ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  49  della
legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni  in  materia  ambientale
per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso
eccessivo di risorse naturali), promosso dalla Regione Lombardia  con
ricorso notificato il 18 marzo 2016, depositato in cancelleria il  25
marzo 2016 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2017 il Giudice relatore
Daria de Pretis; 
    uditi  l'avvocato  Francesco  Saverio  Marini  per   la   Regione
Lombardia e l'avvocato dello Stato Giacomo Aiello per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 18 marzo  2016,  depositato  il  25
marzo 2016 e iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2016, la  Regione
Lombardia ha impugnato l'art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221
(Disposizioni in materia ambientale per promuovere  misure  di  green
economy  e  per  il  contenimento  dell'uso  eccessivo   di   risorse
naturali). Tale disposizione aggiunge il comma  3-bis  nell'art.  187
del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,  recante  «Norme  in
materia ambientale»  (in  prosieguo,  anche:  codice  dell'ambiente).
L'art. 187, comma 1, pone il divieto di «miscelare rifiuti pericolosi
aventi differenti caratteristiche  di  pericolosita'  ovvero  rifiuti
pericolosi  con  rifiuti  non  pericolosi»,  precisando   che   «[l]a
miscelazione comprende la  diluizione  di  sostanze  pericolose»;  il
comma 2 dispone che, «[i]n deroga al comma  1,  la  miscelazione  dei
rifiuti pericolosi che non presentino  la  stessa  caratteristica  di
pericolosita', tra loro o con altri rifiuti,  sostanze  o  materiali,
puo' essere autorizzata ai  sensi  degli  articoli  208,  209  e  211
[...]», a determinate condizioni di seguito elencate; il comma 3-bis,
aggiunto  con  la  disposizione  impugnata,   statuisce   che   «[l]e
miscelazioni non vietate  in  base  al  presente  articolo  non  sono
sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese
autorizzati ai sensi degli articoli  208,  209  e  211,  non  possono
essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse  od  ulteriori
rispetto a quelle previste per legge». 
    La  Regione  osserva  che  il  comma  3-bis   «"liberalizza"   le
miscelazioni non vietate (quindi quelle relative a rifiuti con uguali
caratteristiche di pericolosita' oppure non  pericolosi),  disponendo
anzi l'impossibilita' di sottoporre l'operazione  di  miscelazione  a
limitazioni in sede autorizzatoria».  Essa  ricorda  poi  l'art.  23,
paragrafo 1, della direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento  europeo  e
del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e  che  abroga
alcune direttive: «[g]li Stati membri impongono a  qualsiasi  ente  o
impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere
l'autorizzazione  dell'autorita'  competente.   Tali   autorizzazioni
precisano almeno quanto segue: a) i tipi e i quantitativi di  rifiuti
che possono essere  trattati;  b)  per  ciascun  tipo  di  operazione
autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al  sito
interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza  da  prendere;
d) il metodo da utilizzare per ciascun  tipo  di  operazione;  e)  le
operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;
f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi  ad  essa
successivi che si rivelano necessarie». La  ricorrente  richiama  poi
l'art. 24 della citata direttiva,  in  base  al  quale  «[g]li  Stati
membri  possono  dispensare  dall'obbligo  di  cui  all'articolo  23,
paragrafo 1, gli  enti  o  le  imprese  che  effettuano  le  seguenti
operazioni: a) smaltimento dei  propri  rifiuti  non  pericolosi  nei
luoghi di produzione; o b) recupero dei rifiuti». 
    La Regione rileva che «la miscelazione dei rifiuti e' l'unione di
diversi rifiuti aventi diverso CER, al fine  di  inviare  la  miscela
ottenuta ad un impianto di smaltimento o recupero». Essa «costituisce
una delle operazioni di smaltimento e  di  gestione  dei  rifiuti  e,
pertanto,    e'    disciplinata    all'interno    dell'autorizzazione
all'esercizio dell'impianto, con proprie prescrizioni». La ricorrente
afferma  che  tali  operazioni  sono  sottoposte  ad   autorizzazione
dall'art. 23 della direttiva n. 2008/98/CE e che, fino all'entrata in
vigore della norma impugnata, «le Regioni (o gli  enti  dalle  stesse
delegati), nell'emanare le autorizzazioni, potevano  stabilire  delle
condizioni  di  esercizio   "impianto   specifiche"   per   garantire
l'attuazione dei principi di precauzione, prevenzione, sostenibilita'
ai fini della protezione dell'ambiente e della salute umana,  secondo
quanto dispone l'art. 29 sexies, comma 9 del d. lgs. n. 152/06». 
    In attuazione di tale disposizione e  dell'art.  3-quinquies  del
d.lgs. n. 152  del  2006,  la  Regione  Lombardia  ricorda  di  avere
«adottato, con proprie deliberazioni,  degli  atti  generali  per  il
rilascio delle autorizzazioni di miscelazione  dei  rifiuti  (DGR  n.
8571/2008; DGR n. 3596/2012; DGR n. 127/2013), al dichiarato fine  di
garantire la tutela dell'ambiente,  della  salute  pubblica  e  della
sicurezza   dei   lavoratori,   considerato   che   la   miscelazione
indiscriminata puo' comportare rischi a causa di reazioni  impreviste
o di emanazioni di sostanze tossiche». 
    La ricorrente osserva poi che la  norma  censurata  incide  sulle
materie, di sua competenza, della «tutela della salute» e  «tutela  e
sicurezza  del  lavoro»,  comprimendo   l'autonomia   legislativa   e
amministrativa. Dunque, la Regione  sarebbe  legittimata  a  invocare
anche parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V,  «essendovi
una ridondanza sulle attribuzioni regionali». 
    2.- Avverso la disposizione impugnata  vengono  sollevate  cinque
questioni di costituzionalita'. 
    In primo  luogo,  la  ricorrente  lamenta  la  violazione  «degli
articoli 11 e 117, comma 1, della  Costituzione,  in  relazione  alla
Direttiva  2008/98/CE,  e  dell'art.  117,  commi   2   e   3   della
Costituzione». La norma statale  sottrarrebbe  all'autorizzazione  «e
alle prescrizioni ad essa connesse» alcune operazioni di miscelazione
di rifiuti (sopra indicate), che  invece  il  citato  art.  23  della
direttiva n. 2008/98/CE assoggetterebbe ad autorizzazione. 
    Nella  prospettiva  della  normativa  europea,  non  si  potrebbe
«prescindere   dalle   considerazioni   ed   eventuali   prescrizioni
specifiche per ciascun impianto, cosi' come non si  puo'  prescindere
dal monitoraggio». 
    La violazione della citata direttiva sarebbe  apprezzabile  anche
sotto altro profilo. L'art. 17  di  essa  dispone  che  «[g]li  Stati
membri adottano le misure  necessarie  affinche'  la  produzione,  la
raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il  trattamento  dei  rifiuti
pericolosi  siano  eseguiti  in  condizioni  tali  da  garantire   la
protezione dell'ambiente e della salute umana, al fine di ottemperare
le disposizioni di cui  all'articolo  13,  comprese  misure  volte  a
garantire la tracciabilita' dalla produzione alla destinazione finale
e il controllo  dei  rifiuti  pericolosi  al  fine  di  soddisfare  i
requisiti di cui agli articoli 35 e 36». Consentendo «la miscelazione
priva di autorizzazione e di controllo di rifiuti con  uguale  indice
di pericolosita'», l'impugnato art. 49 della legge n. 221 del 2015 ne
inibirebbe la tracciabilita', «posto che l'operazione di miscelazione
termina con l'unione di diversi rifiuti». La Regione ricorda  che  la
tracciabilita' dei rifiuti e' richiesta anche dall'art.  118-bis  del
d.lgs. n. 150 del 2006 (recte: art. 188-bis del  d.lgs.  n.  152  del
2006). 
    Contrastando con la direttiva, la norma impugnata violerebbe  gli
artt.  11  e  117,  primo  comma,  Cost.,   con   ridondanza   «sulle
attribuzioni regionali in tema di tutela dell'ambiente che fanno  si'
che la Regione possa e debba prevedere  livelli  di  tutela  adeguati
alle norme comunitarie,  attraverso  la  propria  legislazione  e  la
propria attivita' amministrativa» (art. 117, secondo e  terzo  comma,
Cost.). 
    In secondo luogo, la Regione  lamenta  la  «violazione  dell'art.
117, comma 2 e comma 3, perche' [la norma impugnata] non consente  di
garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale della  Regione  ai
sensi dell'art. 3-quinquies comma 2 del d.lgs. n. 152/06, e  inibisce
la tracciabilita' dei rifiuti». 
    La violazione della direttiva  europea  si  rifletterebbe  «sulle
attribuzioni regionali in materia di ambiente che, pur se oggetto  di
legislazione esclusiva, vedono l'intervento regionale  quale  garante
di livelli di tutela ulteriori, al  fine  di  disciplinare  nel  modo
migliore gli oggetti delle loro competenze (Corte cost. n. 61/2009  -
303/2013 citate)».  La  norma  impugnata  impedirebbe  «alla  Regione
l'esercizio di questa attivita' di garanzia ad  ulteriore  protezione
dell'ambiente,  liberalizzando  un'attivita'  che  e'  potenzialmente
dannosa per l'ambiente, se non contenuta in  limiti,  prescrizioni  e
controlli che solo l'autorizzazione puo' garantire» (viene citata  la
sentenza n. 149 del 2015), in conformita' all'art. 23 della direttiva
n. 2008/98/CE e agli artt. 3-quinquies, comma 2, e 208 del d.lgs.  n.
152 del 2006 e con riferimento alle «condizioni specifiche dei siti e
degli impianti». 
    Ne' potrebbe «porsi in dubbio che le operazioni  di  miscelazione
rientrino nella categoria del trattamento rifiuti»: a  tal  proposito
la ricorrente richiama le linee guida della Commissione  europea  per
l'attuazione della direttiva  n.  2008/98/CE  e  l'Allegato  I  della
stessa direttiva. 
    Anche la violazione del principio della tracciabilita' inibirebbe
«la realizzazione delle funzioni di garanzia di  elevati  livelli  di
tutela ambientale, in  termini  di  prevenzione  e  trasparenza».  La
sottrazione alle autorizzazioni di alcune operazioni di  miscelazione
comporterebbe «la pratica  perdita  delle  tracce  di  una  serie  di
rifiuti che, mescolati, danno origine ad un nuovo rifiuto». 
    In terzo luogo, la ricorrente denuncia la  «violazione  dell'art.
117, comma 3, in relazione alla potesta' legislativa  concorrente  in
materia di tutela della salute e sicurezza del lavoro». 
    La miscelazione, «priva di prescrizioni  "impianto  specifiche"»,
potrebbe comportare «rischi per la salute pubblica e la sicurezza dei
lavoratori a causa di reazioni impreviste o  emanazione  di  sostanze
tossiche»: in tal senso la norma statale violerebbe l'art. 117, terzo
comma,  Cost.,  che  riconosce  la  potesta'  legislativa   regionale
concorrente nelle materie della «tutela della salute» e della «tutela
e sicurezza del lavoro». 
    Nell'esercizio delle loro competenze, «intrecciate con la materia
dell'ambiente», alle Regioni sarebbe «consentito legiferare  -  oltre
che esercitare le proprie funzioni amministrative - purche' in melius
rispetto alla tutela ambientale» (sono richiamate le  sentenze  della
Corte costituzionale n. 407 del 2002 e n. 278, n. 116 e  n.  106  del
2012). 
    La norma statale sarebbe dettagliata e impedirebbe alle autorita'
competenti di vietare la miscelazione dei rifiuti. 
    In quarto luogo, la Regione lamenta la «violazione dell'art.  118
Cost., in relazione alla  lesione  del  principio  di  sussidiarieta'
nell'esercizio delle funzioni amministrative da parte delle Autorita'
competenti  e  per  contrasto  con   l'ordinato   svolgimento   delle
attribuzioni regionali». 
    La ricorrente rileva che «[l]e funzioni amministrative regionali,
anche ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. n. 152/06,  ricomprendono  le
autorizzazioni allo smaltimento dei rifiuti» ed hanno come  corollari
«la possibilita' di introdurre  misure  di  tutela  in  melius  e  di
graduare le prescrizioni in considerazione delle  specificita'  degli
impianti e dei siti». La norma impugnata violerebbe  il  primo  e  il
secondo comma dell'art. 118 Cost.,  «dal  momento  che  sottrae  alle
Regioni [...] la stessa possibilita' di  emanare  autorizzazioni  per
alcune operazioni di smaltimento rifiuti». 
    La Regione ricorda che con alcune delibere della Giunta regionale
«ha inteso  disciplinare  le  modalita'  autorizzative  e  gestionali
dell'operazioni  di  miscelazione  rifiuti,  sia   quella   ricadente
nell'ambito del comma 2 (miscelazione  in  deroga),  sia  quella  non
vietata».  Tali  delibere  dovrebbero   essere   disapplicate   dalle
autorita'  competenti,  in  virtu'  della  norma  impugnata,  con  la
conseguenza  che  «le  operazioni  di  miscelazione  rifiuti  saranno
effettuate da soggetti privi di autorizzazione e  dunque  in  maniera
indiscriminata, senza tracciabilita' e senza controlli». 
    Il  contrasto  «con   l'ordinato   svolgimento   delle   funzioni
amministrative regionali» sarebbe apprezzabile anche sotto il profilo
dell'incertezza della situazione giuridica che si  determina  per  la
mancanza di autorizzazione regionale, in difformita' sia dal  diritto
europeo che dall'art. 178 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    L'art. 49 della  legge  n.  221  del  2015  violerebbe  anche  il
principio di leale  collaborazione,  «ostacolando  l'esercizio  delle
potesta' regionali e invadendone le competenze». 
    In quinto luogo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 97
Cost. L'incertezza nelle situazioni giuridiche  causata  dalla  norma
impugnata, che lascerebbe «all'iniziativa individuale di stabilire le
modalita' di smaltimento rifiuti», comporterebbe  la  violazione  del
principio di buon andamento della  pubblica  amministrazione  di  cui
all'art. 97 Cost., «sotto il profilo della  certezza  del  diritto  e
della chiarezza normativa» (viene richiamata la sentenza n.  364  del
2010). La mancanza di  chiarezza  potrebbe  «determinare  un  cattivo
esercizio  delle  funzioni  affidate   alla   cura   della   pubblica
amministrazione». 
    3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  si  e'  costituito  in
giudizio con atto depositato il 27 aprile 2016. 
    In esso osserva che la direttiva n. 2008/98/CE  si  occupa  della
miscelazione dei rifiuti nell'art. 18,  che  sarebbe  stato  recepito
dall'art. 187, commi 1 e 2, del d.lgs n. 152  del  2006.  L'impugnato
comma 3-bis dello stesso art. 187 consentirebbe le  miscelazioni  non
vietate  ai  sensi  del  comma  1,  cioe'  quelle  «tra  rifiuti  non
pericolosi  o  tra  rifiuti  non  pericolosi  ed  altri  materiali  o
sostanze», che sarebbero «consentite a livello europeo», fatto  salvo
quanto previsto dall'art.  10,  paragrafo  2,  della  direttiva  (cui
corrisponde l'art. 181, comma 4, del d.lgs.  n.  152  del  2006),  in
materia di raccolta differenziata a fini di recupero dei rifiuti. 
    La difesa statale osserva che «sulla base della vigente normativa
comunitaria e nazionale  la  miscelazione  costituisce  attivita'  di
gestione  dei  rifiuti  e  deve   essere   disciplinata   nell'ambito
dell'autorizzazione  all'esercizio  dell'impianto»;  essa  e'  dunque
soggetta «alle specifiche prescrizioni e condizioni  riportate  negli
atti autorizzativi di cui agli artt. 208, 209 e 211»  del  d.lgs.  n.
152 del  2006.  La  stessa  norma  impugnata  chiarisce  che  intende
escludere solo le  limitazioni  «"diverse  o  ulteriori"  rispetto  a
quelle previste per legge», il che  garantirebbe  il  rispetto  della
normativa europea e del codice dell'ambiente. 
    Inoltre, il principio di tracciabilita' di cui all'art. 17  della
direttiva si applicherebbe solo ai rifiuti pericolosi, ma  in  ambito
nazionale avrebbe piu' ampia applicazione, date le procedure previste
dagli artt. 189, 190 e 193 del codice dell'ambiente per i rifiuti non
pericolosi. 
    Dunque, sarebbe infondata la censura di violazione dell'art. 117,
primo comma, Cost. 
    Quanto alle altre censure, l'Avvocatura rileva  che,  secondo  la
giurisprudenza costituzionale (si cita la sentenza n. 61  del  2009),
la  materia   dei   rifiuti   rientra   in   quella   della   «tutela
dell'ambiente», di competenza esclusiva statale  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.  La  legislazione  regionale
potrebbe «determinare una maggiore salvaguardia  ambientale  solo  in
via mediata ed attuativa,  regolando  oggetti  che  afferiscono  alle
materie di propria competenza, concorrente e residuale». 
    Il motivo basato sulla lesione del potere  regionale  di  fissare
livelli piu' elevati di tutela  dell'ambiente  sarebbe  inammissibile
per carenza di interesse a ricorrere, in quanto  la  Regione  farebbe
riferimento ad atti generali, recanti linee  guida  per  le  province
lombarde, mentre la competenza regionale  in  tale  materia  dovrebbe
esplicarsi attraverso atti legislativi. 
    Il legislatore statale avrebbe esercitato la  propria  competenza
esclusiva, dettando comunque una norma che «non sembra avere innovato
nulla in materia di autorizzazioni»,  avendo  solo  ribadito  che  le
miscelazioni  non  vietate   non   possono   essere   sottoposte   ad
autorizzazioni. 
    La norma  impugnata  sarebbe  volta  «ad  assicurare  una  tutela
dell'ambiente omogenea su tutto il territorio  nazionale,  nonche'  a
risolvere le questioni interpretative in materia sorte nel tempo» (si
cita il documento della Conferenza delle  Regioni  e  delle  Province
autonome 22 novembre 2012, n. 12/165/CR8C/C5). 
    In particolare, l'impugnato art. 49 della legge n. 221  del  2015
avrebbe lo  scopo  di  «eliminare  ogni  possibile  profilo  di  gold
plating, consistente [...] nell'introduzione o  nel  mantenimento  di
livelli di regolazione superiori  a  quelli  minimi  richiesti  dalle
direttive europee, con riferimento ai  requisiti  standard,  oneri  o
obblighi a carico degli operatori,  con  i  conseguenti  riflessi  di
carattere finanziario, non strettamente  necessari  per  l'attuazione
delle direttive medesime». Si tratterebbe dunque di  una  «misura  di
parziale liberalizzazione», riconducibile «alla materia della  tutela
della concorrenza», di competenza esclusiva statale. 
    Secondo l'Avvocatura, qualora accanto agli  interessi  ambientali
ne  vengano  in  rilievo  altri,  riguardanti  settori  diversi,  gli
standard di tutela  ambientale  vanno  intesi  anche  come  «principi
fondamentali  nella  materia  oggetto  sulla  quale  si  interviene»,
soprattutto quando tali  standard  «rappresentano  il  risultato  del
bilanciamento operato dal legislatore statale tra  gli  interessi  di
tutela  ambientale  e  quelli  del  settore   di   volta   in   volta
considerato». In tali casi, questi standard sono  vincolanti  per  il
legislatore regionale, «che non puo' modificarli ne' in melius ne' in
pejus (Cfr C. Cost. 307/2003)». 
    La difesa statale poi ricorda che, a partire dal 2007,  la  Corte
costituzionale ha considerato la tutela dell'ambiente non  solo  come
un fine da perseguire "trasversalmente" alle materie regionali «ma  a
sua volta come una  materia  oggetto»:  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost. varrebbe dunque come titolo di  legittimazione  nel
settore della gestione dei rifiuti. 
    Anche la violazione dell'art. 118  Cost.  sarebbe  insussistente,
perche' un'attivita' non vietata non potrebbe  essere  sottoposta  ad
autorizzazione. 
    Infine, la difesa dello Stato nega  la  violazione  dell'art.  97
Cost., in quanto la norma impugnata non ingenera  confusione  ma,  al
contrario, «ripristina  un  adeguato  livello  di  certezza  tra  gli
operatori del settore [...] chiarendo una volta per tutte quali  sono
gli ambiti di attivita'  subordinati  al  rilascio  della  preventiva
autorizzazione». 
    4.- Sia l'Avvocatura dello Stato che la Regione  Lombardia  hanno
depositato memorie integrative in data 28 febbraio 2017. 
    La difesa dello Stato solleva, in primo luogo, con riguardo  alle
questioni riferite agli artt. 11,  97  e  117,  primo  comma,  Cost.,
un'eccezione  di  inammissibilita'  del  ricorso   per   difetto   di
motivazione  sulla  "ridondanza"  della   violazione   sull'autonomia
amministrativa  regionale.  La  Regione  non  indicherebbe   ne'   le
specifiche  funzioni  amministrative   lese   ne'   il   loro   rango
costituzionale,  mancando  nel   ricorso   la   dimostrazione   della
necessaria titolarita' regionale della  funzione  autorizzatoria,  in
base al principio di sussidiarieta'. 
    In secondo luogo, l'Avvocatura  nega  l'esistenza  di  competenze
legislative   regionali   che   potrebbero   essere    «anche    solo
astrattamente»  incise  dalla  norma  impugnata.  Secondo  la  difesa
statale, le regioni non avrebbero competenza in  materia  ambientale,
potendo dettare livelli di tutela piu' elevati solo nell'esercizio di
proprie competenze relative ad altre materie.  Inoltre,  non  sarebbe
corretto invocare la materia «tutela e sicurezza del lavoro»  perche'
essa atterrebbe «alla disciplina di istituti  riferibili  alla  sfera
delle politiche attive del lavoro». Infine, l'Avvocatura richiama  un
filone giurisprudenziale secondo il  quale  la  tutela  dell'ambiente
sarebbe una «materia-oggetto», che puo' essere  disciplinata  in  via
esclusiva dal legislatore statale. La miscelazione dei  rifiuti,  «in
quanto volta ad evitare "frodi" nella gestione degli stessi,  tramite
la diluizione di sostanze pericolose in  sostanze  meno  pericolose»,
rientrerebbe appunto in tale materia. 
    Dal canto suo,  la  Regione  Lombardia  ribadisce  che  la  norma
impugnata "liberalizza" anche la miscelazione fra rifiuti  aventi  lo
stesso  indice  di  pericolosita'  e  aggiunge  che  la  mancanza  di
autorizzazione  renderebbe  non  controllabili   le   operazioni   di
miscelazione anche ai fini degli adempimenti  previsti  «dagli  artt.
189 (catasto dei rifiuti), 190 (registri di carico e scarico)  e  193
(trasporto rifiuti)» del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Inoltre, la Regione nega che la norma impugnata sia riconducibile
alla  «tutela  della  concorrenza»  e  osserva  che,  comunque,  essa
«tutelerebbe la concorrenza  a  scapito  dei  livelli  di  protezione
dell'ambiente  ritenuti  dalla  stessa  UE  essenziali».  La  Regione
afferma di non voler introdurre un livello di  regolazione  superiore
agli standard europei ma auspica  che  la  miscelazione  dei  rifiuti
«venga  trattata  come  qualsiasi  altra  operazione  di  trattamento
rifiuti», in modo da «consentire all'Autorita'  competente  di  avere
contezza delle operazioni che vengono effettuate negli impianti». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione Lombardia ha impugnato l'art. 49  della  legge  28
dicembre  2015,  n.  221  (Disposizioni  in  materia  ambientale  per
promuovere misure di green economy e  per  il  contenimento  dell'uso
eccessivo di risorse naturali). Tale disposizione aggiunge  il  comma
3-bis nell'art. 187 del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152,
recante «Norme in materia ambientale» (in  prosieguo,  anche:  codice
dell'ambiente). L'art. 187, comma 1, pone il  divieto  di  «miscelare
rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosita'
ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non  pericolosi»;  il  comma  2
dispone che, «[i]n deroga al comma 1,  la  miscelazione  dei  rifiuti
pericolosi  che  non   presentino   la   stessa   caratteristica   di
pericolosita', tra loro o con altri rifiuti,  sostanze  o  materiali,
puo' essere autorizzata ai  sensi  degli  articoli  208,  209  e  211
[...]», a determinate condizioni di seguito elencate; il comma 3-bis,
aggiunto  con  la  disposizione  impugnata,   statuisce   che   «[l]e
miscelazioni non vietate  in  base  al  presente  articolo  non  sono
sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese
autorizzati ai sensi degli articoli  208,  209  e  211,  non  possono
essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse  od  ulteriori
rispetto a quelle previste per legge». 
    Avverso  quest'ultima  disposizione  la  Regione  avanza   cinque
censure. In primo luogo, la ricorrente lamenta la  violazione  «degli
articoli 11 e 117, comma 1, della  Costituzione,  in  relazione  alla
Direttiva  2008/98/CE,  e  dell'art.  117,  commi   2   e   3   della
Costituzione». La norma statale  sottrarrebbe  all'autorizzazione  «e
alle prescrizioni ad essa connesse» la miscelazione  di  rifiuti  con
uguali caratteristiche di pericolosita'  e  quella  fra  rifiuti  non
pericolosi,  che  invece  sarebbe  assoggettata   ad   autorizzazione
dall'art.  23,  paragrafo  1,  della  direttiva  n.  2008/98/CE   del
Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008  relativa  ai
rifiuti e che abroga alcune direttive. Infatti, la  miscelazione  dei
rifiuti rientrerebbe nel genus del «trattamento» dei  rifiuti  e,  in
base all'art. 23, paragrafo 1, della citata direttiva,  «[g]li  Stati
membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il
trattamento dei rifiuti di ottenere  l'autorizzazione  dell'autorita'
competente». 
    La norma impugnata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  17  della
direttiva, che sancisce il principio di  tracciabilita'  dei  rifiuti
pericolosi. Consentendo «la miscelazione priva di autorizzazione e di
controllo di rifiuti con uguale indice di pericolosita'», l'impugnato
art. 49 della legge n. 221 del 2015 ne inibirebbe la  tracciabilita',
«posto che l'operazione  di  miscelazione  termina  con  l'unione  di
diversi rifiuti». 
    In secondo luogo, la Regione  lamenta  la  «violazione  dell'art.
117, comma 2 e comma 3, perche' [la norma impugnata] non consente  di
garantire i livelli ulteriori di tutela ambientale della  Regione  ai
sensi dell'art. 3-quinquies comma 2 del d.lgs. n. 152/06, e  inibisce
la tracciabilita' dei rifiuti». L'art. 49 della legge n. 221 del 2015
impedirebbe alle regioni di fissare livelli di tutela ulteriori,  «al
fine di  disciplinare  nel  modo  migliore  gli  oggetti  delle  loro
competenze», liberalizzando un'attivita' potenzialmente  dannosa  per
l'ambiente, «se non contenuta in limiti, prescrizioni e controlli che
solo  l'autorizzazione  puo'   garantire»,   con   riferimento   alle
«condizioni specifiche dei siti e degli impianti». 
    In terzo luogo, la ricorrente denuncia la  «violazione  dell'art.
117, comma 3, in relazione alla potesta' legislativa  concorrente  in
materia  di  tutela  della  salute  e  sicurezza  del   lavoro».   La
miscelazione, «priva di prescrizioni "impianto specifiche"», potrebbe
comportare  «rischi  per  la  salute  pubblica  e  la  sicurezza  dei
lavoratori a causa di reazioni impreviste o  emanazione  di  sostanze
tossiche». Nell'esercizio delle loro competenze, «intrecciate con  la
materia dell'ambiente», alle regioni sarebbe «consentito legiferare -
oltre che esercitare le proprie funzioni amministrative - purche'  in
melius rispetto alla tutela ambientale».  La  norma  statale  sarebbe
dettagliata e impedirebbe alle autorita'  competenti  di  vietare  la
miscelazione dei rifiuti. 
    In quarto luogo, la Regione lamenta la «violazione dell'art.  118
Cost., in relazione alla  lesione  del  principio  di  sussidiarieta'
nell'esercizio delle funzioni amministrative da parte delle Autorita'
competenti  e  per  contrasto  con   l'ordinato   svolgimento   delle
attribuzioni regionali». La norma impugnata violerebbe il primo e  il
secondo comma dell'art. 118 Cost.,  «dal  momento  che  sottrae  alle
Regioni [...] la stessa possibilita' di  emanare  autorizzazioni  per
alcune operazioni di smaltimento rifiuti». 
    In quinto luogo, la Regione lamenta la  violazione  dell'art.  97
Cost. L'incertezza nelle situazioni giuridiche  causata  dalla  norma
impugnata, che lascerebbe «all'iniziativa individuale di stabilire le
modalita' di smaltimento rifiuti», comporterebbe  la  violazione  del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione, «sotto il
profilo della certezza del diritto e della chiarezza normativa». 
    2.- L'esame della prima questione richiede di affrontare, innanzi
tutto, l'eccezione di inammissibilita' sollevata dal resistente nella
memoria integrativa. La  difesa  statale  afferma  che  la  questione
relativa all'art.  117,  primo  comma,  Cost.  e'  inammissibile  per
insufficiente motivazione sulla ridondanza del vizio sulle competenze
costituzionali della Regione. 
    L'eccezione e' infondata.  La  Regione  argomenta  specificamente
l'incidenza  della   norma   impugnata   sulle   proprie   competenze
costituzionali, affermando, da un lato,  che  essa  comprime  il  suo
potere di fissare livelli di tutela ambientale piu' elevati di quelli
statali, nell'esercizio delle  competenze  regionali  in  materia  di
«tutela della salute» e «tutela e sicurezza del lavoro», e  impedisce
il pieno esercizio di esse (art. 117, terzo comma, Cost.); dall'altro
lato, che l'art. 49 della legge n. 221  del  2015  lede  le  funzioni
amministrative regionali (art. 118 Cost.), escludendo la possibilita'
per le regioni di sottoporre ad autorizzazione alcune  operazioni  di
smaltimento di rifiuti. Del resto, come detto, il ricorso non lamenta
solo la violazione dei parametri esterni al Titolo V,  ma  anche,  in
tre distinti punti, la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.,  e  le
argomentazioni  svolte  in  tali  motivi  si  aggiungono   a   quelle
specificamente  dedicate  alla  ridondanza  al  fine  di   illustrare
l'incidenza della norma  impugnata  sulle  competenze  costituzionali
della Regione. Infatti, nel secondo e quarto motivo la Regione indica
la funzione amministrativa che ne sarebbe pregiudicata e la norma che
la prevede (art. 208 del d.lgs. n. 152 del 2006)  e  afferma  la  sua
derivazione dal principio di sussidiarieta'. 
    Quanto  all'affermazione  della  «totale  insussistenza  di   una
competenza legislativa  regionale  anche  solo  astrattamente  incisa
dalla  disciplina  in  esame»,  si  puo'  osservare  che,   anche   a
prescindere  dalla   sufficienza   della   prospettazione   ai   fini
dell'ammissibilita' della questione (in generale, sentenze n. 64  del
2012 e n. 298 del 2009; con riferimento alla ridondanza, sentenze  n.
287 del 2016 e n. 220 del 2013),  il  nesso  fra  la  disciplina  dei
rifiuti e la tutela della salute e'  evidente,  come  si  vedra'  nel
punto seguente. La difesa dello Stato  evoca  inoltre  la  competenza
esclusiva dello  Stato  per  la  disciplina  della  miscelazione  dei
rifiuti evidenziando che essa ha finalita' di «tutela dell'ambiente»,
in quanto «volta ad evitare  "frodi"  nella  gestione  degli  stessi,
tramite  la  diluizione  di  sostanze  pericolose  in  sostanze  meno
pericolose», ma non considera che la norma impugnata sfugge a  quella
ratio, avendo lo scopo  di  eliminare  i  controlli  per  determinate
miscelazioni di rifiuti. 
    In conclusione, poiche' la  Regione  argomenta  la  ripercussione
della norma impugnata su proprie specifiche competenze legislative  e
amministrative  di  rango  costituzionale,   la   motivazione   sulla
ridondanza risulta sufficiente. 
    3.- Nel merito, la prima questione e' fondata. 
    L'art. 23 della citata direttiva  n.  2008/98/CE  dispone  quanto
segue: «[g]li Stati membri impongono a qualsiasi ente o  impresa  che
intende  effettuare  il   trattamento   dei   rifiuti   di   ottenere
l'autorizzazione  dell'autorita'  competente.   Tali   autorizzazioni
precisano almeno quanto segue: a) i tipi e i quantitativi di  rifiuti
che possono essere  trattati;  b)  per  ciascun  tipo  di  operazione
autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al  sito
interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza  da  prendere;
d) il metodo da utilizzare per ciascun  tipo  di  operazione;  e)  le
operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie;
f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi  ad  essa
successivi che si rivelano necessarie». 
    In  base  all'art.  3,   numero   14),   della   direttiva,   per
«trattamento» si intendono le «operazioni di recupero o  smaltimento,
inclusa la preparazione prima  del  recupero  o  dello  smaltimento».
L'art. 3, numero 15), definisce il concetto di  «recupero»  e  rinvia
all'elenco di cui all'Allegato II. L'art. 3, numero 19), a sua volta,
definisce il concetto di «smaltimento» e  rinvia  all'elenco  di  cui
all'Allegato I della direttiva. Questo comprende fra  le  «Operazioni
di smaltimento», al punto  D13,  il  «Blending  or  mixing  prior  to
submission to any of the operations numbered  D1  to  D12»,  tradotto
nella versione italiana come «Raggruppamento preliminare prima di una
delle operazioni indicate da D1 a D12». L'Allegato II  comprende  fra
le «Operazioni di recupero», al punto R12,  una  voce  analoga,  alla
quale puo' essere ricondotta la miscelazione dei rifiuti. 
    Dalle  Linee  guida  sull'interpretazione  della   direttiva   n.
2008/98/CE risulta che «[l]a miscelazione dei rifiuti e' una  pratica
comune nell'UE ed e'  riconosciuta  come  operazione  di  trattamento
dagli Allegati I e II della  Direttiva  quadro  sui  rifiuti»  (punto
5.1). 
    Il fatto che la miscelazione dei rifiuti rientri nel concetto  di
«trattamento» e' confermato anche da due fonti interne: da  un  lato,
l'art. 2, comma 1, lettera h), del  decreto  legislativo  13  gennaio
2003, n. 36 (Attuazione  della  direttiva  1999/31/CE  relativa  alle
discariche di rifiuti),  definisce  come  «trattamento»  «i  processi
fisici, termici,  chimici  o  biologici,  incluse  le  operazioni  di
cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di
ridurne  il  volume  o  la  natura  pericolosa,  di  facilitarne   il
trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento  in
condizioni di sicurezza»; dall'altro  lato,  l'Allegato  VIII,  punto
5.1, alla parte seconda del d.  lgs.  n.  152  del  2006  (richiamato
dall'art. 6, comma 13, dello stesso codice  dell'ambiente)  comprende
(alla lettera c) fra le  operazioni  di  smaltimento  o  recupero  il
«dosaggio o miscelatura  prima  di  una  delle  altre  attivita'»  di
smaltimento o recupero. 
    In  base  alla  direttiva   n.   2008/98/CE,   dunque,   esistono
miscelazioni vietate (art. 18,  paragrafo  1),  ma  autorizzabili  in
deroga (art. 18, paragrafo 2), e miscelazioni  non  vietate  (non  in
deroga), ma comunque soggette ad autorizzazione in quanto  rientranti
tra le operazioni di trattamento dei rifiuti (art. 23). Nel suo  atto
di costituzione, la stessa Avvocatura generale  dello  Stato  osserva
che  «sulla  base  della  vigente  normativa  comunitaria  [...]   la
miscelazione costituisce attivita' di gestione  dei  rifiuti  e  deve
essere  disciplinata  nell'ambito  dell'autorizzazione  all'esercizio
dell'impianto». 
    Prima dell'entrata in vigore  della  disposizione  impugnata,  il
diritto interno era conforme alla normativa europea  (si  vedano  gli
artt. 187 e 208 del d.lgs. n. 152 del 2006). L'art. 49 della legge n.
221 del 2015, invece,  liberalizzando  le  miscelazioni  non  vietate
dall'art. 187, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, cioe'  sottraendo
ad autorizzazione la miscelazione di  rifiuti  pericolosi  aventi  le
stesse caratteristiche di  pericolosita'  (elencate  nell'Allegato  I
alla Parte IV del codice dell'ambiente)  e  quella  fra  rifiuti  non
pericolosi, si pone in contrasto con l'art. 23,  paragrafo  1,  della
direttiva. 
    D'altro canto e' escluso che  il  fondamento  della  disposizione
impugnata si possa rinvenire nell'art. 24 della direttiva, in base al
quale «[g]li Stati membri  possono  dispensare  dall'obbligo  di  cui
all'articolo 23, paragrafo 1, gli enti o le imprese che effettuano le
seguenti operazioni: a) smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi
nei luoghi di produzione; o b)  recupero  dei  rifiuti».  Le  deroghe
previste dall'art. 24 sono  soggette  invero  a  una  disciplina  ben
precisa (si vedano gli artt. 25 e 26 della direttiva e gli artt. 214,
215 e 216 del codice dell'ambiente), ne' l'art. 49 della legge n. 221
del 2015 intende creare una "procedura semplificata" ai  sensi  degli
artt. 24, 25 e  26  della  direttiva,  ma  semplicemente  elimina  la
procedura autorizzatoria esistente. 
    Nel caso di  specie  la  violazione  dell'art.  23  della  citata
direttiva si  traduce  in  una  lesione  indiretta  delle  competenze
costituzionali  regionali.  Il   collegamento   fra   la   disciplina
ambientale, e in particolare quella dei rifiuti, e  la  tutela  della
salute e' pacifico, risultando dalla giurisprudenza di  questa  Corte
(sentenze n. 58 del 2015, n. 244 del 2012, n. 373 del 2010,  n.  249,
n. 225 e n. 61 del 2009, n. 62 del 2008), dalla direttiva  2008/98/CE
(si vedano il preambolo e, in particolare, gli artt. 1, 12, 13 e  17)
e dal codice dell'ambiente (si vedano, in particolare, gli artt. 177,
179, 182-bis, 191  e  208,  comma  1).  Tale  collegamento  e'  stato
affermato anche  con  specifico  riferimento  alla  miscelazione  dei
rifiuti, come risulta dal punto 43  del  preambolo  e  dall'art.  18,
paragrafo 2, lettera  b),  della  direttiva  n.  2008/98/CE,  nonche'
dall'art. 187, comma 2, del codice dell'ambiente. Si deve  concludere
dunque che la norma statale impugnata e'  idonea  a  condizionare  la
competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute  e
in concreto, per quanto riguarda segnatamente il caso in esame, rende
parzialmente  inapplicabile  la  disciplina  adottata  dalla  Regione
Lombardia al fine di regolare le miscelazioni dei rifiuti,  ossia  il
decreto della Giunta regionale 6 giugno 2012, n. 3596, e  il  decreto
del Dirigente della Struttura autorizzazioni e innovazione in materia
di rifiuti 4 marzo 2014, n. 1795. 
    A cio' si aggiunga che alla funzione autorizzatoria delle regioni
in materia di trattamento dei rifiuti, il cui esercizio  risulta  ora
escluso  dalla  norma   impugnata   per   certe   fattispecie,   deve
riconoscersi rango costituzionale, giacche' l'art. 208 del d.lgs.  n.
152 del 2006, che attribuisce alle regioni tale funzione, applica  il
principio di sussidiarieta' di cui all'art. 118, primo comma,  Cost.,
specificamente  ribadito  per   la   materia   ambientale   dall'art.
3-quinquies, comma 3, del codice dell'ambiente. La  violazione  della
direttiva   determina,   dunque,   anche   la    lesione    indiretta
dell'autonomia  amministrativa  costituzionalmente   garantita   alla
Regione. 
    Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
49 della legge n. 221 del 2015, per violazione degli artt. 117, primo
e terzo comma, e 118, primo comma, Cost. 
    4.- L'accoglimento della prima questione  promossa  nel  ricorso,
sotto il profilo della violazione dell'art.  23  della  direttiva  n.
2008/98/CE, consente l'assorbimento delle altre questioni.