TRIBUNALE DI REGGIO CALABRIA Sezione dibattimento penale Il giudice, dott. Flavio Tovani, all'udienza del 15 aprile 2021, nell'ambito del processo in epigrafe, a carico di: A. M. , nato a ... l' ... , residente a ... , via ... , imputato 1. dei reati di cui agli artt. 61, n. 2 del codice penale, 47-ter, comma ottavo, legge n. 354/1975 e 385 del codice penale, perche' essendo in stato di detenzione domiciliare presso l'abitazione sita in via ... in forza dell'ordinanza nr. ... e nr. ... del ... emessa dal Tribunale di sorveglianza di Catanzaro, se ne allontanava, rendendosi irreperibile e venendo rintracciato dalla polizia giudiziaria presso la via ... , alle ore ... ; aggravato per essere stato commesso al fine di realizzare il reato di cui al capo 2); 2. del reato di cui agli artt. 624 e 625, commi primo, nn. 2 e 7, e secondo del codice penale, perche', al fine di trarne profitto per se' o per altri, si impossessava del veicolo ... , di colore blu scuro, targata ... , in uso a L. F. , sottraendola a quest'ultimo; con l'aggravante di aver utilizzato violenza sulle cose, segnatamente forzava il cilindretto portiera anteriore lato sinistro, danneggiava la cruscotteria sotto sterzo e tagliava il filo dell'alimentatore GPS; con l'aggravante di aver commesso il fatto su cose destinate per necessita' alla pubblica fede; 3. del reato di cui all'art. 260, regio decreto n. 1265/1934, in riferimento agli artt. 1, comma sesto, e 2, comma terzo, del decreto-legge n. 33 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74/2020, perche' non osservava un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo; segnatamente, contravvenendo alla prescrizione di cui all'art. 1, comma sesto, decreto-legge n. 33/2020, convertito dalla legge n. 74/2020 (disposizioni per fronteggiare l'emergenza epidemiologica COVID-19), in quanto positivo al virus COVID-19 (come attestato dall'esame del tampone eseguito il 7 marzo 2021), usciva dalla propria abitazione e veniva fermato in ... , via ... dagli operatori della Questura di ... ; con la recidiva di cui all'art. 99, comma quarto, seconda parte del codice penale; in ... , il ... ; Ha pronunciato la seguente ordinanza per sollevare la questione di legittimita' costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 13 della Costituzione, dell'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74/2020) nella parte in cui prevede il divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorita' sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata, e dell'art. 2, comma 3, decreto-legge n. 33/2020 nella parte in cui prevede che la violazione della misura di cui all'art. 1, comma 6 sia punita ai sensi dell'art. 260, regio decreto n. 1265/1934. Ritenuto in fatto In seguito ad arresto, eseguito il ... , A. M. e' stato condotto, il ... , dinanzi al Tribunale di ... per la convalida ed il contestuale giudizio con il rito direttissimo in ordine ai reati di cui in epigrafe. Convalidato l'arresto ed instaurato il giudizio con il rito direttissimo con il consenso delle parti anche in relazione alla contravvenzione di cui al capo 3, il giudice, rilevato il legittimo impedimento dell'imputato, ha disposto un rinvio del processo all'odierna udienza, in cui le parti hanno interloquito sugli eventuali profili di illegittimita' della disciplina normativa applicabile al capo 3. Si ritiene, pertanto, di dover sollevare la questione di legittimita' costituzionale descritta in premessa, non potendosi definire il giudizio indipendentemente dalla sua risoluzione e non risultando la stessa manifestamente infondata, con le motivazioni che di seguito si esporranno. Considerato in diritto A) Quanto alla rilevanza della questione, questo Tribunale e' chiamato a pronunciarsi in ordine al capo 3 dell'imputazione e, piu' precisamente, alla responsabilita' di A. M. per il reato di cui all'art. 260, regio decreto n. 1265/1934, in riferimento agli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, decreto-legge n. 33/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74/2020, perche' lo stesso non avrebbe osservato un ordine legalmente dato per impedire la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo; segnatamente, come risulta dal capo d'imputazione, contravvenendo alla prescrizione di cui all'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74/2020, risultato, all'esito del tampone eseguito il 7 marzo 2021, positivo al virus COVID-19, sarebbe uscito dalla propria abitazione e sarebbe stato fermato in via ... , a ... , dagli operatori della locale questura. Conseguentemente, per definire il giudizio in corso, in relazione al succitato capo 3 dell'imputazione, questo giudice dovra' certamente fare applicazione degli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, decreto-legge n. 33/2020, dato che un'eventuale pronuncia di accoglimento della questione nei termini sopra indicati comporterebbe la non rilevanza penale della condotta ascritta all'imputato e dunque la sua assoluzione perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. B) Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' sollevate dalla normativa denunziata, occorre rilevare che l'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 impone il divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell'autorita' sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all'accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata, e l'art. 2, comma 3, decreto-legge n. 33/2020 sanziona penalmente i trasgressori, prevedendo l'applicabilita' della pena prevista dall'art. 260, regio decreto n. 1265/1934. Deve in primo luogo rilevarsi che, a dispetto del nomen juris utilizzato, il «divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora» previsto dall'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 ha un contenuto assolutamente identico a quello della misura cautelare degli arresti domiciliari, che l'art. 284, comma 1 del codice di procedura penale sostanzia nella prescrizione, per l'imputato, «di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta»: divieto di muoversi e divieto di allontanarsi dall'abitazione o dalla dimora, infatti, sono sinonimi e hanno il medesimo contenuto precettivo, dato dall'obbligo, tanto per chi sia sottoposto alla quarantena quanto per chi sia sottoposto agli arresti domiciliari, di non allontanarsi dalla propria abitazione o dimora. Il suddetto divieto di cui all'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 ha inoltre un contenuto assolutamente identico a quello della detenzione domiciliare: l'art. 47-ter, legge n. 354/1975 prevede infatti che la pena della reclusione possa, in certi casi, «essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza», ed anche in questo caso la pena si sostanzia nell'obbligo di permanere nei (id est il divieto di muoversi dai) luoghi sopra indicati. Non vi e' dubbio alcuno che la misura degli arresti domiciliari comporti la privazione della liberta' personale, dal momento che l'art. 284, comma 5 del codice di procedura penale prevede espressamente che «l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare»; allo stesso modo, non vi e' dubbio alcuno che si abbia privazione della liberta' personale anche nel caso di sottoposizione alla detenzione domiciliare, trattandosi, come si desume dalla lettera del succitato art. 47-ter, legge n. 354/1975, di una modalita' di espiazione della pena detentiva che avviene, anziche' in carcere, in uno dei luoghi indicati. Il regime di cui all'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 puo' essere addirittura piu' restrittivo rispetto a quello degli arresti domiciliari e a quello della detenzione domiciliare: infatti, al contrario di chi, positivo al COVID-19, venga posto in quarantena, chi si trova agli arresti domiciliari, ai sensi dell'art. 284, comma 3 del codice di procedura penale, e chi si trova in stato di detenzione domiciliare, in virtu' del richiamo che l'art. 47-ter fa, quanto alle modalita' di esecuzione, all'art. 284 del codice di procedura penale, puo' essere autorizzato, «se [...] non puo' altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, [...] ad assentarsi dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero ad esercitare un'attivita' lavorativa». Da quanto sopra detto deve desumersi che la misura della quarantena di cui all'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 comporta la privazione (o, perlomeno, la limitazione) della liberta' personale del soggetto che vi e' sottoposto. Che la quarantena per coloro che sono risultati positivi al COVID-19 attenga alla liberta' personale e non alla mobilita' e alla liberta' di circolazione risulta peraltro sia qualora si accolga la tesi secondo cui la prima concerne le limitazioni legate alla persona e la seconda quelle legate al luogo (Corte costituzionale n. 68/1964), sia qualora si accolga la tesi secondo cui la prima riguarderebbe le limitazioni positive e la seconda quelle negative: infatti, l'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 non impone un divieto di recarsi in determinati luoghi (limitazioni negative legate ai luoghi), ma un divieto di muoversi a determinati soggetti (limitazioni positive legate alla persona). Tuttavia, mentre la misura di cui all'art. 284 del codice di procedura penale e la modalita' di esecuzione della pena di cui all'art. 47-ter (nonche', ovviamente, la primigenia condanna alla pena detentiva) vengono stabilite da un giudice, l'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 prevede che la misura in esso prevista venga stabilita dall'autorita' sanitaria. Ora, l'art. 13 della Costituzione stabilisce che «non e' ammessa alcuna forma di detenzione [...], ne' qualsiasi altra restrizione della liberta' personale, se non per atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge» (comma 2), e che «in casi eccezionali di necessita' ed, urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto» (comma 3). Dal momento che, come si e' visto sopra, la misura della quarantena per il soggetto positivo al COVID-19 comporta la privazione (o comunque la limitazione) della liberta' personale in maniera assolutamente identica (e, anzi, talvolta in maniera piu' gravosa) rispetto agli arresti domiciliari o alla detenzione domiciliare, l'art. 13 della Costituzione imporrebbe che il relativo provvedimento di adozione venisse adottato dall'autorita' giudiziaria o, in alternativa, in caso di necessita' ed urgenza, dall'autorita' di pubblica sicurezza e poi convalidato dall'autorita' giudiziaria: invece, non e' previsto alcun intervento di quest'ultima. Giova precisare che la misura della quarantena non puo' essere assimilata ad un trattamento sanitario obbligatorio. Infatti, il t.s.o. consiste in un'attivita' di carattere diagnostico o terapeutico volta a prevenire o a curare una malattia, resa obbligatoria da una legge: piu' precisamente, rientrano nelle attivita' diagnostiche quegli accertamenti volti alla formulazione di una diagnosi e all'individuazione di un'idonea terapia, mentre costituiscono attivita' terapeutiche i trattamenti sanitari in senso stretto, che l'esercente una professione sanitaria compie su un soggetto allo scopo di tutelarne direttamente la salute. Nel caso della quarantena, invece, un soggetto viene sottoposto ad un regime di divieto di mobilita' da un determinato luogo, a prescindere dal fatto di essere sottoposto a trattamenti diagnostici o terapeutici: egli, infatti, e' tenuto a non allontanarsi dalla propria abitazione o dimora, fino all'accertamento della guarigione o all'eventuale ricovero in una struttura sanitaria, ma non e' tenuto ne' a sottoporsi ad attivita' diagnostiche (non vi e' infatti alcun obbligo di sottoposizione ad un test molecolare per SARS-CoV-2 - o ad altra forma di accertamento -, ben potendo il soggetto scegliere di continuare a rimanere in quarantena pur di non sottoporvisi, e, anzi, nel caso dei cd. «positivi a lungo termine», cioe' di coloro che, pur non presentando sintomi, continuano a risultare positivi al test molecolare, la circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 prevede la possibilita' di interrompere l'isolamento dopo ventuno giorni dalla comparsa dei sintomi e almeno una settimana in assenza di sintomatologia) ne' tantomeno a trattamenti terapeutici (e cio' sia nel caso in cui compaiano i sintomi sia, a fortiori, nel caso di assenza di sintomi). Conseguentemente, l'obbligo di quarantena non puo' trovare copertura costituzionale nemmeno nell'art. 32, comma 2 della Costituzione. Oltretutto, se per il t.s.o. gli artt. 33 ss., legge n. 833/1978 individuano nel sindaco l'autorita' sanitaria preposta a disporli, nel caso della quarantena la fonte primaria stabilisce che il provvedimento deve essere adottato dall'autorita' sanitaria, ma non precisa quale essa sia. Bisogna aggiungere che non e' possibile un'interpretazione costituzionalmente conforme delle norme della cui legittimita' costituzionale in questa sede si dubita: infatti, non vi e' alcuno spazio, nel decreto-legge n. 33/2020 o in altra fonte, per poter desumere che, nel quadro normativo vigente, la sottoposizione alla quarantena di cui all'art. 1, comma 6, decreto-legge n. 33/2020 richieda un provvedimento di qualsivoglia autorita' giudiziaria. E' opportuno precisare, altresi', come dalla dichiarazione di incostituzionalita' delle norme non deriverebbe alcun vuoto di tutela: infatti, l'ordinamento gia' prevede, a tutela della salute pubblica, il reato di epidemia colposa (art. 452 del codice penale). In definitiva, si ritiene che la norma che stabilisce il divieto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora, per il soggetto posto in quarantena per positivita' al COVID-19, e quella che punisce con sanzione penale la violazione di tale divieto, si pongano in violazione della riserva di giurisdizione in materia di liberta' personale (art. 13 della Costituzione).