ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
680, 681 e 682,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita'  2016)»,  promossi  dalla  Provincia
autonoma di Bolzano, dalle Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia
Giulia,  dalla  Regione  siciliana,  dalla  Regione  Veneto  e  dalla
Provincia autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 26 febbraio-7
marzo 2016 (ricorso della  Provincia  autonoma  di  Bolzano),  il  29
febbraio-7 marzo 2016 (ricorso della regione autonoma  Sardegna),  il
27-29 febbraio 2016 (ricorso della Regione Veneto) e il  29  febbraio
2016 (ricorsi della Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  della
Regione siciliana e della Provincia autonoma di  Trento),  depositati
in cancelleria il 4 marzo 2016 (ricorso della Provincia  autonoma  di
Bolzano),  il  7  marzo  2016   (ricorsi   delle   Regioni   autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna),  l'8  marzo  2016  (ricorsi  della
Regione siciliana e della Regione Veneto) e il 10 marzo 2016 (ricorso
della Provincia autonoma di Trento) e rispettivamente iscritti ai nn.
10, 13, 14, 15, 17 e 20 del registro ricorsi 2016. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2017 il Giudice relatore
Nicolo' Zanon; 
    uditi  gli  avvocati  Renate  von  Guggenberg  per  la  Provincia
autonoma  di  Bolzano,  Massimo  Luciani  per  la  Regione   autonoma
Sardegna, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma  Friuli-Venezia
Giulia, Antonio Lazzara per la Regione  siciliana,  Luca  Antonini  e
Andrea Manzi per la Regione  Veneto,  Giandomenico  Falcon  e  Andrea
Manzi per la Provincia autonoma di Trento, e l'avvocato  dello  Stato
Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso  notificato  il
26 febbraio-7 marzo 2016 e depositato il 4 marzo 2016 (reg.  ric.  n.
10 del 2016), ha impugnato, tra  gli  altri,  l'art.  1,  comma  680,
quarto periodo,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)». 
    1.1.- La ricorrente, in via generale, premette che  la  legge  n.
208 del 2015, composta di  un  solo  articolo,  detta  una  serie  di
disposizioni riferite direttamente alle Regioni a statuto speciale  e
alle Province autonome di Trento e di Bolzano o comunque  riferibili,
direttamente o indirettamente, alle stesse. Tuttavia, mentre parte di
queste disposizioni  sarebbero  state  concordate  con  la  Provincia
autonoma di Bolzano, secondo il procedimento delineato dall'art.  104
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto  Adige),  altre,  invece,   sarebbero   state   dettate
unilateralmente, senza la prescritta intesa tra  il  Governo  e,  per
quanto di rispettiva competenza, la  Regione  autonoma  Trentino-Alto
Adige e le due Province autonome. 
    Ricorda, ancora, la ricorrente che il comma 992 dell'art. 1 della
legge n. 208 del 2015 contiene una generale clausola di salvaguardia,
in base alla quale  «[l]e  disposizioni  della  presente  legge  sono
applicabili  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con  le  disposizioni
dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione,  anche  con
riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre  2001,  n.  3».  Per
questo, in linea di principio, tale disposizione «dovrebbe  risolvere
ogni questione,  facendo  della  compatibilita'  con  lo  Statuto  di
autonomia il punto di discrimine tra applicazione e non  applicazione
delle disposizioni alla ricorrente Provincia». Secondo la ricorrente,
tuttavia, alcune disposizioni della legge n. 208 del  2015  sarebbero
certamente  destinate  ad  applicarsi  alla  Provincia  autonoma   di
Bolzano, in quanto esse espressamente includono le Province  autonome
di Trento e di Bolzano tra i propri destinatari, senza  essere  state
preventivamente concordate,  oppure,  in  modo  indiretto,  sarebbero
destinate  a  produrre  effetti  nei  confronti  di  queste   ultime,
«vanificando cosi'  la  predetta  clausola  di  salvaguardia  con  la
propria formulazione testuale». 
    1.2.- La Provincia autonoma di Bolzano, per quanto  di  interesse
in questa sede, impugna l'art. 1, comma 680,  quarto  periodo,  della
legge n. 208 del 2015. 
    1.2.1.- La ricorrente premette che il quarto  periodo  del  comma
680 qui in esame violerebbe: gli artt. 79, 80, 81 e 104 dello statuto
speciale di autonomia, nonche' le  correlative  norme  di  attuazione
(contenute, quanto al titolo VI dello stesso statuto, negli artt.  17
e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di
attuazione dello statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  in
materia di finanza regionale e provinciale»);  gli  artt.  3  e  117,
terzo comma, della Costituzione; l'art. 27 della legge 5 maggio 2009,
n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,  in
attuazione dell'art. 119 della Costituzione); il principio  di  leale
collaborazione, anche in relazione all'art. 120 Cost. 
    1.2.2.- La ricorrente ricostruisce  il  contenuto  normativo  del
citato comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del  2015,  esponendo
che esso disciplina il concorso complessivo degli enti regionali agli
obiettivi di  finanza  pubblica,  con  un'apposita  disposizione  che
determina per le Regioni e per le  Province  autonome  il  contributo
dovuto, in conseguenza dell'adeguamento  dei  propri  ordinamenti  ai
principi di coordinamento  della  finanza  pubblica  contenuti  nella
legge stessa e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni  ad
esse direttamente applicabili ai sensi dell'art. 117, secondo  comma,
Cost. Il contributo risulta pari a 3.980 milioni di euro  per  l'anno
2017 e a 5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. 
    La predetta  norma  demanda  alle  medesime  Regioni  e  Province
autonome - in sede di autocoordinamento, da recepire  con  intesa  in
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano,  entro  il  31  gennaio  di
ciascun anno - la  definizione  degli  ambiti  e  degli  importi  del
rispettivo contributo, e prevede, per il caso di mancata  intesa,  la
definizione unilaterale da parte del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri degli ambiti di spesa interessati e dei relativi  importi  -
tenendo anche  conto  della  popolazione  residente  e  del  prodotto
interno lordo (PIL) - nonche'  la  rideterminazione  dei  livelli  di
finanziamento  degli  ambiti  individuati  e   delle   modalita'   di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato,  considerando  anche
le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario
nazionale (art. 1, comma 680, primo e secondo periodo, della legge n.
208 del 2015). 
    La stessa disposizione, per le autonomie speciali, prevede che il
rispettivo contributo sia determinato previa intesa con  ciascuna  di
esse e, in particolare per le Province  autonome  e  per  la  Regione
Trentino-Alto Adige, che l'applicazione della norma in esame  avvenga
nel rispetto dell'accordo del 15 ottobre 2014, recepito con legge  23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», in particolare con l'art. 1, commi da  406  a  413  (art.  1,
comma 680, terzo e quinto periodo, della legge n. 208 del 2015). 
    La  medesima  disposizione,  infine,  riferendosi  nuovamente  al
complesso degli enti regionali, ivi comprese espressamente  anche  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, dispone che essi assicurino
il  finanziamento  dei  livelli  essenziali   di   assistenza,   come
eventualmente rideterminato ai sensi del medesimo  comma  680  e  dei
successivi commi da 681 a 684 della legge n. 208 del 2015, nonche' ai
sensi dei commi da 400 a 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014
(art. 1, comma 680, quarto periodo, della legge n. 280 del 2015). 
    1.2.3.- Ricorda la ricorrente che l'accordo del 15 ottobre  2014,
richiamato dal quinto periodo del comma 680 dell'art. 1  della  legge
n. 208 del 2015, e' il cosiddetto Patto di garanzia concluso  tra  le
Province autonome e lo Stato (ai sensi dell'art.  104  dello  statuto
speciale), poi recepito con i commi da 406 a 413  dell'art.  1  della
legge n. 190 del 2014,  con  i  quali  si  e'  introdotta  una  nuova
regolazione dei rapporti  finanziari  tra  tali  enti,  innovando  la
relativa disciplina contenuta nello statuto speciale ed adeguando  le
norme di attuazione statutaria in materia  di  «riserve  all'erario»,
nonche' introducendo  alcune  altre  norme  di  rango  statutario  in
materia finanziaria,  in  tal  modo  rivedendo  l'Accordo  di  Milano
dell'anno 2009. 
    Secondo la ricorrente, il quarto periodo del comma 680  dell'art.
1 della legge n. 208 del 2015 sarebbe direttamente applicabile  anche
alla Provincia autonoma di  Bolzano,  presentandosi,  tuttavia,  come
solo in parte compatibile con  il  relativo  statuto  speciale,  come
modificato a seguito del Patto di garanzia sopra richiamato. 
    In particolare, sarebbe rispettoso di tale accordo il solo rinvio
ai commi da 406 a 413 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, che in
tal  modo  confermerebbe,  tra  l'altro,  la  misura  dei  contributi
assicurati rispettivamente dalle Province autonome  e  dalla  Regione
Trentino-Alto Adige a titolo di concorso agli  obiettivi  di  finanza
pubblica. 
    Si porrebbe, invece, in contrasto con il  Patto  di  garanzia  la
parte del quarto periodo del citato comma 680 che richiama i commi da
400 a 417 dell'art. 1 della  legge  n.  190  del  2014,  che  mal  si
raccorderebbe con la contestuale previsione del rispetto dell'accordo
del 15 ottobre 2014 (contenuta nel quinto periodo del medesimo  comma
680). 
    Il contrasto con il «quadro statutario delle  Province  autonome»
sarebbe rinvenibile nelle disposizioni gia' contenute nei commi 400 e
404 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 - richiamate  dal  quarto
periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge  n.  208  del  2015  in
esame - che prevedono per il 2018  un  contributo  aggiuntivo  di  21
milioni di euro a carico della Provincia autonoma di Trento e  di  25
milioni di euro a carico di quella di Bolzano  (comma  400),  con  il
correlativo obbligo di versarlo all'erario, in attesa dell'emanazione
delle apposite norme di attuazione previste dall'art. 27 della  legge
n. 42 del 2009 (comma 404). 
    A giudizio della  ricorrente,  e  «per  le  stesse  ragioni»,  si
rileverebbe   un'ulteriore   incompatibilita'    con    l'ordinamento
statutario provinciale anche nel richiamo del comma 417  dell'art.  1
della predetta legge n. 190 del 2014,  che  prevede  la  facolta'  di
modificare mediante un apposito  accordo,  da  sancire  entro  il  31
gennaio di ciascun anno  in  sede  di  Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano,  e  da  recepire  in  seguito  con  un  apposito  decreto
ministeriale, gli importi  del  contributo  aggiuntivo  in  questione
(indicati nella tabella di cui al comma 400), rispettivamente  dovuti
dalle  singole  autonomie  speciali,  con  invarianza   di   concorso
complessivo. 
    Analogo contrasto si ravviserebbe anche nel rinvio ai commi 415 e
416  dell'art.  1  della  legge  n.  190  del  2014,  che   estendono
all'annualita' 2018 la  disciplina  gia'  contenuta  nelle  leggi  di
stabilita' per il 2013 e  per  il  2014,  relativa  all'obiettivo  da
concordare per il concorso agli  obiettivi  di  finanza  pubblica  da
parte delle autonomie speciali, rispettivamente previsto:  dai  commi
454 e 455 dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n.  228,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2013)», come  modificati  dal  comma
415 dell'art. 1 della  legge  n.  190  del  2014;  e  dal  comma  526
dell'art.  1  della  legge  27  dicembre  2013,   n.   147,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2014)», come  modificato  dal  comma
416 dell'art. l della  legge  n.  190  del  2014.  A  giudizio  della
ricorrente, poiche' i  predetti  commi  415  e  416  non  sono  stati
concordati ai  sensi  dell'art.  104  dello  statuto  speciale  della
Provincia autonoma di Bolzano (come invece  previsto  dal  comma  406
dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 per i successivi commi da 407
a 413), essi si collocherebbero  «sostanzialmente  al  di  fuori  del
Patto di Garanzia concluso tra lo Stato e le  Province  autonome  nel
2014, che disciplina i rapporti finanziari tra i predetti enti  anche
con riferimento all'anno 2018 ed in modo dichiaratamente esaustivo». 
    A parere della ricorrente, i commi  400,  404,  415,  416  e  417
dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, non  essendo  fondati  sulla
preventiva intesa tra lo Stato e le Province autonome  ai  sensi  del
citato art. 104 dello statuto speciale, rivestirebbero  il  carattere
di  mera  legge  ordinaria   e,   dunque,   sarebbero   privi   delle
«caratteristiche sostanziali  e  formali  richieste  per  definire  i
rapporti finanziari intercorrenti tra i predetti enti». La  Provincia
autonoma di Bolzano ha ricordato che, nonostante formale richiesta di
modifica delle norme contestate, le stesse «non sono state modificate
nel corso del 2015, per essere  ora  richiamate  nel  contesto  delle
disposizioni contenute nel comma 680». 
    Tali disposizioni, sempre a giudizio della ricorrente,  sarebbero
contrastanti «con norme  di  carattere  statutario  e  di  attuazione
statutaria». 
    In particolare, i commi 400 e 404 dell'art. 1 della legge n.  190
del 2014, lo sarebbero nella parte in cui  impongono  alle  autonomie
speciali un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica per  ciascuno
degli anni dal 2015 al 2018; l'art. 1, comma 417, della legge n.  190
del 2014, lo sarebbe nella  parte  in  cui  prevede  la  facolta'  di
modificare, mediante un apposito accordo,  da  sancire  entro  il  31
gennaio di ciascun anno, gli importi  del  contributo  aggiuntivo  in
questione, con invarianza di concorso complessivo. 
    Le citate disposizioni statali non sarebbero compatibili  con  la
nuova disciplina che regola i rapporti finanziari tra lo Stato  e  le
Province autonome, approvata ai sensi  dell'art.  104  dello  statuto
speciale, sulla base dell'accordo del 15 ottobre 2014  (recepito  nei
commi da 406 a 413 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014). Infatti,
tale disciplina - contenuta nei commi 4 e 4-bis  dell'art.  79  dello
statuto speciale, come rispettivamente sostituito e aggiunto a  norma
del numero 3), della lettera e), del comma  407  dell'art.  1,  della
stessa legge n. 190 del 2014 -  dispone  che  non  sono  applicabili,
nelle Province autonome, norme statali che prevedono obblighi, oneri,
accantonamenti, riserve all'erario o  concorsi  comunque  denominati,
ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilita' interno,  diversi
da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto di autonomia  dedicato
ai rapporti finanziari con lo Stato. 
    In definitiva, secondo la ricorrente, laddove si ritenesse che il
contributo previsto (dai commi 400 e 404 dell'art. 1 della  legge  n.
190 del 2014), con efficacia dal  2018,  sia  aggiuntivo  rispetto  a
quello onnicomprensivo concordato con il cosiddetto Patto di garanzia
del 2014, la disposizione di cui al quarto periodo del  comma  680  -
alla  luce  della  previsione  del  successivo  quinto  periodo,  che
definisce specificamente solo per la Regione  Trentino-Alto  Adige  e
per le Province autonome la misura dei loro concorsi  finanziari  nel
rispetto degli accordi intervenuti con il Governo nel 2014 -  sarebbe
illegittima nella parte in cui, contestualmente, ribadisce, anche per
le Province autonome, l'obbligo di assicurare  il  finanziamento  dei
livelli essenziali di assistenza ai sensi dei citati commi 400,  404,
415, 416 e 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. 
    1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato. 
    In primo luogo, il resistente ha evidenziato che la legge n.  208
del 2015 contiene una disposizione di chiusura che  consentirebbe  di
ritenere privi di fondamento i dubbi  di  costituzionalita'  avanzati
dalla Provincia  ricorrente:  il  comma  992  dell'art.  1,  infatti,
prevede espressamente che «[l]e  disposizioni  della  presente  legge
sono applicabili alle regioni a statuto  speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con  le  disposizioni
dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione,  anche  con
riferimento alla legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3».  Ne
deriverebbe che la disciplina contenuta nei commi oggetto di  ricorso
non potrebbe essere applicata nella  Provincia  autonoma  di  Bolzano
laddove incompatibile con il relativo statuto  speciale,  nell'ottica
propria delle cosiddette «clausole di salvaguardia»  (al  cui  novero
l'Avvocatura   generale   dello   Stato   ascrive   la   disposizione
richiamata),  finalizzate  appunto  alla  tutela  delle   prerogative
statutarie delle Regioni e  delle  Province  ad  autonomia  speciale.
Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza  costituzionale,
secondo  cui,  in  presenza  di  una  clausola  di  salvaguardia,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  deve   comunque   essere
dichiarata non fondata perche', nel caso  in  cui  il  contrasto  non
sussista, ovviamente non vi  e'  alcuna  violazione  della  normativa
statutaria mentre, nel caso in cui il contrasto sussista, la clausola
di salvaguardia comunque impedisce l'applicabilita'  della  normativa
censurata (sono indicate le sentenze n. 215 del 2013  e  n.  241  del
2012). 
    Nel merito, l'Avvocatura generale dello  Stato  sostiene  che  il
ricorso dell'amministrazione  provinciale  di  Bolzano  parrebbe,  in
realta', volto a contestare le precedenti disposizioni della legge n.
190 del 2014 (e segnatamente  i  commi  400,  404,  415,  416  e  417
dell'art. 1), che in passato non erano state  invece  tempestivamente
censurate dalla ricorrente e che vengono «meramente richiamate» dalla
legge di stabilita' per l'anno 2016, sicche' la relativa impugnazione
dovrebbe essere dichiarata  inammissibile  per  decorso  del  termine
previsto dall'art.127 Cost. 
    In ogni caso, a giudizio del resistente,  la  Provincia  autonoma
ricorrente si sarebbe  limitata  a  contestare  il  modus  procedendi
(ossia la mancata preventiva  intesa  tra  lo  Stato  e  le  Province
autonome interessate), senza considerare che le diposizioni impugnate
richiamano  espressamente   le   procedure   partecipative   previste
dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009 e che il contributo ai  saldi
di finanza pubblica, gia' richiesto alle Regioni a statuto speciale e
alle Province autonome dalla citata  legge  n.  190  del  2014,  puo'
essere oggetto di modifica mediante accordo da  sancire  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Infine, sempre secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  le
regole e le modalita' volte alla razionalizzazione e riduzione  della
spesa pubblica costituirebbero  piena  attuazione  del  coordinamento
della finanza pubblica, ne' verrebbero in rilievo norme di dettaglio,
«lesive dell'autonomia di cui godono le  Regioni»,  essendo  previsto
che siano  le  Regioni  stesse,  in  sede  di  autocoordinamento,  ad
individuare le modalita' di realizzazione del contributo, vale a dire
gli ambiti di spesa da incidere e i relativi  importi,  nel  rispetto
del livelli essenziali di assistenza. Sarebbero cosi' privilegiate le
«fasi dialogiche», in  una  «dimensione  collegiale  improntata  alla
leale collaborazione», tanto che la  determinazione  unilaterale  (da
parte  del  Governo)  sarebbe  concepita  come  rimedio  ultimo   per
assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla  manovra  di
bilancio. 
    1.4.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione del ricorso, le parti hanno depositato  memorie,  con  le
quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni  contenute  negli
atti precedenti. 
    2.- La Regione autonoma Sardegna, con ricorso  notificato  il  29
febbraio-7 marzo 2016 e depositato il 7 marzo 2016 (reg. ric.  n.  13
del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l'art. 1,  comma  680,  della
legge n. 208 del 2015. 
    2.1.- La ricorrente, dopo aver richiamato il contenuto  normativo
del comma 680 (gia' illustrato al precedente  punto  1.2.2.),  ne  ha
sostenuto la contrarieta': agli artt. 7,  8,  54  e  56  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna); agli artt. 3, 5, 24, 81,  sesto  comma,  116,  117,  terzo
comma, 119  e  136  Cost.;  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva  con  la  legge  4  agosto
1955, n. 848  (d'ora  innanzi:  CEDU);  all'art.  9  della  legge  24
dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per  l'attuazione  del  principio
del pareggio di bilancio ai sensi dell'art. 81,  sesto  comma,  della
Costituzione), anche in riferimento all'art. 4  dell'accordo  tra  il
Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione autonoma Sardegna
in materia di finanza pubblica, sottoscritto in data 21 luglio 2014 e
recepito dall'art.  42,  commi  da  9  a  12,  del  decreto-legge  12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,
la realizzazione  delle  opere  pubbliche,  la  digitalizzazione  del
Paese,  la  semplificazione  burocratica,  l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164. 
    2.1.1.- Secondo la Regione autonoma Sardegna, il contributo  alla
finanza pubblica delle Regioni e  delle  Province  autonome,  per  il
triennio  2017-2019,  impone  un  sacrificio  economico   finanziario
particolarmente  elevato,  per  un  importo  che  non   puo'   essere
modificato dalle Regioni e dalle  Province  autonome,  chiamate  solo
alla ripartizione tra  di  esse  tramite  un'intesa  recettiva  delle
determinazioni assunte  dalle  autonomie  territoriali  «in  sede  di
autocoordinamento», salvo, in caso di inerzia, il potere  statale  di
effettuare unilateralmente il riparto. 
    L'ultimo  periodo  del  comma  impugnato,   inoltre,   detterebbe
«disposizioni di favore» per la sola Regione  autonoma  Trentino-Alto
Adige e per le due Province autonome di Trento e Bolzano,  prevedendo
l'applicazione della normativa in esame  «nel  rispetto  dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti  enti  in  data  15  ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190». 
    2.1.2.- La Regione autonoma Sardegna ricorda di  aver  stipulato,
in data 21  luglio  2014,  un  analogo  accordo  con  lo  Stato,  per
disciplinare i rapporti economici e finanziari tra Stato  e  Regione,
all'interno della cornice normativa dettata dagli artt. 7 e  8  dello
statuto speciale, e sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa
Corte costituzionale, che  avrebbe  sempre  sollecitato  le  parti  a
seguire il metodo pattizio  per  la  regolamentazione  dei  reciproci
rapporti finanziari, in modo  «congruente  con  le  norme  statutarie
della Regione, ed in particolare con l'art. 8 dello statuto» (vengono
citate le sentenze n. 155 del 2015, n. 95  del  2013  e  n.  118  del
2012). 
    Nella  ricostruzione   operata   dalla   ricorrente,   l'art.   3
dell'accordo stipulato in data  21  luglio  2014  stabilisce  che  la
Regione  autonoma  Sardegna,  a  partire  dal  2015,   partecipa   al
conseguimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica  attraverso  il
rispetto del principio di equilibrio di bilancio, ai sensi  dell'art.
9 della legge n. 243 del 2012, a fronte  dell'impegno  assunto  dallo
Stato di rideterminare i contributi  di  finanza  pubblica  a  carico
della Regione Sardegna gia' disposti dalla legislazione  vigente  per
l'anno 2014, i quali costituirebbero «la base per  la  determinazione
dell'obiettivo  del  patto  di  stabilita'   anche   per   gli   anni
successivi». 
    Alcune clausole dell'accordo,  evidenzia  ancora  la  ricorrente,
sono state recepite nei commi da 9 a 12 dell'art. 42 del d.l. n.  133
del 2014, come convertito. 
    Il  comma  680  dell'art.  1  della  legge  n.   208   del   2015
stravolgerebbe «le chiarissime clausole di quell'accordo tra lo Stato
e la Regione», in  quanto:  avrebbe  imposto  nuovi  contributi  alla
finanza pubblica a carico della Regione autonoma Sardegna, senza  far
precedere tale imposizione da una regolazione pattizia tra lo Stato e
la Regione; avrebbe  imposto  alla  Regione  Sardegna  di  conseguire
risparmi di spesa in settori che sono definiti, non in  via  autonoma
dalla Regione medesima, bensi'  con  decisione  assunta  dalle  altre
Regioni e Province autonome (le quali, in tal modo, acquistano titolo
«per  ingerirsi  nelle  determinazioni  di  bilancio  della   Regione
Autonoma della Sardegna») o, in caso di inerzia,  direttamente  dallo
Stato;  recando  una  clausola  di  salvaguardia  del  solo   accordo
stipulato tra lo Stato e la Regione Trentino-Alto Adige e le Province
autonome di Trento e Bolzano,  avrebbe  non  solo  violato  l'accordo
stipulato dallo Stato con la  Regione  autonoma  Sardegna,  ma  anche
derogato alle previsioni di cui ai commi da 9 a 12 dell'art.  42  del
d.l. n. 133 del 2014, come convertito, e, in particolare, il comma 10
(in cui era stata  trasposta  la  clausola  di  cui  all'art.  3  del
predetto accordo del 2014), secondo cui la Regione autonoma  Sardegna
garantisce l'equilibrio del proprio bilancio  ai  sensi  dell'art.  9
della legge n. 243 del 2012. 
    2.1.3.-  Il  quadro  normativo  cosi'  tratteggiato  sarebbe,   a
giudizio  della  ricorrente,  contrastante  con   la   giurisprudenza
costituzionale «maturata sulla questione». 
    In  particolare,  nella  sentenza  n.  19  del  2015,  la   Corte
costituzionale avrebbe affermato che  la  determinazione  unilaterale
preventiva del contributo delle autonomie speciali alla manovra,  per
essere conforme a Costituzione,  dovrebbe  lasciare  un  «margine  di
negoziabilita'» alle  Regioni  autonome,  margine  che  non  potrebbe
limitarsi (come, invece, accadrebbe  nel  caso  di  specie)  «ad  una
rimodulazione interna tra le varie componenti presenti  nella  citata
tabella relative alle diverse  autonomie  speciali,  con  obbligo  di
integrale compensazione tra variazioni  attive  e  passive»,  poiche'
«ogni margine di accordo  comportante  un  miglioramento  individuale
dovrebbe essere compensato da un acquiescente reciproco  aggravio  di
altro  ente,  difficilmente  realizzabile»,  sicche'  «il  meccanismo
normativo [...] sarebbe sostanzialmente  svuotato  dalla  prevedibile
indisponibilita' di tutti gli enti interessati ad accollarsi  l'onere
dei miglioramenti destinati ad  altri  e,  conseguentemente,  sarebbe
lesivo  del  principio  di  leale  collaborazione  e   dell'autonomia
finanziaria regionale». 
    Nella successiva  sentenza  n.  82  del  2015,  nel  vagliare  la
legittimita' di un  contributo  straordinario  al  risanamento  della
finanza pubblica, imposto alle sole autonomie speciali e  da  attuare
con le procedure previste dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009  e,
dunque, secondo il metodo pattizio, la Corte  costituzionale  avrebbe
confermato la necessita' di intraprendere  la  via  dell'accordo,  in
quanto espressione di un criterio generale  che  governa  i  rapporti
finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, in base al principio
di leale collaborazione: a giudizio della ricorrente, in quel caso la
Corte costituzionale  avrebbe  dichiarato  legittimo  «il  contributo
straordinario di finanza pubblica facendo leva sulla circostanza  che
esso poteva essere rimodulato, anche ex post, attraverso le procedure
pattizie,  specificamente  indicate  dalla  disposizione   impugnata,
sicche'  le  imposizioni  statali  dovevano  considerarsi   solamente
temporanee, valide fino all'adozione delle norme  di  attuazione  dei
rispettivi statuti». 
    2.1.4.- Tanto premesso,  nella  prospettazione  della  ricorrente
risulterebbe  in  primo  luogo  violato   il   principio   di   leale
collaborazione tra Stato e Regione autonoma  Sardegna,  di  cui  agli
artt.  5  e  117  Cost.  Il  legislatore  statale   avrebbe   infatti
disciplinato lo svolgimento  dei  rapporti  economico-finanziari  tra
Stato e Regione autonoma Sardegna  «senza  prevedere  i  necessari  e
doverosi meccanismi di interlocuzione e di attuazione  del  principio
consensualistico»,  non  essendo  previsto  alcun  accordo  idoneo  a
«superare le rigidita' della fissazione unilaterale del contributo di
finanza pubblica a carico delle Regioni a statuto  speciale».  Queste
ultime  verrebbero,  anzi,   esplicitamente   ed   inequivocabilmente
equiparate alle Regioni ordinarie, in quanto l'intesa sul riparto del
contributo deve essere adottata con accordo fra tutte  le  Regioni  e
Province autonome e, comunque,  non  puo'  «rideterminare  (anche  ex
post) il  volume  del  contributo  imposto  alle  Regioni  a  statuto
speciale». Neppure la previsione dell'intesa con  ciascuna  autonomia
speciale, contenuta nel terzo periodo del comma  impugnato,  potrebbe
rendere  quest'ultimo  compatibile  con  i  parametri  costituzionali
evocati, dal momento che «[t]ale ulteriore  intesa»  con  le  singole
autonomie speciali, non solo escluderebbe qualsiasi  rideterminazione
del  quantum  del  contributo  imposto  all'intero  «comparto»  delle
Regioni e Province autonome,  ma  sarebbe  anche  condizionata  dalla
generale «intesa in autocoordinamento» adottata da tutte le Regioni. 
    2.1.5.-    In    secondo    luogo,    risulterebbero     violati,
contestualmente,  ancora  il  principio  di   leale   collaborazione,
l'autonomia economico-finanziaria della Regione tutelata dagli  artt.
116, 117 e 119 Cost. e dagli artt.  7  e  8  dello  statuto,  nonche'
l'art. 3 Cost. 
    La lesione lamentata  deriverebbe  dalla  salvaguardia  del  solo
accordo stipulato tra Stato e Regione autonoma Trentino-Alto Adige  e
Province autonome di Trento  e  Bolzano,  con  totale  pretermissione
dell'analogo accordo stipulato tra lo Stato  e  la  Regione  autonoma
Sardegna in data 21  luglio  2014,  sicche'  sarebbe  «manifestamente
ingiustificato  il  trattamento  differenziato  (e  deteriore)  della
Sardegna rispetto alla Regione Trentino-Alto Adige  e  alle  Province
Autonome di Trento e Bolzano», anche alla luce del fatto  che  l'art.
116 Cost. riconosce l'autonomia differenziata di tutte le  Regioni  a
statuto speciale, e non solo di alcune di esse. 
    2.1.6.- Gli artt. 5, 117 e 119 Cost., unitamente agli artt. 7 e 8
dello     statuto     speciale,     che     tutelano      l'autonomia
economico-finanziaria  della  Regione  e  impongono,   nei   rapporti
economico-finanziari,  il  «paradigma  della   leale   cooperazione»,
sarebbero  ulteriormente  violati  anche  sotto  un  altro   profilo,
strettamente connesso al principio di ragionevolezza di cui  all'art.
3 Cost.,  per  il  fatto  che  il  legislatore  statale,  intervenuto
successivamente alla stipula degli accordi di  finanza  pubblica  del
2014, ne avrebbe espressamente violato le  clausole,  peraltro  senza
prevedere un meccanismo adeguato di recupero, anche  ex  post,  della
leale cooperazione nei rapporti  economico-finanziari,  in  tal  modo
calpestando «le clausole di un accordo faticosamente raggiunto tra la
Regione e lo Stato» e che  aveva  risolto  in  forma  consensuale  un
risalente contenzioso innanzi alla Corte costituzionale. 
    2.1.7.- Il comma 680 dell'art. 1 della  legge  n.  208  del  2015
sarebbe in contrasto anche con l'art. 9 della legge  «rinforzata»  n.
243 del 2012, emanata in attuazione  del  sesto  comma  dell'art.  81
Cost., per dettare specifiche previsioni sull'equilibrio dei  bilanci
delle  Regioni  e  degli  enti  locali,  ma,  quanto  alle  autonomie
speciali, compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti  e  con
le relative norme di attuazione, con rimessione, dunque,  ancora  una
volta al principio consensualistico della definizione dei criteri  di
«equilibrio» dei bilanci delle autonomie speciali. 
    Avendo lo Stato  e  la  Regione  autonoma  Sardegna,  proprio  in
ossequio a tale precetto, consensualmente disciplinato  le  modalita'
con le quali il principio dell'equilibrio di bilancio si applica alla
Regione medesima, altri oneri che si sottraessero alla determinazione
consensuale delle parti risulterebbero in violazione dell'accordo del
21 luglio 2014, e, per l'effetto, anche dell'art. 9, comma  6,  della
legge n. 243 del 2012 e  dello  stesso  art.  81  Cost.,  di  cui  le
disposizioni  della  suddetta  legge  «rinforzata»  sono   «immediato
svolgimento».  Ne  deriverebbe,  ancora,  la  lesione  dell'autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna, garantita dagli artt. 7
e 8 dello statuto e dagli artt. 117 e 119 Cost. 
    2.1.8.- Secondo la Regione autonoma Sardegna,  l'incompatibilita'
del comma 680 dell'art. 1  della  legge  n.  208  del  2015,  con  il
contenuto dell'accordo  del  21  luglio  2014,  violerebbe  anche  le
disposizioni di cui all'art. 42, commi da 9 a 12, del d.l. n. 133 del
2014, come convertito. Tali disposizioni impedirebbero al legislatore
statale, in assenza di preventiva intesa con la Regione, di abrogare,
modificare o comunque derogare le disposizioni del d.l.  n.  133  del
2014, come convertito, che quell'accordo avevano appunto  recepito  e
che, pur non essendo state formalmente inserite nello  statuto  della
Regione o nelle norme di attuazione, sarebbero ugualmente espressione
del  principio  consensualistico  cui  sono   soggetti   i   rapporti
economico-finanziari tra lo Stato e la Regione ricorrente:  principio
che sarebbe, a sua volta, sancito dagli artt. 54, quinto comma, e  56
dello statuto, nonche' dall'art. 9 della legge  «rinforzata»  n.  243
del 2012, anche in relazione, ancora una volta,  agli  artt.  7  e  8
dello statuto e 117 e 119 Cost., che tutelano l'autonomia finanziaria
della Regione. 
    2.1.9.- A giudizio della ricorrente, le sentenze con le quali  la
Corte costituzionale ha scrutinato le vertenze insorte tra lo Stato e
la Regione autonoma Sardegna a causa  della  mancata  esecuzione,  da
parte statale, della riforma del regime delle  entrate  regionali  di
cui all'art. 8 dello statuto (sono richiamate le sentenze n.  95  del
2013, n. 118 e n. 99 del 2012), avrebbero «accertato e dichiarato che
lo Stato aveva e ha un  preciso  e  specifico  obbligo  giuridico  di
definire consensualmente con la Regione il regime dei  loro  rapporti
economico-finanziari». Cio' sarebbe stato riconosciuto  dallo  stesso
legislatore statale con l'emanazione dell'art. 11, comma  5-bis,  del
decreto-legge 8 aprile 2013,  n.  35  (Disposizioni  urgenti  per  il
pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione,  per  il
riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche' in  materia
di  versamento  di  tributi  degli  enti  locali),  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.  Con  la  richiamata
disposizione, infatti, era stato imposto l'obbligo di concordare  con
la Regione autonoma Sardegna,  nel  rispetto  dei  saldi  di  finanza
pubblica, e con le procedure di cui all'art. 27 della legge n. 42 del
2009, le modifiche da apportare al patto di stabilita' interno per la
medesima Regione. In tal modo, sarebbe stata riconosciuta  «la  forza
del  giudicato  costituzionale»,  che  imponeva  un  preciso  obbligo
giuridico, «al quale lo Stato non puo' sottrarsi». Sicche', una volta
concluso l'accordo in data 21  luglio  2014,  non  sarebbe  possibile
violarne le clausole:  avendo  invece  il  comma  680  imposto  nuovi
contributi di finanza pubblica, non concordati, vi sarebbe violazione
del giudicato costituzionale, e, dunque, dell'art. 136 Cost. 
    2.1.10.- Risulterebbe, inoltre, violato anche  il  principio  del
legittimo   affidamento,   che   trova   riconoscimento   di    rango
costituzionale ai sensi dell'art. 3 Cost.  nonche',  per  il  tramite
dell'art. 117, primo comma, Cost., degli artt. 6 e 13 della CEDU.  Si
tratterebbe  di  «principio  connaturato  allo  Stato  di   diritto»,
applicabile anche  ai  rapporti  tra  Stato  e  Regioni,  che  devono
ispirarsi alla leale collaborazione tra le  parti  (viene  citata  la
sentenza n. 207 del 2011).  In  particolare,  in  capo  alla  Regione
ricorrente, sarebbe sorto «un affidamento legittimo sulla  stabilita'
del quadro di regolamentazione dei rapporti economici con lo  Stato»,
indotto in ragione: delle disposizioni  statutarie  e  costituzionali
che fissano il principio consensualistico nei rapporti  tra  Stato  e
Regione autonoma  Sardegna;  del  giudicato  costituzionale  relativo
all'obbligo di  addivenire  ad  un  complessivo  accordo  di  finanza
pubblica  con  la  Regione,  poi  riconosciuto  dallo  Stato  con  la
disposizione di cui all'art. 11, comma 5-bis,  del  d.l.  n.  35  del
2013, come convertito;  della  conseguente  stipula  dell'accordo  di
finanza pubblica del 21 luglio 2014; del recepimento  delle  clausole
dell'accordo nell'art. 42 del d.l. n. 133 del 2014, come  convertito,
che, invece, sarebbe stato «inopinatamente sovvertito dal legislatore
statale», proprio con la disposizione impugnata, ancora una volta  in
contrasto  con  l'autonomia  economico-finanziaria   della   Regione,
tutelata dagli artt. 7 e 8 dello statuto e  dagli  artt.  117  e  119
Cost. 
    Secondo la ricorrente, la Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo
avrebbe piu' volte  affermato  che  gli  artt.  6  e  13  della  CEDU
proteggono il legittimo affidamento dei soggetti di diritto, che puo'
essere compresso solo a fronte di  imperative  ragioni  di  interesse
generale, tra le quali non rientrerebbe  «l'ottenimento  di  un  mero
beneficio economico per  la  finanza  pubblica»,  che  costituirebbe,
invece, «l'unica ragione giustificatrice del comma impugnato». 
    2.1.11.- La Regione autonoma Sardegna evidenzia anche di non aver
mai dubitato  della  validita',  della  stabilita'  e  della  cogenza
dell'accordo  del  21  luglio  2014.  Sottolinea  che,   proprio   in
adempimento degli obblighi con esso assunti,  «ha  ritirato  un  gran
numero di impugnazioni gia' proposte», non solo  innanzi  alla  Corte
costituzionale, sicche' risulterebbe inciso anche il proprio  diritto
di difesa in giudizio, tutelato dall'art. 24 Cost. 
    2.1.12.-  Secondo  la  ricorrente,   ancora,   «per   consolidata
giurisprudenza costituzionale» (sono richiamate le sentenze n.  82  e
n. 19 del 2015), lo Stato potrebbe imporre  risparmi  di  spesa  alle
Regioni,  purche'  l'ambito  all'interno  del  quale  ottenere   tali
risparmi sia individuato autonomamente da ciascuna di  esse.  Invece,
in base alla norma impugnata, non solo la Regione  autonoma  Sardegna
«si trova vincolata  dalla  volonta'  anche  delle  altre  Regioni  e
Province autonome», ma, in mancanza del  previsto  autocoordinamento,
sarebbe «consegnata alle arbitrarie determinazioni del Presidente del
Consiglio»,  con  conseguente  violazione  della  propria   autonomia
economico-finanziaria e, di conseguenza, degli  artt.  7  e  8  dello
statuto e degli artt. 117 e 119 Cost. 
    2.1.13.- La Regione autonoma Sardegna ricorda che lo  Stato  puo'
imporre  in  via  autoritativa  contributi  straordinari  di  finanza
pubblica alle Regioni ordinarie e alle autonomie  speciali,  ma  solo
per un periodo di tempo limitato e ragionevole  (sono  richiamate  le
sentenze n. 193 e n. 148 del 2012, n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)
e purche' siano posti solo obiettivi di  riequilibrio  della  finanza
pubblica, senza prevedere in modo esaustivo strumenti o modalita' per
il perseguimento di essi. Ove tale limite non  fosse  rispettato,  il
contributo di finanza pubblica  imposto  alle  Regioni  costituirebbe
disposizione «di dettaglio», in una materia affidata alla  competenza
legislativa  concorrente,  esorbitando  dall'ambito   di   competenza
riconosciuto al legislatore statale. Nel caso in  esame,  osserva  la
Regione ricorrente, il contributo di finanza pubblica e' previsto per
un solo triennio, sicche' esso sembrerebbe compatibile con  l'obbligo
di «temporaneita'» del prelievo, se non fosse per la circostanza  che
(tutte) le Regioni «sono sottoposte da diversi anni a  contributi  di
finanza pubblica sempre crescenti, alcuni dei quali  imposti  non  in
via temporanea, bensi' senza limiti di tempo», sicche' il  contributo
di cui al comma 680 della legge n. 208 del 2015 «elude  l'obbligo  di
temporaneita'  delle  misure  restrittive   di   finanza   pubblica»,
ponendosi in contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., e con  gli
artt. 7 e 8 dello statuto, che tutelano l'autonomia finanziaria della
Regione autonoma Sardegna. 
    2.1.14.- Infine, a parere della ricorrente,  la  norma  impugnata
sarebbe   illegittima   anche   in   rapporto   alla   giurisprudenza
costituzionale secondo la quale il legislatore statale puo'  imporre,
tramite contributi di finanza pubblica  o  riduzioni  di  risorse  in
entrata, un sacrificio economico ad una Regione, «purche' non tale da
rendere  impossibile  lo  svolgimento  delle  sue   funzioni»   (sono
richiamate le sentenze n. 155 del 2015 e n. 138 del 1999).  Nel  caso
della Regione autonoma Sardegna, la condizione di «impossibilita'  di
svolgimento delle  funzioni»  attribuite  dalla  Costituzione,  dallo
statuto e dalla legge sarebbe stata «specificamente riconosciuta  dal
legislatore statale, dall'Amministrazione statale,  dalla  Corte  dei
conti  e  da[lla]  Ecc.ma  Corte  costituzionale»,  la  quale  ultima
l'avrebbe gia' esaminata nelle sentenze n. 95 del 2013 e n. 99  e  n.
118  del  2012,  di  cui  la  ricorrente  ha  ripercorso  i  passaggi
argomentativi relativi alla censurata inerzia dello  Stato  nel  dare
esecuzione alle previsioni di cui all'art. 8 dello statuto  speciale,
che aveva (all'epoca) generato una «emergenza finanziaria». 
    Con l'accordo del 21 luglio 2014, lo Stato, nella  prospettazione
regionale, aveva  «finalmente»  riconosciuto  alla  Regione  autonoma
Sardegna gli «spazi» finanziari necessari per  lo  svolgimento  delle
sue funzioni pubbliche,  sicche'  la  violazione  delle  clausole  di
quell'accordo avrebbe riportato  «nuovamente  la  Regione  ricorrente
nella precedente condizione, di non poter strutturalmente far  fronte
al costo delle funzioni pubbliche che le sono  state  affidate  dalla
Costituzione,  dallo  Statuto  e  dalla   legge»,   con   conseguente
violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto e degli artt.  117  e  119
Cost., che riconoscono l'autonomia finanziaria della Regione. 
    2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    In primo luogo, il resistente ha evidenziato che la legge n.  208
del 2015 contiene una disposizione di chiusura -  il  gia'  ricordato
comma 992 - che consentirebbe di ritenere privi di fondamento i dubbi
di costituzionalita' avanzati dalla Regione ricorrente,  poiche',  in
base ad essa, la disciplina contenuta nel comma  oggetto  di  ricorso
non  potrebbe  essere  applicata  nella  Regione  autonoma  Sardegna,
laddove incompatibile con il relativo statuto speciale. 
    Nel merito, le difese  spiegate  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato si riferiscono, in maggior parte, a  censure  avanzate  con  il
ricorso presentato dalla Regione Veneto (reg. ric. n.  17  del  2016)
contro le medesime disposizioni. L'unica difesa compatibile  con  una
delle (molteplici) censure proposte dalla Regione  autonoma  Sardegna
risulta essere quella concernente l'eccessiva misura  della  manovra,
alla quale l'Avvocatura generale dello Stato  replica  richiamando  i
contenuti dell'accordo raggiunto in  data  11  febbraio  2016,  sulla
proposta regionale di determinazione della manovra, che consentirebbe
di ritenere «superata» la questione. 
    In linea generale, comunque, la difesa statale  sostiene  che  le
regole e le modalita' volte alla razionalizzazione e riduzione  della
spesa pubblica costituirebbero  piena  attuazione  del  coordinamento
della finanza pubblica. Ne' verrebbero in rilievo norme di dettaglio,
«lesive dell'autonomia di cui godono le  regioni»,  essendo  previsto
che siano  le  Regioni  stesse,  in  sede  di  autocoordinamento,  ad
individuare le modalita' di realizzazione del contributo, vale a dire
gli ambiti di spesa sui quali incidere  e  i  relativi  importi,  nel
rispetto  dei  livelli  essenziali  di  assistenza.  Sarebbero  cosi'
privilegiate le «fasi  dialogiche»,  in  una  «dimensione  collegiale
improntata alla leale collaborazione», tanto  che  la  determinazione
unilaterale (da parte del Governo)  sarebbe  concepita  come  rimedio
ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei  connessi  alla
manovra di bilancio. 
    Sostiene, inoltre, che la  Regione  ricorrente  non  avrebbe  «in
alcun modo» dimostrato una  riduzione  delle  proprie  disponibilita'
finanziarie tale da produrre  uno  squilibrio  incompatibile  con  le
esigenze complessive della spesa regionale. 
    Richiama, infine, la sentenza n. 77 del 2015,  con  la  quale  la
Corte  costituzionale,  pur  avendo  riconosciuto  che,  in  tema  di
coordinamento della finanza pubblica, deve essere privilegiata la via
dell'accordo con gli enti ad  autonomia  speciale,  avrebbe  tuttavia
ammesso, in casi particolari, deroghe al principio pattizio da  parte
del legislatore statale. 
    2.3.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione del ricorso, le parti hanno depositato  memorie,  con  le
quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni  contenute  negli
atti precedenti. 
    In  particolare,  la  Regione  autonoma   Sardegna,   dopo   aver
sottolineato l'incongruenza (rispetto  alle  argomentazioni  poste  a
base del ricorso) di alcune difese spiegate dall'Avvocatura  generale
dello Stato, ha convenuto con quest'ultima sulla circostanza che,  in
linea astratta, l'operativita' della clausola di salvaguardia di  cui
al comma 992  dell'art.  1  della  legge  n.  208  del  2015  sarebbe
satisfattiva delle ragioni della ricorrente;  ha,  tuttavia,  escluso
che essa possa in concreto essere applicata, atteso che il comma  680
impugnato contiene disposizioni specificamente riferite alle  Regioni
e Province ad autonomia speciale. 
    Ha osservato, poi, che l'intesa raggiunta  in  data  11  febbraio
2016 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  non  ha
riguardato direttamente il contributo richiesto alla Regione Sardegna
e  non  consente,  percio',  di  ritenere  «superate»  le   questioni
sollevate. Cio' anche perche', in data 14 aprile  2016,  la  medesima
Conferenza ha approvato un'ulteriore delibera (allegata alla memoria)
in cui si chiarisce che, in caso  di  rigetto  del  ricorso  proposto
dalla  regione  Sardegna,  quest'ultima  sarebbe  stata  chiamata  ad
accollarsi  la  propria  quota  (peraltro   gia'   determinata)   del
contributo imposto all'intero settore regionale. 
    Ha,  quindi,  ribadito  il  contenuto  della   sua   impugnativa,
aggiungendo che i contributi alla finanza pubblica,  applicati  dalle
precedenti   manovre   per   il   tramite   del   meccanismo    degli
«accantonamenti»,   aggiungendosi   al   contributo   imposto   dalla
disposizione  impugnata,  si  risolverebbero  in  riserva  in  favore
dell'erario di un gettito spettante alla ricorrente,  con  violazione
del  regime  consensualistico,  in  mancanza,  peraltro,  di   alcuna
ragionevole giustificazione per derogare al principio dell'accordo. 
    Infine,  a  giudizio  della  Regione  autonoma   Sardegna,   dopo
l'accordo stipulato in data 21 luglio 2014 con lo Stato, quest'ultimo
- che aveva concluso il patto dopo  la  redazione  del  Documento  di
Finanza Pubblica (DEF), con proiezione triennale delle previsioni  di
finanza pubblica  -  non  avrebbe  potuto  derogare,  per  almeno  un
triennio,  alle  clausole  dell'accordo,  «senza   l'attivazione   di
ulteriori meccanismi di cooperazione necessari per superare  l'intesa
gia' raggiunta», pena la violazione, ancora, del principio  di  leale
collaborazione (viene richiamata la sentenza n. 58 del 2007). 
    3.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia,  con  ricorso
notificato il 29 febbraio e depositato il 7 marzo 2016 (reg. ric.  n.
14 del 2016), ha impugnato, tra  gli  altri,  l'art.  1,  comma  680,
quarto e quinto periodo, della legge n. 208 del 2015. 
    3.1.- La ricorrente, dopo aver richiamato il contenuto  normativo
del comma 680 (gia' illustrato al precedente  punto  1.2.2.),  ne  ha
sostenuto - per la parte in  cui  «prevede  a  carico  della  Regione
Friuli-Venezia Giulia contributi alla  finanza  pubblica  diversi  da
quelli concordati o non concordati» - la contrarieta', per  la  parte
di ricorso qui esaminata: agli artt. 3, 5,  119  e  120  Cost.;  agli
artt. 48, 49 e 50 della legge costituzionale 31 gennaio  1963,  n.  1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia  Giulia);  all'accordo
del 23 ottobre 2014 e all'art. 1,  comma  512  (oltre  ai  commi  ivi
richiamati), della legge n. 190 del 2014; all'art. 27 della legge  n.
42 del 2009; all'art. 9 della legge n. 243  del  2012;  all'autonomia
finanziaria e organizzativa regionale, al  principio  della  certezza
delle entrate, e a quelli pattizio e di leale collaborazione. 
    3.2.- Secondo  la  ricorrente,  in  applicazione  del  comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015,  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia si troverebbe a dover sopportare,  oltre  alla  propria  quota
degli oneri previsti dal primo periodo, gli oneri previsti dal quarto
periodo, in quanto i richiamati commi da 400 a 417 dell'art. 1  della
legge n. 190 del 2014, comprendono - in particolare nella tabella  di
cui al comma 400,  richiamato  anche  dal  comma  401  -  consistenti
contribuzioni della Regione. 
    3.2.1.- L'impugnazione regionale si rivolge  in  primo  luogo  al
quarto periodo del citato comma 680, nella parte in cui esso richiede
alla Regione Friuli-Venezia Giulia  contribuzioni  non  previste  nel
protocollo d'intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, stipulato in data 23  ottobre  2014,  per  la  revisione  del
protocollo del 29 ottobre 2010 e  per  la  definizione  dei  rapporti
finanziari negli esercizi 2014-2017, o, comunque,  contribuzioni  per
annualita' successive al 2017, non concordate. 
    Tale quarto periodo del comma 680, a giudizio  della  ricorrente,
violerebbe il principio pattizio, che governa i  rapporti  finanziari
tra lo Stato  e  le  autonomie  speciali,  e  che  la  giurisprudenza
costituzionale farebbe discendere dalle norme che prevedono procedure
concordate, sia  per  la  revisione  della  parte  finanziaria  dello
statuto di autonomia, sia per l'adozione delle norme  di  attuazione,
trovando conferma nell'art. 27 della legge n. 42 del  2009.  Siffatto
principio imporrebbe che le  limitazioni  alla  piena  disponibilita'
delle risorse, che le norme statutarie assegnano alla Regione per  il
regolare esercizio delle sue funzioni, in  forza  degli  artt.  49  e
seguenti dello statuto, siano concordate  mediante  una  negoziazione
basata sui principi di solidarieta' e di leale collaborazione. 
    La  Regione  ricorrente  ricorda  che  il   protocollo   d'intesa
stipulato nel 2014 e' proprio ispirato a tali principi e  chiaramente
individua le regole destinate a disciplinare  i  rapporti  finanziari
tra  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  e  lo  Stato  nel   periodo
2014-2017, impegnando le parti a  rinegoziare,  entro  il  30  giugno
2017, il contenuto del protocollo d'intesa sottoscritto il 29 ottobre
2010, nella parte relativa al contributo a carico della  Regione  per
le annualita' successive al 2017, nonche'  a  ridefinire,  attraverso
nuove intese, il nuovo quadro  delle  relazioni  finanziarie  per  il
successivo quadriennio. 
    Proprio a fronte di quanto concordato, la Regione  Friuli-Venezia
Giulia ha rinunciato  al  contenzioso  pendente  davanti  alla  Corte
costituzionale in relazione a tutte le questioni finanziarie  aperte,
maturando, in tal modo, ai  sensi  degli  artt.  3  e  5  Cost.,  «un
legittimo affidamento alla stabilita' di tali rapporti»:  invece,  la
statuizione unilaterale da parte statale di contribuzioni difformi da
quelle concordate (quali, appunto, quelle previste  dal  richiamo  ai
commi 400 e 401 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014), o del tutto
non concordate, violerebbe «il  quadro  ordinamentale  costituzionale
dei rapporti finanziari tra lo  Stato  e  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia» e «i principi e metodi di legislazione conformi alle esigenze
dell'autonomie prescritti dall'art. 5 Cost.». 
    La disposizione impugnata, di cui al  quarto  periodo  del  comma
680, sarebbe poi «affetta da specifica  irragionevolezza,  ancora  in
violazione dell'art.  3  della  Costituzione»,  dal  momento  che  il
rispetto dei livelli essenziali di assistenza sarebbe  gia'  compreso
nella definizione e nel riparto del  contributo  previsto  dal  primo
periodo del comma 680, ne' i richiamati (per le  autonomie  speciali)
commi da 400 a 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014  prevedono
alcuna  eventuale  rideterminazione  di  tali  livelli,  sicche'   il
«significato della disposizione e la reale destinazione dei fondi  ai
quali i commi  richiamati  si  riferiscono  rimane  indefinito»,  con
conseguente «complessiva incongruita' della disposizione». 
    3.2.2.- In secondo luogo,  l'impugnativa  e'  diretta  contro  il
quinto periodo del citato comma 680, «non per quanto  esso  dice,  ma
per quanto esso non dice», avendo omesso di stabilire che,  anche  in
relazione alla Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,  l'attuazione
del comma 680 avviene nei termini dell'accordo stipulato con lo Stato
in data 23 ottobre 2014. 
    La disposizione impugnata costituisce  attuazione  del  principio
consensuale, basato sulla solidarieta' e sulla leale  collaborazione,
con  riferimento  alle  relazioni  finanziarie  tra  lo  Stato  e  le
autonomie della Regione Trentino-Alto Adige,  sicche',  nel  rispetto
del  quadro  costituzionale,   il   medesimo   trattamento   dovrebbe
riguardare le relazioni finanziarie  tra  la  Regione  Friuli-Venezia
Giulia e lo Stato e gli accordi da questi ultimi sottoscritti,  e  in
particolare il protocollo d'intesa stipulato in data 23 ottobre 2014,
con conseguente illegittimita' costituzionale del quinto periodo  del
comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui
non provvede in tal senso. 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    L'atto di costituzione, per la parte qui  di  interesse,  ricalca
alla lettera i contenuti delle  difese  spiegate  contro  il  ricorso
presentato dalla Regione autonoma Sardegna, illustrati al  precedente
punto 2.2. 
    3.4.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione del ricorso, le parti hanno depositato  memorie,  con  le
quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni  contenute  negli
atti precedenti. 
    In  particolare,  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,   che   ha
depositato anche ulteriore  documentazione,  dopo  aver  sottolineato
l'incongruenza  (rispetto  alle  argomentazioni  poste  a  base   del
ricorso) di alcune difese  spiegate  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha evidenziato che  l'intesa  dell'11  febbraio  2016  non  ha
riguardato, direttamente, le Regioni a  statuto  speciale.  Essa,  in
realta', per rendere effettivo il contributo imposto dal  comma  680,
prevede la riduzione del Fondo sanitario  nazionale  -  al  quale  la
Regione ricorrente non partecipa - con una clausola  finale  mediante
la quale la definizione della  quota  di  contributo  gravante  sulle
autonomie  speciali  e'  stata  demandata  ad  ulteriori  intese   da
concludere con lo Stato. 
    Ha, quindi, segnalato che i commi 392 e  394  dell'art.  1  della
legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2017-2019) - autonomamente impugnati con successivo ricorso -  hanno,
in  sostanza,  confermato  che  una  quota  del  contributo  previsto
dall'impugnato comma 680 e' posto a carico delle  Regioni  a  statuto
speciale, secondo le procedure previste dall'intesa dell'11  febbraio
2016, ossia previa intesa con queste ultime, insufficiente, pero', ad
escludere la violazione dell'accordo stipulato  in  data  23  ottobre
2014, per definire il complesso delle relazioni  finanziarie  tra  lo
Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    4.- La Regione siciliana, con ricorso notificato il 29 febbraio e
depositato l'8 marzo 2016 (reg. ric. n. 15 del 2016),  ha  impugnato,
tra gli altri, l'art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge n. 208 del
2015. 
    4.1.- La ricorrente, dopo aver richiamato il contenuto  normativo
del comma 680  (gia'  illustrato  al  precedente  punto  1.2.2.),  ha
aggiunto che, con i successivi commi 681 e 682, e' stato  «esteso  al
2019 il contributo al contenimento della spesa pubblica gia' previsto
per le Regioni a statuto ordinario dal D.L. n.  66/2014»,  prevedendo
che le modalita' di realizzazione dei risparmi  cosi'  imposti  siano
concordate in sede di Conferenza permanente per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
entro il 31 gennaio di ciascun anno. 
    Secondo la ricorrente, le norme impugnate avrebbero imposto  alla
Regione siciliana ulteriori  sacrifici,  con  «effetti  negativi  sul
bilancio regionale», introducendo «piu'  di  una  misura  di  importo
ingente, che va a  sommarsi  alle  gia'  insostenibili  riduzioni  di
risorse subite dalla Regione negli  ultimi  anni»:  in  sostanza,  il
comma 680, nel disporre un concorso alla finanza pubblica  aggiuntivo
rispetto a  quello  previsto  dalle  precedenti  manovre  statali  di
bilancio, graverebbe  sul  bilancio  regionale  in  maniera  tale  da
impedirle lo svolgimento «delle proprie funzioni indispensabili». 
    4.2.- La ricorrente sottolinea, ancora, che, in base  alle  norme
impugnate, la Regione siciliana, insieme alla  Valle  d'Aosta  ed  al
Friuli-Venezia Giulia, deve assicurare  il  contributo  alla  finanza
pubblica «anche ai sensi dell'art. 1, commi da 400 a 417 della  legge
n. 190 del 2014», sicche' sarebbe  sottratto  «unilateralmente  e  in
assenza  delle  condizioni  per  far  luogo  a  riserva,  gettito  di
integrale spettanza regionale», in violazione degli  artt.  36  dello
statuto della Regione siciliana (regio decreto legislativo 15  maggio
1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.
2) e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione  dello
Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria). 
    4.3.-  A  giudizio  della  ricorrente,  inoltre,  il  comma   681
prolungherebbe fino al 2019 il periodo di versamento  del  contributo
«come prescritto dal comma 6  dell'art.  46  del  d.l.  n.  66/2014»,
decurtando «unilateralmente gettito a questa Regione in assenza delle
condizioni  previste  dall'art.  2  n.a.  per  darsi  luogo  a   tale
eccezionale deroga» al principio  della  spettanza  del  gettito  dei
tributi  riscossi  sul  proprio  territorio,  cosi'  sottraendo  alla
Regione «entrate che  essa  potrebbe  destinare  a  far  fronte  alle
proprie spese». 
    In tal  modo  sarebbe  anche  frustrato  l'obbligo  di  garantire
l'equilibrio finanziario  del  bilancio  regionale,  con  conseguente
violazione degli artt. 81, ultimo comma,  97,  primo  comma,  e  119,
primo e sesto comma Cost., oltre  che  dell'art.  43  dello  statuto,
«prevedendosene l'applicabilita' a prescindere dalle necessarie norme
di attuazione». 
    4.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    Secondo  la  difesa  statale,  la  Corte  costituzionale,   nella
sentenza n.  19  del  2015,  avrebbe  considerato  costituzionalmente
legittima  l'imposizione  unilaterale,  alle  Regioni  ad   autonomia
speciale, di un contributo al  risanamento  della  finanza  pubblica,
funzionale al rispetto  dei  vincoli  di  bilancio  assunti  in  sede
europea. 
    L'Avvocatura statale poi, richiamando la sentenza n. 77 del 2015,
ha speso argomenti a sostegno della legittimita'  costituzionale  del
meccanismo   di    accantonamento    transitorio    di    quote    di
compartecipazione al gettito tributario,  non  direttamente  previsto
dalle disposizioni impugnate dalla Regione siciliana. 
    Ha  richiamato,  ancora  una  volta,  i  contenuti   dell'accordo
raggiunto in data 11  febbraio  2016,  sulla  proposta  regionale  di
determinazione della manovra. 
    Infine, ha evidenziato che le doglianze mosse contro i commi  681
e 682 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015  sarebbero  «totalmente
prive di fondamento,  trattandosi  di  norme  applicabili  alle  sole
Regioni a statuto ordinario». 
    4.5.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione  del  ricorso,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato   ha
depositato  memoria,  con  la  quale  ha  ribadito  e  sviluppato  le
argomentazioni contenute nell'atto di costituzione. 
    5.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il  27-29  febbraio
2016 e depositato l'8 marzo 2016 (reg.  ric.  n.  17  del  2016),  ha
impugnato, tra gli altri, l'art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge
n. 208 del 2015. 
    5.1.- La ricorrente, dopo aver richiamato il contenuto  normativo
del comma 680  (gia'  illustrato  al  precedente  punto  1.2.2.),  ha
aggiunto che, con i successivi commi 681 e 682, e'  stato  esteso  al
2019 il contributo - nella misura  incrementata  dall'art.  1,  comma
398, lettera c), della legge n. 190 del 2014 - al contenimento  della
spesa pubblica gia' previsto  per  le  Regioni  a  statuto  ordinario
dall'art. 46, comma 6,  del  decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66
(Misure urgenti  per  la  competitivita'  e  la  giustizia  sociale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n.  89.  I
due  ultimi  commi  menzionati  prevedono   che   le   modalita'   di
realizzazione dei risparmi cosi' imposti debbano essere concordate in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di
ciascun anno e che, anche in  questa  ipotesi,  in  caso  di  mancata
intesa, trovino applicazione le disposizioni  contenute  nel  secondo
periodo del citato art. 46, comma 6, del d.l. n.  66  del  2014  (che
prevede la determinazione unilaterale  da  parte  dello  Stato  degli
ambiti di spesa e  degli  importi  attribuiti  a  ciascuna  Regione),
tenendo anche conto  del  PIL  e  della  popolazione  residente,  con
rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti  di  spesa
individuati e delle modalita' di acquisizione delle risorse da  parte
dello  Stato,  previa  sottrazione  della  «cifra  corrispondente  al
risparmio realizzato in modo permanente con il taglio per 200 milioni
di euro del finanziamento del Servizio sanitario nazionale»,  attuato
dagli artt. da 9-bis a 9-septies del decreto-legge 19 giugno 2015, n.
78  (Disposizioni  urgenti   in   materia   di   enti   territoriali.
Disposizioni  per  garantire  la  continuita'  dei   dispositivi   di
sicurezza e di  controllo  del  territorio.  Razionalizzazione  delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonche' norme  in  materia  di
rifiuti e di emissioni industriali), convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2015, n. 125. 
    Le  disposizioni   impugnate   violerebbero,   a   parere   della
ricorrente: gli artt. 3, 32  e  97  Cost.,  con  ridondanza  «in  una
violazione delle competenze regionali indebitamente compresse di  cui
agli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della  Costituzione»,  i
quali ultimi verrebbero anche autonomamente violati; il principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; l'art. 5, comma
1, lettera g), della  legge  costituzionale  20  aprile  2012,  n.  1
(Introduzione del principio del  pareggio  di  bilancio  nella  Carta
costituzionale); l'art. 11 della legge n. 243 del 2013 [recte: 2012]. 
    5.1.1.- La ricorrente lamenta,  in  primo  luogo,  «[l]'eccessiva
misura e mancanza  di  proporzionalita'  del  taglio  disposto»,  che
avrebbe   costretto   le   Regioni   a   estendere,   in   sede    di
autocoordinamento, i risparmi di spesa anche  al  settore  sanitario,
dal  momento  che  «l'entita'  degli  stessi  non   trova   ormai   -
paradossalmente - capienza  all'interno  dell'ammontare  della  spesa
primaria (extra sanitaria)  per  beni  e  servizi  disponibile  delle
Regioni».   Tale   mancanza   di   proporzionalita'   sarebbe   stata
sottolineata dalla Corte dei Conti nella  delibera  del  29  dicembre
2014, contenente la relazione sulla gestione finanziaria  degli  enti
territoriali (per l'esercizio 2013), dalla quale risulterebbe che  al
comparto degli enti territoriali sia stato richiesto «uno  sforzo  di
risanamento non proporzionato all'entita' delle loro risorse». 
    5.1.2.- La  Regione  Veneto  si  duole,  ancora,  del  «carattere
meramente lineare dei tagli che vengono imposti alla spesa regionale,
con una indebita  interferenza  in  ambiti  inerenti  a  fondamentali
diritti civili e soprattutto sociali» (alla luce delle competenze  in
materia  di  sanita'  e  di  assistenza  sociale,  costituzionalmente
assegnate alle Regioni), dove lo Stato dovrebbe,  invece,  «esplicare
la propria  fondamentale  funzione  di  coordinamento  attraverso  la
determinazione  dei  livelli  essenziali  delle   prestazioni»,   mai
avvenuta in relazione ai livelli  essenziali  di  assistenza  sociale
(cosiddetti LIVEAS). 
    5.1.3.-  La  ricorrente  sottolinea,  ancora,   il   difetto   di
istruttoria, dal momento che nessuna «verifica di sostenibilita'  dei
tagli» sarebbe stata effettuata a livello centrale, con l'effetto  di
compromettere l'erogazione dei servizi soprattutto in quelle  realta'
regionali che hanno adottato  misure  di  contenimento  della  spesa,
«riducendola  a  livelli  difficilmente  comprimibili  ulteriormente»
senza arrecare un vulnus al sistema dei servizi sociali. 
    5.1.4.- Violerebbe i parametri costituzionali indicati, a  parere
della ricorrente, anche la totale mancanza, «nei criteri  di  riparto
del taglio sulla spesa  sanitaria»,  di  ogni  riferimento  ai  costi
standard, in contrasto con le previsioni dettate, per il riparto  del
Fondo sanitario nazionale, dal decreto legislativo 6 maggio 2011,  n.
68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle  regioni  a
statuto ordinario e delle province,  nonche'  di  determinazione  dei
costi e dei fabbisogni standard  nel  settore  sanitario),  che  tale
espresso riferimento, invece, impone. 
    5.1.5.- Nelle disposizioni impugnate, secondo la Regione  Veneto,
si evidenzierebbe uno «scollamento» tra il livello  di  finanziamento
del  fondo  sanitario,  che  viene  «pesantemente  ridotto»,   e   la
determinazione  dei   livelli   essenziali   di   assistenza   (LEA),
«evidentemente sottostimati» da parte dello Stato. 
    5.1.6.-  Le  disposizioni  censurate,  ancora,   violerebbero   i
principi  espressi  dalla  giurisprudenza  costituzionale  in  ordine
all'illegittimita', per violazione dell'art.  119  Cost.,  di  misure
finanziarie restrittive a carico delle Regioni, senza  determinazione
di un  «termine  finale  di  operativita'».  Infatti,  si  potrebbero
considerare principi fondamentali in materia di  coordinamento  della
finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., solo le
norme che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica,  intesi  nel   senso   di   un   transitorio   contenimento
complessivo, anche se  non  generale,  della  spesa  corrente  e  non
prevedano,  in  modo  esaustivo,  strumenti  o   modalita'   per   il
perseguimento dei suddetti obiettivi (vengono richiamate le  sentenze
n. 193 e n. 148 del 2012, n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010). Secondo
la ricorrente, avendo tale giurisprudenza fissato in un  triennio  il
limite temporale massimo delle manovre di  contenimento  della  spesa
pubblica a carico delle Regioni, risulterebbe  elusiva  dei  principi
cosi' fissati la tecnica normativa adottata dal legislatore  statale,
«consistente nel fissare un termine triennale ai tagli,  estendendolo
poi, di anno in anno, con successivi interventi normativi». 
    5.1.7.-  La  Regione  Veneto  si  duole   dell'arbitrarieta'   ed
irragionevolezza della previsione secondo cui,  in  caso  di  mancata
intesa entro il 31 gennaio, «i tagli vengano ripartiti  dal  Governo»
tenendo conto della popolazione residente  e  del  PIL  regionale.  A
giudizio della ricorrente, infatti, tale disposizione  indebolirebbe,
in sede  di  autocoordinamento,  la  posizione  «contrattuale»  delle
Regioni con un PIL piu' elevato  rispetto  alle  altre  Regioni,  non
essendo precisato in che misura verrebbe  considerato,  ai  fini  del
riparto, il criterio del PIL, potendo tale indice  essere  utilizzato
«dal Governo come criterio decisamente prevalente». In tal  modo,  le
Regioni con un PIL piu' elevato, risultando  esposte  al  rischio  di
dover accettare, in caso di mancata intesa, «un maggiore impatto  del
taglio», si vedrebbero  «indebolite  rispetto  alla  possibilita'  di
contrastare le  pretese  avanzate  dalle  Regioni  con  un  PIL  meno
elevato, che potranno imporre criteri di riparto del  taglio  a  loro
favorevoli». Tutto cio' avverrebbe nonostante che le Regioni  con  un
PIL piu' elevato siano quelle piu' efficienti sul  lato  della  spesa
pubblica, come emergerebbe dalla  scelta,  effettuata  dal  Ministero
della   salute,   delle   cinque   regioni    benchmark    al    fine
dell'applicazione  dei  costi  standard  nella  sanita',   ai   sensi
dell'art. 27 del d.lgs. n. 68  del  2011,  identificate,  per  l'anno
2014, nelle regioni  Veneto,  Emilia  Romagna,  Lombardia,  Marche  e
Umbria. Il criterio  del  PIL,  dunque,  si  dimostrerebbe  incongruo
«rispetto ai test di  connessione  razionale  e  di  necessita'»,  in
quanto la funzione di coordinamento della finanza  pubblica  dovrebbe
essere diretta a contenere innanzitutto la  spesa  inefficiente  («la
c.d. spesa cattiva») prima che  «la  c.d.  spesa  buona»,  diretta  a
finanziare i servizi e funzionale alla garanzia dei diritti. 
    5.1.8.- L'irragionevolezza e la  sproporzione  dell'utilizzo  del
criterio del PIL,  come  «parametro  alternativo  cui  rapportare  il
taglio in caso di mancata  intesa»,  emergerebbe  -  a  parere  della
ricorrente - dall'osservazione secondo cui il PIL  regionale  non  si
tradurrebbe affatto  in  una  disponibilita'  di  risorse  a  livello
regionale, non essendo dimostrato che una Regione «povera» in termini
di PIL disponga di risorse inferiori, a parita' di sforzo fiscale, di
altre  Regioni  piu'  ricche  in   termini   di   PIL:   quest'ultimo
rappresenta, infatti, un criterio  profondamente  diverso  da  quello
della capacita' fiscale (consistente nel gettito  standardizzato  dei
tributi  di  competenza  regionale),  previsto  come  unico  criterio
perequativo ordinario tra le  autonomie  territoriali  ai  sensi  del
terzo comma dell'art. 119 Cost. Da  qui,  l'ulteriore  considerazione
che il criterio del PIL  violerebbe  tale  parametro  costituzionale,
introducendo una misura di perequazione implicita (dal momento che il
taglio  si  concretizzerebbe  in  una  riduzione  dei   trasferimenti
statali) in alcun modo riconducibile (come avrebbe affermato la Corte
costituzionale nella sentenza n. 79 del 2014) all'art. 119,  terzo  e
quinto comma, Cost.: le norme impugnate, infatti, realizzerebbero «un
indebito incameramento di risorse spettanti agli enti  territoriali»,
che verrebbero genericamente assunte nel bilancio dello Stato  e  non
destinate all'unica forma di perequazione consentita  dall'art.  119,
quinto  comma,  Cost.,  ovvero  inerente  a  risorse  aggiuntive,  in
relazione a determinate Regioni. 
    5.1.9.-  La  Regione  ricorrente  lamenta,  ancora,  la   mancata
attuazione del disposto dell'art. 5, comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012, e dell'art. 11  della  legge  n.  243  del  2013
[recte: 2012], dal momento che non sarebbe mai stato istituito, nello
stato di previsione del Ministero dell'economia e delle  finanze,  il
previsto Fondo straordinario per il concorso dello Stato, nelle  fasi
avverse del ciclo economico o al verificarsi di  eventi  eccezionali,
al finanziamento dei livelli essenziali  delle  prestazioni  e  delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali: di qui, a
giudizio della Regione Veneto, «il  contrasto,  anche  a  prescindere
dalle procedure applicative dell'art. 11 citato,  della  disposizione
impugnata con i presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di
bilancio deve in ogni caso considerare, con evidente  ricaduta  sulla
autonomia costituzionalmente riconosciuta alle Regioni». 
    5.1.10.-  Secondo  la  ricorrente,   inoltre,   le   disposizioni
impugnate travalicherebbero la  funzione  del  «coordinamento»  della
finanza  pubblica,  concretizzandosi,   piuttosto,   in   misure   di
indiscriminato  «contenimento»,  risultando,   pero',   prive   degli
indispensabili elementi di razionalita', proporzionalita',  efficacia
e sostenibilita'. Data l'entita' «dei tagli attuati dal Governo sulla
spesa regionale», esse si porrebbero  in  contrasto  con  i  principi
enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 188 del 2015 e
n. 10 del 2016, secondo cui le riduzioni delle risorse non dovrebbero
essere tali da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni. 
    5.1.11.-  A  «ulteriore  dimostrazione   della   violazione   del
principio di leale collaborazione e del difetto di  istruttoria»,  la
Regione ricorrente sottolinea, infine, che non vi sarebbe stato alcun
coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica, che sarebbe imposto,  invece,  per  la  definizione
delle manovre di finanza pubblica, dall'art. 5, comma 1, della  legge
n. 42 del 2009 (come ribadito dall'art. 33 del decreto legislativo n.
68 del 2011). 
    5.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato non fondato. 
    Secondo la difesa statale, «la questione  sembrerebbe  superata»,
in virtu' dell'intesa raggiunta, in  data  11  febbraio  2016,  sulla
proposta regionale di determinazione della manovra. In tale intesa si
sarebbe convenuto  che  il  contributo  del  settore  sanitario  alla
manovra sia pari a 3.500 milioni di euro per l'anno 2017 ed  a  5.000
milioni di euro a decorrere dal 2018,  rinviando  ad  una  successiva
intesa «la puntuale definizione degli ulteriori 480 milioni  di  euro
annui di manovra». Per effetto di tale decisione, sarebbe stato anche
rideterminato il  livello  di  finanziamento  al  Servizio  sanitario
nazionale, con un incremento pari all'1,8 per cento annuo nel biennio
2017-2018. La difesa erariale ha anche sostenuto che il riparto,  tra
le Regioni, del fabbisogno sanitario e' stato  effettuato  secondo  i
criteri dei costi standard, escludendo qualsiasi «taglio lineare»,  a
differenza di quanto ritenuto dalla Regione ricorrente. 
    Infine, sempre secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  le
regole e le modalita' volte alla razionalizzazione e riduzione  della
spesa pubblica costituirebbero  piena  attuazione  del  coordinamento
della finanza pubblica, ne' verrebbero in rilievo norme di dettaglio,
«lesive dell'autonomia di cui godono le regioni». E' invece  previsto
che siano  le  Regioni  stesse,  in  sede  di  autocoordinamento,  ad
individuare le modalita' di realizzazione del contributo, vale a dire
gli ambiti di spesa sui quali intervenire e i relativi  importi,  nel
rispetto del livelli essenziali di assistenza, privilegiandosi  cosi'
le «fasi dialogiche», in una «dimensione collegiale  improntata  alla
leale collaborazione», tanto che la  determinazione  unilaterale  (da
parte  del  Governo)  sarebbe  concepita  come  rimedio  ultimo   per
assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla  manovra  di
bilancio. 
    5.3.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione del ricorso, le parti hanno depositato  memorie,  con  le
quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni  contenute  negli
atti precedenti. 
    La  Regione  Veneto,  in  particolare,   ha   sottolineato   come
l'impugnato comma 681, nell'estendere al 2019 il contributo  previsto
dal comma 6 dell'art. 46 del d.l. n. 66 del  2014,  come  convertito,
gia' esteso al 2018 dall'art. 1, comma 398, lettera  a),  numero  2),
della legge n.  190  del  2014,  si  porrebbe  in  contrasto  con  le
affermazioni contenute nella sentenza n.  141  del  2016,  la  quale,
nell'escludere l'incostituzionalita'  della  suddetta  estensione  al
2018, ha segnalato tuttavia come «il costante  ricorso  alla  tecnica
normativa  dell'estensione  dell'ambito   temporale   di   precedenti
manovre,  mediante  aggiunta  di  un'ulteriore  annualita'  a  quelle
originariamente previste, finisce  per  porsi  in  contrasto  con  il
canone della transitorieta', se  indefinitamente  ripetuto».  E  tale
contrasto sarebbe  confermato  dall'ulteriore  estensione,  al  2020,
operata dalla legge n. 232 del 2016 - che pure la Regione  Veneto  ha
autonomamente  impugnato,  con  successivo   ricorso   -   la   quale
manifesterebbe l'intento  del  legislatore  statale  di  incidere  «a
ripetizione», con una forma  di  «transitorieta'  permanente»,  sulla
capacita' di spesa delle Regioni, sulla quale si concentra «la  quota
prevalente dei servizi e dei diritti dello  Stato  sociale,  tra  cui
principalmente il diritto alla salute»,  con  conseguente  violazione
dell'art. 32 Cost. 
    Ha, poi, ribadito che l'adesione all'intesa stipulata in data  11
febbraio 2016 non ha comportato affatto, come invece sostenuto  dalla
difesa statale, la carenza d'interesse a  coltivare  il  ricorso,  in
quanto la conclusione dell'accordo si e' posta come  atto  necessario
per evitare l'intervento sostitutivo (e unilaterale) da  parte  dello
Stato. 
    Ha, inoltre, sottolineato che  proprio  la  rideterminazione,  al
ribasso (rispetto alla cifra prevista, per il 2016,  dalla  legge  n.
190 del 2014), del livello di finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale, starebbe a  dimostrare  l'insostenibilita'  dell'ulteriore
riduzione di risorse, a fronte del progressivo aumento della «domanda
di salute legato all'incremento del  benessere  e  all'invecchiamento
della   popolazione»   (viene   citato   un   rapporto   dell'Ufficio
parlamentare per il bilancio). 
    A  riprova  dell'assunto,  la  Regione   Veneto   ha   depositato
documentazione attestante una «perdita  previsionale»  delle  aziende
del Servizio sanitario regionale pari a 566,8 milioni di euro per  il
2016, con conseguente necessita' di approvare un piano  straordinario
di revisione della  spesa,  contenente  azioni  correttive  volte  al
miglioramento  dei  risultati  dei  bilanci  aziendali,   quali:   la
definizione di un limite di costo per il trattamento  dell'epatite  C
cronica; la sospensione della procedura di accreditamento di numerose
strutture sanitarie; la limitazione dei pareri positivi  di  coerenza
per gli accreditamenti delle strutture gia' funzionanti nel 2015.  In
tal modo si sarebbe arrestata l'attuazione della programmazione delle
«strutture  di  cure  intermedie»,  che   costituiva   un   obiettivo
strategico della Regione Veneto, essendo volta a garantire assistenza
a quei pazienti colpiti da malattie non piu' trattabili  in  ospedale
in fase acuta ma non  ancora  affidabili  all'assistenza  domiciliare
integrata, con inevitabile incremento dei costi  per  trattamenti  in
reparti ospedalieri invece  riservati  ai  pazienti  in  fase  acuta.
Sarebbe, cosi', dimostrata  l'impossibilita',  per  la  Regione,  «di
offrire un adeguato livello di servizio  rispetto  ai  bisogni  della
popolazione»  (come  richiesto  dalla  sentenza  n.  65  del   2016),
soprattutto in materia sanitaria. 
    Quanto ai commi 680 e 682, la Regione Veneto, nella  memoria,  ha
dichiarato di «prendere atto di quanto affermato  nella  sentenza  n.
141 del 2016», evidenziando, pero', che l'auspicio, ivi contenuto, di
tenere conto dei costi e dei fabbisogni standard regionali,  gia'  in
sede  di  autocoordinamento,  non  e'  stato  rispettato  nell'intesa
raggiunta in data 11 febbraio 2016. 
    Ha, poi,  evidenziato  che  la  modifica  al  comma  680  operata
dall'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016,  con  l'aggiunta
della possibilita' di prevedere versamenti al bilancio dello Stato da
parte delle Regioni interessate, avrebbe trasformato  la  Regione  in
una sorta di  «esattore»  per  conto  dello  Stato,  con  obbligo  di
riversare a quest'ultimo risorse proprie, in contrasto con l'art. 119
Cost., secondo quanto gia' affermato dalla sentenza n. 79 del 2014. 
    6.- La Provincia autonoma di Trento, con ricorso notificato il 29
febbraio e depositato il 10 marzo 2016 (reg. ric. n. 20 del 2016), ha
impugnato, tra gli altri, l'art. 1, comma 680, quarto periodo,  della
legge n. 208 del 2015. 
    6.1.- La ricorrente, dopo aver richiamato il contenuto  normativo
del comma 680  (gia'  illustrato  al  precedente  punto  1.2.2.),  ha
sostenuto che il quarto  periodo  impugnato  contrasterebbe  con  gli
artt. 104 e 107  dello  statuto  reg.  Trentino-Alto  Adige,  con  il
principio consensualistico - anche con riferimento all'accordo con il
Governo sottoscritto il 15 ottobre 2014 -, con l'art. 27 della  legge
n. 42 del 2009, nonche' con l'art. 3 Cost. 
    La  Provincia  autonoma  di  Trento  ha  chiarito  che   la   sua
impugnazione e' da intendersi proposta in via cautelativa, ossia  per
l'ipotesi in  cui  l'applicabilita'  alla  ricorrente  dell'impugnata
disposizione «non si dovesse intendere esclusa dal quinto periodo per
le parti incompatibili con gli accordi stipulati». 
    Secondo la  ricorrente,  infatti,  l'intero  comma  680  potrebbe
essere interpretato in senso non lesivo delle proprie attribuzioni  e
delle regole che governano i suoi rapporti finanziari con  lo  Stato.
Cio' avverrebbe considerando la disposizione  del  quinto  periodo  -
secondo cui l'applicazione dell'intero comma 680  deve  avvenire  nel
rispetto dell'accordo sottoscritto con il Governo in data 15  ottobre
2014 - come norma di chiusura, che specifica come  il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica  della  Provincia  autonoma  ricorrente
deve avvenire «nei termini di quanto previsto (in attuazione di  tale
accordo) dai commi da 406 a 413 dell'articolo 1 della  legge  n.  190
del 2014», in questo senso «correggendo» il piu'  esteso  riferimento
ai commi da 400 a 417  dell'art.  1  della  legge  n.  190  del  2014
contenuto nel quarto periodo, che menziona anche le Province autonome
di Trento e di Bolzano. 
    L'impugnativa della disposizione di cui  al  quarto  periodo  del
comma 680, dunque, viene proposta in via cautelativa, «per  l'ipotesi
che la menzione delle Province autonome in essa contenuta non dovesse
essere intesa  come  un  difetto  di  coordinamento  con  il  quinto»
periodo, «fermo restando che in ogni caso il quarto  periodo  non  e'
applicabile in contrasto con quanto disposto dal quinto periodo». 
    6.1.1.- Per  l'ipotesi  di  ritenuta  applicabilita'  anche  alle
Province autonome del quarto periodo del comma 680, anche nelle parti
incompatibili  con  l'accordo  richiamato  al  quinto   periodo,   la
Provincia autonoma di Trento ha provveduto a ricostruire il contenuto
precettivo dei commi da 400 a 417 dell'art. 1 della legge n. 190  del
2014, in termini analoghi a  quelli  indicati  nel  ricorso  proposto
dalla Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n.  10  del  2016)  ed
illustrati al precedente punto 1.2.3. 
    Ha cosi' sottolineato l'incompatibilita' del  richiamo  ai  commi
400, 404, 415, 416 e 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014  con
i parametri evocati, in quanto l'applicazione  di  tali  disposizioni
non  sarebbe  stata  concordata  e  si  collocherebbe  al  di   fuori
dell'accordo concluso tra lo Stato e le Province autonome  nel  2014,
per disciplinare i rapporti finanziari tra i predetti enti anche  con
riferimento all'anno 2018  «ed  in  modo  dichiaratamente  esaustivo»
(sono richiamati, in particolare, i punti 5,  9  e  12  dell'accordo,
nonche' il punto 14, contenente una clausola che autorizza  lo  Stato
ad invocare, entro limiti predefiniti, nuovi bisogni in  relazione  a
possibili - ma  non  verificatesi,  a  giudizio  della  ricorrente  -
eccezionali situazioni di crisi della finanza pubblica). 
    Il richiamo ai sopra citati commi dell'art. 1 della legge n.  190
del  2014,  dunque,  sarebbe   costituzionalmente   illegittimo   per
violazione del principio consensualistico, che sarebbe fondato su una
pluralita' di regole  previste  dallo  statuto  -  tra  le  quali  la
procedura concordata per la revisione  delle  regole  del  titolo  IV
(art. 104, primo comma) e la procedura per  le  norme  di  attuazione
(art. 107) - oltre che ribadito dall'art. 27 della legge  n.  42  del
2009  e  riconosciuto  dalla  giurisprudenza   costituzionale   (sono
richiamate le sentenze n. 155 e n. 19 del 2015). 
    6.1.2.- La Provincia autonoma di Trento, inoltre, ha ricordato di
aver accettato - a fronte degli obblighi assunti dallo  Stato  -  con
impegno consacrato al punto 15 dell'accordo  concluso  nel  2014,  di
rinunciare a tutti i contenziosi pendenti relativi alla  legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni  di  legge  concernenti  i
rapporti finanziari tra la stessa Provincia autonoma e lo  Stato.  In
relazione a questa rinuncia, avrebbe  cosi'  maturato  «un  legittimo
affidamento al mantenimento degli impegni anche da parte statale e in
generale   alla   stabilita'   dei   rapporti   finanziari   definiti
dall'accordo»: la violazione di tale affidamento  si  tradurrebbe  in
lesione dell'art. 3 Cost. e del principio  di  ragionevolezza,  senza
che sia possibile obiettare la mancata  tempestiva  impugnazione  dei
commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell'art. 1 della  legge  n.  190  del
2014, dovuta proprio all'accordo appena concluso  con  lo  Stato.  In
base al principio di leale collaborazione, la Provincia  autonoma  di
Trento ricorda come, all'epoca,  ritenne  preferibile  segnalare  «le
incongruenze  riscontrate,  chiedendo  formalmente  al   Governo   la
modifica delle norme contestate», con  nota  del  18  febbraio  2015,
prot. n. 92532, allegata al ricorso: il quinto periodo del comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 rappresenterebbe «proprio  il
soddisfacimento della richiesta di riportare  i  rapporti  finanziari
tra lo Stato e le Province autonome a quanto stabilito dall'accordo». 
    6.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  si  e'  costituito  nel
giudizio di legittimita' costituzionale, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato. 
    Le  difese  spiegate   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato
ricalcano, alla lettera, quelle contenute nell'atto  di  costituzione
avverso il ricorso proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano (reg.
ric. n. 10 del 2016) ed illustrate al precedente punto 1.3. 
    6.3.-  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  fissata  per   la
discussione del ricorso, le parti hanno depositato  memorie,  con  le
quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni  contenute  negli
atti precedenti. 
    La Provincia autonoma di Trento, in particolare,  ha  evidenziato
che l'opportunita' dell'impugnativa, seppure in via cautelativa,  del
comma 680 e' stata confermata  dalla  nota  (allegata  alla  memoria)
inviata in data 31 gennaio 2017 dal Ministro per gli affari regionali
al Presidente della Provincia ricorrente, con la quale  il  primo  ha
sottoposto alla  Provincia,  per  la  sottoscrizione,  una  bozza  di
accordo relativo ai contributi di cui al comma 680 dell'art. 1  della
legge n. 208 del 2015 e di cui ai commi 392 e 394 dell'art.  1  della
legge n. 232 del 2016, bozza nella quale si richiede il versamento di
tali contributi entro il 30 aprile di ciascuno degli anni dal 2017 al
2019, con l'avvertenza che,  in  mancanza,  tali  contributi  saranno
trattenuti a valere sulle quote di tributi  erariali  spettanti  alle
Province. 
    La  ricorrente  ha   poi   ribadito   la   piena   ammissibilita'
dell'impugnativa dei commi dell'art. 1 della legge n.  190  del  2014
richiamati dal quarto periodo del comma 680 della legge  n.  208  del
2015, che e' «disposizione normativa nuova ed autonoma  contenuta  in
una fonte distinta». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con i ricorsi indicati in epigrafe, le Province  autonome  di
Trento e di Bolzano  e  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia
impugnano alcune disposizioni contenute nell'art. 1, comma 680, della
legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)». Tale comma viene,  invece,  censurato  per  intero
dalla Regione autonoma Sardegna, cosi' come dalla Regione siciliana e
dalla Regione Veneto, le quali ultime fanno oggetto di ricorso  anche
i successivi commi 681 e 682 del medesimo art. 1 della legge  n.  208
del 2015. 
    Nella versione vigente al momento della proposizione dei ricorsi,
il citato art. 1, comma 680, determina il concorso  delle  Regioni  e
delle  Province  autonome  agli  obiettivi   di   finanza   pubblica,
fissandone la misura per  ciascuno  degli  anni  dal  2017  al  2019.
Demanda poi ai  medesimi  enti,  in  sede  di  autocoordinamento,  il
raggiungimento di  un  accordo  sulla  definizione  degli  ambiti  di
riduzione di spesa e dei relativi  importi,  e  stabilisce  che  tale
accordo e' da recepire con intesa in sede  di  Conferenza  permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e  le  Province  autonome  di
Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno. 
    Prevede, inoltre, per il caso di mancata intesa,  la  definizione
unilaterale da parte dello Stato  dei  rispettivi  contributi  -  con
riferimento anche alla popolazione residente e  al  prodotto  interno
lordo (PIL) - e la  rideterminazione  dei  livelli  di  finanziamento
degli ambiti individuati e  delle  modalita'  di  acquisizione  delle
risorse da parte dello  Stato,  dovendosi  tener  conto  anche  delle
risorse destinate al finanziamento corrente  del  Servizio  sanitario
nazionale. 
    Ancora,  il  comma  680  ribadisce  l'obbligo  di  assicurare  il
finanziamento dei livelli essenziali di  assistenza  e  fa  salva  la
necessita' di raggiungere un'intesa  con  ciascuna  delle  Regioni  e
delle Province ad autonomia speciale. 
    Per le Province autonome e per la  Regione  Trentino-Alto  Adige,
infine, il medesimo comma prevede che  l'applicazione  di  quanto  in
esso stabilito debba avvenire nel rispetto dell'accordo raggiunto con
lo Stato in data 15 ottobre 2014. 
    Il comma 681, per parte sua, conferma anche per  l'anno  2019  il
precedente  contributo  previsto   dall'art.   46,   comma   6,   del
decreto-legge  24  aprile  2014,  n.  66  (Misure  urgenti   per   la
competitivita'   e   la   giustizia   sociale),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. 
    Il comma  682  detta  esclusivamente  prescrizioni  di  carattere
procedurale, in particolare  disciplinando  ex  novo,  per  gli  anni
successivi al  2015,  i  termini  per  la  conclusione  delle  intese
relative al riparto dei contributi alla finanza pubblica. 
    1.1.- La Provincia autonoma di Bolzano  impugna  il  solo  quarto
periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del  2015.  Esso
prevede che «[l]e regioni e le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano  assicurano  il  finanziamento  dei  livelli  essenziali   di
assistenza come eventualmente rideterminato  ai  sensi  del  presente
comma e dei commi da 681 a 684 del presente articolo e  dell'articolo
1, commi da 400 a 417, della legge 23 dicembre 2014, n. 190». 
    Nelle   premesse   del   ricorso,    la    ricorrente    richiama
cumulativamente, quali parametri, gli artt. 79,  80,  81  e  104  del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione  del  testo  unico  delle
leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto   speciale   per   il
Trentino-Alto Adige), le correlative norme  di  attuazione  (dettate,
quanto al titolo VI dello stesso statuto, dagli artt.  17  e  18  del
decreto  legislativo  16  marzo  1992,  n.  268,  recante  «Norme  di
attuazione dello statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige  in
materia di finanza regionale e provinciale»),  gli  artt.  3  e  117,
terzo comma, della Costituzione, l'art. 27 della legge 5 maggio 2009,
n. 42 (Delega al  Governo  in  materia  di  federalismo  fiscale,  in
attuazione  dell'articolo  119  della   Costituzione),   nonche'   il
principio di leale collaborazione, anche in  relazione  all'art.  120
Cost. 
    In particolare, essa ritiene in contrasto con  l'art.  104  dello
statuto speciale di autonomia la disposizione impugnata, nella  parte
in  cui  dispone  che  anche  le  Province  autonome  assicurino   il
finanziamento  dei  livelli  essenziali  di  assistenza  (LEA),  come
eventualmente rideterminato anche ai sensi dei commi  da  400  a  417
dell'art.  1  della  legge  23  dicembre  2014,   n.   190,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita'  2015)».  Senza  attribuire  rilievo
alla  previsione  del  successivo  quinto  periodo  -   secondo   cui
l'applicazione dell'intero  comma  680  deve  avvenire  nel  rispetto
dell'accordo del 15  ottobre  2014  (cosiddetto  Patto  di  garanzia)
concluso con lo Stato - la ricorrente assume che il richiamo ai commi
400, 404 e 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 (che prevedono
per il 2018 un contributo aggiuntivo  a  carico  della  Provincia  di
Bolzano) e il rinvio anche ai commi 415 e 416 dell'art. 1 della legge
n. 190 del 2014 (che estendono all'annualita' 2018 la disciplina gia'
contenuta nelle leggi di stabilita' per il 2013 e per  il  2014)  non
sarebbero stati concordati, appunto  ai  sensi  dell'art.  104  dello
statuto speciale. 
    Va precisato che la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto  il
ricorso in via cautelativa, per l'ipotesi in cui si  ritenga  che  il
contributo previsto dai commi dell'art. 1  della  legge  n.  190  del
2014, richiamati dal quarto periodo del comma 680, con efficacia  dal
2018, sia aggiuntivo rispetto a quello onnicomprensivo concordato con
il cosiddetto Patto di garanzia del 2014. 
    1.2.- Analogamente, la Provincia autonoma di  Trento  impugna  il
solo quarto periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208  del
2015, ritenendolo in contrasto con gli artt. 104 e 107 dello  statuto
reg. Trentino-Alto Adige, con il  principio  consensualistico  e  con
l'art. 27 della legge n. 42 del  2009,  per  violazione  dell'accordo
concluso il 15 ottobre 2014. 
    La  ricorrente  aggiunge,  tuttavia,  un  ulteriore  profilo   di
censura, ritenendo leso l'art. 3 Cost. e il principio di  affidamento
presidiato da tale parametro costituzionale. A fronte  degli  impegni
assunti dallo Stato, essa sostiene, infatti,  di  aver  rinunciato  a
tutti   i   contenziosi   pendenti   relativi    alla    legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni  di  legge  concernenti  i
rapporti finanziari con il primo. In  relazione  a  questa  rinuncia,
avrebbe percio' maturato «un legittimo affidamento»  al  mantenimento
degli impegni anche da parte statale e in  generale  alla  stabilita'
dei rapporti finanziari definiti dall'accordo. 
    Anche la Provincia autonoma di Trento propone il ricorso «in  via
cautelativa», per l'ipotesi in cui l'applicabilita'  alla  ricorrente
della disposizione del  quarto  periodo  «non  si  dovesse  intendere
esclusa dal quinto periodo per le parti incompatibili con gli accordi
stipulati» e, dunque, per l'ipotesi in cui la menzione delle Province
autonome contenuta nel quarto periodo non dovesse essere intesa  come
un «difetto di coordinamento» con il quinto periodo del comma 680. 
    1.3.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia   Giulia   aggiunge,
all'impugnativa del quarto  periodo,  quella  avente  ad  oggetto  il
quinto periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015,
secondo cui «[p]er la regione Trentino-Alto Adige e per  le  province
autonome di Trento e di Bolzano  l'applicazione  del  presente  comma
avviene nel rispetto dell'Accordo sottoscritto tra  il  Governo  e  i
predetti enti in data 15  ottobre  2014,  e  recepito  con  legge  23
dicembre 2014, n. 190, con il  concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica previsto dai commi  da  406  a  413  dell'articolo  1  della
medesima  legge».  La  ricorrente  ritiene  entrambi  i  periodi   in
contrasto: con gli artt. 3, 5, 119 e 120 Cost. e con gli artt. 48, 49
e 50 della legge  costituzionale  31  gennaio  1963,  n.  1  (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); con  l'art.  27  della
legge n. 42 del 2009; con l'art. 9 della legge 24 dicembre  2012,  n.
243 (Disposizioni per l'attuazione  del  principio  del  pareggio  di
bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione);
con  l'autonomia  finanziaria  e  organizzativa  regionale;  con   il
principio pattizio e con quello di leale collaborazione. 
    Viene,  in  sostanza,  prospettata  la  violazione   dell'accordo
stipulato con lo Stato in data 23 ottobre 2014, richiamato  dall'art.
1, comma 512, della legge  n.  190  del  2014.  La  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia si troverebbe a dover  sopportare,  oltre  alla
propria quota degli oneri previsti dal primo periodo del  comma  680,
anche gli oneri previsti dal quarto periodo, che richiama i commi  da
400 a 417 della legge n.  190  del  2014,  i  quali  prevedono  -  in
particolare  nella  tabella  di  cui  al  comma  400  -   consistenti
contribuzioni della  Regione,  non  concordate  e  comunque  difformi
rispetto a quanto definito nell'accordo del 23 ottobre 2014. 
    Anche  la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  lamenta  la
violazione  del  principio  di  affidamento,  sottolineando  di  aver
rinunciato, in adempimento dell'accordo stipulato con  lo  Stato,  al
contenzioso pendente davanti alla Corte costituzionale in relazione a
tutte le questioni finanziarie aperte, e di aver percio' maturato «un
legittimo affidamento alla stabilita' di tali rapporti». 
    La ricorrente prospetta, inoltre, la violazione del principio  di
ragionevolezza:  sul  presupposto  che  il   rispetto   dei   livelli
essenziali di assistenza sarebbe gia' compreso  nella  definizione  e
nel riparto del contributo previsto dal primo periodo del comma  680,
il significato della disposizione impugnata sarebbe incomprensibile. 
    Asserisce, infine,  la  lesione  del  principio  di  eguaglianza,
poiche' il quinto periodo del comma 680 avrebbe omesso  di  stabilire
che,  anche  in  relazione  al  Friuli-Venezia  Giulia,  l'attuazione
dell'intero  comma  680  debba  avvenire  nel  rispetto  dell'accordo
stipulato con lo Stato in data 23 ottobre 2014. 
    1.4.- La Regione autonoma Sardegna  impugna  l'intero  comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 e, dunque, anche i primi  tre
periodi, nella formulazione vigente al momento della proposizione del
ricorso, del seguente tenore: «[l]e regioni e le province autonome di
Trento e di  Bolzano,  in  conseguenza  dell'adeguamento  dei  propri
ordinamenti ai principi di coordinamento della  finanza  pubblica  di
cui alla presente legge e  a  valere  sui  risparmi  derivanti  dalle
disposizioni ad esse direttamente applicabili ai sensi  dell'articolo
117, secondo comma, della Costituzione, assicurano un contributo alla
finanza pubblica pari a 3.980 milioni di euro per  l'anno  2017  e  a
5.480 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, in  ambiti
di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli  essenziali
di assistenza, in sede di autocoordinamento dalle regioni e  province
autonome medesime, da recepire con intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno. 
    In assenza di tale intesa entro i predetti termini,  con  decreto
del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  da  adottare,  previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, entro  venti  giorni  dalla
scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole  regioni  e  province
autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del  PIL,
e  sono  rideterminati  i  livelli  di  finanziamento  degli   ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale. 
    Fermo restando il concorso complessivo di cui al  primo  periodo,
il contributo di ciascuna autonomia speciale  e'  determinato  previa
intesa con ciascuna delle stesse». 
    La ricorrente  lamenta  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione (presidiato dagli artt. 5 e 117  Cost.)  e  di  quello
consensualistico (sancito dagli artt. 54, quinto comma,  e  56  della
legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3,  recante  «Statuto
speciale per la Sardegna»). In particolare,  il  legislatore  statale
non avrebbe previsto alcuna procedura pattizia idonea ad incidere sul
quantum   del   concorso   alla   finanza    pubblica,    determinato
unilateralmente dallo Stato anche a carico delle  Regioni  a  statuto
speciale. In tal modo, queste ultime risulterebbero  equiparate  alle
Regioni  ordinarie,  e  tutte  le  Regioni  (speciali  e   ordinarie)
sarebbero a pari titolo coinvolte nell'accordo da raggiungere in sede
di autocoordinamento sul riparto del contributo. Per questa  via,  la
Regione autonoma Sardegna, nell'individuare gli ambiti di  spesa  nei
quali operare i risparmi richiesti,  si  troverebbe  vincolata  dalla
volonta' anche di tutte  le  altre  Regioni  nonche'  delle  Province
autonome, e, in caso  di  mancanza  del  previsto  autocoordinamento,
sarebbe «consegnata alle arbitrarie determinazioni del Presidente del
Consiglio»,  con  conseguente   lesione   della   propria   autonomia
economico-finanziaria, tutelata dagli artt. 116, 117 e 119 Cost. e  7
e 8 dello statuto. 
    Sarebbe leso, altresi', il principio di  ragionevolezza,  poiche'
il  legislatore  statale  sarebbe  intervenuto  successivamente  alla
stipula dell'accordo con lo Stato  del  21  luglio  2014,  violandone
espressamente le clausole, senza prevedere un adeguato meccanismo  di
recupero, anche  ex  post,  della  leale  cooperazione  nei  rapporti
economico-finanziari. Da cio', anche l'asserita violazione  dell'art.
81, sesto comma, Cost. e dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012, dal
momento che la determinazione  di  ulteriori  oneri,  sottratti  alla
determinazione consensuale delle parti, impedirebbe  il  mantenimento
dell'equilibrio di bilancio. 
    Anche la Regione autonoma  Sardegna  lamenta  la  violazione  del
principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.,  poiche'  il  comma
680  (al  quinto  periodo)  avrebbe  salvaguardato  il  solo  accordo
stipulato tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le
Province autonome di Trento e Bolzano, con  ingiustificata  omissione
dell'analogo accordo stipulato tra lo Stato  e  la  Regione  autonoma
Sardegna. 
    Lamenta, altresi', la ricorrente la violazione del  principio  di
affidamento in ordine alla «stabilita' del quadro di regolamentazione
dei rapporti economici con lo Stato», in seguito all'accordo concluso
in  data  21  luglio  2014.  Tale  lesione  (in  assenza  di  ragioni
imperative   di   interesse    generale)    risulterebbe    ridondare
sull'autonomia economico-finanziaria della  Regione,  tutelata  dagli
artt. 7 e 8 dello statuto e dagli artt. 117 e 119 Cost. Il  principio
di affidamento troverebbe, del  resto,  riconoscimento  non  solo  ai
sensi dell'art. 3 Cost.,  ma  anche  (attraverso  l'art.  117,  primo
comma, Cost.) in virtu' degli artt. 6 e 13 della Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la
legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in avanti: CEDU). 
    La Regione autonoma Sardegna prospetta,  inoltre,  la  violazione
dell'art. 117, terzo  comma,  Cost.  (e  degli  artt.  7  e  8  dello
statuto), per effetto della natura non  transitoria  degli  ulteriori
oneri finanziari previsti: il concorso alla finanza pubblica  imposto
dalla norma impugnata, infatti, pur  essendo  disposto  per  un  solo
triennio, aggiungendosi in realta' a contributi imposti alle  Regioni
da diversi anni e in misura sempre crescente, alcuni dei  quali  -  a
giudizio della ricorrente - senza limiti di tempo, non  rispetterebbe
il  criterio  della  transitorieta'  richiesto  dalla  giurisprudenza
costituzionale per le misure restrittive di finanza pubblica, in  tal
modo eccedendo dall'ambito di competenza riconosciuto al  legislatore
statale in una materia di legislazione concorrente. 
    In connessione a tale profilo di  censura,  la  Regione  autonoma
lamenta - sempre in asserita violazione  degli  artt.  7  e  8  dello
statuto e degli artt. 117 e 119 Cost. -  il  sostanziale  azzeramento
degli «spazi finanziari» riconosciuti dall'accordo del 21 luglio 2014
proprio allo scopo di superare la situazione di «emergenza» economica
derivante dalla mancata attuazione  dell'art.  8  dello  statuto  (il
quale, nel disciplinare le entrate della Regione,  prevede  anche  la
compartecipazione  al  gettito  dei  tributi  erariali).  Il  mancato
rispetto  delle   clausole   di   quell'accordo   avrebbe   riportato
«nuovamente la Regione ricorrente nella precedente condizione, di non
poter strutturalmente far fronte al costo  delle  funzioni  pubbliche
che le sono state affidate dalla Costituzione, dallo Statuto e  dalla
legge». 
    Inoltre, secondo la Regione autonoma Sardegna, nelle sentenze che
hanno deciso la cosiddetta «vertenza entrate»  tra  Stato  e  Regione
autonoma, questa Corte avrebbe «accertato e dichiarato che  lo  Stato
aveva e ha un preciso  e  specifico  obbligo  giuridico  di  definire
consensualmente  con  la  Regione  il  regime   dei   loro   rapporti
economico-finanziari». Cio' sarebbe appunto avvenuto con  la  stipula
dell'accordo del 21  luglio  2014,  il  cui  contenuto,  dunque,  non
potrebbe  essere  disatteso,  pena   l'inosservanza   del   giudicato
costituzionale. 
    Infine, la ricorrente evoca  anche  la  violazione  dell'art.  24
Cost., poiche',  non  avendo  mai  dubitato  della  validita',  della
stabilita' e della cogenza dell'accordo del 21 luglio  2014,  proprio
in adempimento degli obblighi con esso assunti «ha ritirato  un  gran
numero di impugnazioni gia' proposte», non solo  innanzi  alla  Corte
costituzionale, con conseguente lesione del proprio diritto di difesa
in giudizio. 
    1.5.- La Regione siciliana impugna non  soltanto  l'intero  comma
680, ma anche i successivi commi 681 e 682 dell'art. 1 della legge n.
208 del 2015. 
    Argomento  centrale  a  sostegno  delle  censure  e'   l'asserita
violazione dell'art. 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946,
n.  455  (Approvazione  dello  statuto  della   Regione   siciliana),
convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  2,  poiche'
l'applicabilita' del contributo  e'  prevista  «a  prescindere  dalle
necessarie norme di attuazione»: lamenta, in sostanza, la Regione  la
violazione del principio consensualistico,  che  dovrebbe  reggere  i
rapporti finanziari tra Stato e Regioni autonome. 
    La ricorrente prospetta, altresi', la violazione degli artt.  81,
ultimo comma, 97, primo comma, e 119, primo  e  sesto  comma,  Cost.,
perche'   il   contributo   imposto   dal   comma   680,   unitamente
all'estensione all'anno  2019  disposta  dai  commi  681  e  682  del
contributo previsto  dal  d.l.  n.  66  del  2014,  come  convertito,
sommandosi «alle gia' insostenibili riduzioni di risorse subite dalla
Regione negli ultimi anni»,  graverebbe  sul  bilancio  regionale  in
maniera tale da  impedire  «lo  svolgimento  delle  proprie  funzioni
indispensabili», in tal modo frustrando anche l'obbligo di  garantire
l'equilibrio finanziario del bilancio regionale. 
    Sostiene, infine, la violazione degli artt. 36 dello statuto e  2
del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965,  n.  1074
(Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia
finanziaria),  oltre  che  del  principio  di  leale  collaborazione.
Infatti, un gettito di  integrale  spettanza  regionale,  relativo  a
tributi   riscossi   sul   territorio,   sarebbe   stato    sottratto
unilateralmente e in assenza delle condizioni per far luogo a riserva
a favore dello Stato. 
    1.6.- Anche la Regione Veneto impugna i  commi  680,  681  e  682
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015,  ritenendoli  lesivi:  degli
artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma,  118  e  119  Cost.;  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5  e  120  Cost.;
degli artt. 5, comma 1, lettera g),  della  legge  costituzionale  20
aprile 2012,  n.  1  (Introduzione  del  principio  del  pareggio  di
bilancio nella Carta costituzionale), e 11 della  legge  n.  243  del
2012. 
    La ricorrente ritiene che l'eccessiva misura  e  la  mancanza  di
proporzionalita' «del taglio disposto» avrebbe costretto le Regioni a
estendere, in sede di autocoordinamento, i risparmi di spesa anche al
settore sanitario, e che il carattere «meramente lineare  dei  tagli»
imposti alla spesa regionale  interferirebbe  in  ambiti  inerenti  a
fondamentali diritti civili e  soprattutto  sociali,  in  assenza  di
determinazione  dei  livelli   essenziali   di   assistenza   sociale
(cosiddetti LIVEAS). 
    I  contributi  al  risanamento   della   finanza   pubblica,   in
particolare, sarebbero stati decisi  a  livello  centrale,  senza  la
necessaria «verifica di  sostenibilita'  dei  tagli»,  compromettendo
l'erogazione dei servizi,  soprattutto  nelle  regioni  (tra  cui  la
ricorrente) che avevano  gia'  reso  efficiente  la  relativa  spesa,
«riducendola a livelli difficilmente comprimibili ulteriormente», pur
in  mancanza,  «nei  criteri  di  riparto  del  taglio  sulla   spesa
sanitaria», di ogni riferimento ai costi standard. 
    Nelle  disposizioni  impugnate,  anzi,  si   evidenzierebbe   uno
«scollamento» tra il livello di finanziamento  del  fondo  sanitario,
«pesantemente ridotto», e la determinazione dei livelli essenziali di
assistenza (LEA), «evidentemente sottostimati» da parte dello Stato. 
    I  commi  impugnati  sarebbero,  inoltre,  in  contrasto  con  il
necessario canone della transitorieta' delle  misure  finanziarie  di
contenimento sulle finanze regionali, poiche' il legislatore  statale
avrebbe dapprima fissato un termine triennale alle riduzioni, per poi
estenderlo, di anno in anno, con successivi interventi normativi. 
    Ancora, irragionevole ed arbitraria viene ritenuta, dalla Regione
Veneto, la determinazione unilaterale, da parte statale, in  caso  di
mancata intesa entro il 31 gennaio di  ogni  anno,  degli  ambiti  di
spesa e degli importi attribuiti ad  ogni  singola  Regione.  Poiche'
tale determinazione e' svolta anche in riferimento al PIL  regionale,
non si  terrebbe  conto  della  circostanza  che  la  consistenza  di
quest'ultimo non necessariamente si traduce in una disponibilita'  di
risorse a livello regionale. 
    In  definitiva,  anche  per  il  mancato   coinvolgimento   della
Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, le
disposizioni   impugnate   travalicherebbero    la    funzione    del
«coordinamento» della finanza pubblica, rivelandosi, piuttosto, quali
misure  di  indiscriminato  «contenimento»,  prive,  tuttavia,  degli
indispensabili elementi di razionalita', proporzionalita',  efficacia
e sostenibilita', poiche' l'entita' «dei tagli  attuati  dal  Governo
sulla spesa regionale» avrebbe reso impossibile lo svolgimento  delle
funzioni attribuite alla Regione. 
    2.- I ricorsi vertono su disposizioni  parzialmente  coincidenti,
sicche' appare opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini  di
una decisione congiunta, restando riservata a  separate  pronunce  la
decisione delle questioni relative alle altre disposizioni  impugnate
con i medesimi ricorsi. 
    3.- Priorita' logica riveste la  decisione  su  alcune  questioni
preliminari oggetto di eccezione di parte o, comunque, rilevabili  di
ufficio. 
    3.1.- In primo luogo, con riferimento ai ricorsi  proposti  dalle
Regioni autonome Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e  Sicilia,  nonche'
dalla Regione Veneto, non fondata e'  l'eccezione  d'inammissibilita'
sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, basata sugli  effetti
dell'intesa sancita in data 11 febbraio 2016, in sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, in merito all'attuazione della legge
n. 208 del 2015. 
    Tale intesa, infatti, recepisce un accordo al quale non risultano
aver partecipato gli enti ad autonomia differenziata. 
    Quanto al  ricorso  proposto  dalla  Regione  Veneto,  va  invece
ribadito che, per costante giurisprudenza costituzionale,  concludere
un accordo imposto da una norma di legge mentre  la  si  impugna  non
comporta alcuna acquiescenza nel giudizio in via  principale  (cosi',
da ultimo, sentenze n. 141 del 2016, n. 77  del  2015  e  n.  98  del
2007). 
    3.2.- Sempre in via preliminare, la difesa  statale  richiama  il
comma 992 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, il  quale  prevede
che le disposizioni di tale legge «sono applicabili nelle  regioni  a
statuto speciale e nelle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con le  disposizioni  dei  rispettivi  statuti  e  le
relative norme di attuazione». A  giudizio  dell'Avvocatura  generale
dello  Stato,  ne  deriverebbe  l'inammissibilita'  delle   questioni
sollevate dagli enti ad autonomia speciale, in quanto  l'operativita'
di  tale  clausola  assicurerebbe  il  pieno  rispetto  delle   norme
statutarie asseritamente violate. 
    L'eccezione non puo' essere accolta, perche' le  norme  in  esame
contengono prescrizioni specificamente rivolte anche alle  Regioni  a
statuto  speciale  e  alle  Province  autonome.  Deve  percio'  farsi
applicazione  del  principio,  gia'  affermato  dalla  giurisprudenza
costituzionale, secondo cui l'illegittimita'  costituzionale  di  una
previsione legislativa non e' esclusa dalla presenza di una  clausola
di salvaguardia, laddove tale clausola entri  in  contraddizione  con
quanto affermato dalle norme  impugnate,  con  esplicito  riferimento
alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome (da  ultimo,
sentenze n. 40 e n. 1 del 2016, n. 156 e n. 77 del 2015). 
    3.3.- Come gia' ricordato ai  punti  1.1.  e  1.2.,  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano hanno  prospettato  l'impugnativa  in
via cautelativa. 
    Tale modalita' di proposizione dei ricorsi non incide sulla  loro
ammissibilita',   atteso   che   -   per   costante    giurisprudenza
costituzionale (da ultimo, sentenze n. 189, n. 159, n. 156 e n. 3 del
2016) - possono trovare ingresso, nel  giudizio  in  via  principale,
questioni promosse in via cautelativa ed  ipotetica,  sulla  base  di
interpretazioni prospettate  soltanto  come  possibili,  purche'  non
implausibili e comunque ragionevolmente collegabili alle disposizioni
impugnate. Nel presente caso, la  tecnica  normativa  utilizzata  dal
legislatore - il quale, innovando rispetto al passato, ha riunito nel
comma 680 (come si  evidenziera'  meglio  infra)  la  disciplina  del
concorso finanziario al risanamento dei conti pubblici di  tutti  gli
enti di livello regionale, ad autonomia  differenziata  e  a  statuto
ordinario - esclude che l'interpretazione  delle  ricorrenti  risulti
prima facie implausibile. 
    3.4.- Ancora in via preliminare, va dato atto che il primo ed  il
secondo periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015
sono stati modificati dall'art. 1, comma 528, della legge 11 dicembre
2016,  n.  232  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il  triennio  2017-2019),
che, da  un  lato,  ha  esteso  al  2020  l'orizzonte  temporale  del
contributo alla finanza pubblica di cui si discute e, dall'altro,  ha
inserito, tra le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, la possibilita' di prevedere  versamenti  delle  Regioni
interessate. 
    A prescindere dalla considerazione che la seconda delle modifiche
segnalate  risulta,   allo   stato,   abrogata   dall'art.   28   del
decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in  materia
finanziaria, iniziative a favore degli enti  territoriali,  ulteriori
interventi per le zone colpite da eventi  sismici  e  misure  per  lo
sviluppo), sta di fatto che l'illustrato jus superveniens e'  oggetto
di ricorsi - distinti e successivi a quelli ora in esame  -  proposti
dalla   Regione   Veneto,   dalle   Regioni   autonome   Sardegna   e
Friuli-Venezia Giulia, e dalla Regione siciliana. Ne  deriva  che  lo
scrutinio di questa Corte deve ora limitarsi al contenuto  precettivo
dell'art. 1, comma 680, della legge n.  208  del  2015,  e  non  deve
essere  valutata  la  necessita'  del  trasferimento  delle   attuali
questioni di legittimita'  costituzionale  alle  modifiche  normative
sopravvenute (in tal senso, sentenze n. 141 e n. 40 del 2016, n.  239
e n. 77 del 2015). 
    Tali  modifiche  normative  non  risultano,   invece,   impugnate
autonomamente dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, ma esse
riguardano disposizioni (i primi due periodi del comma 680)  che  gli
enti in questione non hanno censurato nel presente giudizio,  sicche'
neppure  rispetto  ai  loro  ricorsi  s'impone  la   verifica   della
necessita' del trasferimento. 
    3.5.-  Quanto  all'ammissibilita'  delle   censure   fondate   su
parametri estranei al Titolo V della  Parte  II  della  Costituzione,
tutte le ricorrenti ne hanno sufficientemente motivato la  ridondanza
su attribuzioni ad esse costituzionalmente garantite. 
    3.6.- Devono  essere,  invece,  dichiarati  inammissibili  alcuni
profili di censura presenti nel ricorso della Regione Veneto. 
    Quanto alla prospettata violazione dei  parametri  costituzionali
di cui agli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost., infatti,  manca
qualsiasi motivazione specifica in ordine alle ragioni del  contrasto
delle disposizioni impugnate con i primi. 
    In ordine all'asserita mancata attuazione del disposto  dell'art.
5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, e  dell'art.
11 della legge n. 243 del 2012, la censura  risulta  oscura,  poiche'
non si comprende in che modo «la disposizione impugnata» (espressione
a sua volta fonte  di  insuperabili  incertezze  interpretative,  non
essendo  chiaro  a  quali  dei  tre  commi  oggetto  del  ricorso  la
ricorrente si riferisca specificamente) sarebbe lesiva dell'autonomia
regionale: sul punto, infatti, la Regione Veneto si  e'  limitata  ad
affermare che le omissioni statali avrebbero determinato un contrasto
con «i presupposti minimi che la dinamica dell'equilibrio di bilancio
deve in ogni caso considerare, con evidente ricaduta sulla  autonomia
costituzionalmente riconosciuta alle  Regioni»,  senza  spiegare  per
quale motivo, e in  base  a  quali  presupposti  fattuali,  lo  Stato
avrebbe  dovuto  attivare  il  meccanismo  disciplinato  dalle  norme
indicate, per le fasi avverse del ciclo economico. 
    Secondo la costante giurisprudenza della Corte, i  termini  delle
questioni  di  legittimita'   costituzionale   debbono   essere   ben
identificati,  dovendo  il  ricorrente  individuare  le  disposizioni
impugnate,  i  parametri  evocati  e  le  ragioni  delle   violazioni
prospettate (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 141, n.  65,
n. 40 e n. 3 del 2016, n. 273, n. 176 e n. 131 del  2015).  E  questa
Corte  ha  piu'  volte  chiarito  che   l'esigenza   di   un'adeguata
motivazione   a   fondamento   della   richiesta   declaratoria    di
illegittimita'  costituzionale  si  pone  in  termini  perfino   piu'
pregnanti nei giudizi proposti in via principale  rispetto  a  quelli
instaurati in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 251, n.  233,
n. 218, n. 142 e n. 82 del 2015). 
    Quanto alla lamentata violazione dell'art. 32 Cost.,  invece,  la
pur sintetica motivazione della censura, gia' contenuta nel  ricorso,
risulta solo ampliata dalle argomentazioni illustrate  nella  memoria
depositata in prossimita' dell'udienza con  riferimento  all'asserita
impossibilita' di offrire alla popolazione  un  adeguato  livello  di
servizi nel settore sanitario. 
    3.7.- Inammissibile, alla luce della costante  giurisprudenza  di
questa Corte (da ultimo, sentenze n. 1 del 2016, n. 250 e n. 153  del
2015), e' anche  l'evocazione  dell'art.  24  Cost.  da  parte  della
Regione autonoma Sardegna, trattandosi di parametro  non  contemplato
nella delibera  autorizzativa  alla  proposizione  del  ricorso.  Nei
giudizi di legittimita' costituzionale in via principale deve infatti
sussistere,  a  pena  d'inammissibilita',  una  piena  e   necessaria
corrispondenza tra la deliberazione con cui l'organo  legittimato  si
determina all'impugnazione ed il contenuto  del  ricorso,  attesa  la
natura politica dell'atto d'impugnazione (sentenza n. 110 del 2016). 
    3.8.- Del pari inammissibile deve essere dichiarato il profilo di
censura enunciato dalla Regione autonoma Sardegna, per la prima volta
nella   memoria   illustrativa,    in    ordine    all'illegittimita'
costituzionale dei contributi alla finanza  pubblica,  imposti  dalle
precedenti  manovre  finanziarie  attraverso  il   meccanismo   degli
«accantonamenti», i quali si sarebbero, ormai, risolti in  definitiva
riserva,  in  favore  dell'erario,  di  un  gettito  spettante   alla
ricorrente,  con  violazione  del  regime  consensualistico   e,   in
particolare, degli artt. 7  e  8  dello  statuto  di  autonomia.  Per
costante giurisprudenza costituzionale, infatti, le deduzioni  svolte
dai ricorrenti nelle memorie successive al ricorso  sono  ammissibili
solo nei  limiti  in  cui  prospettano  argomenti  a  sostegno  delle
questioni di legittimita' costituzionale gia'  promosse  e  delineate
nel ricorso stesso, non gia',  invece,  come  nella  specie,  censure
ulteriori. L'oggetto del giudizio di legittimita'  costituzionale  in
via principale  e',  infatti,  limitato  alle  questioni  individuate
nell'atto introduttivo e non puo'  la  parte  ricorrente  prospettare
nuove censure dopo l'esaurimento del termine perentorio per impugnare
in via principale le leggi, ne' modificare  o  integrare  la  domanda
iniziale,  con  memorie  successivamente  depositate  (ex   plurimis,
sentenze n. 272, n. 202, n. 145, n. 65 e n. 64 del 2016, n.  153  del
2015, n. 108 del 2012, n. 169 del 2010). 
    3.9.- Deve essere, altresi', dichiarata l'inammissibilita'  della
censura, proposta per la prima volta nella  memoria  illustrativa  da
parte della Regione Veneto, relativa  alla  modifica  del  comma  680
operata dall'art. 1, comma 528, della legge n. 232 del 2016,  che  ha
aggiunto la possibilita' di prevedere versamenti  al  bilancio  dello
Stato da parte delle Regioni interessate: si  tratterebbe,  a  parere
della ricorrente,  di  una  previsione  che  avrebbe  trasformato  la
Regione in una sorta di «esattore» per conto dello Stato, con obbligo
di riversare a quest'ultimo risorse proprie, in contrasto con  l'art.
119  Cost.  e  con  la  giurisprudenza  costituzionale  maturata   in
proposito (viene  citata  la  sentenza  n.  79  del  2014).  Sebbene,
infatti, venga in  rilievo  una  modifica  sopravvenuta  rispetto  al
ricorso, si tratta, comunque, di disposizione separatamente censurata
dalla Regione  Veneto  con  successiva  ed  autonoma  impugnativa,  a
prescindere dalla gia' segnalata circostanza che l'inciso di  cui  si
discute risulta, allo stato, abrogato dall'art. 28 del d.l. n. 50 del
2017. 
    3.10.- La Regione siciliana ha impugnato anche i commi 681 e  682
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. Questi ultimi, tuttavia, non
si  applicano  alle  Regioni  a  statuto  speciale  e  non   sussiste
l'interesse  della  ricorrente   ad   impugnarli,   con   conseguente
inammissibilita' delle relative questioni (sentenze n. 172 del 2010 e
n. 290 del 2008; in senso analogo, sentenza n. 128 del 2017; piu'  in
generale, sull'inammissibilita' per carenza di interesse concreto  ed
attuale all'impugnativa, sentenze n. 196 del 2015, n. 176 del 2012  e
n. 107 del 2009). 
    3.11.- Ulteriori profili di  censura  proposti  nei  ricorsi,  in
particolare degli enti ad autonomia speciale, sono destinati  ad  una
declaratoria di  inammissibilita',  ma  il  loro  esame  deve  essere
necessariamente condotto unitamente al merito. 
    4.- Il contributo introdotto dal  comma  680  dell'art.  1  della
legge n.  208  del  2015  si  aggiunge  a  quelli  gia'  previsti  da
precedenti manovre finanziarie. Tali  precedenti  manovre,  tuttavia,
hanno sempre tenuto distinte le disposizioni dedicate alle Regioni  a
statuto ordinario, da quelle specificamente destinate a  disciplinare
il contributo imposto alle autonomie speciali. 
    Il  comma  680,  invece,  regola  unitariamente  il  concorso  al
risanamento della finanza pubblica per l'intero comparto regionale. 
    Proprio a causa della mancata  distinzione  tra  misure  relative
alle autonomie regionali ordinarie e misure riservate alle  autonomie
speciali, le varie disposizioni  contenute  nel  comma  in  questione
restituiscono un  quadro  complessivo  che  deve  essere  oggetto  di
interpretazione non meramente letterale, ma sistematica. 
    In particolare, come  si  dira',  le  disposizioni  genericamente
riferibili a tutte le Regioni e alle Province  autonome  -  volte  ad
evidenziare   il   coinvolgimento   dell'intero   settore   regionale
nell'obbiettivo di risanamento dei conti  pubblici  -  devono  essere
armonizzate  con  quelle  riferite  specificamente   alle   autonomie
speciali, che delineano per queste ultime un regime  peculiare,  alla
luce delle forme e condizioni particolari di autonomia garantite alle
Regioni  speciali  dall'art.  116  Cost.  Ma,  al  tempo  stesso,  e'
necessario contemperare tale peculiare regime con la chiara  volonta'
legislativa di coinvolgere tutti gli enti regionali  nelle  procedure
volte alla ripartizione dei contributi alla finanza pubblica. 
    4.1.- La Provincia autonoma di Bolzano censura,  in  particolare,
il quarto periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge  n.  208  del
2015, a causa  della  previsione  che  coinvolge  anche  le  Province
autonome nell'obbligo di  assicurare  il  finanziamento  dei  livelli
essenziali di assistenza, come eventualmente rideterminato  anche  ai
sensi dei commi da 400 a 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. 
    Secondo la ricorrente tale disposizione si porrebbe in  contrasto
con l'accordo del 15 ottobre 2014 concluso tra le Province autonome e
lo Stato e poi recepito  -  ai  sensi  dell'art.  104  dello  statuto
speciale - con i commi da 406 a 413 dell'art. 1 della  legge  n.  190
del 2014, che hanno disciplinato ex novo i rapporti finanziari tra le
parti. 
    In  particolare,  il  richiamo,  contenuto   nella   disposizione
impugnata, anche dei commi 400 e 404 dell'art. 1 della legge  n.  190
del 2014 - che prevedono per il 2018 un contributo aggiuntivo  di  25
milioni di euro a carico della Provincia autonoma di Bolzano, con  il
correlativo obbligo di versarlo all'erario - nonche'  dei  successivi
commi 415 e 416 (che estendono all'annualita' 2018 i contributi  gia'
introdotti dalle leggi di stabilita' per il 2013 e per il 2014),  non
sarebbe stato concordato ai sensi dell'art. 104 dello  statuto  e  si
porrebbe in contrasto con l'accordo concluso con lo Stato, in  quanto
rinnoverebbe la previsione, con efficacia  dal  2018,  di  contributi
aggiuntivi rispetto a quello onnicomprensivo concordato con l'accordo
in questione. 
    La  questione,  cosi'  come  sollevata,  deve  essere  dichiarata
inammissibile. 
    La  corretta  interpretazione   della   disposizione   impugnata,
infatti, evidenzia che  essa  non  determina  la  conseguenza  lesiva
attribuitale dalla ricorrente. 
    Gli  effetti  asseritamente  contrastanti  con  l'accordo,  quali
descritti dalla Provincia autonoma di Bolzano, infatti, devono essere
ricollegati direttamente alle disposizioni della  legge  n.  190  del
2014, che, successivamente alla stipula di gran parte  degli  accordi
di finanza pubblica con le autonomie  speciali  nel  corso  dell'anno
2014, hanno introdotto un nuovo contributo a carico di queste  ultime
ed esteso al 2018 il periodo di incidenza delle norme  attuative  del
concorso  al  risanamento  della  finanza  pubblica   imposto   dalle
precedenti manovre finanziarie. 
    Tali  disposizioni  non  furono,   all'epoca,   impugnate   dalla
ricorrente. 
    Nella parte contestata dalla Provincia autonoma  di  Bolzano,  il
quarto periodo del comma 680 non rinnova  affatto  l'imposizione  del
contributo ascrivibile alle disposizioni della legge n. 190 del 2014,
ma ha,  invece,  una  portata  sostanzialmente  "ricognitiva"  di  un
diverso obbligo, gia' contemplato dalla stessa legge n. 190 del  2014
(all'art.  1,  comma  414):  quello  di  garantire  l'erogazione  dei
servizi, nel rispetto dei LEA, nonostante la riduzione di risorse e i
risparmi imposti (e non  piu'  contestabili  in  questa  sede)  dalla
medesima legge n. 190 del 2014. 
    Nei casi di impugnativa di disposizioni meramente ricognitive, in
quanto prive di «autonoma forza precettiva o, se  si  preferisce,  di
quel carattere innovativo che si suole considerare proprio degli atti
normativi» (sentenza n. 346 del 2010), questa  Corte  ha  considerato
insussistente l'interesse della parte ricorrente  a  impugnarle,  con
conseguente inammissibilita' del ricorso (sentenze n. 63 del  2016  e
n. 230 del 2013). 
    4.2.- Per identiche ragioni deve essere dichiarato  inammissibile
il ricorso proposto dalla Provincia  autonoma  di  Trento  contro  il
quarto periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015. 
    Esso, infatti, presenta analogo  contenuto  rispetto  al  ricorso
proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano, tale da  consentire  di
rinviare alle argomentazioni illustrate  per  definire  quest'ultimo,
omogenei  essendo,  inoltre,  i  parametri  statutari  ed  interposti
evocati a garanzia del rispetto del principio consensualistico (artt.
104 e 107 dello statuto e art. 27 della legge n. 42 del 2009). 
    Va aggiunto che la  declaratoria  d'inammissibilita'  si  estende
anche all'asserito contrasto con l'art. 3 Cost. 
    La Provincia autonoma di Trento, infatti, ha sostenuto  che  -  a
fronte degli impegni assunti  dallo  Stato  -  avrebbe  accettato  di
rinunciare a tutti i contenziosi pendenti relativi alla  legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni  di  legge  concernenti  i
rapporti finanziari con lo Stato, sicche' la  prospettata  violazione
di  tale  accordo  avrebbe  determinato  la  lesione  del  «legittimo
affidamento»  alla  «stabilita'  dei  rapporti  finanziari   definiti
dall'accordo» e del principio  di  ragionevolezza,  l'uno  e  l'altro
presidiati, appunto, dal parametro costituzionale in questione. 
    Anche la lesione dell'art. 3 Cost., infatti, viene fatta risalire
ad una interpretazione del quarto periodo  del  comma  680  -  quella
secondo cui esso avrebbe  "rinnovato"  l'imposizione  dei  contributi
previsti dai commi dell'art. 1  della  legge  n.  190  del  2014  non
inclusi  nel  Patto  di  garanzia  -  non  corrispondente   al   vero
significato  della  disposizione,  la  quale   ha,   invece,   valore
esclusivamente ricognitivo  di  un  obbligo  diverso,  connesso  alla
garanzia del finanziamento dei LEA. 
    Di  qui  la  carenza  d'interesse  all'impugnativa   e   la   sua
inammissibilita'. 
    4.3.- In parte  inammissibili  ed  in  parte  non  fondate  vanno
dichiarate le questioni  sollevate  con  il  ricorso  proposto  dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    4.3.1.- Le questioni relative al quarto  periodo  del  comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 sono, infatti,  inammissibili
per le medesime ragioni evidenziate in rapporto ai  ricorsi  avanzati
dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Invocando la violazione dei propri parametri  statutari  e  delle
norme  costituzionali  che  tutelano  il  principio  di  affidamento,
l'autonomia finanziaria e il principio di leale collaborazione, anche
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia  imputa  alla  disposizione
censurata l'effetto di ribadire -  rinnovandone  percio'  la  portata
lesiva - la statuizione unilaterale da parte statale di contribuzioni
(previste dai richiamati commi 400 e 401 della legge n. 190 del 2014)
difformi da quelle  concordate  nell'accordo  stipulato  in  data  23
ottobre 2014 con lo Stato, con  conseguente  violazione  del  «quadro
ordinamentale costituzionale dei rapporti finanziari tra lo  Stato  e
la Regione Friuli-Venezia Giulia». 
    Anche a fronte di tale censura, dunque, deve  essere  riaffermata
la   corretta   interpretazione   della    disposizione    sospettata
d'illegittimita' costituzionale. Quest'ultima non rinnova la  portata
precettiva delle disposizioni della legge n. 190 del 2014  impositive
di contributi a carico delle autonomie speciali,  in  tesi  ulteriori
rispetto a quelli contemplati nell'accordo concluso con lo  Stato  in
data 23 ottobre 2014  e  come  tali  in  asserito  contrasto  con  le
clausole pattizie ivi previste. Si  limita,  invece,  a  ribadire  il
diverso obbligo di assicurare il finanziamento integrale dei  livelli
essenziali di assistenza, rendendo evidente la carenza di interesse a
proporre  l'impugnativa,  nei  termini  prospettati   dalla   Regione
autonoma ricorrente. 
    4.3.2.-  Sono,  invece,  non  fondate  le  censure  avanzate  nei
confronti del medesimo quarto periodo del comma 680,  per  violazione
dell'art. 3 Cost.  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  e  del
successivo quinto periodo, sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio di uguaglianza. 
    4.3.2.1.- Secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia,  il
quarto periodo  del  comma  680  si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di ragionevolezza, dal momento  che  il  rispetto  dei  LEA
sarebbe gia' compreso nella definizione e nel riparto del  contributo
previsto dal primo periodo del  comma  680  (non  impugnato),  ne'  i
richiamati commi da 400 a 417 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014
prevederebbero alcuna eventuale  rideterminazione  di  tali  livelli,
sicche' il significato della previsione resterebbe «indefinito»,  con
conseguente «complessiva incongruita' della disposizione». 
    La censura non coglie nel  segno,  in  quanto  il  «rispetto  dei
livelli essenziali di assistenza» contemplato nella seconda parte del
primo periodo del comma 680 riveste un significato precettivo diverso
da quello ricavabile dalla  differente  espressione  («assicurano  il
finanziamento dei livelli essenziali di assistenza come eventualmente
rideterminato») contenuta nel quarto  periodo:  nel  primo  caso,  il
richiamo e' funzionale ad indirizzare la  concertazione  rimessa,  in
prima battuta, alle Regioni in sede di  autocoordinamento,  e  dunque
soltanto a fornire un criterio di valutazione per la formulazione  di
proposte volte ad individuare gli ambiti  di  spesa  (ed  i  relativi
importi) sui quali far gravare il contributo; nel  secondo  caso,  la
norma impone di garantire il finanziamento dei livelli essenziali  di
assistenza  una  volta   che   essi   siano   stati   «eventualmente»
rideterminati  per   effetto   dei   risparmi   di   spesa   connessi
all'attuazione del concorso finanziario imposto agli enti del livello
di governo regionale. 
    L'evidente diversita' di funzione che il richiamo ai  LEA  svolge
nel primo e nel quarto periodo del comma 680 priva di  fondamento  la
censura  di  irragionevolezza  avanzata  dalla  Regione   ricorrente,
dovendosi, peraltro, aggiungere che, diversamente da quanto affermato
da quest'ultima, anche l'art. 1 della legge n. 190 del 2014 contiene,
al comma 414, la previsione di una  «eventuale»  rideterminazione  di
tali livelli. 
    4.3.2.2.- La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  censura,
infine, il quinto periodo del comma 680, in quanto avrebbe omesso  di
stabilire che, anche in relazione alla ricorrente,  l'attuazione  del
comma 680 debba avvenire nei termini dell'accordo  stipulato  con  lo
Stato  in  data  23  ottobre  2014.  Sarebbe  cosi'  riservato   alla
ricorrente un trattamento ingiustamente deteriore rispetto  a  quello
riconosciuto alle autonomie della Regione Trentino-Alto Adige. 
    La questione non e' fondata,  alla  luce  del  diverso  contenuto
degli accordi conclusi con lo Stato da parte delle Province  autonome
della Regione Trentino-Alto  Adige,  da  un  lato,  e  della  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, dall'altro. 
    Nonostante entrambi gli accordi siano stati recepiti nella  legge
n. 190 del 2014 (rispettivamente ai commi da 406 a 413 e ai commi  da
513 a 523), soltanto il  primo,  nel  ridefinire  complessivamente  i
rapporti finanziari tra lo Stato, la Regione Trentino-Alto Adige e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, fino al  2022,  esclude  la
possibilita' di modifiche peggiorative, salvo esigenze eccezionali di
finanza pubblica e per importi predeterminati gia' nelle clausole del
patto. 
    A tale proposito, infatti, il comma 407 dell'art. 1  della  legge
n. 190 del 2014, nel modificare l'art. 79 dello statuto di  autonomia
speciale, introduce in quest'ultimo il  comma  4-septies,  che  cosi'
dispone: «[e'] fatta salva  la  facolta'  da  parte  dello  Stato  di
modificare, per un periodo di tempo definito, i contributi in termini
di saldo netto da finanziare e di indebitamento netto posti a  carico
della regione e delle province, previsti a decorrere dall'anno  2018,
per far fronte ad eventuali eccezionali esigenze di finanza  pubblica
nella misura massima del 10 per cento dei predetti contributi stessi.
Contributi di importi superiori sono concordati con la regione  e  le
province. Nel caso in  cui  siano  necessarie  manovre  straordinarie
volte ad assicurare il rispetto delle norme  europee  in  materia  di
riequilibrio del bilancio  pubblico  i  predetti  contributi  possono
essere incrementati, per un  periodo  limitato,  di  una  percentuale
ulteriore, rispetto a quella  indicata  al  periodo  precedente,  non
superiore al 10 per cento». 
    La legge di stabilita' per il  2015  ha,  quindi,  in  tal  senso
modificato - per la terza volta dal 2009 - lo  statuto  speciale  del
Trentino-Alto Adige, introducendo parametri oggettivi che, in  quanto
tali, impediscono interventi statali in ipotesi arbitrari. Per questa
via - come, da ultimo, ricostruito nella sentenza n. 28 del 2016 - le
Province autonome di Trento e di Bolzano  vengono  a  godere  di  una
condizione di autonomia oggettivamente differente rispetto  a  quella
propria del Friuli-Venezia  Giulia,  in  riferimento  alle  richieste
statali di concorso al risanamento dei conti pubblici. 
    Rispetto  a  quello  stipulato  dalle  autonomie  della   Regione
Trentino-Alto Adige, l'accordo finanziario  concluso  il  23  ottobre
2014 dalla  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  con  lo  Stato
esibisce contenuti affatto diversi. 
    A prescindere dalla considerazione che tale accordo contempla  un
orizzonte  temporale   limitato   al   2017,   esso   non   subordina
espressamente l'imposizione di ulteriori  contributi  al  risanamento
della finanza pubblica al ricorrere di specifiche condizioni,  idonee
a limitare il potere unilaterale dello Stato. 
    Il comma 517 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014  -  inserito
nell'ambito delle disposizioni di recepimento  dell'accordo  concluso
con lo Stato e diretto a  riprodurre  quanto  previsto  dall'art.  3,
punto 4, del patto - prevede espressamente, anzi, che  «[i]  predetti
obiettivi per gli anni dal 2015 al 2017 possono essere  rideterminati
in conseguenza di nuovi contributi  alla  finanza  pubblica  posti  a
carico delle autonomie speciali con legge statale», fermo restando il
vincolo del metodo  pattizio,  garantito,  nella  specie,  dal  terzo
periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n. 208 del  2015  (come
meglio si dira' nell'affrontare il merito del ricorso proposto  dalla
Regione autonoma Sardegna, che ha investito l'intero comma 680). 
    La peculiarita' dell'accordo  concluso  con  le  autonomie  della
Regione  Trentino-Alto  Adige,  dunque,  e'  idonea  a  giustificarne
l'isolata menzione  nel  quinto  periodo  del  comma  680  impugnato,
dovendosi,  percio',  escludere  la  violazione  del   principio   di
eguaglianza lamentata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. 
    Mette conto ribadire, pur a fronte di tale  conclusione,  che  il
principio dell'eguale riconoscimento e della parita' di posizione  di
tutte  le  autonomie  differenziate,  rispetto  alle   richieste   di
contribuire  agli  equilibri  della   finanza   pubblica,   non   e',
ovviamente, smentito dal rilievo,  nel  presente  caso,  dell'accordo
illustrato, connesso agli specifici e  concreti  contenuti  che  esso
presenta. 
    4.4.- Le questioni sollevate  dalla  Regione  autonoma  Sardegna,
diverse da quelle dichiarate inammissibili ai precedenti punti 3.7. e
3.8., non sono fondate. 
    4.4.1.- Secondo la ricorrente, l'intero  comma  680  dell'art.  1
della legge n. 208 del 2015, nel prevedere un nuovo  contributo  alla
finanza pubblica, per il triennio 2017-2019, imporrebbe un sacrificio
economico, non solo particolarmente elevato, ma anche per un  importo
che non potrebbe essere modificato dalle  Regioni  e  dalle  Province
autonome. Queste sarebbero chiamate alla mera ripartizione,  in  base
ad un accordo da raggiungere «in  sede  di  autocoordinamento»  e  da
recepire, poi, con intesa sancita dalla Conferenza permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano,  salvo,  in  caso  di  inerzia,  il  potere  statale  di
effettuare unilateralmente il riparto. 
    Il riferimento e', evidentemente, alla disciplina  contenuta  nei
primi tre periodi del  comma  680,  i  quali  violerebbero  l'accordo
stipulato con lo Stato, in  data  21  luglio  2014.  Tale  disciplina
inciderebbe sui rapporti economici e finanziari tra Stato  e  Regione
autonoma,  senza  adeguata  considerazione  della  cornice  normativa
dettata dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale di autonomia. Queste
ultime  disposizioni  -  anche  in  forza  del  principio  di   leale
collaborazione desumibile dagli artt. 5 e 117 Cost. -  escluderebbero
la possibilita' di prescrivere nuovi contributi alla finanza pubblica
a  carico  della  Regione   autonoma   Sardegna,   senza   preventiva
regolazione pattizia tra  lo  Stato  e  la  Regione.  In  ogni  caso,
vieterebbero di imporre alla Regione autonoma Sardegna di  conseguire
risparmi di spesa in settori  definiti  non  in  via  autonoma  dalla
Regione medesima, bensi' a seguito di  una  decisione  assunta  dalle
altre Regioni e dalle Province autonome. 
    La censura illustrata - ulteriormente arricchita dalla ricorrente
con la prospettazione della mancanza di  transitorieta'  della  nuova
misura di  contenimento,  in  quanto  aggiuntiva  rispetto  a  quelle
imposte dalle  precedenti  manovre  finanziarie  -  appare  priva  di
fondamento, all'esito  di  una  lettura  sistematica  dei  primi  tre
periodi del comma 680. 
    Nella prima parte  del  primo  periodo,  il  comma  680  -  nella
versione vigente al momento della proposizione del ricorso ed oggetto
qui di scrutinio - prevede che le Regioni, e le Province autonome  di
Trento e di Bolzano, assicurino un contributo alla  finanza  pubblica
pari a 3.980 milioni di euro per l'anno 2017 e  a  5.480  milioni  di
euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. 
    Per   costante   giurisprudenza   costituzionale,   i    principi
fondamentali fissati dalla legislazione  dello  Stato  nell'esercizio
della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano
anche alle autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del  2017,
n. 40 del 2016, n. 82  e  n.  46  del  2015),  in  quanto  essi  sono
funzionali  a  prevenire  disavanzi   di   bilancio,   a   preservare
l'equilibrio    economico-finanziario     del     complesso     delle
amministrazioni pubbliche e  anche  a  garantire  l'unita'  economica
della Repubblica, come richiesto dai principi  costituzionali  e  dai
vincoli derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione  europea
(sentenza n. 175 del 2014). 
    Va altresi' ribadito che -  ancora  per  costante  giurisprudenza
costituzionale - i rapporti finanziari tra lo Stato  e  le  autonomie
speciali sono regolati dal principio dell'accordo, inteso,  tuttavia,
come vincolo di metodo (e non gia' di risultato)  e  declinato  nella
forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n.  193  e
n. 118 del 2012). 
    Tale meccanismo puo' essere derogato dal  legislatore  ordinario,
fino a che gli  statuti  o  le  norme  di  attuazione  lo  consentono
(sentenza n. 23 del 2014; seguita dalle sentenze n. 19, n. 46, n. 77,
n. 82, n. 238, n. 239 e n. 263 del 2015, n. 40 e n. 155 del 2016). 
    Lo Stato, dunque, puo' imporre contributi  al  risanamento  della
finanza  pubblica  a  carico  delle  Regioni  a   statuto   speciale,
quantificando, come nella specie, l'importo complessivo del concorso,
e  rimettendo  alla  stipula  di  accordi  bilaterali  con   ciascuna
autonomia, non solo la definizione dell'importo gravante su  ciascuna
di esse, ma, eventualmente, la  stessa  riallocazione  delle  risorse
disponibili, anche a esercizio inoltrato (sentenza n. 19 del 2015). 
    Ne  deriva  che  la  determinazione  unilaterale   del   concorso
finanziario contenuta nella prima parte del primo periodo  del  comma
680 deve essere letta in connessione alla disposizione  prevista  nel
terzo periodo, secondo cui «[f]ermo restando il concorso  complessivo
di cui al primo periodo, il contributo di ciascuna autonomia speciale
e' determinato previa intesa con ciascuna delle stesse». In tal modo,
la disposizione risulta conforme ai principi appena illustrati. 
    Ne' puo' essere accolta la censura di violazione del principio di
transitorieta'. 
    Come ricordato dalla sentenza n. 141 del 2016, norme statali  che
fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possono
qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica alla condizione,  tra  l'altro,  che  si  limitino  a  porre
obiettivi di riequilibrio della medesima,  intesi  nel  senso  di  un
transitorio contenimento complessivo, anche se  non  generale,  della
spesa corrente (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze  n.  65  del
2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso,  sentenze  n.  44
del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012,
n. 182 del 2011). 
    La nuova misura di contenimento introdotta dalla prima parte  del
primo periodo del comma 680  e'  destinata  ad  operare  in  un  arco
temporale limitato e, dunque,  nel  perdurante  rispetto  del  canone
della transitorieta'. 
    Una censura che lamenta il presunto  carattere  permanente  dello
specifico contributo non e' provata dalla  circostanza  che  essa  si
aggiunga agli effetti delle precedenti manovre di finanza pubblica. 
    Non fondato, infine, appare il profilo di  censura  basato  sulla
presunta equiparazione delle Regioni ad autonomia speciale  a  quelle
ordinarie, tutte asseritamente coinvolte a pari titolo,  in  sede  di
autocoordinamento, nella determinazione degli ambiti  sui  quali  far
gravare  le  riduzioni  di  spesa  (e  dei  relativi  importi):   una
determinazione che, ad avviso  della  ricorrente,  avrebbe  efficacia
vincolante anche per le autonomie  speciali,  e  le  renderebbe  esse
stesse soggette, inoltre, al potere sostitutivo statale. 
    Come gia' evidenziato, i primi tre periodi del comma  680  devono
essere letti congiuntamente: ed e' il terzo periodo,  nell'ambito  di
un'interpretazione sistematica dell'intero comma 680, che  disciplina
specificamente, regolandone le modalita',  le  relazioni  finanziarie
tra lo Stato e le  autonomie  speciali,  individuando  il  meccanismo
pattizio cui e' subordinata l'imposizione della quota  di  contributo
aggiuntivo   gravante   su   ciascuno   degli   enti   ad   autonomia
differenziata. 
    Dal conseguente adattamento della  disciplina  generale,  dettata
per tutte  le  Regioni,  alla  peculiare  posizione  delle  autonomie
speciali,  deriva  bensi'  che  queste  ultime  sono   richieste   di
partecipare alle riunioni  in  autocoordinamento  con  le  Regioni  a
statuto ordinario (in questo senso e' il dato testuale ricavabile dal
primo periodo del comma  680);  ma  deriva  anche  che  le  autonomie
speciali non sono automaticamente vincolate alle decisioni assunte in
quella sede, poiche' «il contributo di ciascuna autonomia speciale e'
determinato previa intesa con ciascuna delle stesse»  (terzo  periodo
del comma 680). 
    D'altra parte, nulla esclude che le autonomie speciali  rifiutino
perfino di prestare l'assenso all'intesa che, in sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, e' destinata  a  recepire  l'accordo
raggiunto  in  autocoordinamento  (come  si  dira'  meglio,  cio'  e'
effettivamente avvenuto con riferimento al  contributo  alla  finanza
pubblica per l'anno 2017). 
    La previsione del terzo periodo del comma 680,  inoltre,  esclude
che le autonomie  speciali  possano  essere  soggette  all'intervento
sostitutivo  statale,   cio'   che,   invece,   risulterebbe,   nella
prospettazione della ricorrente,  dal  tenore  testuale  del  secondo
periodo del comma citato. Si deve fare qui  applicazione  del  metodo
interpretativo enunciato supra, al punto 4., che impone di leggere il
testo legislativo alla luce dei principi  che  tutelano  le  forme  e
condizioni particolari di autonomia garantite alle  Regioni  speciali
dall'art. 116 Cost. Se assunto alla lettera, del resto, tale  secondo
periodo consentirebbe finanche all'intervento sussidiario statale  di
«assegnare ad ambiti di spesa»  le  riduzioni,  e  di  attribuirli  a
ciascuna singola autonomia speciale, in frontale contrasto  con  cio'
che stabilisce il terzo periodo del medesimo comma  680.  Non  e'  un
caso, a questo proposito, che il d.l. n. 50 del 2017 abbia  soppresso
- a far data dal 2018 - tale secondo periodo del comma 680  (al  pari
del corrispondente periodo del comma 6 dell'art. 46 del  d.l.  n.  66
del 2014,  come  convertito,  il  quale  era  tuttavia  pacificamente
riferito alle sole Regioni a statuto ordinario), ed abbia  modificato
la  disciplina  dell'intervento  sostitutivo  statale,  che  ora  non
contempla piu' il riferimento alle Province autonome. 
    La correttezza della complessiva interpretazione  illustrata  e',
del resto, confermata dalla prassi applicativa. 
    L'intesa sancita in data 11 febbraio 2016 in sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano, all'esito  di  un  autocoordinamento
che, peraltro, si e' svolto fra le sole Regioni a statuto  ordinario,
ha operato il riparto di circa il 90 per  cento  dell'intero  importo
della manovra, individuando nel Fondo sanitario nazionale - al  quale
non partecipano gli enti  ad  autonomia  speciale  (con  la  parziale
eccezione  della  Regione  siciliana),  che  finanziano  con  proprie
risorse il servizio -  la  principale  voce  su  cui  concentrare  la
riduzione di spesa  imposta  dal  comma  680.  L'intesa  ha  altresi'
precisato che con le autonomie  speciali  sarebbero  stati  raggiunti
accordi bilaterali, per la determinazione della «parte del contributo
al risanamento dei conti pubblici a carico delle  Regioni  a  Statuto
speciale». 
    Successivamente all'intesa, tuttavia, le autonomie  speciali  non
hanno ritenuto di addivenire agli accordi bilaterali menzionati. 
    Si puo' aggiungere che, nella successiva seduta della  Conferenza
permanente in data 9 febbraio  2017,  si  e'  registrata  la  mancata
intesa sul documento concernente il contributo alla finanza  pubblica
delle Regioni a statuto ordinario, per l'anno  2017,  in  conseguenza
«dell'avviso  negativo»  espresso  proprio  dalle  Regioni   autonome
Sardegna  e   Friuli-Venezia   Giulia   (dal   che   deriva   perfino
l'esposizione  delle  Regioni  ordinarie  all'intervento  sostitutivo
statale). 
    Tale prassi  non  solo  dimostra  largamente  l'infondatezza  dei
timori paventati  dalla  ricorrente  rispetto  al  significato  delle
disposizioni   impugnate,   ma    rivela    altresi'    comportamenti
difficilmente conciliabili con i doveri di leale collaborazione. 
    Dichiarando non fondata la censura,  va  quindi  ribadito,  anche
alla luce delle prassi  disponibili,  che  "autonomia  speciale"  non
significa «potesta' di deviare rispetto al comune  percorso  definito
dalla  Costituzione,  sulla  base  della  condivisione  di  valori  e
principi insensibili alla dimensione territoriale, tra i quali spicca
l'adempimento  da  parte  di  tutti  dei   doveri   inderogabili   di
solidarieta' politica, economica e  sociale»  (sentenza  n.  219  del
2013), dei quali doveri il coordinamento  rappresenta  la  traduzione
sul  piano  dei  rapporti  finanziari,   anche   in   ragione   della
responsabilita' che incombe su tutti i cittadini (sentenza n. 141 del
2015). 
    Gia' nella sentenza  n.  82  del  2015  (richiamando  i  principi
enucleati dalla sentenza n. 19 del 2015),  del  resto,  questa  Corte
aveva chiarito - ed e' necessario qui riaffermarlo - che il principio
di leale collaborazione,  oggi  invocato  dalle  autonomie  speciali,
«richiede un confronto autentico, orientato  al  superiore  interesse
pubblico di conciliare  l'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  con
l'indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad  autonomia
speciale alla manovra di stabilita', sicche' su ciascuna delle  parti
coinvolte  ricade  un  preciso  dovere   di   collaborazione   e   di
discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche». 
    Con  riferimento  al  caso  di  specie,  questa  Corte  non  puo'
conclusivamente esimersi dall'osservare che la mancata partecipazione
delle autonomie speciali all'autocoordinamento (testualmente riferito
a tutte le Regioni),  l'assenza  di  disponibilita'  alle  successive
intese bilaterali con lo  Stato,  nonche'  il  diniego  d'intesa  sul
documento concernente  il  contributo  alla  finanza  pubblica  delle
Regioni  a  statuto  ordinario   per   l'anno   2017,   costituiscono
comportamenti non ispirati al ricordato dovere  di  collaborazione  e
discussione. 
    4.4.2.- La  Regione  autonoma  Sardegna  addebita  al  comma  680
dell'art. 1 della legge n. 208 del  2015,  sotto  una  pluralita'  di
ulteriori profili, la violazione contestuale: del principio di  leale
collaborazione; dell'autonomia economico-finanziaria  della  Regione,
tutelata dagli artt. 5, 81, sesto comma, 116, 117 e 119 Cost. e dagli
artt. 7 e 8 dello statuto; nonche' dell'art. 3 Cost., per lesione del
principio di  ragionevolezza,  del  principio  di  eguaglianza  e  di
affidamento, quest'ultimo tutelato, per  il  tramite  dell'art.  117,
primo comma, Cost., anche dagli artt. 6 e 13 della CEDU. 
    Comune punto di riferimento delle censure e' l'accordo  stipulato
con lo Stato il 21 luglio 2014, recepito dall'art. 42, commi da  9  a
13, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure  urgenti  per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere  pubbliche,  la
digitalizzazione   del   Paese,   la   semplificazione   burocratica,
l'emergenza  del  dissesto  idrogeologico  e  per  la  ripresa  delle
attivita' produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge  11
novembre 2014, n. 164. 
    Tale accordo sarebbe stato infranto dallo Stato,  derivandone  la
lesione dei vari parametri indicati. 
    4.4.2.1.- Risulterebbe, in  primo  luogo,  violato  il  legittimo
affidamento  maturato   dalla   Regione   autonoma   Sardegna   sulla
«stabilita' del quadro di regolamentazione dei rapporti economici con
lo Stato». 
    E' noto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il  valore
del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti giuridici -  la
cui  nozione  appare  sovrapponibile  a  quella  maturata  in  ambito
europeo, «stante la sostanziale coincidenza degli indici  sintomatici
della  lesione  del  principio   dell'affidamento   elaborati   nella
giurisprudenza di questa Corte  e  in  quella  delle  Corti  europee»
(sentenze n. 16 del 2017  e  n.  203  del  2016)  -  trova  copertura
costituzionale nell'art. 3 Cost.,  non  gia',  tuttavia,  in  termini
assoluti  e  inderogabili.  Per  un  verso,  infatti,  la   posizione
giuridica che da' luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo  di  un  determinato  assetto  regolatorio  deve  risultare
adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per  un  periodo
sufficientemente  lungo,  sia  per  essere  sorta  in   un   contesto
sostanziale atto a  far  sorgere  nel  destinatario  una  ragionevole
fiducia nel suo mantenimento. Per  altro  verso,  interessi  pubblici
sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a  incidere
in senso sfavorevole anche su posizioni consolidate - con  il  limite
della proporzionalita'  dell'incisione  rispetto  agli  obiettivi  di
interesse pubblico perseguiti (sentenza  n.  56  del  2015)  -  o  su
assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n.
216 del 2015). 
    Poste queste premesse, la questione deve  essere  dichiarata  non
fondata. 
    L'accordo concluso tra lo Stato e la Regione  autonoma  Sardegna,
infatti, va  ascritto  al  cosiddetto  coordinamento  dinamico  della
finanza pubblica, concernente le singole misure finanziarie  adottate
per il governo  di  quest'ultima,  come  tali  soggette  a  periodico
adeguamento. 
    Cio' esclude la possibilita'  di  riconoscere,  in  generale,  un
affidamento tutelabile in ordine  all'immutabilita'  delle  relazioni
finanziarie tra Stato e Regioni. Non e',  infatti,  coerente  con  il
carattere  dinamico  del  coordinamento  finanziario  impedire   alla
legislazione statale di introdurre - fermo il metodo pattizio per  le
autonomie speciali - nuovi contributi alla finanza pubblica, ove  non
espressamente  esclusi   dagli   accordi   stipulati.   La   volonta'
manifestata in sede negoziale non comporta  una  rinuncia,  da  parte
dello Stato,  al  successivo  esercizio  della  propria  potesta'  di
coordinamento finanziario. 
    Si tratta, piuttosto, di verificare  se  l'accordo  concluso  tra
Stato e Regione autonoma Sardegna escludesse espressamente,  o  meno,
la possibilita' di imporre ulteriori contributi  al  risanamento  dei
conti pubblici. 
    A tale proposito, come gia' evidenziato in sede di scrutinio  del
ricorso proposto dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, tra gli accordi
conclusi dallo Stato con le autonomie speciali nel  corso  del  2014,
soltanto  quello   stipulato   con   le   autonomie   della   Regione
Trentino-Alto Adige, non solo esibisce un orizzonte temporale  esteso
fino al 2022, ma, soprattutto, esclude testualmente  la  possibilita'
di apportare modifiche  peggiorative,  con  la  sola  salvezza  della
ricorrenza di esigenze eccezionali di finanza pubblica,  ma,  in  tal
caso, per importi gia' predeterminati nelle clausole del patto. 
    Il  comma  9  dell'art.  42  del  d.l.  n.  133  del  2014,  come
convertito, nel recepire, invece, l'accordo  concluso  dalla  Regione
autonoma Sardegna con lo Stato, ha  fissato  l'obiettivo  di  finanza
pubblica cui avrebbe dovuto concorrere la Regione solo per  il  2014,
limitandosi ad imporre, per gli anni dal 2015 in  poi,  l'obbligo  di
conseguire «il pareggio di bilancio  come  definito  dall'articolo  9
della legge n. 243 del 2012», dunque inteso come saldo non  negativo,
in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese
finali. E cio' non esclude, di per se',  l'imposizione  di  ulteriori
contributi al risanamento della finanza pubblica. 
    Resta  fermo,  ovviamente,  il  vincolo  del   metodo   pattizio,
garantito, nella specie,  dal  terzo  periodo  del  comma  680,  come
ampiamente esposto in precedenza. 
    4.4.2.2.- Le argomentazioni da ultimo  illustrate  consentono  di
ritenere non  fondate  anche  le  ulteriori  censure  proposte  dalla
Regione  autonoma  Sardegna,  che  ha  ipotizzato,  da  un  lato,  la
violazione del principio di ragionevolezza, a causa  dell'assenza  di
un adeguato meccanismo  di  recupero,  anche  ex  post,  della  leale
collaborazione  nei  rapporti  economico-finanziari,  dall'altro   la
violazione dell'art. 81, sesto comma, Cost., per  l'asserita  lesione
del principio  consensualistico  nella  definizione  dei  criteri  di
«equilibrio» dei bilanci delle autonomie speciali. 
    4.4.2.3.-  Ancora,  secondo  la  Regione  autonoma  Sardegna,  la
salvaguardia - operata dal quinto periodo del comma 680  -  del  solo
accordo stipulato tra Stato e Regione autonoma Trentino-Alto Adige  e
Province autonome  evidenzierebbe  la  violazione  del  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., alla luce dell'art.  116  Cost.,
che riconosce l'autonomia differenziata di tutte le Regioni a statuto
speciale, e non solo di alcune di esse. 
    Per  mostrare  la  non  fondatezza  anche  di  tale  censura   e'
sufficiente ricordare la peculiarita' dell'accordo  concluso  con  le
autonomie della Regione Trentino-Alto Adige, idonea  a  giustificarne
l'isolata menzione nel quinto periodo del comma 680. 
    Peraltro, come gia' evidenziato in relazione all'analoga  censura
avanzata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il rilievo  di
tale accordo, per gli specifici e concreti  contenuti  che  presenta,
non e' in grado di incidere sul principio dell'eguale  riconoscimento
e della parita' di posizione  di  tutte  le  autonomie  differenziate
rispetto alle richieste di contribuire agli equilibri  della  finanza
pubblica. 
    4.4.3.- La Regione autonoma  Sardegna  ha  anche  prospettato  il
riproporsi di quella condizione  di  «emergenza  finanziaria»  -  che
sarebbe stata riconosciuta da questa stessa Corte nelle  sentenze  n.
95 del 2013, n. 99 e  n.  118  del  2012  (relative  alla  cosiddetta
"vertenza entrate") - provocata soprattutto dall'inerzia dello  Stato
nel dare esecuzione alle previsioni di cui all'art. 8  dello  statuto
speciale. 
    L'imposizione del nuovo contributo al risanamento  della  finanza
pubblica  avrebbe  reso  impossibile   l'esercizio   delle   funzioni
attribuite dalla Costituzione,  dallo  statuto  e  dalla  legge,  con
violazione, ancora una volta, degli artt. 7 e 8 dello statuto e degli
artt. 117 e 119 Cost. 
    L'onere - gravante sulla ricorrente (ex plurimis, e tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 205, n. 151, n. 127 e  n.  65  del  2016)  -  di
provare  l'impossibilita'  di  esercitare   le   suddette   funzioni,
tuttavia, non e' stato adeguatamente assolto. 
    Non e' sufficiente, infatti, richiamare  sic  et  simpliciter  la
situazione di «emergenza finanziaria» prospettata nei ricorsi  decisi
con le ricordate sentenze di questa Corte  relative  alla  cosiddetta
"vertenza entrate". Essa e' stata superata proprio in conseguenza dei
vantaggi ottenuti con l'accordo stipulato in data 21 luglio 2014, dei
cui obblighi, come detto, non puo' sostenersi l'inadempienza da parte
dello Stato. E'  il  caso  di  aggiungere,  poi,  che  all'attuazione
dell'art. 8 dello statuto di autonomia il legislatore ha  dato  corso
con il decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione
dell'articolo 8 dello Statuto speciale della Regione  autonoma  della
Sardegna - legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di
entrate  erariali  regionali),  con   disposizioni   applicabili   «a
decorrere dal 1° gennaio 2010» (in virtu' dell'art. 18), in tal  modo
eliminando la principale causa degli squilibri finanziari individuata
dalla ricorrente. 
    4.4.4.- Parimenti non fondata, infine, e' la  questione  promossa
con riferimento all'art. 136 Cost. 
    A giudizio della ricorrente, le  sentenze  con  le  quali  questa
Corte  ha  scrutinato  la  cosiddetta  "vertenza  entrate"  avrebbero
«accertato e dichiarato  che  lo  Stato  aveva  e  ha  un  preciso  e
specifico  obbligo  giuridico  di  definire  consensualmente  con  la
Regione il regime dei loro rapporti economico-finanziari»: un obbligo
giuridico, dunque, al quale lo Stato non potrebbe sottrarsi, sicche',
una volta concluso l'accordo in data  21  luglio  2014,  non  sarebbe
possibile ignorarne le clausole, pena  la  violazione  del  giudicato
costituzionale. 
    In primo luogo, risulta erroneo  il  presupposto  della  censura,
costituito dalla presunta  violazione,  da  parte  dello  Stato,  del
citato accordo:  si  e'  gia'  evidenziato,  infatti,  che  esso  non
escludeva affatto la possibilita' di imporre ulteriori contributi  al
risanamento finanziario, purche' fosse rispettato il metodo pattizio,
nella specie garantito  con  la  previsione  di  apposite  intese  da
concludere con  tutte  le  autonomie  speciali,  inclusa  la  Regione
Sardegna. 
    In ogni caso, le sentenze richiamate dalla ricorrente non avevano
imposto alcun vincolo pattizio,  potendo,  al  piu',  valere  per  la
Regione Sardegna il principio enunciato in  riferimento  a  tutte  le
autonomie speciali (ed in precedenza pure illustrato),  secondo  cui,
nelle relazioni finanziarie occorre adottare il  metodo  consensuale,
suscettibile di deroga ove non recepito negli statuti  (come  avviene
nel caso  della  Regione  autonoma  Sardegna,  e  come  dalla  stessa
riconosciuto nel ricorso). 
    4.5.- Le  questioni  sollevate  con  il  ricorso  proposto  dalla
Regione siciliana  sono  in  parte  inammissibili  ed  in  parte  non
fondate. 
    4.5.1. - E' innanzitutto inammissibile la censura  di  violazione
dell'art. 81, sesto comma, Cost.  in  quanto  essa  e'  espressamente
ricollegata dalla ricorrente all'effetto delle disposizioni di cui ai
commi 681 e 682, non applicabili in realta'  alla  Regione  siciliana
per le ragioni illustrate in precedenza al punto 3.10. 
    4.5.2.- Quanto al comma 680, la censura fondata sulla  violazione
degli artt. 36 dello statuto e 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 si  basa
sul presupposto, privo di qualsiasi sostegno  argomentativo,  che  si
sia in presenza di una riserva  in  favore  dello  Stato  di  risorse
proprie della Regione siciliana. E' invece del tutto evidente che  la
disposizione impugnata impone,  anche  alle  autonomie  speciali,  un
contributo al risanamento della  finanza  pubblica,  e  a  fronte  di
questa evidenza la ricorrente avrebbe dovuto spiegare  in  che  senso
essa ravvisi invece una riserva di risorse a favore dello Stato. 
    Tale onere motivazionale non e'  stato  in  alcun  modo  assolto,
derivandone l'inammissibilita' della  questione  (in  senso  analogo,
sentenza n. 127 del 2016). 
    4.5.3.- Non fondata, invece, e' la censura concernente l'asserita
violazione  del  principio  di  leale  collaborazione  e  del  metodo
pattizio, di cui all'art. 43 dello statuto, esclusa,  infatti,  dalla
precisa disposizione del terzo periodo del comma 680, che prevede  il
raggiungimento di un'intesa con  ciascuno  degli  enti  ad  autonomia
differenziata. 
    Infine, nessuna prova e' stata fornita dalla  Regione  siciliana,
sulla  quale  pure   incombeva   il   relativo   onere,   in   ordine
all'impossibilita',  asseritamente  conseguente  all'imposizione  del
contributo  contestato,  di  attendere  alle  proprie  funzioni:   ne
consegue la non fondatezza della questione. 
    4.6.- La Regione Veneto impugna i commi 680, 681 e 682  dell'art.
1 della legge n. 208 del 2015 per asserito contrasto con gli artt. 3,
32, 117, terzo comma, e 119 Cost., nonche' con il principio di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    La ricorrente ripropone, talvolta con  identica  motivazione,  le
argomentazioni contenute in precedenti ricorsi e, in particolare,  in
quelli presentati contro l'analogo meccanismo  di  partecipazione  al
risanamento dei conti pubblici previsto dall'art. 46,  comma  6,  del
d.l. n. 66 del 2014, come convertito e come modificato dalla legge n.
190 del 2014. 
    4.6.1.- Gran parte delle censure  possono  essere  dunque  decise
richiamando le motivazioni delle sentenze di questa Corte - n.  65  e
n. 141 del 2016 - che quei ricorsi hanno definito. 
    Quanto, in particolare, alla  mancanza  di  proporzionalita'  dei
«tagli»,  al  loro  asserito  carattere  «meramente  lineare»  e   al
lamentato difetto di istruttoria in  ordine  ai  risparmi  conseguiti
dalle Regioni gia' considerate virtuose, nelle sentenze n.  65  e  n.
141 del 2016 questa Corte ha  gia'  affermato  -  con  argomentazioni
riferite ad una disciplina legislativa del  tutto  analoga  a  quella
scrutinata in questa sede - che le disposizioni allora impugnate  non
impongono di effettuare riduzioni di identica dimensione in  tutti  i
settori di spesa,  ma  semplicemente  richiedono  di  intervenire  in
ciascuno di questi, limitandosi ad individuare un importo complessivo
di risparmio, lasciando in primo luogo  alle  Regioni  il  potere  di
decidere l'entita' dell'intervento in ogni singolo ambito. 
    Non  e'  affatto  escluso,  dunque,  che  la  riduzione   avvenga
prevedendo risparmi maggiori proprio nei settori in cui la spesa  sia
risultata improduttiva, eventualmente evitando di coinvolgere in modo
rilevante, e nella medesima misura, gli ambiti in cui la spesa si sia
rivelata, al contrario, efficiente.  Risulta  in  tal  modo  smentito
l'asserito  carattere   irragionevole   dell'intervento   legislativo
statale. 
    Quanto  al  preteso  contrasto  con  l'art.  119  Cost.,  occorre
riaffermare che non e' contestabile il potere del legislatore statale
di  imporre  agli  enti  autonomi,  per  ragioni   di   coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli
obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, vincoli alle
politiche di bilancio, anche se questi si traducano, inevitabilmente,
in limitazioni indirette all'autonomia di spesa. Di  conseguenza,  la
funzione di coordinamento  finanziario  prevale  su  tutte  le  altre
competenze   regionali,   anche   residuali,   risultando   legittima
l'incidenza dei principi statali di coordinamento, sia sull'autonomia
di spesa delle Regioni, sia su  ogni  tipo  di  potesta'  legislativa
regionale. 
    Quanto al presunto «scollamento» tra il livello di  finanziamento
del fondo sanitario, «pesantemente ridotto», e la determinazione  dei
LEA, «evidentemente sottostimati» da parte dello Stato, e' il caso di
notare che le argomentazioni a sostegno della presunta  inadeguatezza
della stima dell'impatto finanziario dei nuovi LEA (oggi definiti dal
d.P.C.m. 12 gennaio 2017, recante «Definizione  e  aggiornamento  dei
livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502») non  spiegano  in  che
modo  il  meccanismo  normativo  oggetto  di  scrutinio  aggravi   la
lamentata situazione di insufficienza di risorse per il finanziamento
del fondo sanitario, essendo rimesso proprio alle Regioni il  compito
di individuare gli ambiti di  spesa  sui  quali  operare  i  risparmi
imposti dallo Stato. 
    In ordine al mancato coinvolgimento della  Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica, ai  sensi  dell'art.  5,
comma 1, della legge n. 42  del  2009  e  dell'art.  33  del  decreto
legislativo  6  maggio  2011,  n.  68  (Disposizioni  in  materia  di
autonomia di entrata  delle  regioni  a  statuto  ordinario  e  delle
province, nonche'  di  determinazione  dei  costi  e  dei  fabbisogni
standard nel  settore  sanitario),  e'  qui  da  ricordare  che,  pur
dovendosi   riconoscere   l'inevitabile   incidenza    sull'autonomia
finanziaria delle Regioni dell'obbligo ad esse imposto di  concorrere
alla  finanza  pubblica,  e'  necessario,   ma   anche   sufficiente,
«contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze e
la  garanzia  delle  funzioni  costituzionalmente  attribuite»   alle
autonomie (sentenza n.  139  del  2012),  garantendo  il  loro  pieno
coinvolgimento (sentenza n. 88 del 2014). E, come pure gia'  rilevato
da questa Corte (sentenza n. 65 del  2016),  tale  coinvolgimento  e'
assicurato da disposizioni, come quelle censurate,  che  riconoscono,
nella fase iniziale, un potere di determinazione autonoma,  da  parte
delle Regioni, in ordine alla modulazione delle necessarie  riduzioni
nei diversi ambiti di spesa (sentenza n. 141 del 2016). 
    In relazione alle doglianze concernenti  la  previsione  del  PIL
regionale  come  criterio  di   riparto   in   caso   di   intervento
"sostitutivo" statale, nella sentenza n. 141 del 2016 questa Corte ha
gia' escluso che esso realizzi un effetto perequativo,  in  contrasto
con i requisiti fissati dal terzo e dal quinto  comma  dell'art.  119
Cost. La previsione mira  piuttosto  a  coinvolgere  tutti  gli  enti
nell'opera di risanamento, secondo criteri di "progressivita'"  dello
sforzo, proporzionati alla dimensione del PIL e della popolazione. 
    Per tutti questi profili, del resto, la  stessa  Regione  Veneto,
nella memoria illustrativa  depositata  in  prossimita'  dell'udienza
pubblica, ha  riconosciuto  che  occorre  «prendere  atto  di  quanto
affermato nella sentenza n. 141 del 2016». Ha, peraltro,  evidenziato
che all'auspicio, ivi contenuto, di tenere  conto  dei  costi  e  dei
fabbisogni standard regionali gia' in sede di autocoordinamento,  non
e' stato dato seguito nell'intesa raggiunta in data 11 febbraio 2016.
Si tratta qui, tuttavia, di particolari modalita' di applicazione  in
concreto di quanto previsto dalla  disposizione,  non  imputabili  ad
essa  e   che   non   possono   incidere   sulla   sua   legittimita'
costituzionale. 
    In ogni caso, quanto alla mancanza di un  esplicito  riferimento,
nella disposizione censurata, ai  costi  ed  ai  fabbisogni  standard
regionali, questa Corte, nella sentenza n.  141  del  2016,  ha  gia'
chiarito che tale carenza  non  impedisce  l'impiego  anche  di  tali
criteri per la distribuzione della riduzione di spesa:  anzi,  e'  da
ribadire che  proprio  la  necessaria  considerazione  delle  risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario  nazionale
ben puo' consentire alle Regioni, gia' in sede di  autocoordinamento,
ed eventualmente allo Stato, in sede di  intervento  sussidiario,  di
tenere conto dei costi e dei fabbisogni standard regionali,  in  modo
da onerare maggiormente  le  Regioni  caratterizzate  da  una  "spesa
inefficiente". 
    E'  opportuno  chiarire  -  alla  luce  di  quanto  in  contrario
sostenuto, in udienza pubblica, dalla difesa della Regione  Veneto  -
che non muta i termini della questione il  recente  d.l.  n.  50  del
2017. In realta', l'art. 24, comma  2,  lettere  a)  e  b),  di  tale
decreto-legge ha soppresso - a decorrere dall'anno 2018 -  i  periodi
dell'art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014,  come  convertito,  e
del  comma  680  dell'art.  1  della  legge  n.  208  del  2015,  che
prevedevano  appunto  l'intervento  sostitutivo  statale.   Esso   ha
contestualmente aggiunto due commi, il 534-bis e il 534-ter, all'art.
1 della legge n. 232 del 2016: il comma 534-ter, nel disciplinare  ex
novo  l'intervento  statale   sostitutivo,   in   caso   di   mancato
raggiungimento dell'intesa in Conferenza permanente  per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano,  si  e'  limitato  a  rendere  prioritaria  -  rispetto   al
riferimento al PIL ed alla popolazione residente - la  considerazione
dei fabbisogni  standard  come  approvati  ai  sensi  del  meccanismo
introdotto dal comma 534-bis. Da cio'  non  puo'  certamente  dedursi
l'impossibilita'  di  operare  analoga  valutazione  (pur  senza   la
priorita', prevista  come  necessaria  dal  2018)  anche  nel  regime
precedente. 
    4.6.2.- Rispetto alle decisioni assunte da questa  Corte  con  le
sentenze n. 141 e n. 65 del 2016, profili di novita' sono  rilevabili
nelle censure relative al comma 681 dell'art. 1 della  legge  n.  208
del 2016, anche  alla  luce  delle  argomentazioni  sviluppate  nella
memoria illustrativa depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica. 
    4.6.2.1.-  Secondo  la  Regione  Veneto,   in   particolare,   le
disposizioni   impugnate   travalicherebbero    la    funzione    del
«coordinamento» della finanza pubblica, concretizzandosi,  piuttosto,
in misure di indiscriminato «contenimento», risultando, pero',  prive
degli  indispensabili  elementi  di  razionalita',  proporzionalita',
efficacia  e  sostenibilita',  poiche',  data  l'entita'  «dei  tagli
attuati dal  Governo  sulla  spesa  regionale»,  sarebbe  stato  reso
impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite alla Regione. 
    Secondo la ricorrente, proprio la  rideterminazione,  al  ribasso
(rispetto alla cifra prevista, per il 2016, dalla legge  n.  190  del
2014), del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale,
starebbe a dimostrare l'insostenibilita' dell'ulteriore riduzione  di
risorse, a fronte del progressivo aumento della  «domanda  di  salute
legato  all'incremento  del  benessere  e  all'invecchiamento   della
popolazione». 
    A  riprova  dell'assunto,  la  Regione   Veneto   ha   depositato
documentazione attestante una «perdita  previsionale»  delle  aziende
del Servizio sanitario regionale pari a 566,8 milioni di euro per  il
2016, con conseguente necessita' di approvare un piano  straordinario
di revisione della  spesa,  contenente  azioni  correttive  volte  al
miglioramento dei risultati dei bilanci aziendali. Tra queste ultime,
la ricorrente individua, in particolare, la definizione di un  limite
di costo per il trattamento dell'epatite C cronica e  la  sospensione
della procedura di accreditamento  di  numerose  strutture  sanitarie
dedicate alle «cure intermedie»,  volte  a  garantire  assistenza  ai
pazienti colpiti da malattie non piu' trattabili in ospedale in  fase
acuta, ma non ancora affidabili all'assistenza domiciliare integrata,
entrambi obiettivi reputati strategici dalla Regione Veneto. 
    La censura non e' fondata. 
    Non sfugge affatto a questa Corte come, in astratto  considerati,
gli interventi finanziari statali, di cui qui si ragiona  in  termini
di competenze normative e  di  cifre,  possono  determinare  ricadute
sull'intensita' con la quale le Regioni concorrono ad  assicurare  la
garanzia di alcuni fondamentali diritti, quale  quello  alla  salute.
Proprio per questo, la giurisprudenza costituzionale ha  sottolineato
l'utilita'  della  determinazione,  da  parte  statale,  dei  livelli
essenziali delle prestazioni per  i  servizi  concernenti  i  diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto  il  territorio
nazionale. Tale  determinazione,  proprio  in  ambito  sanitario,  e'
avvenuta di recente con il d.P.C.m. 12 gennaio 2017, ed  essa  offre,
dunque,  alle  Regioni  un  significativo  criterio  di  orientamento
nell'individuazione degli obbiettivi  e  degli  ambiti  di  riduzione
delle risorse impiegate, segnalando altresi' il limite  al  di  sotto
del quale la  spesa  -  sempreche'  resa  efficiente  -  non  sarebbe
ulteriormente comprimibile (sentenza n. 65 del 2016). 
    Alla luce di questo presupposto, nel caso di  specie  la  Regione
Veneto non prospetta l'impossibilita' di  assicurare  un  livello  di
offerta delle prestazioni corrispondente ai LEA,  bensi'  difficolta'
nell'erogazione  di  specifiche  ed  ulteriori  prestazioni.  D'altro
canto, il contributo imposto alle  Regioni  ordinarie  determina  una
contrazione complessiva del livello della spesa,  ma  non  e'  e  non
potrebbe essere indirizzato ad incidere, in  dettaglio,  sui  singoli
ambiti di questa. Rimane percio' a ciascuna Regione  la  possibilita'
di allocare diversamente le risorse tra i vari campi  di  intervento,
allo  scopo  di  continuare  a   perseguire   obiettivi   considerati
strategici,  anche  nei  settori  che  la  ricorrente  esplicitamente
illustra. 
    4.6.2.2.-  Infine,  secondo  la  Regione  Veneto,  il  comma  681
dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015, nell'estendere  al  2019  il
contributo previsto dal comma 6 dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014,
come convertito, gia' applicato anche al 2018 dall'art. 1, comma 398,
lettera a), n. 2), della legge  n.  190  del  2014,  si  porrebbe  in
contrasto con specifiche affermazioni contenute nella sentenza n. 141
del 2016. 
    In tale pronuncia, nell'escludere l'illegittimita' costituzionale
della ricordata estensione  al  2018,  questa  Corte  ha  in  effetti
segnalato  come  «il  costante   ricorso   alla   tecnica   normativa
dell'estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre, mediante
aggiunta  di  un'ulteriore  annualita'   a   quelle   originariamente
previste,  finisce  per  porsi  in  contrasto  con  il  canone  della
transitorieta', se indefinitamente ripetuto». 
    Tale contrasto sarebbe  aggravato  dall'ulteriore  estensione  al
2020, operata dall'art. 1, comma 527, della legge n.  232  del  2016,
che pure la Regione Veneto ha autonomamente impugnato, con separato e
successivo   ricorso.   Anch'essa   manifesterebbe   l'intento    del
legislatore statale di incidere «a ripetizione»,  con  una  forma  di
«transitorieta' permanente», sulla capacita' di spesa delle  Regioni,
destinata in  particolare  a  soddisfare  «la  quota  prevalente  dei
servizi e dei diritti dello Stato sociale, tra cui principalmente  il
diritto alla salute», con conseguente violazione dell'art. 32 Cost. 
    La disposizione oggi impugnata  e'  entrata  in  vigore  in  data
anteriore al deposito della sentenza n.  141  del  2016,  sicche'  il
legislatore statale non poteva aver contezza  delle  affermazioni  in
quest'ultima contenute. 
    Cio' e' sufficiente per ritenere non fondata la questione,  cosi'
come promossa in ricorso e successivamente specificata nella  memoria
illustrativa. Ma e' necessario rinnovare l'invito al  legislatore  ad
evitare  iniziative  le  quali,  anziche'  «ridefinire  e   rinnovare
complessivamente, secondo le ordinarie scansioni temporali dei  cicli
di bilancio, il quadro delle relazioni finanziarie tra lo  Stato,  le
Regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti sopravvenuti  nella
situazione economica del Paese», si limitino ad estendere,  di  volta
in volta, l'ambito temporale di  precedenti  manovre,  sottraendo  di
fatto  al  confronto  parlamentare  la  valutazione   degli   effetti
complessivi di queste ultime.