IL TRIBUNALE DI TERMINI IMERESE Il Giudice letti gli atti del procedimento n. 2661/2018 R.G.A.C. promosso da Coronati Antonino (c.f. CRNNNN91P22G273P) e Coronati Vincenzo (c.f. CRNVCN90M21G273R), elettivamente domiciliati in Palermo, via Marconi n. 10, presso lo studio dell'avv. Fabio Valguarnera che li rappresenta e difende per procura in atti, ricorrenti; Contro Coronati Carlo (c.f. CRNCRL63A31D009G), elettivamente domiciliato in Menfi (PA), via Risorgimento n. 91/ter presso lo studio dell'avv. Luigi La Placa che lo rappresenta e difende per procura in atti, resistente; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 2 ottobre 2019 osserva quanto segue. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. Antonino Coronati e Vincenzo Coronati agivano in giudizio nei confronti di Carlo Coronati; rappresentavano di essere stati nominati in forza di testamento olografo del 5 giugno 2017, unitamente Carlo Coronati, Ignazio Coronati e Piercarlo Coronati, eredi universali di Salvatrice Milone deceduta a Corleone il 26 gennaio 2018. Evidenziavano che nel testamento la de cuius aveva operato una divisio inter liberos assegnando: ad Antonino Coronati l'immobile sito in Isola delle Femmine (PA), via Dante n. 1 (identificato in Catasto al foglio 1, part. 464, sub 4) e la meta' indivisa sita in Corleone, contrada Belvedere (identificata in Catasto al foglio 75, part. 55, sub 3); a Vincenzo Coronati la meta' indivisa dell'immobile sito in Corleone, contrada Belvedere (identificato in Catasto al foglio 75, part. 55, sub 3), l'immobile sito in Isola delle Femmine (PA), via Dante n. 1 (identificato in Catasto al foglio 1, part. 464, sub 3) e l'immobile sito in Palermo, via Gustavo Roccella (identificato in Catasto al foglio 71, part. 697, sub 9). Lamentavano che tali immobili erano nel possesso del loro padre Carlo Coronati che ne aveva percepito i frutti fin dall'apertura della successione. Chiedevano pertanto la restituzione degli immobili e dei frutti percepiti dal momento dell'apertura della successione fino all'effettivo rilascio. Carlo Coronati, costituendosi, chiedeva in via riconvenzionale che venisse accertata la nullita' del testamento olografo del 5 giugno 2017 ai sensi dell'art. 602 c.p.c. Per effetto della declaratoria di nullita' del testamento olografo, la successione avrebbe dovuto essere regolata dal precedente testamento pubblico del 23 marzo 2017, pubblicato il 7 maggio 2018, con il quale la testatrice aveva nominato eredi l'odierno resistente ed il fratello di quest'ultimo Ignazio Coronati. Chiedeva, pertanto, in via preliminare l'integrazione del contraddittorio nei confronti di Ignazio Fortunato Coronati, nonche' il mutamento del rito in quanto la causa presupponeva un'istruzione non sommaria. In via riconvenzionale chiedeva che venisse dichiarata la nullita' del testamento del 5 giugno 2017 e, per l'effetto, che venisse dichiarato che la successione della de cuius Salvatrice Milone fosse regolata dal testamento pubblico del 23 marzo 2017, con conseguente rigetto della domanda dei ricorrenti. Si osserva che la domanda riconvenzionale proposta dal resistente, essendo di competenza collegiale, dovrebbe essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 702-ter, comma 2 c.p.c. Questo Giudice ritiene, tuttavia, sussistenti i presupposti per sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 702-ter, comma 2 c.p.c. Sulla rilevanza della questione. L'art. 702-bis c.p.c. stabilisce che nelle cause in cui il tribunale decide in composizione monocratica, la domanda puo' essere proposta con ricorso al tribunale competente. L'art. 702-ter, comma 2 c.p.c. prevede poi che se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell'art. 702-bis c.p.c., il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale. Le norme sopra richiamate sanciscono, pertanto, l'inammissibilita' della domanda, principale o riconvenzionale, qualora questa rientri tra quelle di competenza collegiale. Nel caso in esame la domanda riconvenzionale di accertamento della nullita' del testamento del 5 giugno 2017 rientra tra quelle che devono essere decise dal tribunale in composizione collegiale. L'interpretazione estensiva, ormai consolidata in giurisprudenza, del concetto di impugnazione dei testamenti di cui al n. 6 dell'art. 50-bis c.p.c., consente, infatti, di ricomprendervi le ipotesi di nullita', di annullamento, di inefficacia, tanto del testamento quanto di disposizione testamentarie quale quella che viene in rilievo nel caso in esame. Ne consegue che nel caso in esame, in forza di quanto statuito dall'art. 702-ter c.p.c. la domanda riconvenzionale di nullita' del testamento proposta da Carlo Coronati dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Sulla non manifesta inammissibilita' della questione. La soluzione normativa che prevede la declaratoria di inammissibilita' della domanda riconvenzionale, ove quest'ultima rientri tra quelle di competenza collegiale, appare - ad avviso di questo giudicante - irragionevole e lesiva del diritto di difesa tutte le volte in cui, come nel caso in esame, sussista un rapporto di pregiudizialita' tra la domanda principale e quella riconvenzionale. E' evidente, infatti, che la questione sollevata dal resistente in ordine alla nullita' del testamento del 5 giugno 2017 appare pregiudiziale rispetto alla domanda dei ricorrenti di rilascio degli immobili e di pagamento dei frutti civili. Non vi e' chi non veda come l'eventuale declaratoria di nullita' del testamento del 5 giugno 2017, con il quale il testatore ha attribuito i beni oggetto della domanda di rilascio ai ricorrenti, determinerebbe il venir meno di ogni pretesa di questi ultimi, non potendo gli stessi piu' vantare alcun diritto al godimento esclusivo dei beni. Orbene in tutti casi in cui sussiste un rapporto di pregiudizialita' tra la domanda principale di competenza monocratica e la domanda riconvenzionale di competenza collegiale la soluzione normativa per la quale il giudice deve dichiarare l'inammissibilita' della domanda riconvenzionale e trattare solo la domanda principale appare in contrasto in primo luogo con il principio di ragionevolezza. Secondo quanto e' stato correttamente rilevato dalla dotttrina, in presenza di cause connesse delle quali alcune non possono per ragioni di diritto (perche' a decisione collegiale) o per ragioni di fatto (perche' necessitano di un'istruzione non sommaria) essere decise con il rito sommario, la scelta del legislatore non e' il cumulo ex art. 40 c.p.c., ma la separazione. Tuttavia, qualora sussista un vincolo di pregiudizialita' tra la domanda principale e la domanda riconvenzionale, occorre garantire al ricorrente e al convenuto la coerenza fra le decisioni, esigenza che difficilmente verrebbe assicurata se venisse disposta la separazione, in quanto le parti otterrebbero un'ordinanza - seppur equiparata alla sentenza quanto agli effetti - sulla domanda principale potenzialmente destinata ad essere contraddetta da una sentenza sulla domanda riconvenzionale, con un conseguente contrasto di giudicati contrario ai principi che regolano il processo civile. Del resto un tale soluzione interpretativa non appare coerente anche sotto un profilo sistematico sol che si consideri che la soluzione di tenere comunque separate la domanda principale (di competenza monocratica) e la domanda riconvenzionale (di competenza collegiale) attinte da un nesso di pregiudizialita' mal si concilia con i principi che, nell'ambito del processo civile, favoriscono la trattazione congiunta della questione pregiudiziale anche in deroga ai criteri di competenza. Al riguardo, infatti, l'art. 34 c.p.c. stabilisce che il giudice, ove debba decidere con efficacia di giudicato per esplicita domanda di una delle parti una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest'ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui. Sulla base di quanto disposto dall'art. 702-ter c.p.c. si legittimerebbe una lettura che per un verso impone uno spostamento della competenza ogni qualvolta venga in rilievo una questione pregiudiziale da decidere con efficacia di giudicato (art. 34 c.p.c.) e che per altro verso vieta al giudice di trattare congiuntamente le due domande sol perche' la domanda principale e' stata introdotta con il rito semplificato di cui all'art. 702-bis c.p.c. Una soluzione siffatta non puo' che rivelarsi irragionevole in quanto da un lato vengono consentiti spostamenti di competenza da un ufficio giudiziario all'altro pur di trattare congiuntamente la questione pregiudiziale e dall'altro si impedisce la trattazione congiunta nel caso di minor impatto pratico in cui la questione pregiudiziale potrebbe essere trattata dallo stesso ufficio giudiziario seppur in diversa composizione. L'art. 702-ter c.p.c. appare poi potenzialmente lesivo del diritto di difesa del resistente in quanto il ricorrente, ogni qualvolta sia in grado di conoscere le doglianze della controparte (circostanza questa tutt'altro che remota se si considera che molto spesso l'azione giudiziaria viene preceduta da scambi di corrispondenza tra procuratori), potrebbe volontariamente promuovere la domanda nelle forme di cui all'art. 702-bis c.p.c. cosi' paralizzando a priori eventuali doglianze della parte avversa in quanto attribuite alla competenza del Tribunale in composizione collegiale. A cio' si aggiunga che il giudizio introdotto ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c., proprio per il carattere di sommarieta' che caratterizza la sua cognizione, potrebbe far conseguire in tempi celeri al ricorrente il risultato sperato (tenuto conto anche dell'immediata esecutivita' dell'ordinanza ex art. 702-ter, comma 6 c.p.c.), frustrando cosi' le ragioni del resistente che sarebbe costretto a promuovere un separato giudizio ordinario sottoposto, in ragione della maggiore complessita' dell'istruttoria, a tempi di definizione piu' lunghi. Possibilita' di un'interpretazione conforme e possibili soluzione alternative. Il tenore letterale della norma che impone tout court al Giudice di dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale ove la stessa rientri nella competenza del Tribunale in composizione collegiale sarebbe gia' sufficiente per escludere la possibilita' di un'interpretazione alternativa conforme a Costituzione. Questo Giudice non ignora l'esistenza di un orientamento dottrinale, secondo cui - nel caso di pregiudizialita' tra la domanda principale e la domanda riconvenzionale, al fine di garantire al ricorrente ed al convenuto la coerenza tra le decisioni - occorrerebbe disporre il mutamento del rito da sommario in cognizione piena. Tale soluzione appare pero' preclusa dal chiaro disposto normativo, che consente il mutamento del rito solo ed esclusivamente nel caso in cui le difese volte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria. Applicando tale indirizzo dottrinale dovrebbe pertanto violarsi la legge al fine di garantire il rispetto della Costituzione. Tale soluzione interpretativa, seppur non praticabile in quanto in contrasto con il dettato normativo, appare tuttavia utile per suffragare i dubbi di legittimita' costituzionale della norma sol che si consideri che l'unica alternativa prospettata da autorevole dottrina per garantire una soluzione ragionevole e' quella che presuppone un'espressa violazione della normativa processuale. Al contempo deve evidenziarsi che la soluzione dottrinaria che consente al giudice di disporre il mutamento del rito in presenza di una domanda riconvenzionale di carattere pregiudiziale rispetto alla domanda principale, seppur allo stato non consentita, restituirebbe coerenza sistematica in quanto il mutamento del rito e' soluzione gia' prevista dal legislatore in presenza di cause connesse per ragioni di pregiudizialita' soggette a riti diversi (art. 40, comma 3 c.p.c.). Tale ultima norma, pero', non puo' essere applicata nel caso in esame in quanto l'art. 702-ter, comma 2 c.p.c. prevede quale unica conseguenza la declaratoria di inammissibilita' della domanda riconvenzionale. Sul punto si richiama l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui «il sistema predisposto dall'art. 702-ter c.p.c., per il rito di cognizione sommaria, e' utilizzabile solo innanzi al tribunale in composizione monocratica, emergendo la volonta' del legislatore di non consentire mai una traslazione del procedimento sommario innanzi al giudice collegiale, ove questo sia eventualmente competente ex art. 50-bis c.p.c., neanche previa conversione della procedura dalla cognizione sommaria a quella ordinaria, atteso che il legislatore ha previsto, da un lato, che la conversione del rito da sommario ad ordinario possa avvenire solo con prosecuzione del giudizio innanzi al medesimo giudice monocratico investito col ricorso ex art. 702-bis - o per l'intero procedimento o limitatamente alla domanda riconvenzionale previa sua obbligatoria separazione ex 702-ter, comma 4 - e dall'altro che, in caso di competenza collegiale, la domanda - principale o riconvenzionale - sia dichiarata inammissibile ex art. 702-ter, comma 2, c.p.c.» (Tribunale Bari, 22 aprile 2010). Alla luce di quanto fin qui esposto, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 702-ter c.p.c. appare rilevante e non manifestamente infondata.