IL CONSIGLIO DI STATO 
               in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 395  del  2018,  proposto  da  Antares  S.r.l.,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dagli  avvocati  Enrico  Gaz,  Stefano  Gattamelata,  con   domicilio
digitale come da PEC da Registri  di  giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore, 22; 
    Contro Veronica Pavan, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo
Laghi, Giulia Corona, Massimo Zaccheo, con domicilio digitale come da
PEC da Registri di giustizia e  domicilio  eletto  presso  lo  studio
Massimo Zaccheo in Roma, viale di Villa Grazioli n. 29; 
    Nei confronti del Comune di Castelfranco Veneto, in  persona  del
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e  difeso  dall'avv.
Pierfrancesco Zen, con domicilio digitale come da PEC da Registri  di
giustizia e domicilio eletto presso lo  studio  Daniele  Vagnozzi  in
Roma, via Giunio Bazzoni n. 3; 
    Cecchin S.r.l., rappresentato e  difeso  dagli  avvocati  Emanuel
Fogale, Renzo Cuonzo, con domicilio digitale come da PEC da  Registri
di giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio  Renzo  Cuonzo  in
Roma, via di Monte Fiore, 22; 
    sul ricorso numero di registro generale 485 del 2018, proposto da
Comune di Castelfranco Veneto, in persona del  legale  rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pierfrancesco Zen,  con
domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia  e  domicilio
eletto presso lo studio Daniele Vagnozzi in Roma, via Giunio  Bazzoni
n. 3; 
    Contro Veronica Pavan, rappresentato e difeso dagli avvocati Aldo
Laghi, Giulia Corona, Massimo Zaccheo, con domicilio digitale come da
PEC da Registri di giustizia e  domicilio  eletto  presso  lo  studio
Massimo Zaccheo in Roma, viale di Villa Grazioli n. 29; 
    Nei confronti di Antares S.r.l.,  rappresentato  e  difeso  dagli
avvocati Enrico Gaz, Stefano Gattamelata, con domicilio digitale come
da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio
Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore, 22; 
    Cecchin S.r.l., rappresentato e  difeso  dagli  avvocati  Emanuel
Fogale, Renzo Cuonzo, con domicilio digitale come da PEC da  Registri
di giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio  Renzo  Cuonzo  in
Roma, via di Monte Fiore, 22; 
    Per la riforma entrambi i  ricorsi,  della  stessa  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione Seconda) n.
00944/2017, resa  tra  le  parti,  pubblicata  mediante  deposito  in
segreteria avvenuto il 24 ottobre  2017  e  notificata  dalla  sig.ra
Pavan Veronica al Comune  di  Castelfranco  Veneto,  con  pec  dell'8
novembre 2017, assunta  al  protocollo  comunale  n.  0049500  del  9
novembre 2017, con riferimento  al  capo  con  il  quale  accoglie  i
ricorsi promossi dall'odierna appellata «nella parte in cui il Comune
di Castelfranco si e' determinato erroneamente riguardo  la  verifica
dell'altezza del costruendo edificio» e, pertanto, «ordina al  Comune
di Castelfranco di adottare i necessari provvedimenti  di  ripristino
riguardo il rispetto dell'altezza». 
    Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di Veronica Pavan e di
Comune di Castelfranco Veneto e di Cecchin S.r.l. e di Veronica Pavan
e di Antares S.r.l. e di Cecchin S.r.l.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  14  febbraio  2019  il
cons. Davide Ponte e uditi per le  parti  gli  avvocati  Enrico  Gaz,
Giulia Corona, Renzo Cuonzo e Pierfrancesco Zen  Enrico  Gaz,  Giulia
Corona, Renzo Cuonzo e Pierfrancesco Zen; 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    Con il primo degli appelli di cui in epigrafe l'impresa  Antares,
odierna prima parte appellante, impugnava  la  sentenza  n.  944  del
2017, nella parte in cui il Tribunale amministrativo regionale Veneto
aveva  accolto  l'originario  ricorso,   tra   i   diversi   proposti
dall'odierna parte  appellata  Pavan  avverso  l'intervento  edilizio
avviato dalla stessa Antares, annullando i provvedimenti  del  Comune
di Castelfranco Veneto in quanto la verifica della d.i.a. operata dal
comune stesso non ha  applicato  i  parametri  di  legge  per  quanto
riguarda la verifica delle altezze. 
    Nel ricostruire in  fatto  e  nei  documenti  la  vicenda,  parte
appellante formulava i seguenti motivi di appello: 
        erronea interpretazione e  falsa  applicazione  dell'art.  9,
comma 8-bis, l.r. 14/2009, come introdotto dal comma 13 dell'art.  10
l.r. Veneto n. 32 del 29 novembre 2013, in relazione  all'art.  2-bis
del testo unico dell'edilizia e all'art. 8 del  decreto  ministeriale
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; 
        violazione degli articoli 111, sesto comma, Cost.  e  3  cod.
proc. amm. per omessa, insufficiente  e  contraddittoria  motivazione
della decisione appellata, con particolare riguardo agli articoli  19
e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. 
    La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto
dell'appello e riproponendo i motivi non esaminati o assorbiti. 
    Alla Camera di consiglio del 22 febbraio 2018 l'istanza cautelare
veniva rinunciata in vista della trattazione del merito. 
    Con il secondo appello di cui in epigrafe  la  medesima  sentenza
veniva impugnata, nella stessa parte di accoglimento, dal  Comune  di
Castelfranco Veneto che, nel ricostruire in fatto e nei documenti  la
vicenda, formulava i seguenti motivi di appello: 
        mancato pronunciamento su di un punto decisivo del petitum  e
violazione  dell'art.  12   preleggi,   in   ordine   alla   corretta
interpretazione dell'art.  9,  comma  8-bis,  della  l.r.  Veneto  n.
14/2009; 
        carente motivazione in ordine all'asserita  violazione  della
medesima norma regionale; 
        illegittimita' nella parte in cui ritiene che il comune abbia
violato i limiti di altezza di cui alla predetta norma,  travisamento
dei fatti e contraddittorieta'. 
    Anche in tale  giudizio  la  parte  appellata  si  costituiva  in
giudizio chiedendo il rigetto del gravame e riproponendo i motivi non
esaminati o assorbiti. 
    Alla pubblica udienza del 14 febbraio 2019 le cause passavano  in
decisione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Preliminarmente, va disposta la riunione degli appelli di  cui
in epigrafe, sia in quanto proposti avverso la medesima  sentenza,  a
norma dell'art. 96, comma 1, cod. proc. amm., sia  in  considerazione
della sussistenza di una evidente  connessione,  sia  soggettiva  che
oggettiva, dei ricorsi: nella  prima  direzione,  soggettiva,  assume
rilievo l'identita' delle parti; nella seconda direzione,  oggettiva,
i gravami risultano avere ad oggetto il medesimo contesto immobiliare
e la legittimita' degli atti adottati  dall'amministrazione  comunale
in ordine all'iniziativa edificatoria  della  societa'  proprietaria,
con particolare riferimento al  vizio  oggetto  di  accoglimento  nel
giudizio di prime cure in relazione al rispetto  delle  altezze,  nei
termini derivanti dalla norma regionale in questione (art.  9,  comma
8-bis, della l.r. Veneto n. 14/2009). 
    2.1 Sempre in via preliminare,  emergono  i  presupposti  per  la
rimessione alla Corte costituzionale della questione di  legittimita'
costituzionale  della  norma  regionale  oggetto  di  applicazione  e
controversa nell'interpretazione fra le parti in causa. 
    2.2 I fatti di causa, che appaiono sostanzialmente  incontroversi
fra  le  parti,  concernono  un  intervento  di  edilizia   abitativa
realizzato in Castelfranco Veneto dalla societa' Antares, con appalto
dei  lavori  alla  ditta  Cecchin  S.r1.,  relativo  ad  un  edificio
residenziale degli anni cinquanta  di  cui  e'  stata  progettata  la
demolizione  e  ricostruzione  accedendo   alle   facolta'   premiali
introdotte con la normativa regionale veneta relativa  al  cosiddetto
«piano-casa» (ll.rr. nn. 14 del 2009, 13 del 2011  e  32  del  2013),
compreso un ampliamento del fabbricato. 
    Con una serie di ricorsi proposti dalla odierna parte  appellata,
contitolare di confinante complesso condominiale, venivano  impugnati
gli atti adottati dal comune interessato  in  relazione  al  predetto
intervento. 
    All'esito del giudizio di prime cure il Tribunale  amministrativo
regionale  Veneto,  riuniti  i  ricorsi,   dichiarato   inammissibile
l'ultimo (in quanto avente ad oggetto un atto meramente confermativo)
e respinti per il resto gli altri gravami, accoglieva in parte qua le
domande di parte ricorrente, in specie annullando gli atti  impugnati
limitatamente alla parte in cui  il  Comune  di  Castelfranco  si  e'
determinato  erroneamente  riguardo  la  verifica  dell'altezza   del
costruendo edificio. Cio' in accoglimento delle  censure  dedotte  da
parte ricorrente con riferimento alla corretta applicazione del comma
8-bis dell'art. 9 della legge regionale n. 14 del  2009;  secondo  il
Tribunale amministrativo regionale tale norma, di riferimento per  il
caso di specie, non consente di considerare come  edificio  esistente
l'edificio circostante piu' alto, come invece  erroneamente  imputato
dai giudici di prime cure al Comune di Castelfranco. 
    2.3 Anche le censure dedotte  coi  vizi  di  appello,  richiamati
nella narrativa in fatto, si  basano  sulla  contestata  applicazione
della norma regionale predetta, di cui occorre pertanto richiamare il
tenore  letterale:  «Al  fine  di  consentire  il   riordino   e   la
rigenerazione del tessuto edilizio  urbano  gia'  consolidato  ed  in
coerenza con  l'obiettivo  prioritario  di  ridurre  o  annullare  il
consumo di suolo, anche mediante la creazione di nuovi spazi  liberi,
in attuazione  dell'art.  2-bis  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380/2001 gli ampliamenti e le ricostruzioni di  edifici
esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di  tipo  B  e  C,
realizzati ai sensi della presente legge, sono  consentiti  anche  in
deroga alle disposizioni in materia di altezze previste  dal  decreto
ministeriale n. 1444 del 1968 e successive modificazioni, sino ad  un
massimo del 40 per cento dell'altezza dell'edificio esistente». 
    3.1 Ebbene, ritiene il Collegio  che  la  previsione  legislativa
all'esame  non  si   sottragga   alla   questione   di   legittimita'
costituzionale per contrasto con l'art. 117, comma 2,  lettera  l)  e
comma 3, della Costituzione, quale di seguito rilevata  d'ufficio  ai
sensi dell'art. 23, comma 3, della legge n. 87/1953. 
    3.2 Si precisa, al  riguardo,  che  la  questione  e'  senz'altro
rilevante, non potendosi dubitare dell'ammissibilita' di questioni di
legittimita' costituzionale attinenti a leggi di cui il giudice a quo
debba fare diretta applicazione ai fini della decisione  della  causa
in relazione al thema  decidendum  (e,  nel  giudizio  d'appello,  al
devolutum).  Ipotesi,   questa,   che   esattamente   ricorre   nella
fattispecie, risultando con i motivi d'appello devoluti  al  presente
grado questioni  che  non  possono  essere  decise  indipendentemente
dall'applicazione della citata disposizione di legge regionale, posta
da  tutte  le  parti,  pubblica  e  private,  a  fondamento  sia  dei
provvedimenti adottati, sia delle tesi dedotte in giudizio in  ordine
all'ammissibilita' o meno dell'intervento progettato. 
    3.2 In punto di non manifesta infondatezza, ritiene  il  Collegio
che la citata disposizione, nella parte in cui  consenta  le  deroghe
alle disposizioni in materia di altezze  previste  dal  noto  decreto
ministeriale n. 1444 cit. sia  in  contrasto  con  i  principi  della
legislazione statale, dettati dallo  stesso  decreto  ministeriale  e
dall'art. 2-bis  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 2,  lettera
l) e 3 Cost., in specie laddove non  si  prevede  che  le  consentite
deroghe debbano operare nell'ambito della definizione o revisione  di
strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo  e
unitario o di specifiche aree territoriali. 
    3.3 Come noto, con l'introduzione dell'art.  2-bis  del  Trattato
sull'Unione europea, da parte dell'art. 30, comma 1, lettera a),  del
decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio dell'economia), convertito, con modificazioni, dall'art.  1,
comma  1,  della  legge  9  agosto  2013,  n.  98,  l'ordinamento  ha
sostanzialmente   recepito   l'orientamento   della    giurisprudenza
costituzionale, inserendo nel testo unico  sull'edilizia  i  principi
fondamentali della vincolativita', anche per le regioni e le province
autonome, delle distanze legali e piu' in generale  delle  previsioni
stabilite   dal   decreto   ministeriale   n.   1444   del   1968   e
dell'ammissibilita'  delle  deroghe,  solo  a  condizione  che  siano
«inserite  in  strumenti  urbanistici,  funzionali  a  conformare  un
assetto complessivo e unitario di determinate  zone  del  territorio»
(cfr. ad es. sentenze nn. 185 del 2016 e  189  del  2016).  La  norma
statuisce quanto segue: «Ferma  restando  la  competenza  statale  in
materia  di  ordinamento  civile  con  riferimento  al   diritto   di
proprieta'  e  alle  connesse  norme  del  codice   civile   e   alle
disposizioni integrative, le Regioni e le Province autonome di Trento
e di Bolzano possono prevedere,  con  proprie  leggi  e  regolamenti,
disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori  pubblici
2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da
destinare agli insediamenti  residenziali,  a  quelli  produttivi,  a
quelli riservati alle attivita' collettive, al verde e ai  parcheggi,
nell'ambito della definizione o revisione  di  strumenti  urbanistici
comunque  funzionali  a  un  assetto  complessivo  e  unitario  o  di
specifiche aree territoriali». 
    La deroga alla disciplina dei parametri in tema di  densita',  di
altezze e di distanze, realizzata dagli  strumenti  urbanistici  deve
quindi ritenersi legittima  sempre  che  faccia  riferimento  ad  una
pluralita'   di   fabbricati   e   sia    fondata    su    previsioni
planovolumetriche che evidenzino, cioe',  una  capacita'  progettuale
tale da definire  i  rapporti  spazio-dimensionali  e  architettonici
delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario
(articoli 8, lettera b), nel caso di specie e 9,  ultimo  comma,  del
decreto ministeriale n. 1444 del 1968). 
    3.4 Alla luce delle considerazioni svolte, appare  non  coerente,
rispetto alle indicazioni interpretative offerte dalla giurisprudenza
costituzionale e ribadite dal disposto di cui  all'art.  2-bis  testo
unico edilizia, il mancato riferimento della norma impugnata a quella
tipologia di atti menzionati nel testo del  decreto  ministeriale  n.
1444 del 1968 richiamato, cui  va  riconosciuta  la  possibilita'  di
derogare al regime delle altezze e delle distanze. 
    Inoltre, la stessa giurisprudenza  costituzionale  ha  stabilito,
con riferimento alle distanze sebbene con una considerazione che pare
potersi estendere anche qui alle altezze stante l'analogia del  testo
del decreto ministeriale e la generalita' della previsione  letterale
dell'art. 2-bis (ben piu' ampia della mera rubrica),  che  la  deroga
alle distanze minime potra' essere  contenuta,  oltre  che  in  piani
particolareggiati o di lottizzazione, in ogni  strumento  urbanistico
equivalente sotto  il  profilo  della  sostanza  e  delle  finalita',
purche' caratterizzato da una progettazione  dettagliata  e  definita
degli interventi (sentenza n. 6 del 2013). 
    Ne  consegue  che  devono  ritenersi   ammissibili   le   deroghe
predisposte nel contesto dei piani urbanistici attuativi,  in  quanto
strumenti funzionali a conformare un assetto complessivo  e  unitario
di determinate zone del territorio, secondo quanto richiesto, al fine
di attivare  le  deroghe  in  esame,  dall'art.  2-bis  del  Trattato
sull'Unione  europea,  in  linea  con  l'interpretazione  nel   tempo
tracciata da questa Corte (ex multis, sentenze nn. 231,  189,  185  e
178 del 2016 e n. 134 del 2014). 
    3.5 Peraltro, tali peculiari elementi  presupposti  della  deroga
non si rivengono del testo della norma regionale in contestazione. 
    Il riferimento agli ampliamenti ed alle ricostruzioni di  edifici
esistenti situati nelle zone territoriali omogenee di  tipo  B  e  C,
nell'espressione utilizzata dal legislatore regionale veneto al comma
9-bis in oggetto, appare  infatti  in  contrasto  con  lo  stringente
contenuto che dovrebbe assumere una previsione  siffatta,  risultando
destinata  a  legittimare  deroghe  al  di  fuori  di  una   adeguata
pianificazione urbanistica. 
    L'assenza di precise indicazioni, in  coerenza  con  quanto  gia'
evidenziato  dalla  richiamata  giurisprudenza  costituzionale,   non
consente di attribuire agli interventi in questione un  perimetro  di
azione  necessariamente  coerente   con   l'esigenza   di   garantire
omogeneita' di assetto a determinate zone del territorio; infatti, la
dizione della norma si presta, sul  piano  semantico,  a  legittimare
(come avvenuto nel caso di specie) anche interventi diretti a singoli
edifici,  in  aperto  contrasto  con  le  indicazioni  interpretative
offerte in precedenza. 
    In tale ottica appare pertanto non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale della  norma  censurata,  in
quanto legittima deroghe alla disciplina delle altezze dei fabbricati
al di fuori dell'ambito della  competenza  regionale  concorrente  in
materia di governo del territorio, a fronte del  principio  contenuto
nell'art. 2-bis cit., ed in violazione  del  limite  dell'ordinamento
civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    3.6 In materia va altresi' richiamata, a fini di completezza e di
estensione dei principi predetti allo specifico tema  delle  altezze,
la valenza generale del decreto ministeriale 2 aprile 1968,  n.  1444
che, essendo stato emanato su delega dell'art. 41-quinquies, legge 17
agosto 1942, n. 1150, inserito dall'art. 17, legge 6 agosto 1967,  n.
765,  ha  efficacia  e  valore  di  legge,  sicche'   sono   comunque
inderogabili le sue  disposizioni  in  tema  di  limiti  di  densita'
edilizia, di altezza e di distanza tra  i  fabbricati  (cfr.  ad  es.
Consiglio di Stato, sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5732).  Le  relative
disposizioni in tema di distanze tra costruzioni non vincolano solo i
comuni, tenuti ad adeguarvisi nell'approvazione  di  nuovi  strumenti
urbanistici  o  nella  revisione  di  quelli   esistenti,   ma   sono
immediatamente operanti nei confronti dei proprietari frontisti; tale
conclusione vale, analogamente, per le altezze, poiche'  scopo  delle
norme  regolamentari  concernenti  l'altezza  degli  edifici  non  e'
soltanto la tutela dell'igiene  pubblica,  ma,  insieme,  quella  del
decoro e dell'indirizzo urbanistico dell'abitato (cfr. in termini  ad
es. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, n. 3931). 
    Analogamente la giurisprudenza e'  da  tempo  orientata  in  modo
univoco  ad  affermare  che  il  decreto  ministeriale  in  questione
(ascrivibile secondo una preminente teoria all'atipica categoria  dei
regolamenti delegati o liberi) ha efficacia di  legge,  cosicche'  le
sue disposizioni, anche in tema di limiti inderogabili di altezza dei
fabbricati, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei  regolamenti
locali  successivi,  alle  quali  si  sostituiscono  per   inserzione
automatica, con conseguente loro diretta  operativita'  nei  rapporti
tra privati (cfr. a partire da Cass. ss.uu. 1° luglio 1997, n.  5889,
nonche' ad es.  Cassazione,  sez.  II,  14  marzo  2012,  n.  4076  e
Cassazione, sez. un., 7 luglio 2011, n. 14953). 
    A fronte della riconosciuta valenza del decreto  ministeriale  n.
1444,  confermata  dalla  consolidata  giurisprudenza  costituzionale
(cfr. sentenze 114/2012, 282/2016, 185/2016, 178/2016, 41/2017),  gli
spazi di derogabilita' appaiono ammissibili, in capo  al  legislatore
regionale, nei limiti dettati  dal  legislatore  statale,  dotato  di
competenza in tema appunto di principi  fondamentali  in  materia  di
governo del territorio; orbene, nel caso  di  specie  il  legislatore
regionale appare aver oltrepassato detti limiti, nella parte  in  cui
consente le indicate deroghe  al  di  fuori  dell'ammesso  ambito  di
«definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali
a  un  assetto  complessivo  e  unitario   o   di   specifiche   aree
territoriali». 
    4.  Sussistendo  tutti  i  presupposti  per  sollevare  questione
incidentale di legittimita'  costituzionale  ai  sensi  dell'art.  23
legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione, quale sopra sollevata, deve
essere devoluta alla Corte costituzionale, cui gli atti del  presente
giudizio vanno pertanto immediatamente trasmessi, previa  sospensione
del presente giudizio.