ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2001), promossi dal Tribunale di Urbino con ordinanza del
31 maggio 2011  e  dal  Tribunale  di  Cuneo  con  ordinanza  del  27
settembre 2011, iscritte al n. 213 del registro ordinanze 2011 ed  al
n. 35  del  registro  ordinanze  2012  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 44,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2011 e n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2012. 
    Visti gli atti di costituzione  dell'Istituto  nazionale  per  la
previdenza sociale (INPS); 
    udito nell'udienza pubblica  del  12  febbraio  2013  il  Giudice
relatore Paolo Grossi; 
    udito l'avvocato Clementina Pulli per l'INPS. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 31 maggio 2011, il Tribunale di  Urbino  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3, 32  e  117,  primo  comma,
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 80, comma 19, della legge  23  dicembre  2000,  n.  388
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), «nella parte in cui  subordina
la concessione della indennita' di accompagnamento al possesso  della
carta di soggiorno, e dunque anche  al  requisito  della  durata  del
soggiorno medesimo nel territorio dello Stato». 
    Premette il giudice a quo di essere stato investito da un ricorso
proposto dai genitori esercenti la potesta' su un minore,  a  seguito
del rigetto  da  parte  dell'Istituto  nazionale  per  la  previdenza
sociale (INPS) della domanda di riconoscimento  della  indennita'  di
accompagnamento per il figlio, in  quanto  cittadini  extracomunitari
non in possesso della carta di soggiorno (ora denominata permesso  di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo): il nucleo  familiare
era in possesso del permesso di soggiorno  sin  dal  2007  quanto  ai
genitori e dal 12 giugno 2009 quanto al figlio minore. 
    Posto  che  la   normativa   censurata   subordina   l'erogazione
dell'assegno  sociale  e  delle  altre  provvidenze  economiche   che
costituiscono   diritti   soggettivi   in   favore   dei    cittadini
extracomunitari alla condizione che  gli  stessi  siano  in  possesso
della carta di soggiorno,  ne  deriverebbe  che  -  pur  non  essendo
contestata la sussistenza del requisito sanitario in capo al minore -
il diniego della indennita' consegue  al  fatto  che  non  e'  ancora
decorso il termine di cinque anni  che  consentirebbe  al  minore  di
ottenere il documento richiesto. E tutto cio' nonostante che  il  suo
soggiorno in Italia non possa ritenersi  meramente  episodico  e  che
egli abbia  ottenuto  il  permesso  per  motivi  di  ricongiungimento
familiare. 
    Il  rimettente  passa  poi  a  scandagliare   la   giurisprudenza
costituzionale  relativa  alla  disciplina  denunciata,   rammentando
anzitutto i principi affermati nella sentenza n. 306  del  2008  (che
riconobbe  la  illegittimita'  costituzionale  della  norma  qui   in
contestazione sotto il  circoscritto  profilo  della  previsione  del
requisito  reddituale,  senza  tuttavia   sindacare   gli   ulteriori
requisiti richiesti) e quelli di cui alle successive sentenze  n.  11
del 2009 e n. 187 del 2010 (relative, rispettivamente, alla  pensione
di inabilita' e all'assegno mensile di invalidita'); osserva poi  che
i principi enunciati nella seconda delle pronunce  appena  richiamate
dovrebbero trovare applicazione anche nella fattispecie qui in esame,
considerato che l'indennita' di  accompagnamento  rappresenta  (ancor
piu'  dell'assegno  mensile  di  invalidita')   «uno   strumento   di
necessario ausilio per assicurare le minime ed essenziali esigenze di
vita della persona che si trova in  condizioni  fisiche  di  assoluta
gravita'». 
    Ne deriverebbe che, anche con  riferimento  alla  provvidenza  in
esame, la disposizione denunciata finisce per risultare in  contrasto
con l'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU),
come interpretato dalla Corte di Strasburgo  e,  quindi,  con  l'art.
117, primo comma, Cost.; nonche' con l'art. 3 Cost.  (per  l'evidente
ed ingiustificata disparita'  di  trattamento  in  ordine  a  diritti
fondamentali della persona tra cittadini italiani e stranieri) e  con
l'art. 32 Cost. (per la mancata tutela  del  diritto  alla  salute  a
parita'  di  condizioni  per   i   cittadini   stranieri   legalmente
soggiornanti nel territorio dello Stato). 
    Conclusivamente, il giudice a quo rileva come  nella  specie  non
possa  procedersi  alla  disapplicazione   della   norma   censurata,
ancorche' in contrasto con la disciplina della CEDU, e cio'  malgrado
l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona - che ha  riconosciuto  i
principi della Convenzione come "interni" al  diritto  dell'Unione  -
avuto riguardo ai principi affermati da questa Corte sin dal 2007. 
    2.- Nel giudizio  si  e'  costituito  l'INPS,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata infondata. 
    Dopo aver analiticamente descritto  il  regime  che  presiede  al
riconoscimento dell'assegno di accompagnamento e  messo  a  fuoco  la
portata  restrittiva  che  ha  caratterizzato  l'introduzione   della
disposizione denunciata,  l'Istituto  osserva  come,  alla  luce  dei
principi affermati al riguardo da questa Corte (in particolare  nelle
sentenze n. 306 del 2008 e  n.  187  del  2010),  dovrebbe  ritenersi
legittima  la  subordinazione  delle  prestazioni  assistenziali   al
requisito della consistenza e stabilita' del soggiorno  del  soggetto
interessato nel territorio italiano; cosi'  come  dovrebbe  ritenersi
frutto di una scelta legislativa, discrezionale ma legittima,  quella
di  differenziare  le  prestazioni   in   favore   degli   stranieri,
sottolineandosi come nella vicenda in esame venga in discorso non  un
diritto  di  natura  previdenziale,  ma  una  provvidenza  di  natura
assistenziale. Si evoca al riguardo,  per  raffronto,  la  disciplina
dell'assegno sociale di cui all'art. 3, comma 6, della legge 8 agosto
1995, n.  335  (Riforma  del  sistema  pensionistico  obbligatorio  e
complementare) corrisposto - a norma  dell'art.  20,  comma  10,  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione  tributaria)
-  agli  aventi  diritto  a  condizione   che   abbiano   soggiornato
legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio
nazionale. D'altra parte, poiche' per avere la  cittadinanza  occorre
la residenza effettiva in Italia per almeno dieci anni, la  normativa
censurata apparirebbe di maggior favore, stabilendo un  requisito  di
permanenza inferiore. 
    Non  sarebbero  poi  violate  le   normative   comunitarie,   non
applicandosi le stesse ai cittadini dei paesi terzi e neppure sarebbe
evocabile la violazione delle norme della CEDU, non potendosi  questa
ricondurre ne' all'art.  10  Cost.  ne'  all'art.  11  Cost.;  quanto
all'art. 117, primo comma, Cost., l'eventuale contrasto  della  norma
interna con quella della Convenzione andrebbe  verificato  sul  piano
della relativa compatibilita' costituzionale. 
    La norma censurata, d'altra parte, introdurrebbe limiti  connessi
alle esigenze di finanza pubblica: il che assegnerebbe alla  relativa
disciplina una dimensione  costituzionalmente  rilevante.  La  stessa
Convenzione  sui  diritti   delle   persone   con   disabilita'   non
richiederebbe, del resto, misure al di la' delle capacita' economiche
dei Paesi aderenti. 
    3.- Con ordinanza del 27 settembre 2011, il Tribunale di Cuneo ha
sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  80,
comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n.  388,  per  contrasto  con
l'art. 117 Cost. («nella parte in cui subordina  al  requisito  della
titolarita' della carta di soggiorno la  concessione  agli  stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione  di
inabilita' civile di cui all'art. 12 della legge 30  marzo  1971,  n.
118 e dell'indennita' di accompagnamento di  cui  all'art.  1  l.  11
febbraio 1980 n. 18») e per contrasto con gli artt. 2, 3, 29, 32 e 38
della Costituzione («nella parte in cui subordina al requisito  della
titolarita' della carta di soggiorno la  concessione  agli  stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell'indennita' di
accompagnamento di cui all'art.1 l. 11 febbraio 1980 n. 18»). 
    Premette il Tribunale rimettente di essere chiamato a decidere su
un ricorso proposto da un cittadino straniero, il quale  -  ancorche'
riconosciuto  dalla  Commissione  medica  invalido  «con   totale   e
permanente  inabilita'  lavorativa  (100%)  e  con  impossibilita'  a
deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore» e  malgrado
il riconoscimento dei presupposti medico-legali per il riconoscimento
sia della pensione di  inabilita'  civile  sia  della  indennita'  di
accompagnamento  -  si  e'  visto  respingere  dall'INPS  le  domande
relative ad entrambe le  provvidenze  per  mancanza  della  carta  di
soggiorno (ora permesso di soggiorno CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo), essendo titolare solo del permesso di soggiorno,  «concesso
per la prima volta in data 16 novembre 2007 per motivi  familiari,  e
successivamente rinnovato». 
    In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  giudice  a  quo
evidenzia come l'intendimento perseguito attraverso  la  disposizione
censurata sia stato chiaramente  quello  di  ridurre  la  platea  dei
destinatari  delle  provvidenze  assistenziali,   soffermandosi   poi
diffusamente sulla giurisprudenza di questa Corte gia'  pronunciatasi
sulla medesima disposizione. 
    Con riferimento alla pensione di inabilita', i principi affermati
nella  sentenza  n.  187  del  2010  varrebbero  a  maggior  ragione,
essendosi  la  Corte  pronunciata   sull'istituto   dell'assegno   di
invalidita', che presuppone  condizioni  meno  gravi:  la  previsione
ostativa  che  si  censura  rappresenterebbe,  dunque,  un   elemento
discriminatorio, in contrasto con la CEDU e quindi  con  l'art.  117,
primo comma, Cost. 
    Quanto alla  indennita'  di  accompagnamento,  il  rimettente  ne
sottolinea la funzione tesa al soddisfacimento  di  bisogni  primari,
evidenziando come anche rispetto a tale istituto - che presuppone una
inabilita'  totale  e  non  e'  subordinato  neppure  a   determinate
condizioni di reddito - vengono a porsi quelle esigenze di tutela  di
beni primari riconosciute  da  questa  Corte  nella  gia'  rammentata
sentenza n. 187 del 2010, la cui ratio parrebbe dunque estensibile. 
    Accanto alla violazione  dell'art.  117  Cost.  sussisterebbe  un
contrasto della disposizione censurata anche con gli artt. 2, 3 e  29
Cost., stante la funzione di ausilio al nucleo familiare che, secondo
la giurisprudenza di legittimita', svolge  l'istituto  in  questione:
sarebbero, infatti, irragionevolmente  discriminate  le  famiglie  di
invalidi stranieri non titolari di carta di  soggiorno  sia  rispetto
alle famiglie italiane sia  rispetto  a  quelle  di  invalidi  invece
titolari di permesso  di  soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo
periodo, malgrado le identiche necessita' di assistenza. 
    Tenuto conto, poi, dei principi affermati da questa Corte in tema
di limiti alla  discrezionalita'  del  legislatore  nella  disciplina
dell'accesso,   da   parte   degli   stranieri,   alle    provvidenze
assistenziali, si ravviserebbe un contrasto anche con gli artt. 32  e
38 Cost., avuto riguardo alla gravita' delle menomazioni  presupposte
per l'indennita' di accompagnamento. 
    Vulnerato risulterebbe, infine, pure  l'art.  2  Cost.,  «essendo
quello alla salute diritto fondamentale della persona». 
    In punto di rilevanza il giudice a quo segnala che  nella  specie
sussisterebbero tutte le condizioni per il riconoscimento di entrambe
le provvidenze ove la previsione ostativa oggetto  di  censura  fosse
dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    4.- Nel  giudizio  si  e'  costituito  l'INPS  chiedendo  che  la
questione  sia  dichiarata  infondata  sulla  base   delle   medesime
deduzioni  svolte  in  riferimento  alla  questione   sollevata   dal
Tribunale di Urbino. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Urbino solleva, in riferimento agli  articoli
3,  32  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 80, comma 19,  della  legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge  finanziaria  2001),  nella
parte  in  cui  subordina  la   concessione   della   indennita'   di
accompagnamento al possesso della carta di soggiorno e, dunque, anche
al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello
Stato. A parere del giudice a quo, i  principi  enunciati  da  questa
Corte nelle sentenze n. 187 del 2010 e n. 11 del 2009, riguardanti la
stessa norma, ora  nuovamente  denunciata,  ancorche'  riferita  agli
istituti dell'assegno mensile  di  assistenza  e  della  pensione  di
inabilita', dovrebbero trovare applicazione anche per  la  indennita'
di accompagnamento, avuto  riguardo  alla  specifica  natura  e  alla
funzione di tale provvidenza; la quale, presupponendo  condizioni  di
salute di tale gravita' da impedire al soggetto assistito di compiere
gli atti quotidiani della vita, rappresenterebbe,  ancor  piu'  degli
istituti gia' scrutinati dalla Corte,  uno  strumento  indispensabile
per assicurare le  minime  esigenze  di  vita.  La  norma  impugnata,
pertanto, laddove subordina la concessione  di  tale  provvidenza  al
possesso del permesso di soggiorno di lungo  periodo,  contrasterebbe
con l'art. 3 Cost., discriminando irragionevolmente gli stranieri  in
ordine al godimento di diritti fondamentali  della  persona,  nonche'
con l'art. 32 Cost., in quanto verrebbe negata la tutela del  diritto
alla salute a parita' di condizione ai cittadini stranieri legalmente
soggiornanti nel  territorio  dello  Stato.  Si  deduce,  infine,  il
contrasto della disposizione denunciata con l'art. 117, primo  comma,
Cost., assumendo a parametro interposto l'art. 14  della  Convenzione
europea dei diritti dell'uomo (CEDU),  per  come  interpretato  dalla
Corte di Strasburgo. 
    2.- Anche  il  Tribunale  di  Cuneo  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge  n.
388 del 2000, denunciandone il contrasto con l'art. 117 Cost.  «nella
parte in cui subordina al requisito della titolarita' della carta  di
soggiorno la concessione agli stranieri legalmente  soggiornanti  nel
territorio dello Stato della pensione di  inabilita'  civile  di  cui
all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118  e  dell'indennita'  di
accompagnamento di cui all'art. 1 l. 11 febbraio 1980 n.  18»  e  con
gli artt. 2, 3, 29, 32 e 38 Cost., «nella parte in cui  subordina  al
requisito della titolarita' della carta di soggiorno  la  concessione
agli stranieri legalmente soggiornanti  nel  territorio  dello  Stato
dell'indennita' di accompagnamento di cui all'art. 1 l.  11  febbraio
1980 n. 18». 
    Con  riferimento  alla  pensione  di   inabilita',   il   giudice
rimettente ha osservato come i dicta enunciati da questa Corte  nella
sentenza  n.  187  del  2010  -  con  la   quale   venne   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19,  della  legge
n. 388 del 2000 nella parte in cui  subordinava  al  requisito  della
titolarita' della carta di soggiorno la  concessione  agli  stranieri
legalmente  soggiornanti  nel  territorio  dello  Stato  dell'assegno
mensile di invalidita' di cui all'art. 13 della legge 20 marzo  1971,
n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n.  5
e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) - valgano  a
maggior ragione per cio' che riguarda la pensione di inabilita',  dal
momento che tale provvidenza si caratterizza per la totale inabilita'
lavorativa del beneficiario, a fronte delle condizioni di salute meno
gravi  che  invece  costituiscono  il  presupposto  dell'assegno   di
invalidita'. La previsione ostativa oggetto di censura introdurrebbe,
dunque, un fattore discriminatorio, in contrasto con la CEDU e quindi
con l'art. 117, primo comma, Cost. 
    A  proposito,  poi,  della  indennita'  di  accompagnamento,  che
presuppone una inabilita' totale e  non  e'  assoggettata  neppure  a
condizioni di reddito, varrebbero rilievi  non  dissimili  da  quelli
gia' posti in risalto nella piu' volte richiamata pronuncia di questa
Corte. Accanto, dunque,  alla  violazione  dell'art.  117  Cost.,  il
giudice rimettente evoca il contrasto anche con gli artt. 2, 3  e  29
Cost.,  attesa  la  funzione  di  ausilio  per  il  nucleo  familiare
dell'invalido che l'assegno di accompagnamento e' chiamato a svolgere
e la correlativa  ingiustificata  discriminazione  che  verrebbero  a
subire le famiglie di invalidi  stranieri  non  muniti  di  carta  di
soggiorno;  nonche',  infine,  con  gli  artt.  32  e  38  Cost.,  in
considerazione della gravita' delle condizioni di salute che stanno a
presupposto del previsto beneficio, con riverberi anche sul  versante
dei principi sanciti dall'art. 2 Cost., «essendo quello  alla  salute
diritto fondamentale della persona». 
    3.- In entrambi i giudizi si e' costituito  l'Istituto  nazionale
per la previdenza sociale (INPS), chiedendo che  le  questioni  siano
dichiarate infondate. 
    A   parere   dell'Istituto   non   potrebbe   infatti   reputarsi
irragionevole o discriminatoria una norma che, come quella oggetto di
censura, subordini l'accesso alla assistenza pubblica a quei soggetti
che «abbiano dimostrato la volonta' e le condizioni per  una  stabile
permanenza  nel  territorio  dello   Stato   italiano   mediante   un
inserimento non precario nel sistema ordinamentale con gli oneri e  i
benefici che cio' comporta». 
    4. - Le ordinanze sollevano questioni del tutto analoghe riferite
ad una identica  disposizione:  i  relativi  giudizi  vanno  pertanto
riuniti per essere decisi con unica sentenza. 
    5. - Le questioni sono fondate. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale si concentrano sui vincoli
introdotti dall'art. 80, comma 19, della legge finanziaria del 2001 -
piu' volte scrutinato da questa Corte, come gia' accennato e come  si
specifichera' tra  breve  -  in  tema  di  prestazioni  sociali  agli
stranieri, essendosi ivi  previsto  che  le  provvidenze  costituenti
diritti soggettivi in base alla legislazione vigente  in  materia  di
servizi sociali sono concesse ai soli stranieri titolari della  carta
di soggiorno; istituto, questo, sostituito, a far data dal 2007,  con
il permesso di soggiorno CE per  soggiornanti  di  lungo  periodo,  a
norma dell'art. 2, comma 3, del decreto legislativo 8  gennaio  2007,
n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status  di
cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo  periodo)  ed  il  cui
conseguimento e' a sua volta condizionato da  alcuni  requisiti.  Per
ottenere tale permesso,  infatti,  e'  necessario  che  lo  straniero
dimostri:  a)  la  disponibilita'  di  un   reddito   non   inferiore
all'importo annuo dell'assegno  sociale  e,  nel  caso  di  richiesta
relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i  parametri
indicati dall'art. 29, comma 3, lettera b), del  decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  della  immigrazione  e  norme  sulla   condizione   dello
straniero); b) la disponibilita' di un alloggio  idoneo  che  rientri
nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per  gli  alloggi
di  edilizia  residenziale  pubblica  ovvero  che  sia  fornito   dei
requisiti  di  idoneita'  igienico-sanitaria  accertati  dall'Azienda
unita' sanitaria locale competente per territorio; c) il possesso, da
almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validita'
(art. 9 del Testo unico sull'immigrazione).  Si  tratta,  dunque,  di
requisiti che vanno da parametri di squisita  connotazione  censuaria
ad altri che attengono alle generali condizioni di vita,  per  finire
con un presupposto di tipo meramente temporale, raccordato al periodo
di permanenza in Italia con regolare permesso di soggiorno. 
    La norma oggetto di impugnativa si rivela,  pertanto,  fortemente
restrittiva - e  per  molti  aspetti  intrinsecamente  derogatoria  -
rispetto alla generale previsione dettata in materia  di  prestazioni
sociali ed assistenziali  in  favore  dei  cittadini  extracomunitari
dall'art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, il  quale,  invece,  prevede
che «Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di
soggiorno di durata non  inferiore  ad  un  anno,  nonche'  i  minori
iscritti nella loro carta o nel  loro  permesso  di  soggiorno,  sono
equiparati ai  cittadini  italiani  ai  fini  della  fruizione  delle
provvidenze e delle  prestazioni,  anche  economiche,  di  assistenza
sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo
di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per
gli invalidi civili e per gli indigenti». 
    Il legislatore della legge finanziaria del 2001, proprio in  tema
di prestazioni  che,  in  base  alla  legge,  sono  configurate  come
«diritti soggettivi» e proprio nei confronti di soggetti portatori di
gravi patologie ed invalidita', e dunque particolarmente  bisognevoli
di specifiche misure di assistenza, ha cosi'  finito  per  introdurre
nei  confronti  degli  stranieri,  pur  legalmente  soggiornanti  nel
territorio  dello  Stato,  una   variegata   gamma   di   presupposti
limitativi, contrassegnati dai diversi requisiti cui altra  normativa
(per di piu' iscritta in un panorama di adattamento  alle  previsioni
della richiamata direttiva 2003/109/CE, dettate da esigenze del tutto
estranee al tema qui in discorso) ha subordinato il permesso  CE  per
soggiornanti di lungo  periodo.  Il  che  ha  generato  una  indubbia
disparita' di trattamento fra stranieri e cittadini,  particolarmente
grave non solo per il diretto coinvolgimento di diritti  fondamentali
della  persona,   ma   anche   perche'   destinata   a   riverberarsi
automaticamente nei confronti degli stessi nuclei familiari in cui  i
potenziali beneficiari delle provvidenze - non di rado anche minori -
si trovano inseriti. 
    La Corte ha avuto modo di occuparsi ripetutamente della  medesima
disposizione  ora  denunciata  in  riferimento  agli  istituti  della
pensione di inabilita' (sentenza n. 11 del 2009 e sentenza n. 324 del
2006) e della indennita' di  accompagnamento  (sentenza  n.  306  del
2008), vale a dire le stesse provvidenze qui in discorso, dichiarando
l'illegittimita' costituzionale anche dell'art.  9  del  Testo  unico
sull'immigrazione,  nella  parte  in  cui   si   escludevano   queste
provvidenze  per  gli  stranieri  non  in  possesso  dei   prescritti
requisiti di reddito. Nel frangente,  la  Corte  rilevo'  come  fosse
manifestamente   irragionevole    subordinare    l'attribuzione    di
prestazioni  assistenziali   (che   presupponevano   uno   stato   di
invalidita' e disabilita') al possesso di un titolo di legittimazione
alla permanenza nel territorio dello Stato che richiede, per  il  suo
rilascio, tra l'altro la titolarita' di un determinato reddito. 
    La  piu'  generale  previsione  del  possesso  del  permesso   di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - individuato, come si
e'  detto,  dalla  norma  impugnata  quale   pre-requisito   per   il
conseguimento delle provvidenze sociali  in  favore  degli  stranieri
regolarmente soggiornanti nel  territorio  dello  Stato  -  e'  stata
invece scrutinata, sul versante della  titolarita'  del  permesso  di
soggiorno da almeno cinque anni,  nelle  sentenze  n.  187  del  2010
(riguardante l'assegno mensile di invalidita',  di  cui  all'art.  13
della legge n. 118 del 1971)  e  n.  329  del  2011  (concernente  la
indennita' di frequenza di cui all'art.  1  della  legge  11  ottobre
1990, n. 289, recante «Modifiche alla disciplina delle indennita'  di
accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n.  508,  recante
norme integrative in materia di assistenza  economica  agli  invalidi
civili,  ai  ciechi  civili  ed  ai  sordomuti   e   istituzione   di
un'indennita' di frequenza per i minori invalidi»).  In  entrambe  le
occasioni,  nel  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale   della
normativa denunciata, la Corte, in particolare, rilevo' che - ove  si
tratti, come nei casi allora delibati, di  provvidenze  destinate  al
sostentamento della persona nonche' alla salvaguardia  di  condizioni
di vita accettabili per il contesto familiare in cui il  disabile  si
trova inserito -  qualsiasi  discrimine  fra  cittadini  e  stranieri
legalmente  soggiornanti  nel  territorio  dello  Stato,  fondato  su
requisiti diversi da quelli previsti per la generalita' dei soggetti,
finisce  per  risultare  in  contrasto  con  il  principio   di   non
discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU,  avuto  riguardo  alla
interpretazione rigorosa che di tale norma  e'  stata  offerta  dalla
giurisprudenza della Corte europea. 
    Ebbene, se si considerano i principi affermati,  in  particolare,
nella sentenza n. 329 del 2011, e' evidente che un identico ordine di
rilievi possa e debba essere evocato -  seppure  mutatis  mutandis  -
anche nell'attuale scrutinio, avuto  riguardo  alla  natura  ed  alla
ratio delle provvidenze qui in considerazione. 
    In ragione delle gravi  condizioni  di  salute  dei  soggetti  di
riferimento, portatori di handicap fortemente invalidanti (in uno dei
due giudizi a quibus si tratta addirittura  di  un  minore),  vengono
infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto
- quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di
solidarieta' rispetto a condizioni  di  elevato  disagio  sociale,  i
doveri  di  assistenza  per  le  famiglie   -,   tutti   di   rilievo
costituzionale in riferimento ai parametri evocati,  tra  cui  spicca
l'art.  2  della  Costituzione  -  al  lume,  anche,  delle   diverse
convenzioni internazionali  che  parimenti  li  presidiano  -  e  che
rendono  priva  di  giustificazione  la  previsione  di   un   regime
restrittivo  (ratione  temporis,  cosi'  come  ratione  census)   nei
confronti di cittadini extracomunitari, legalmente  soggiornanti  nel
territorio  dello  Stato  da  tempo  apprezzabile  ed  in  modo   non
episodico, come nei casi di specie. 
    La  normativa  impugnata  deve,   pertanto,   essere   dichiarata
costituzionalmente illegittima,  nella  parte  in  cui  subordina  al
requisito della titolarita' della carta di soggiorno -  ora  permesso
di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo - la concessione ai
cittadini  extracomunitari  legalmente  soggiornanti  nel  territorio
dello Stato della indennita' di accompagnamento e della  pensione  di
inabilita'.