894, e' della reclusione da 25 a 30 anni. 
    La Corte costituzionale, con la  sentenza  n.  68  del  2012,  ha
tuttavia  rilevato  che,  in  realta',  la  fattispecie  tipica   non
concerne,  necessariamente,   fatti   espressione   di   criminalita'
organizzata e di grave allarme sociale  -  come  quelli  che  avevano
determinato il legislatore degli anni  '70  a  triplicare  il  minimo
edittale -, ma puo' essere realizzata, in base  a  dati  di  comunque
esperienza, anche da  fatti  estemporanei,  senza  una  significativa
predisposizione di uomini o mezzi, ovvero con limitata, a poche  ore,
restrizione della liberta' personale o con profitto  patrimoniale  di
entita' contenuta. 
    E  proprio   tale   rilievo   ha   portato   a   riconoscere   la
irragionevolezza del trattamento sanzionatorio stabilito dalla  norma
incriminatrice, laddove non  prevedeva,  come  invece  nell'art.  311
codice penale per la «parallela» fattispecie di cui all'art.  289-bis
codice penale - pure introdotta, con legge 18 maggio 1978, n. 191,  a
contrasto  di  manifestazioni  criminali  di  straordinario   allarme
sociale - una speciale attenuante correlata alla  lieve  entita'  del
fatto. 
    Il riconoscimento dell'attenuante in  parola  determina,  quindi,
non soltanto, ai sensi dell'art. 65  codice  penale,  la  diminuzione
della pena fino a un terzo, spostando la «forbice» edittale a  quella
della reclusione da anni sedici e mesi otto ad  anni  venti,  ma,  in
concreto,  una  caduta  di  effettivita'  della  presunzione  che  il
fatto-reato  realizzato  costituisca  espressione   tipica   di   una
criminalita' connotata da livelli  di  pericolosita'  particolarmente
elevati, collegabile a una struttura e a una organizzazione criminale
resistente alla rescissione dei vincoli  che  legano  il  singolo  al
gruppo. 
    D'altronde, chiamata a scrutinare l'art. 275 codice di  procedura
penale, nella parte  in  cui  vincola  il  giudice  della  cautela  a
disporre  la  custodia  in  carcere  nel  caso  di  gravi  indizi  di
colpevolezza per il reato di cui all'art. 630 codice penale uniti  ad
esigenze cautelari, la Corte costituzionale, con la sentenza  n.  213
del 2013, l'ha ritenuto costituzionalmente illegittimo  sul  rilievo,
appunto, della grande diversita' dei  fenomeni  criminali  annoverati
nella fattispecie. 
    In particolare, e' stato osservato che la presunzione assoluta di
adeguatezza della sola  custodia  in  carcere  trova  giustificazione
razionale solo  in  presenza  di  delitti,  quali  quelli  di  mafia,
connotati dalla adesione a  un  sodalizio  «fortemente  radicato  nel
territorio,  caratterizzato  da  una  fitta  rete   di   collegamenti
personali e dotato di particolare  forza  intimidatrice».  Mentre  la
fenomenologia  criminale  del  sequestro  di  persona  a   scopo   di
estorsione, si manifesta in fatti di ben diverso allarme sociale, che
vanno dai sequestri di lunga durata, con condizioni assai  penose  di
restrizione e ingenti richieste di riscatto - necessaria  espressione
di una organizzazione criminale ampia,  strutturata  e  con  radicato
consenso sociale -, ai sequestri di breve durata,  anche  finalizzati
alla  esazione  di  un  credito  fondato  su  prestazione   illecita,
espressione di una occasionalita' di azione e di  una  organizzazione
rudimentale e approssimativa. 
    E se deve ammettersi che il delitto di cui  all'art.  630  codice
penale  non  richiede  necessariamente  l'esistenza  di  una  stabile
organizzazione  criminale,  ma  puo'  essere  realizzato  anche   con
condotte estemporanee, di limitato  impatto  sia  nei  confronti  del
bene-liberta' personale sia in relazione al patrimonio della vittima,
a maggior ragione dovrebbe escludersi la presunzione di  un  siffatto
collegamento  nel  caso  in   cui   all'agente   venga   riconosciuta
l'attenuante della lieve entita' del fatto. 
    6. In conclusione, quando, come nel caso in esame, il  condannato
ha in corso espiazione  di  pena  inflitta  per  un  fatto  che,  pur
qualificato  ai  sensi  dell'art.  630  codice   penale,   e'   stato
riconosciuto di lieve entita', la presunzione (praticamente assoluta)
che lo stesso costituisca espressione di criminalita'  esercitata  in
forma  organizzata,  o  comunque   particolarmente   pervasiva,   che
giustifica il regime  di  esclusione  dei  benefici  penitenziari  in
assenza di collaborazione, non sembra avere fondamento ragionevole. 
    Non  puo',   pertanto,   a   parere   del   Collegio,   ritenersi
manifestamente infondato il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale
della disciplina recata dall'art. 4-bis, comma 1,  ord.  pen.,  nella
parte in cui comprende nel novero dei reati cosi' detti  ostativi  di
prima fascia anche la fattispecie di cui all'art. 630  codice  penale
pur  attenuata  per  la  lieve  entita'  del  fatto,  giacche'   tale
esclusione riposa su una presunzione di  elevatissima  pericolosita',
collegabile a contesti di criminalita' organizzata, che non risponde,
per la fattispecie in esame,  a  dati  di  esperienza  generalizzati,
riassumibili nella formula dell'id quod plerumque accidit. Sicche' il
divieto istituito per  tale  fattispecie,  in  relazione  alla  quale
appare «agevole» formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla
generalizzazione posta a base della presunzione  che  lo  giustifica,
parrebbe irragionevolmente limitare  il  diritto  del  condannato  ad
accedere ai benefici penitenziari, a prescindere da ogni  valutazione
in concreto, e caso per caso, sul percorso di  emenda  intrapreso,  e
ingiustificatamente incidere,  quindi,  sulla  finalita'  rieducativa
della pena e sul principio di individualizzazione della  stessa,  che
impongono - salva  la  ragionevolezza  della  presunzione  legale  di
pericolosita' - valutazioni commisurate alle condizioni e ai  segnali
di cambiamento del singolo individuo. 
    7.  Consegue  alle  argomentazioni  sin  qui  svolte,  che   deve
dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, in  riferimento
agli articoli 3 e 27 della Costituzione, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, legge 26 luglio 1975, n. 354
nella parte in cui non esclude dal novero  dei  reati  ostativi,  ivi
indicati, il reato di cui all'art. 630  codice  penale,  ove  per  lo
stesso  sia  stata  riconosciuta  l'attenuante  del  fatto  di  lieve
entita', ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 68 del
2012. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
alla comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica.