IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
 
 
                          Sezione terza ter 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3969 del 2018, proposto  da  Camera  di  commercio,
industria, artigianato e agricoltura di Pavia, in persona del  legale
rappresentante pro tempore, rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Aldo Travi, Elena Travi, Livia Lorenzoni, con domicilio digitale come
da  registri  di  giustizia  e  domicilio  eletto  presso  lo  studio
dell'avv. Livia Lorenzoni in Roma, via del Viminale n. 43; 
    Contro  Ministero  dello  sviluppo  economico,   Presidenza   del
Consiglio dei ministri, Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,  in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex  lege  in  Roma,
via dei Portoghesi n. 12; 
    Nei confronti Camera di commercio  di  Mantova,  in  persona  del
legale rappresentante  pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dagli
avvocati Claudio Arria,  Guido  Francesco  Romanelli,  con  domicilio
digitale come da pec da registri  di  giustizia  e  domicilio  eletto
presso lo studio dell'avv. Livia Lorenzoni in Roma, via del  Viminale
n. 43; 
    Camera di commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura  di
Cremona,  in  persona  del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentata e difesa  dagli  avvocati  Maria  Ughetta  Bini,  Paola
Ramadori, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia
e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Maria Ughetta  Bini  in
Roma, via Marcello Prestinari n. 13; 
    Unioncamere  -  Unione  italiana  delle  Camere   di   commercio,
industria,  artigianato  e  agricoltura,  in   persona   del   legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dall'avvocato
Alfonso Celotto, con domicilio digitale come da pec  da  registri  di
giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilio
de' Cavalieri n. 11; 
    Unione  regionale   delle   Camere   di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura della Lombardia e dott. Marco Zanini, quale
commissario ad acta nominato con  decreto  ministeriale  16  febbraio
2018, all.to B, ai fini dell'accorpamento delle Camere  di  commercio
di Pavia, di Cremona e di Mantova, non costituiti in giudizio; 
Per l'annullamento: 
    del decreto ministeriale 16 febbraio  2018  del  Ministero  dello
sviluppo economico, recante «Riduzione del  numero  delle  camere  di
commercio mediante accorpamento,  razionalizzazione  delle  sedi  del
personale» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  57  del  9  marzo
2018); nonche' 
    degli atti preparatori ivi  inclusi:  la  proposta  formulata  da
Unioncamere, deliberata dall'assemblea di Unioncamere  il  30  maggio
2017 e trasmessa al Ministero con nota dell'8 giugno 2017; il verbale
della Conferenza Stato-regioni dell'11 gennaio 2018; la deliberazione
del Consiglio dei ministri 8 febbraio 2018, con  la  quale  e'  stata
autorizzata l'adozione del decreto ministeriale impugnato; 
    degli atti conseguenti - ivi comprese  la  nota  ministeriale  1°
marzo 2018, prot. 0080724, della Direzione generale per  il  mercato,
div. III - Sistema camerale, del Ministero dello sviluppo  economico,
e le determinazioni adottate dal commissario ad acta in  applicazione
del decreto di accorpamento, in particolare delle  determinazioni  1°
marzo 2018, numeri 1, 2, 3 e 4; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  degli  enti  e  delle
amministrazioni intimate; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  30  gennaio  2019  il
dott. Luca  De  Gennaro  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    La Camera di commercio di Pavia con il  ricorso  in  epigrafe  ha
impugnato il decreto ministeriale  16  febbraio  2018,  -  nonche'  i
relativi atti connessi - nella parte in cui, in attuazione  dell'art.
3 del decreto legislativo 25  novembre  2016,  n.  219  recependo  la
proposta avanzata da  Unioncamere  (delibera  del  30  maggio  2017),
dispone l'accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona  e
Mantova, individuando in Mantova, piuttosto che in Pavia, la sede del
nuovo ente. 
    Il decreto ministeriale e' identico  al  decreto  ministeriale  8
agosto 2017, pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale  del  19  settembre
2017, e sostituito  dopo  la  pronuncia  della  Corte  costituzionale
(sentenza n.  261/2017,  depositata  il  13  dicembre  2017)  che  ha
dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4  del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 [...],  nella  parte  in
cui stabilisce che il decreto del Ministro dello  sviluppo  economico
dallo stesso previsto deve  essere  adottato  sentita  la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
Autonome di Trento e di Bolzano, anziche'  previa  intesa  con  detta
Conferenza». 
    A seguito della detta pronuncia  il  Ministero  sottoponeva  alla
Conferenza Stato-regioni un  nuovo  schema  di  decreto,  analogo  al
precedente, ai fini  del  raggiungimento  dell'intesa  con  gli  enti
regionali. La Conferenza, dopo un primo rinvio nella  seduta  del  21
dicembre 2017, esaminava il testo nella seduta dell'11 gennaio  2018:
in tale occasione varie regioni formulavano obiezioni a seguito delle
quali il verbale della seduta  recava  l'indicazione  della  «mancata
intesa». 
    Successivamente, appurato il mancato raggiungimento di un'intesa,
il Consiglio dei ministri, nella  seduta  dell'8  febbraio  2018,  ai
sensi dell'art. 3, terzo comma del decreto  legislativo  n.  281/1997
autorizzava il Ministro  dello  sviluppo  economico  ad  adottare  il
citato decreto. 
    Avverso il citato decreto ministeriale 16 febbraio 2018 la Camera
di commercio di Pavia articola le seguenti doglianze: 
        violazione  dei  criteri  prefissati   e   contraddittorieta'
rispetto a  essi,  per  difetto  di  motivazione  e  per  carenza  di
istruttoria; violazione dell'art. 1, comma 1, lettera f) del  decreto
legislativo n. 219/2016; 
        violazione dei principi sul procedimento amministrativo  (con
particolare riferimento all'art. 10 della legge n. 241/1990) e  sulla
leale collaborazione fra amministrazioni, difetto di motivazione; 
        violazione della  delega  legislativa  conferita  al  Governo
dall'art. 10 del  decreto  legislativo  n.  124/2015;  illegittimita'
costituzionale dell'art. 10, comma 2 della legge 7  agosto  2015,  n.
124, e dell'art. 3 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n.  219,
per  violazione  dell'art.  117  della  Costituzione  e   conseguente
illegittimita' del decreto ministeriale 16 febbraio 2018; 
        violazione dei principi in materia  di  intesa  fra  Stato  e
regioni. 
    La Camera ricorrente denunzia quindi, sotto plurimi  profili,  la
violazione   delle   disposizioni   in   tema   di   accorpamento   e
razionalizzazione  delle  camere  di  commercio,  la  violazione  dei
principi  stabiliti  per  l'attuazione  della   riforma,   l'elusione
sostanziale dei principi in materia di intesa tra Stato e regione  e,
come meglio  chiarito  in  seguito,  l'illegittimita'  costituzionale
delle disposizioni di legge applicate. 
    Si sono costituiti il  Ministero  dello  sviluppo  economico,  la
Presidenza del Consiglio dei  ministri,  Unioncamere,  le  Camere  di
commercio di Cremona e Mantova  per  resistere  all'accoglimento  del
ricorso. 
    All'udienza pubblica del 30 gennaio  2019  il  ricorso  e'  stato
trattenuto per la decisione. 
    Rilievo della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
10 della legge n. 124/2015 e dell'art. 3 del decreto  legislativo  25
novembre 2016, n. 219. 
    In virtu' dell'art. 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e' stata
conferita  delega  al  Governo  per  l'emanazione   di   un   decreto
legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e  del
finanziamento delle Camere di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993,
n. 580 e il conseguente riordino delle disposizioni che  regolano  la
relativa materia. 
    Segnatamente l'art. 10, primo comma, lettera b)  della  legge  n.
124/2015 prevede che il legislatore  delegato  possa  procedere  alla
«ridefinizione delle circoscrizioni territoriali, con  riduzione  del
numero dalle attuali 105 a non piu' di 60  mediante  accorpamento  di
due o piu' camere di commercio; possibilita' di mantenere la  singola
camera  di  commercio  non  accorpata  sulla  base  di   una   soglia
dimensionale minima di 75.000 imprese  e  unita'  locali  iscritte  o
annotate nel registro delle imprese, salvaguardando  la  presenza  di
almeno una  camera  di  commercio  in  ogni  regione,  prevedendo  la
istituibilita' di una camera di commercio in ogni provincia  autonoma
e citta' metropolitana  e,  nei  casi  di  comprovata  rispondenza  a
indicatori di efficienza e di  equilibrio  economico,  tenendo  conto
delle   specificita'   geo-economiche   dei   territori    e    delle
circoscrizioni territoriali di  confine,  nonche'  definizione  delle
condizioni in presenza delle quali possono essere istituite le unioni
regionali o interregionali». 
    L'esercizio della delega (art. 10, comma 2 cit.) doveva  avvenire
su proposta del Ministro  dello  sviluppo  economico  e,  tra  altro,
«previa acquisizione del parere della  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281». 
    Il Governo, «sentita la Conferenza unificata in data 29 settembre
2016», emanava il decreto legislativo 25 novembre 2016,  n.  219,  il
quale all'art. 3 («Riduzione del numero  delle  camere  di  commercio
mediante   accorpamento,   razionalizzazioni   delle   sedi   e   del
personale»), introduceva una procedura per l'emanazione di un decreto
ministeriale che avrebbe dovuto realizzare la  riduzione  del  numero
delle camere di commercio prevista nella legge di delega. 
    In particolare era stabilito  che  Unioncamere  (Unione  italiana
delle camere di  commercio,  industria,  artigianato  e  agricoltura)
dovesse  trasmettere   al   Ministero   una   propria   proposta   di
accorpamento, sulla base di criteri desunti dalla legge di  delega  o
introdotti direttamente dal decreto legislativo,  contemplando  anche
«un piano complessivo di razionalizzazione delle sedi  delle  singole
camere   di   commercio   nonche'   delle   Unioni   regionali,   con
individuazione  di  una  sola  sede  per  ciascuna  nuova  camera  di
commercio e con razionalizzazione delle sedi secondarie e delle  sedi
distaccate». 
    Sulla base della proposta  di  Unioncamere,  il  Ministero  dello
sviluppo economico ha da ultimo adottato il decreto  ministeriale  16
febbraio 2018, a seguito dell'iter procedimentale sopra riportato; in
virtu'  del  citato  decreto  e'   stato   disposto,   tra   l'altro,
l'accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova,
con  sede  in  Mantova  avverso  il  quale  la   ricorrente   propone
l'impugnativa in epigrafe. 
    Alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e per i
motivi  che  si  esporranno  infra  questo  Tribunale  dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 7  agosto  2015,
n. 124 (norma di delega) e dell'art. 3  del  decreto  legislativo  25
novembre 2016, n. 219 (norma delegata) ed intende pertanto sottoporli
al sindacato della Corte costituzionale, per violazione del principio
di leale collaborazione Stato-regioni nell'esercizio  della  funzione
legislativa (articoli 5, 117, 120 della Costituzione). 
    Sulla rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    La questione  di  costituzionalita'  ha  carattere  rilevante  in
quanto, come innanzi accennato, il decreto ministeriale  16  febbraio
2018 oggetto  di  gravame  viene  adottato  in  diretta  applicazione
dell'art. 3 del decreto legislativo n. 219/2016, a sua volta  emanato
in ragione  della  delega  contenuta  nell'art.  10  della  legge  n.
124/2015,  disposizioni  della  cui  legittimita'  costituzionale  si
dubita. 
    Ne  consegue  che  evidentemente  l'eventuale   declaratoria   di
illegittimita' delle disposizioni legislative  non  solo  influirebbe
sulla disciplina in base alla quale  giudicare  la  legittimita'  del
decreto ministeriale impugnato ma farebbe venire meno, integralmente,
la  base  legislativa  che  disciplina  e  legittima  il   contestato
accorpamento delle Camere di commercio di Pavia, Cremona e Mantova. 
    Peraltro la rilevanza e' ribadita dalla circostanza che  uno  dei
motivi di doglianza proposti dalla Camera ricorrente attiene al fatto
che, testualmente, «la legge di delega, nel richiedere per il decreto
legislativo il mero parere della Conferenza Stato-regioni,  risultava
illegittima e tale illegittimita' (non trattata, per ragioni di rito,
da Corte costituzionale 13 dicembre  2017,  n.  261)  avrebbe  dovuto
travolgere   lo   stesso   decreto   legislativo,   con   conseguente
illegittimita' dei relativi provvedimenti attuativi». 
    Di  conseguenza,   costituendo   l'illegittimita'   del   decreto
ministeriale impugnato l'oggetto del petitum del presente giudizio  a
quo, la risoluzione della  questione  di  costituzionalita'  relativa
alla normativa primaria, sulla base della quale e' stato adottato  il
decreto ministeriale rappresenta, e' presupposto  necessario  per  la
pronuncia definitiva di questo giudice. 
    La questione non puo' peraltro, ad avviso del Collegio, ritenersi
irrilevante in base alla tesi delle parti resistenti secondo la quale
il principio di leale collaborazione  sarebbe  stato  sostanzialmente
rispettato dato che il decreto ministeriale 9 marzo 2018 di  riordino
del sistema camerale e' stato emanato al termine di una procedura  di
intesa, conclusa peraltro non con un effettivo accordo ma solo con la
deliberazione del Consiglio dei ministri, assunta ai sensi  dell'art.
3, comma 3 del decreto legislativo n. 281/1997. 
    Difatti, e' necessario distinguere la necessita'  dell'intesa  in
sede di adozione del decreto ministeriale, prevista  dalla  normativa
delegata e sul  quale  non  vi  e'  censura  di  incostituzionalita',
dall'omessa  previsione  legislativa  dell'intesa,  con   riferimento
all'emanazione del decreto legislativo sulla cui base  e'  stato  poi
adottato il  decreto  ministeriale  attuativo.  La  legge  delega  ha
previsto, su quest'ultimo piano, l'acquisizione del mero parere della
Conferenza unificata, e il vizio di tale previsione, nella  parte  in
cui non si e' richiesta viceversa l'intesa, non e' stato  sanato  ne'
legislativamente, ne' di fatto, essendo pacifico che il  Governo  non
abbia neppure ricercato l'intesa con il  sistema  regionale  ai  fini
dell'adozione del decreto  legislativo  n.  219  del  2016.  Cio'  ha
comportato che la proposta di accorpamento di Unioncamere, di cui  il
decreto ministeriale impugnato e'  attuazione,  sia  stata  formulata
sulla base di criteri legislativi contenuti nel  decreto  legislativo
n. 219 del 2016 vincolanti, e come tali  sottratti  all'apprezzamento
sia del proponente, sia, in particolare, delle  autonomie  regionali,
quando queste ultime sono state coinvolte  ai  fini  dell'intesa  sul
solo decreto ministeriale. La partecipazione  del  sistema  regionale
all'elaborazione delle linee guida fondanti ai fini dell'accorpamento
e' percio' del  tutto  mancata,  con  la  conseguenza  che  la  leale
collaborazione ha potuto manifestarsi solo per la  minima  parte  del
decreto ministeriale non pregiudicata dai criteri normativi formulati
dal decreto legislativo n. 219 del 2016. 
    Sulla   non   manifesta   infondatezza   della    questione    di
costituzionalita'. 
    La Corte costituzionale, in giudizio avviato in  via  principale,
con  sentenza  13  dicembre  2017,  n.  261,   ha   gia'   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, quarto comma del decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219. 
    L'illegittimita'  veniva  dichiarata  perche'  l'art.  3,  quarto
comma, cit. disponeva che il decreto  ministeriale  per  il  riordino
delle Camere di  commercio  fosse  emanato  previa  acquisizione  del
parere della Conferenza  permanente  Stato-regioni,  anziche'  previa
intesa con la stessa Conferenza, in violazione del principio di leale
collaborazione tra Stato e regioni. 
    Veniva avanzato in tale sede anche  il  tema  dell'illegittimita'
della norma di delega (cit. art.  10,  primo  comma  della  legge  n.
124/2015);  tale  questione  veniva  dichiarata   inammissibile   per
tardivita' essendo superato il termine perentorio di sessanta  giorni
stabilito dall'art. 127, secondo comma della Costituzione. 
    In  assenza  di  termini   per   il   giudizio   incidentale   di
legittimita',  questo  Collegio,  ritiene  di  dover  riproporre   la
medesima  questione,  dichiarata   inammissibile,   in   quanto   non
manifestamente infondata alla luce  dell'orientamento  assunto  dalla
giurisprudenza  costituzionale  (come  indicato  dalla  stessa  Corte
costituzionale, con riferimento proprio all'argomento in oggetto,  «i
principi che consentono di dare  corretta  soluzione  alla  questione
sono desumibili della sentenza n. 251  del  2016»  cfr.  punto  2.6.4
sentenza n. 261/2017). 
    Ritiene dunque il Collegio che le censure di  incostituzionalita'
possano  rivolgersi  sia  alle  disposizioni  di  delega   che,   per
illegittimita'   derivata,    alla    legislazione    delegata.    La
giurisprudenza costituzionale ha infatti  gia'  ritenuto  ammissibile
l'impugnazione della norma di delega,  allo  scopo  di  censurare  le
modalita' di  attuazione  della  leale  collaborazione  tra  Stato  e
regioni ed al fine di ottenere che il decreto  delegato  sia  emanato
previa intesa anziche' previo parere in  sede  di  Conferenza  (Corte
costituzionale, sentenza n. 251 del 2016). 
    Ricorrono poi i presupposti oggetti per far valere  il  principio
di leale collaborazione stante l'oggetto della riforma ordinamentale;
che il riassetto generale della disciplina camere  di  commercio  sia
materia ripartita tra prerogative statali e regionali e'  stato  gia'
chiaramente  affermato  dalla  Corte  costituzionale   (sentenza   n.
261/2017, punto 12.1.1) in quanto il catalogo dei compiti  svolti  da
questi enti e' riconducibile a competenze sia esclusive dello  Stato,
sia concorrenti e residuali  delle  regioni;  in  questo  settore  le
competenze   di   ciascun   soggetto    appaiono    inestricabilmente
intrecciate. 
    Risultano infatti numerosi i profili in cui  la  riforma  statale
tocca  attribuzioni  legislative  regionali  stante   la   competenza
generale spettante alle camere di commercio e  tenuto  conto  che  le
principali  materie  riferibili  all'economia   ed   alle   attivita'
produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio,  turismo)
possono essere ascritte anche alla competenza regionale. 
    Peraltro   l'attivita'   delle   camere   di   commercio   appare
riconducibile alla  nozione  di  «sviluppo  economico»,  nozione  che
costituisce una espressione di sintesi che comprende e rinvia ad  una
pluralita' di materie attribuite ex art. 117 della Costituzione  «sia
alla competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato,  sia  a  quella
concorrente, sia a quella residuale» (sentenza  Corte  costituzionale
n. 165 del 2007); ne deriva che, se pure l'esistenza di  esigenze  di
carattere unitario legittima l'avocazione allo Stato  della  potesta'
normativa per la disciplina  degli  enti  camerali,  resta  ferma  la
necessita'  del  rispetto  del  principio  di  leale  collaborazione,
mediante lo strumento dell'intesa (cfr. sentenze Corte costituzionale
n. 251 del 2016,  n.  165  del  2007,  n.  214  del  2006).  In  tale
prospettiva infatti quando il legislatore delegato intende  riformare
istituti ed enti che incidono  su  competenze  statali  e  regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa tra Stato e autonomie  (cfr.  sentenza  n.  251/2016  cit.
punto 3). 
    Ne deve essere tratta la conseguenza che - posto che  l'attivita'
delle camere di commercio incide  su  molteplici  competenze,  alcune
anche di attribuzione regionale ex art. 117 della Costituzione  -  la
riforma legislativa doveva concretizzarsi «nel rispetto del principio
di leale collaborazione, indispensabile in questo caso  a  guidare  i
rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie» (cfr. sentenza n.
261/2017  cit.,  le  cui  argomentazioni  nella   medesima   appaiono
analogicamente applicabili alla questione sollevata). 
    In ragione di cio' il modulo ordinario di espressione della leale
collaborazione  va  identificato  nell'intesa  presso  la  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
«contraddistinta da una procedura  che  consenta  lo  svolgimento  di
genuine trattative e garantisca un reale  coinvolgimento»  (sent.  n.
261/2017 cit.). 
    In conclusione  stante  la  natura  delle  materie  incise  dalle
disposizioni censurate, attenendo le stesse a  competenze  statali  e
regionali inestricabilmente connesse, la norma di  delega  (art.  10,
comma 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) avrebbe dovuto prevedere -
come presupposto per l'esercizio della delega - l'intesa in  sede  di
Conferenza   Stato-regioni,    istituto    «cardine    della    leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base dell'art. 76  della  Costituzione»  i
quali «finiscono, infatti, con l'essere attratti nelle  procedure  di
leale  collaborazione,  in  vista  del  pieno  rispetto  del  riparto
costituzionale delle competenze» (sent. n.  251/2016  cit.,  dove  si
evidenzia  che  «il  luogo  idoneo   di   espressione   della   leale
collaborazione e' stato correttamente individuato dalla  norma  nella
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
Province Autonome di Trento e di Bolzano.  Il  modulo  della  stessa,
tenuto conto delle  competenze  coinvolte,  non  puo'  invece  essere
costituito dal parere, come stabilito dalla norma, ma va identificato
nell'intesa»). 
    L'illegittimita' della  disposizione  delegante  (art.  10  della
legge 7 agosto 2015, n. 124)  si  ripercuote,  in  via  immediata  ed
derivata per le stesse ragioni ora  evidenziate,  sulla  legittimita'
costituzionale della norma delegata (art. 3 del  decreto  legislativo
25 novembre 2016, n. 219) in forza della quale e' stato  adottato  il
decreto ministeriale 16 febbraio 2018, oggetto del giudizio a quo. 
    Va, quindi, dichiarata rilevante e non  manifestamente  infondata
la descritta questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  10
della legge 7  agosto  2015,  n.  124,  e  dell'art.  3  del  decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 per violazione del principio  di
leale collaborazione nella funzione legislativa di cui agli  articoli
5, 117, 120 della Costituzione,  poiche'  prevedono  che  l'esercizio
delegato della potesta' legislativa  sia  condotto  all'esito  di  un
procedimento nel  quale  l'interlocuzione  fra  Stato  e  regioni  si
realizzi (e si e' realizzata) nella forma inadeguata del parere e non
gia' attraverso l'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. 
    Cio'  posto,  il  presente  giudizio  va  sospeso  e   gli   atti
processuali trasmessi alla Corte costituzionale.