ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  12  del
regolamento del Senato della Repubblica 17  febbraio  1971,  promosso
dalla Corte di cassazione, sezioni unite, nel  procedimento  vertente
tra P.L. e il Senato della Repubblica, con  ordinanza  del  6  maggio
2013, iscritta al n. 136 del registro  ordinanze  2013  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24,  prima   serie
speciale, dell'anno 2013. 
    Visti gli atti  di  costituzione  di  P.L.  e  del  Senato  della
Repubblica, nonche' gli atti di intervento della Camera dei  deputati
e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 25 marzo 2014 il Giudice relatore
Giuliano Amato; 
    uditi gli avvocati Aldo Sandulli per P.L., Gaetano Pelella per la
Camera dei deputati e l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il
Senato della  Repubblica  e  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 6 maggio 2013, le sezioni unite della Corte
di cassazione hanno sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 3,
24, 102, secondo comma, 111, primo, secondo e settimo comma,  e  113,
primo  comma,   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  12  del  regolamento  del   Senato   della
Repubblica approvato il 17 febbraio  1971,  e  successive  modifiche,
nella parte in cui attribuisce al Senato il potere  di  giudicare  in
via  esclusiva  e  definitiva  i  ricorsi  avverso  gli  atti   e   i
provvedimenti  adottati  dall'amministrazione  di   quel   ramo   del
Parlamento nei confronti dei propri dipendenti. 
    La Corte riferisce di essere chiamata a  decidere  in  ordine  al
ricorso proposto, ai sensi dell'art. 111 Cost., da un dipendente  del
Senato avverso la decisione resa, in grado di appello, dal  Consiglio
di garanzia del Senato, nell'ambito di un  giudizio  di  ottemperanza
relativo ad una causa di lavoro. 
    1.1.- Osserva la Corte che il citato art. 12 del regolamento  del
Senato stabilisce che il  Consiglio  di  Presidenza,  presieduto  dal
Presidente  del  Senato,  «[...]  approva   i   Regolamenti   interni
dell'Amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi  al
personale stesso nei casi ivi previsti». Tale norma e'  stata  sempre
interpretata nel senso dell'attribuzione al  Senato  dell'autodichia,
con conseguente esclusione del sindacato di qualsiasi giudice esterno
in ordine alle controversie che attengono allo stato ed alla carriera
giuridica  ed  economica  dei  dipendenti.  Da   cio'   conseguirebbe
l'inammissibilita'  del  ricorso  ex  art.  111  Cost.  spiegato  dal
ricorrente nel giudizio a quo. 
    1.2.- Le sezioni unite si dichiarano pienamente  consapevoli  dei
principi  enunciati  dalla  Corte  costituzionale  con  la  risalente
sentenza n. 154 del 1985, cui hanno fatto  seguito  le  ordinanze  di
manifesta inammissibilita' n. 444 e n. 445 del 1993; con la  sentenza
sopra  indicata,  la  Corte  ha  dichiarato  la  medesima   questione
inammissibile alla stregua del tenore letterale dell'art. 134  Cost.,
che fa riferimento - come oggetto del giudizio  della  Corte  -  alle
leggi ed agli atti aventi forza di legge, e non indica i  regolamenti
parlamentari. Rammentano le sezioni unite che,  all'epoca,  la  Corte
costituzionale  ritenne  che  i  regolamenti  parlamentari  avrebbero
potuto essere ricompresi nel disposto dell'art. 134 Cost. soltanto in
via interpretativa e che siffatta interpretazione non  era  coerente,
ed  appariva  anzi  in  contrasto,  con  la  natura   di   democrazia
parlamentare propria del nostro ordinamento. 
    Nell'auspicare  la  riconsiderazione  di  tali  conclusioni,   le
sezioni unite richiamano le motivazioni della relativa  ordinanza  di
rimessione dell'11 luglio 1977, laddove si affermava la  possibilita'
di  assoggettare  a  sindacato  di  legittimita'   costituzionale   i
regolamenti parlamentari, in quanto  fonti  (fonti-atto)  di  diritto
oggettivo, assimilabili alle leggi formali, con le quali  versano  in
rapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa  a
pari livello. 
    1.3.- Nel rifarsi integralmente a tale prospettazione, le sezioni
unite sottolineano  la  differenza  tra  l'esercizio  delle  funzioni
legislative o politiche delle Camere, da un lato, e gli atti con  cui
le Camere provvedono  alla  propria  organizzazione,  dall'altro.  Il
Collegio riconosce la necessita' di garantire alle stesse Camere  una
posizione di indipendenza affinche' le stesse siano libere da vincoli
esterni suscettibili di condizionarne l'azione; la  Corte  rimettente
ritiene  tuttavia  che  l'autodichia  sui   propri   dipendenti   non
costituisca una prerogativa necessaria a garantire l'indipendenza del
Parlamento e non sia affatto coessenziale alla natura  costituzionale
degli  organi  supremi;  ed  invero  la  Costituzione   non   tollera
l'esclusione  dalla  tutela  giurisdizionale  di  una  categoria   di
cittadini e l'autonomia che spetta al  Parlamento  non  comprende  il
potere di stabilire norme contrarie alla Costituzione. 
    1.4.- In particolare, le sezioni unite osservano che l'autodichia
del Senato si pone in contrasto con l'art. 3  Cost.,  in  quanto  una
categoria di cittadini viene esclusa dalla tutela giurisdizionale  in
ragione  di  un  elemento  (l'essere  dipendenti  del   Senato)   non
significativo ai fini del trattamento differenziato. A cio' la  Corte
di cassazione riconduce  anche  la  violazione  dell'art.  24  Cost.,
secondo cui «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti [...]» e che, al secondo comma, definisce la difesa  «diritto
inviolabile». 
    1.5.- Le sezioni unite denunciano inoltre la violazione dell'art.
102, secondo comma, Cost., essendo gli stessi soggetti sottoposti  ad
un giudice speciale - quanto alle loro cause di  lavoro  -  istituito
dopo l'entrata in vigore della Costituzione. 
    1.6.-  Ad  avviso  della  Corte   rimettente   sarebbe   altresi'
ravvisabile  la  violazione   dell'art.   111   Cost.,   recentemente
novellato; in particolare il vulnus viene ravvisato  con  riferimento
al principio del giusto processo (primo comma), non potendo definirsi
«giusto» un processo che si svolge dinanzi ad una delle  parti;  alla
necessita' che il contraddittorio si svolga  davanti  ad  un  giudice
terzo e imparziale (secondo comma), cio' che  non  si  verificherebbe
nell'autodichia; al fatto che contro le sentenze  e'  sempre  ammesso
ricorso in Cassazione per violazione di legge (settimo comma). 
    Proprio riguardo alla dedotta violazione dell'art. 111 Cost.,  la
Corte di cassazione  evidenzia  che  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, nella sentenza 28 aprile 2009, Savino ed altri c.  Italia,
ha affermato che, ai sensi dell'art. 6, comma  1,  della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955,  n.  848,  e'  «tribunale»  non
soltanto una giurisdizione di tipo classico, ma  qualsiasi  autorita'
cui competa decidere, sulla base di norme di diritto, con pienezza di
giurisdizione e  a  conclusione  di  una  procedura  organizzata,  su
qualsiasi  questione  di  sua  competenza,  adottando  una  decisione
vincolante, non modificabile da un organo non  giurisdizionale.  Tale
pronuncia  ha  inoltre  statuito  l'assenza  di  indipendenza  e   di
imparzialita'  degli  organi  giurisdizionali  della  Camera,  ed  in
particolare dell'organo di appello, ritenendo che la sua composizione
determinasse una  commistione  inammissibile,  in  capo  ai  medesimi
soggetti, tra esercizio di funzioni amministrative  ed  esercizio  di
funzioni giurisdizionali: i componenti dell'Ufficio di Presidenza, ai
quali spetta l'adozione dei provvedimenti concernenti  il  personale,
infatti, sono poi chiamati a giudicare sulle controversie  aventi  ad
oggetto i medesimi atti amministrativi. 
    Nel caso in esame mancherebbe, ad avviso della Corte  rimettente,
il carattere di terzieta'  dell'organo  giudicante,  che  costituisce
attributo connaturale all'esercizio della  funzione  giurisdizionale,
considerato  che  le   decisioni   della   Commissione   contenziosa,
ratificate col visto del Presidente del  Senato,  possono  riguardare
anche ricorsi contro decreti dello stesso Presidente del Senato. 
    1.7.- Sussisterebbe infine, ad avviso delle sezioni unite,  anche
la violazione dell'art. 113 Cost., secondo cui, contro gli atti della
pubblica amministrazione (e tale  sarebbe,  ad  avviso  della  Corte,
l'amministrazione del Senato  rispetto  agli  atti  di  gestione  del
personale), e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e
degli  interessi  legittimi  dinanzi  agli  organi  di  giurisdizione
ordinaria  e   amministrativa;   viceversa,   l'autodichia   preclude
l'accesso agli organi di tutela giurisdizionale,  cosi'  determinando
la violazione denunciata. 
    2.- Con atto di costituzione depositato il 1° luglio 2013, si  e'
costituito in giudizio P.L., parte  ricorrente  nel  giudizio  a  quo
pendente dinanzi alla Corte di cassazione. Dopo avere  richiamato  le
vicende relative alla controversia instaurata sin  dal  2005  dinanzi
agli organi di giustizia del Senato, la difesa della parte privata ha
dedotto che le disposizioni dei regolamenti  parlamentari  delineano,
per le controversie di lavoro dei dipendenti del Senato,  un  sistema
di tutela giurisdizionale speciale,  che  non  precluderebbe  affatto
l'esperibilita' del rimedio previsto dall'art.  111,  settimo  comma,
Cost., avverso le decisioni degli organi di autodichia  parlamentare.
Ad avviso della difesa della parte  ricorrente,  dovrebbe  escludersi
che dal testo costituzionale, e in  particolare  dalla  posizione  di
autonomia  e  indipendenza  che  esso  riconosce  alle  Camere,   sia
ricavabile,   quale   principio   implicito   o   norma   inespressa,
l'autodichia sui rapporti di impiego dei dipendenti del Parlamento. 
    2.1.- Ne',  d'altra  parte,  potrebbe  ravvisarsi  un  fondamento
costituzionale, neppure indiretto, di tale  disciplina  nell'art.  64
Cost., che attribuisce a ciascuna Camera il  potere  di  adottare  un
proprio regolamento volto a disciplinarne  l'organizzazione  interna.
Infatti, ad avviso della difesa della parte privata, l'art. 64  Cost.
non autorizza l'istituzione di un sistema di autodichia, ne'  per  le
controversie relative  ai  rapporti  di  impiego  dei  dipendenti  di
ciascun ramo del Parlamento, ne' rispetto ad altri rapporti giuridici
instaurati con soggetti terzi. 
    2.2.-  A  sostegno  della  tesi  della  mancanza   di   copertura
costituzionale dell'autodichia del  Senato,  la  difesa  della  parte
privata richiama le pronunce in tema di  prerogative  costituzionali,
laddove si afferma che «la disciplina delle prerogative contenuta nel
testo della Costituzione [deve]  essere  intesa  come  uno  specifico
sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento  e  assetto
di  interessi  costituzionali;  sistema  che  non  e'  consentito  al
legislatore ordinario alterare ne' in peius ne' in  melius»,  con  la
conseguenza che il legislatore ordinario «puo' intervenire  solo  per
attuare,  sul  piano  procedimentale,  il   dettato   costituzionale,
essendogli preclusa ogni eventuale integrazione o estensione di  tale
dettato» (sentenza n. 262 del 2009). 
    2.3.-  La  parte  privata  esamina  anche  la   possibilita'   di
un'interpretazione    della    disciplina    censurata    in    senso
costituzionalmente orientato, facendo  leva  sulla  tesi  secondo  la
quale i rimedi  previsti  dal  sistema  contenzioso  predisposto  dai
regolamenti parlamentari avrebbero, in  realta',  natura  di  ricorsi
amministrativi e, come tali,  non  escluderebbero  la  concorrente  o
successiva tutela giurisdizionale. 
    2.4.- Tuttavia, ad avviso della  parte  privata,  proprio  questa
prospettiva interpretativa  non  e'  stata  accolta  dalla  Corte  di
cassazione  con  l'ordinanza  di  rimessione  e  con  altre  pronunce
precedenti,  e  sembrerebbe,  oggi,  difficilmente  compatibile   con
l'orientamento manifestato dalla Corte di Strasburgo  nella  sentenza
28 aprile 2009, Savino e altri c. Italia, la  quale  ha  riconosciuto
che gli organi di autodichia rappresentano un  «tribunale»  ai  sensi
dell'art. 6, comma l,  della  Convenzione  e  hanno,  quindi,  natura
giurisdizionale, salvo poi verificare che tale tribunale  soddisfi  i
requisiti di imparzialita' e indipendenza richiesti dalla Convenzione
e pervenire, come e' avvenuto con riferimento agli  organi  domestici
della Camera dei deputati,  ad  escluderlo,  in  ragione  della  loro
composizione. 
    2.5.- Ad avviso della parte privata, i  regolamenti  parlamentari
istituirebbero un sistema speciale  di  rimedi  giurisdizionali,  che
sottrae le  relative  controversie  alla  giurisdizione  ordinaria  e
amministrativa, ma in nessun luogo escluderebbero  che  le  decisioni
assunte nell'ambito di tale sistema  siano  altresi'  sottratte  alla
funzione  nomofilattica  che  l'art.  111,  settimo   comma,   Cost.,
attribuisce alla Corte di cassazione nei confronti  di  ogni  giudice
(ordinario o speciale) contemplato dall'ordinamento statale. 
    Osserva la difesa della parte privata che, sotto tale profilo, la
questione sollevata dovrebbe ritenersi inammissibile,  in  quanto  la
Corte  di  cassazione  potrebbe   comunque   decidere   il   giudizio
principale,  a  prescindere   dalla   valutazione   di   legittimita'
costituzionale della disposizione censurata, la  quale  non  potrebbe
intendersi come preclusiva del ricorso straordinario  per  Cassazione
avverso le pronunce degli organi di autodichia. 
    2.6.- In via  subordinata,  la  difesa  della  parte  privata  ha
sostenuto   la   fondatezza   della   questione    di    legittimita'
costituzionale, non solo per il contrasto con  lo  stesso  art.  111,
settimo comma, Cost., ma anche per violazione degli  altri  parametri
costituzionali evocati dalla Corte di cassazione. 
    2.6.1.- In particolare, il ricorrente evidenzia la necessita'  di
procedere ad una rilettura delle premesse della sentenza n.  154  del
1985 e  quindi  ad  una  generale  rivalutazione  del  sistema  delle
immunita'  dalla  giurisdizione,  alla  luce  del   mutato   contesto
istituzionale. Ed invero le interazioni tra  diritto  interno  (anche
parlamentare) e diritto  internazionale,  il  ruolo  di  garante  del
rispetto degli obblighi internazionali che la Corte costituzionale ha
rivendicato a se' nell'interpretazione dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., il controllo esercitato dalla stessa Corte  sul  rispetto  dei
limiti esterni all'esercizio delle prerogative parlamentari,  sono  -
ad  avviso  della  parte  privata  -  tutti   elementi   univocamente
indicativi di un nuovo assetto istituzionale, nel  quale  il  sistema
delle tutele e dei controlli non  puo'  variare  in  base  alla  mera
natura formale e alla tipologia della prerogativa che volta per volta
viene  in  questione;  piuttosto,  esso  deve  essere  agganciato  al
contenuto sostanziale degli interessi pubblici e privati protetti.  A
tal fine occorrerebbe un  controllo  di  legittimita'  costituzionale
anche sui regolamenti, salva pur sempre quella sfera  intangibile  di
autonomia «strettamente funzionale all'esercizio  indipendente  delle
attribuzioni proprie del potere legislativo». 
    2.6.2.- La difesa della parte privata deduce inoltre che ritenere
a  priori  intangibile  e  insindacabile  l'attivita'  di   autonomia
regolamentare delle  Camere  persino  quanto  al  rispetto  dei  suoi
confini esterni, consente di ampliare, oltre i limiti previsti  dalla
Costituzione, l'area  sottratta  alle  comuni  regole  di  produzione
legislativa e, in particolare, alla regola del bicameralismo  e  alle
competenze presidenziali di controllo ex art. 73  Cost.  Spetta  alla
Corte  costituzionale,  dunque,  garantire  che   questa   fonte   di
produzione normativa non travalichi i  limiti  imposti  dall'art.  64
Cost. 
    3.- E'  intervenuta  nel  giudizio  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, per conto del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  ed  ha
concluso per l'inammissibilita' o, in subordine,  per  l'infondatezza
della questione. 
    3.1.- In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
dedotto  l'insindacabilita'  dei   regolamenti   parlamentari,   come
affermata dalla sentenza n. 154 del 1985 e ribadita  dalle  ordinanze
n. 444 e n. 445 del 1993, nonche' da successive pronunce della  Corte
di cassazione. L'Avvocatura generale ha altresi' evidenziato che, con
la sentenza 28 aprile 2009, Savino ed  altri  c.  Italia,  la  stessa
Corte EDU ha riconosciuto la legittimita' dell'impianto di  giustizia
interna delle Camere, sulla  base  dell'autonomia  costituzionale  ad
esse spettante. La difesa dello Stato ha  quindi  concluso  chiedendo
che sia dichiarata l'inammissibilita'  ovvero,  in  via  subordinata,
l'infondatezza  della  questione   di   legittimita'   costituzionale
sollevata dalla Corte di cassazione. 
    4.- Il 2 luglio 2013 si e' costituito in giudizio il Senato della
Repubblica, in persona del Presidente pro  tempore,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, depositando un  atto  di
intervento di tenore analogo a quello depositato dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri. 
    4.1.- In via  preliminare,  la  difesa  del  Senato  ha  eccepito
l'inammissibilita' della  questione  sollevata  dalle  sezioni  unite
della Corte di cassazione in considerazione dell'insindacabilita' dei
regolamenti parlamentari, affermata dalla sentenza n. 154 del 1985  e
ribadita dalle ordinanze n. 444 e n.  445  del  1993,  nonche'  dalle
successive pronunce della Corte di cassazione. La difesa  del  Senato
ha inoltre richiamato i principi  affermati  dalla  Corte  EDU  nella
sentenza  28  aprile  2009,  Savino  ed  altri  c.  Italia,  che   ha
riconosciuto la legittimita' degli organi di giustizia interna  delle
Camere, sulla base dell'autonomia costituzionale ad esse spettante. 
    5.- La Camera dei deputati e' intervenuta in giudizio il 2 luglio
2013; nell'atto di intervento, la Camera ha  preliminarmente  dedotto
la propria legittimazione a  partecipare  al  giudizio,  affermandosi
titolare  di  un  interesse  qualificato,  suscettibile   di   essere
direttamente inciso dalla pronuncia della Corte. 
    5.1.-  La  parte  interveniente  ha  in  primo   luogo   eccepito
l'inammissibilita' della  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata  dalle  sezioni  unite  della  Corte  di   cassazione,   in
considerazione dell'insindacabilita' dei regolamenti parlamentari, ai
sensi dell'art. 134 Cost.;  ad  avviso  della  difesa  della  Camera,
infatti, i regolamenti parlamentari non sarebbero  equiparabili  alle
leggi o agli altri atti aventi forza di legge, non essendo promulgati
dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'art. 87  Cost.,  e  non
essendo suscettibili di abrogazione referendaria ai  sensi  dell'art.
75 Cost.; ad avviso della parte interveniente, la sottoposizione  dei
regolamenti parlamentari  al  sindacato  di  costituzionalita'  -  in
quanto connessa alla  necessita'  di  preservare  l'indipendenza  del
Parlamento - finirebbe per determinare una inammissibile  limitazione
delle prerogative sovrane del Parlamento. 
    5.2.- Nel merito, la difesa della Camera dei deputati ha  dedotto
l'infondatezza  della  questione  di   legittimita'   costituzionale,
evidenziando che l'esigenza di  garantire  l'autonomia  delle  Camere
sussiste  anche  con  riferimento   alle   attivita'   degli   uffici
amministrativi interni degli organi parlamentari e in particolare con
riferimento ai rapporti con i dipendenti; tali  attivita'  infatti  -
ancorche' non ineriscano direttamente allo svolgimento delle funzioni
legislative  o  politiche  delle  Camere  (le   cosiddette   funzioni
primarie) - sono  sempre  strumentali  all'esercizio  delle  funzioni
parlamentari tipiche e non potrebbero pertanto tollerare l'intervento
di poteri esterni, in quanto cio' turberebbe il  libero  espletamento
delle funzioni parlamentari. 
    5.3.- La difesa della parte interveniente ha inoltre richiamato i
principi affermati dalla sentenza della Corte  EDU  28  aprile  2009,
Savino  ed  altri  c.  Italia,  con  particolare   riferimento   alla
legittimita' dell'istituzione di un giudice domestico all'interno  di
organi parlamentari e, piu'  specificamente,  all'affermazione  della
compatibilita' dell'autodichia rispetto ai principi fondamentali  del
giusto processo. 
    5.4.- Il 3 marzo 2014 la Camera dei deputati  ha  depositato  una
memoria integrativa al fine di contestare  le  argomentazioni  svolte
dalla  difesa  della  parte  privata  nell'ambito  del  giudizio   di
costituzionalita'.  In  particolare,  la  difesa  della   Camera   ha
contestato la possibilita', prospettata ex adverso, di ricondurre  le
decisioni  degli   organi   interni   delle   Camere   al   sindacato
nomofilattico affidato alla Corte di cassazione dall'art. 111  Cost.;
ad avviso della Camera, tale  interpretazione  sarebbe  preclusa  dal
tenore letterale dell'art. 12 del regolamento della Camera, il  quale
prevede espressamente che gli organi di  primo  e  di  secondo  grado
«giudicano in via esclusiva» sui ricorsi presentati dai dipendenti  e
dai  terzi  avverso  gli  atti  amministrativi  di  tale   ramo   del
Parlamento; tale inciso - inserito  con  le  modifiche  regolamentari
intervenute nel mese di luglio del 2009, a seguito  della  richiamata
sentenza della Corte EDU 28 aprile 2009 - non solo  intende  chiarire
definitivamente la natura giurisdizionale  delle  istanze  giudicanti
interne, ma mira anche a sancire espressamente - a conferma  peraltro
di una prassi interpretativa pressoche' secolare  -  che  l'esercizio
della giurisdizione di tali  istanze  interne  esclude  completamente
quella del giudice comune. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Le sezioni unite della Corte di  cassazione  hanno  sollevato
d'ufficio, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, secondo comma,  111,
primo,  secondo  e  settimo  comma,  e  113,   primo   comma,   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  12
del regolamento del Senato della Repubblica, approvato il 17 febbraio
1971, e successive modifiche,  nella  parte  in  cui  attribuisce  al
Senato il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi
avverso gli atti e i provvedimenti adottati  dall'amministrazione  di
quel ramo del Parlamento nei confronti dei propri dipendenti. 
    Nel giudizio a quo la Corte di cassazione e' chiamata a  decidere
in ordine al ricorso proposto, ai sensi dell'art. 111, settimo comma,
Cost., da un dipendente del Senato avverso la  decisione  resa  -  in
grado di appello - dal Consiglio di garanzia del Senato,  nell'ambito
di un giudizio di ottemperanza relativo ad una causa di lavoro. 
    2.- In via preliminare deve essere confermata  l'ordinanza  letta
nella pubblica udienza del 25 marzo 2014 ed  allegata  alla  presente
sentenza,  con  la  quale  e'   stata   dichiarata   l'ammissibilita'
dell'intervento spiegato dalla Camera dei deputati  nel  giudizio  di
cui all'ordinanza reg. ord. n. 136 del 2013; ed invero, nel  caso  in
esame deve riconoscersi che la Camera dei deputati, sebbene  estranea
al giudizio principale, e'  titolare  di  un  interesse  qualificato,
suscettibile di essere  direttamente  inciso  dalla  pronuncia  della
Corte, in quanto  immediatamente  inerente  allo  specifico  rapporto
sostanziale dedotto nel giudizio (sentenza n. 38 del 2009;  ordinanze
n. 346 del 2001 e n. 67 del 1998). 
    3.- La disposizione  censurata  e'  contenuta  nell'art.  12  del
regolamento del Senato della Repubblica, intitolato «Attribuzioni del
Consiglio di Presidenza -  Proroga  dei  poteri»;  tale  disposizione
prevede che «Il Consiglio di Presidenza,  presieduto  dal  Presidente
del  Senato,  delibera  il  progetto  di  bilancio  del  Senato,   le
variazioni degli stanziamenti dei capitoli ed  il  conto  consuntivo;
approva  il   Regolamento   della   biblioteca   e   il   Regolamento
dell'archivio storico del Senato;  delibera  le  sanzioni,  nei  casi
previsti dai commi 3 e 4 dell'art. 67, nei  confronti  dei  Senatori;
nomina, su  proposta  del  Presidente,  il  Segretario  Generale  del
Senato; approva i Regolamenti interni dell'Amministrazione del Senato
e adotta i provvedimenti relativi al personale stesso  nei  casi  ivi
previsti; esamina tutte le altre questioni che ad esso siano deferite
dal Presidente». 
    3.1.- La questione di legittimita' costituzionale riguarda dunque
la disposizione in esame nella  parte  in  cui  -  secondo  un'antica
tradizione interpretativa - attribuisce al  Senato  l'autodichia  sui
propri dipendenti, ossia il potere di giudicare in  via  esclusiva  e
definitiva i ricorsi avverso gli  atti  e  i  provvedimenti  adottati
dall'amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti  degli
stessi  dipendenti,  con  conseguente  esclusione  del  sindacato  di
qualsiasi giudice esterno in ordine alle controversie  che  attengono
allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti. 
    4.- La questione,  sollevata  dalla  Corte  di  cassazione,  deve
essere dichiarata inammissibile. 
    4.1.-  Ancora  una  volta,  la  sindacabilita'  dei   regolamenti
parlamentari, adottati ai sensi dell'art.  64,  primo  comma,  Cost.,
costituisce la premessa della valutazione  dell'ammissibilita'  della
questione. 
    4.2.- I regolamenti parlamentari non rientrano espressamente  tra
le fonti-atto indicate nell'art. 134, primo alinea, Cost.  -  vale  a
dire tra le «leggi» e «gli atti aventi forza di legge» - che  possono
costituire oggetto del sindacato di  legittimita'  rimesso  a  questa
Corte. 
    Nel sistema delle fonti delineato dalla stessa  Costituzione,  il
regolamento parlamentare e' espressamente previsto dall'art. 64  come
fonte dotata di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto
a quella della legge  ordinaria  e  nella  quale,  pertanto,  neppure
questa e' abilitata ad intervenire. 
    L'art. 134 Cost., indicando come sindacabili la legge e gli  atti
che, in quanto ad essa equiparati, possono regolare cio' che  rientra
nella competenza della stessa legge, non consente  di  includere  tra
gli stessi i regolamenti parlamentari. Risiede dunque in cio', e  non
in motivazioni storiche o in risalenti tradizioni interpretative,  la
ragion d'essere attuale e di diritto  positivo  dell'insindacabilita'
degli  stessi  regolamenti  in  sede  di  giudizio  di   legittimita'
costituzionale.  Va  di   conseguenza   confermata   la   consolidata
giurisprudenza di questa Corte, la quale - nella sentenza n. 154  del
1985 e nelle successive ordinanze n. 444 e  n.  445  del  1993  -  ha
escluso che essi possano essere annoverati fra gli atti aventi  forza
di legge. 
    Se tuttavia, adesso come allora, la  ratio  dell'insindacabilita'
dei regolamenti parlamentari e' costituita - sul piano sistematico  -
dalla garanzia di indipendenza delle Camere  da  ogni  altro  potere,
cio' non comporta che essi siano, come  nel  lontano  passato,  fonti
puramente interne. Essi sono fonti  dell'ordinamento  generale  della
Repubblica, produttive  di  norme  sottoposte  agli  ordinari  canoni
interpretativi,  alla  luce  dei  principi   e   delle   disposizioni
costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza. 
    4.3.- E' su queste basi che si colloca  il  tema  dell'estensione
dell'autodichia e conseguentemente della sua legittimita'. Gli  artt.
64 e 72 Cost. assolvono alla funzione di definire e, al tempo stesso,
di delimitare «lo statuto di garanzia delle  Assemblee  parlamentari»
(sentenza n. 379 del 1996). E' dunque all'interno di  questo  statuto
di garanzia che viene stabilito l'ambito di competenza  riservato  ai
regolamenti parlamentari, avente ad oggetto l'organizzazione  interna
e, rispettivamente, la disciplina del procedimento legislativo per la
parte non direttamente regolata dalla Costituzione. 
    In questo ambito, le vicende e i  rapporti  che  ineriscono  alle
funzioni primarie delle Camere sicuramente ricadono nella  competenza
dei   regolamenti   e   l'interpretazione   delle   relative    norme
regolamentari e sub-regolamentari non puo' che essere affidata in via
esclusiva alle Camere stesse  (sentenza  n.  78  del  1984).  Ne'  la
protezione dell'area di indipendenza e liberta' parlamentare  attiene
soltanto  all'autonomia  normativa,  ma   si   estende   al   momento
applicativo  delle  stesse  norme  regolamentari  «e   comporta,   di
necessita', la sottrazione a qualsiasi giurisdizione degli  strumenti
intesi a garantire il rispetto del diritto parlamentare» (sentenze n.
379 del 1996 e n. 129 del 1981). 
    4.4.-  Se  altrettanto  valga  per  i  rapporti  di  lavoro   dei
dipendenti e per i rapporti con i terzi,  e'  questione  controversa,
che, in linea di principio, puo' dar luogo  ad  un  conflitto  fra  i
poteri; infatti, anche norme non sindacabili potrebbero essere  fonti
di atti lesivi di diritti costituzionalmente inviolabili  e,  d'altra
parte, deve  ritenersi  sempre  soggetto  a  verifica  il  fondamento
costituzionale di un potere decisorio  che  limiti  quello  conferito
dalla Costituzione ad altre autorita'.  L'indipendenza  delle  Camere
non puo' infatti compromettere diritti fondamentali, ne' pregiudicare
l'attuazione di principi inderogabili. 
    Come affermato da questa Corte, davanti a cio' che  «[...]  esuli
dalla capacita' classificatoria del regolamento  parlamentare  e  non
sia per intero sussumibile sotto la  disciplina  di  questo  (perche'
coinvolga beni personali di altri membri  delle  Camere  o  beni  che
comunque appartengano a terzi), deve  prevalere  la  "grande  regola"
dello Stato di diritto ed il conseguente  regime  giurisdizionale  al
quale sono normalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale,
tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e  113  della
Costituzione)» (sentenza n. 379 del 1996). 
    Peraltro, negli ordinamenti costituzionali  a  noi  piu'  vicini,
come Francia,  Germania,  Regno  Unito  e  Spagna,  l'autodichia  sui
rapporti di lavoro con i dipendenti e sui rapporti con i terzi non e'
piu' prevista. 
    Nel nostro ordinamento e' altresi' significativo  che  molteplici
decisioni di questa Corte,  oltre  che  della  Corte  di  Strasburgo,
abbiano assoggettato a stretta interpretazione  la  stessa  immunita'
parlamentare  prevista  dal   primo   comma   dell'art.   68   Cost.,
riconosciuta  soltanto  quando  sia   dimostrato,   secondo   criteri
rigorosi, il nesso funzionale fra l'opinione espressa  e  l'attivita'
parlamentare,  proprio  per  limitare  l'impedimento  all'accesso  al
giudice da parte di chi si ritenga danneggiato (ex plurimis, sentenze
n. 313 del 2013, n. 98 del 2011, n. 137 del 2001, n. 11 e n.  10  del
2000). 
    Il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il  diritto  di
accesso alla giustizia (art. 24 Cost.), cosi'  come  l'attuazione  di
principi  inderogabili  (art.  108  Cost.),  sono  assicurati   dalla
funzione di garanzia assegnata alla  Corte  costituzionale.  La  sede
naturale  in  cui  trovano  soluzione  le  questioni  relative   alla
delimitazione degli ambiti di  competenza  riservati  e'  quella  del
conflitto fra i poteri dello Stato: «Il confine tra  i  due  distinti
valori (autonomia delle Camere, da un lato, e legalita-giurisdizione,
dall'altro) e' posto sotto la tutela di questa Corte, che puo' essere
investita, in sede di conflitto di attribuzione, dal  potere  che  si
ritenga leso o menomato dall'attivita' dell'altro» (sentenza  n.  379
del 1996). 
    In tale sede la Corte puo' ristabilire il confine  -  ove  questo
sia violato - tra i poteri  legittimamente  esercitati  dalle  Camere
nella loro sfera di competenza e quelli che competono ad altri, cosi'
assicurando il rispetto dei limiti delle prerogative e del  principio
di legalita', che e' alla base dello Stato di diritto.