ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis  del
codice penale, come  inserito  dall'art.  1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di
non  punibilita'  per  particolare  tenuita'  del  fatto,   a   norma
dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014,  n.
67», e dell'art. 4 del medesimo  decreto  legislativo,  promossi  dal
Giudice di pace di Matera, con  tre  ordinanze  del  7  maggio  2015,
rispettivamente iscritte ai nn. 213, 214 e 215 del registro ordinanze
2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,
prima serie speciale, dell'anno 2015. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 7 dicembre  2016  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che, con tre ordinanze del 7  maggio  2015  di  identico
contenuto (r.o. nn. 213, 214 e 215 del 2015), il Giudice di  pace  di
Matera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3,  24,  27  e  111
della Costituzione, e agli artt. 3  e  48  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007  a  Strasburgo,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice
penale e dell'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo  2015,  n.  28,
recante «Disposizioni in materia di non punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera  m),
della legge 28 aprile 2014, n. 67», «nella  parte  in  cui  manca  la
previsione che l'imputato possa esprimere al  Giudice,  e  questi  ne
debba tener conto in  maniera  vincolante,  il  proprio  dissenso  in
ordine alla definizione del processo con sentenza declaratoria di non
punibilita' per tenuita' del fatto; sentenza, da cui  scaturisce  per
dettato normativo la iscrizione nel casellario giudiziale»; 
    che le ordinanze  riguardano  tre  procedimenti  penali  relativi
rispettivamente: al reato di cui all'art. 582 cod. pen. (r.o. n.  213
del 2015); ai reati di cui agli artt. 594 e 612 cod.  pen.  (r.o.  n.
214 del 2015); ai reati di cui agli artt. 81, 612  e  582  cod.  pen.
(r.o. n. 215 del 2015); 
    che il giudice rimettente  premette  che  i  reati  per  i  quali
procede rientrano tutti tra quelli previsti  dall'art.  131-bis  cod.
pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015,  il  quale  configura  la
possibilita' di definire il  processo  con  la  declaratoria  di  non
punibilita' per  particolare  tenuita'  del  fatto  «quando,  per  le
modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del  pericolo,
valutate ai sensi dell'articolo 133,  primo  comma,  l'offesa  e'  di
particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale»; 
    che ad avviso del giudice rimettente  la  disposizione  censurata
persegue finalita' di deflazione processuale ma si pone in  contrasto
con «principi e valori di rango costituzionale», soprattutto  quando,
come nel caso di specie, la  definizione  del  giudizio  avviene  con
sentenza pronunciata prima del dibattimento; 
    che  in  questa  ipotesi  il  giudice  si  troverebbe  «a   dover
verificare, pre-dibattimentalmente  (quindi  attraverso  l'esame  dei
soli documenti contenuti nel fascicolo del dibattimento - e  pertanto
attraverso l'esame del capo di imputazione contenuto nel  decreto  di
citazione a giudizio, il certificato  del  Casellario  giudiziale  ed
eventuali atti dal contenuto irripetibile)  soltanto  la  particolare
tenuita' dell'offesa, le modalita' della condotta, la  esiguita'  del
danno o del pericolo derivato dal reato  e  la  non  abitualita'  del
comportamento», cosi' abdicando alle sue «prerogative di accertare il
fatto  in  posizione  di  estraneita',  e  quindi  di  terzieta'   ed
imparzialita',   che   costituiscono   la   essenza   stessa    della
Giurisdizione [...]»; 
    che questo procedimento non solo sacrificherebbe il principio del
libero  convincimento  del  giudice,  «chiamato  ad  avallare,  senza
contraddittorio,  le  prospettazioni  e  valutazioni  del   PM»,   ma
pregiudicherebbe anche l'imputato,  che,  «senza  la  benche'  minima
possibilita' di difendersi, potrebbe vedersi attinto da  sentenza  di
non doversi procedere ex art. 131-bis  Cp.,  per  il  solo  fatto  di
essere stato rinviato a giudizio»; 
    che, peraltro, il nuovo istituto introdotto dal d.lgs. n. 28  del
2015 non prevede che l'imputato  «possa  dissentire  da  un'eventuale
sentenza  di  non  doversi  procedere  per   particolare   tenuita'»,
nonostante questa pronuncia  incida  negativamente  sulla  sua  sfera
giuridica, essendo  prevista,  ad  esempio,  la  sua  iscrizione  nel
casellario giudiziale; 
    che cio' comporta una lesione dell'onorabilita'  dell'imputato  e
gli impedisce, pur se innocente, di usufruire in un secondo  momento,
qualora dovesse  commettere  un  fatto  penalmente  rilevante,  della
declaratoria di non  punibilita'  per  la  particolare  tenuita'  del
fatto; 
    che ad avviso del giudice rimettente l'aspetto  problematico  del
nuovo  istituto  e'  la  «mancata  previsione  che  l'imputato  possa
esprimere al Giudice, in maniera vincolante, il proprio  dissenso  in
ordine alla definizione del giudizio con sentenza di improcedibilita'
per lieve entita', in maniera tale che, una  volta  manifestata  tale
volonta'  negativa,  debba  procedersi  all'accertamento  del  fatto,
dibattimentalmente (e solo all'esito, in mancanza di presupposti  per
l'assoluzione, procedere con la declaratoria di improcedibilita')»; 
    che la norma censurata violerebbe «il diritto alla  difesa  (art.
24 Cost.)», «il diritto ad un giusto processo» (art. 111 Cost.)», «il
diritto  a  non  essere  considerato  colpevole  fino  alla  sentenza
definitiva di condanna (cd. Presunzione di non colpevolezza - art. 27
Cost. e art. 48 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea)», «il diritto  alla  tutela  della  propria  onorabilita'  e
reputazione ([artt.] 2 e 3 Cost. ed art. 3 della  Carta  dei  diritti
fondamentali  dell'Unione  europea)»,  nonche'   il   «principio   di
ragionevolezza in quanto il Giudice irragionevolmente e' chiamato  ad
esprimere una valutazione in ordine  alla  gravita'  o  tenuita'  del
fatto  rimanendo  tuttavia  vincolato  in  maniera   esclusiva   alle
valutazioni espresse dal P.M. a seguito delle indagini preliminari»; 
    che nei tre giudizi e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili; 
    che la difesa dello Stato ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni sollevate, in primo luogo perche' «le  ordinanze  (gemelle)
di rimessione non specific[ano],  se  non  con  indicazione  numerica
dell'articolo di legge violato, quali siano i fatti per  i  quali  si
procede, ne'  circostanzi[ano]  la  ricorrenza  della  ipotesi  della
particolare tenuita' del fatto, tanto meno  indic[ano]  gli  elementi
che, nella fattispecie, porterebbero a ritenere la insussistenza  del
fatto o la non colpevolezza dell'imputato (ipotesi di proscioglimento
nel merito)»; 
    che un istituto analogo a quello introdotto dal d.lgs. n. 28  del
2015 era gia' previsto nel rito speciale davanti al giudice di  pace,
benche'  ancorato  a  presupposti  parzialmente  diversi  da   quelli
previsti dall'art. 131-bis cod. pen., tra  i  quali  appunto  la  non
opposizione dell'imputato e della persona offesa; 
    che il giudice rimettente, pertanto, avrebbe dovuto «valutare  la
specialita' della normativa  prevista  per  il  giudizio  innanzi  al
Giudice di Pace,  rispetto  a  quella  piu'  recentemente  introdotta
dall'art. 131-bis c.p.»; 
    che inoltre da tale specialita' potrebbe derivare la  conseguenza
che «la disciplina della cui legittimita' costituzionale si  sospetta
[non sia] applicabile al giudizio innanzi al Giudice di Pace». 
    Considerato che, con tre ordinanze del 7 maggio 2015 di  identico
contenuto (r.o. nn. 213, 214 e 215 del 2015), il Giudice di  pace  di
Matera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3,  24,  27  e  111
della Costituzione, e agli artt. 3  e  48  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza  il  7  dicembre
2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007  a  Strasburgo,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 131-bis del codice
penale e dell'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo  2015,  n.  28,
recante «Disposizioni in materia di non punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera  m),
della legge 28 aprile 2014, n. 67», «nella  parte  in  cui  manca  la
previsione che l'imputato possa esprimere al  Giudice,  e  questi  ne
debba tener conto in  maniera  vincolante,  il  proprio  dissenso  in
ordine alla definizione del processo con sentenza declaratoria di non
punibilita' per tenuita' del fatto; sentenza, da cui  scaturisce  per
dettato normativo la iscrizione nel casellario giudiziale»; 
    che le ordinanze  riguardano  tre  procedimenti  penali  relativi
rispettivamente: al reato di cui all'art. 582 cod. pen. (r.o. n.  213
del 2015); ai reati di cui agli artt. 594 e 612 cod.  pen.  (r.o.  n.
214 del 2015); ai reati di cui agli artt. 81, 612  e  582  cod.  pen.
(r.o. n. 215 del 2015); 
    che i  giudizi  conseguenti  alle  tre  ordinanze  di  rimessione
vertono sulle medesime disposizioni, sicche' ne appare  opportuna  la
riunione, ai fini di una decisione congiunta; 
    che la difesa dello Stato ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni sollevate, perche' «le ordinanze  (gemelle)  di  rimessione
non specific[ano], se non con indicazione numerica  dell'articolo  di
legge violato, quali siano i  fatti  per  i  quali  si  procede,  ne'
circostanzi[ano]  la  ricorrenza  della  ipotesi  della   particolare
tenuita' del fatto, tanto meno indic[ano]  gli  elementi  che,  nella
fattispecie, porterebbero a ritenere la insussistenza del fatto o  la
non  colpevolezza  dell'imputato  (ipotesi  di  proscioglimento   nel
merito)»; 
    che l'eccezione e' fondata; 
    che  le  tre  ordinanze  di  rimessione  non  contengono   alcuna
descrizione dei fatti oggetto dei giudizi a  quibus,  limitandosi  ad
indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedono  i  reati
contestati agli imputati, senza neppure riportare i relativi capi  di
imputazione; 
    che, secondo la  norma  censurata,  «la  punibilita'  e'  esclusa
quando, per le modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o
del pericolo, valutate  ai  sensi  dell'articolo  133,  primo  comma,
l'offesa e' di particolare tenuita' e il  comportamento  risulta  non
abituale»; 
    che dell'esistenza di questi elementi le ordinanze di  rimessione
non fanno cenno; 
    che, come  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  piu'  volte
precisato, l'omessa o  insufficiente  descrizione  della  fattispecie
preclude il necessario controllo in punto di  rilevanza  e  rende  la
questione manifestamente inammissibile (ex multis, ordinanze n.  237,
n. 196 e n. 55 del 2016, n. 162 del 2015); 
    che ad avviso della difesa dello  Stato  le  questioni  sarebbero
inammissibili anche perche' un istituto analogo a  quello  introdotto
dal d.lgs. n. 28 del 2015 era gia'  disciplinato  nel  rito  speciale
davanti  al  giudice  di  pace  (benche'   ancorato   a   presupposti
parzialmente diversi da quelli previsti dall'art. 131-bis cod.  pen.)
e  quindi  il  giudice  rimettente  avrebbe   dovuto   «valutare   la
specialita' della normativa  prevista  per  il  giudizio  innanzi  al
Giudice di Pace,  rispetto  a  quella  piu'  recentemente  introdotta
dall'art. 131-bis c.p.»; 
    che anche questa eccezione e' fondata; 
    che, infatti, l'art. 34 del decreto legislativo 28  agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo  14  della  legge  24  novembre  1999,  n.  468),
disciplina  l'ipotesi  di  esclusione  della  procedibilita'  per  la
"particolare tenuita' del fatto", stabilendo  che  «Il  fatto  e'  di
particolare  tenuita'  quando,   rispetto   all'interesse   tutelato,
l'esiguita' del danno o del pericolo che ne e' derivato,  nonche'  la
sua occasionalita' e il grado  della  colpevolezza  non  giustificano
l'esercizio dell'azione penale, tenuto conto altresi' del pregiudizio
che l'ulteriore corso del procedimento puo' recare alle  esigenze  di
lavoro, di studio, di famiglia o di salute della  persona  sottoposta
ad indagini o dell'imputato»; 
    che  il  legislatore  con  il  d.lgs.  n.  28  del  2015  ha  poi
introdotto, in termini generali, una causa di non punibilita' per  la
particolare tenuita' del fatto, strutturata diversamente; 
    che l'art. 131-bis cod. pen., introdotto con il d.lgs. n. 28  del
2015, come gia' rilevato da questa Corte con riferimento all'art.  1,
comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n.  67  (Deleghe  al
Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma  del
sistema sanzionatorio. Disposizioni in  materia  di  sospensione  del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili), costituisce «una disposizione sensibilmente diversa da
quella dell'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, perche' configura  la
"particolare tenuita' dell'offesa" come una causa di non punibilita',
invece che come una causa di non procedibilita', con una formulazione
che, tra l'altro, non fa riferimento  al  grado  della  colpevolezza,
all'occasionalita' del fatto (sostituita dalla "non  abitualita'  del
comportamento"), alla volonta' della  persona  offesa  e  alle  varie
esigenze dell'imputato» (sentenza n. 25 del 2015); 
    che il giudice rimettente  non  spiega  perche',  nei  giudizi  a
quibus,  dovrebbe  trovare  applicazione  la  nuova  causa   di   non
punibilita' prevista dall'art. 131-bis cod. pen.  e  non  l'istituto,
proprio  del  processo  davanti  al  giudice  di  pace,  disciplinato
dall'art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000; 
    che nella giurisprudenza della  Corte  di  cassazione  esiste  un
contrasto  sull'applicabilita'  della  causa   di   non   punibilita'
dell'art. 131-bis cod. pen. anche nei giudizi davanti al  giudice  di
pace (in senso negativo, quinta sezione, 15 settembre 2016, n. 47523;
quinta sezione, 15 settembre  2016,  n.  47518;  quinta  sezione,  14
luglio 2016, n. 45996;  in  senso  affermativo,  quarta  sezione,  19
aprile 2016, n. 40699); 
    che il giudice rimettente  non  ha  spiegato  per  quale  ragione
l'art. 131-bis  cod.  pen.  sarebbe  applicabile  anche  nei  giudizi
davanti al giudice di pace; 
    che quindi sotto questo aspetto e' riscontrabile  un  difetto  di
motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate  (ex  plurimis,
ordinanze n. 290 e n. 153 del 2016); 
    che in conclusione  le  questioni  proposte  sono  manifestamente
inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.