ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013,  n.  149  (Abolizione  del
finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e  la
democraticita'  dei  partiti   e   disciplina   della   contribuzione
volontaria  e  della  contribuzione  indiretta   in   loro   favore),
convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014,  n.  13,
promosso dalla  Commissione  tributaria  provinciale  di  Biella  nel
procedimento vertente tra R. S. e l'Agenzia delle Entrate - direzione
provinciale di Biella, con ordinanza del 24 settembre 2015,  iscritta
al n. 51 del registro ordinanze  2016  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 11,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2016. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  R.  S.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nella udienza pubblica  del  24  ottobre  2017  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Francesco Saverio Marini per R. S. e  l'avvocato
dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei
ministri. 
    Ritenuto che con ordinanza del 24 settembre 2015, iscritta al  n.
51 del registro ordinanze 2016, la Commissione tributaria provinciale
di Biella  ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 11, comma 4-bis, del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149
(Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni  per  la
trasparenza e  la  democraticita'  dei  partiti  e  disciplina  della
contribuzione volontaria e  della  contribuzione  indiretta  in  loro
favore), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014,
n. 13; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso  da
R. S. con l'impugnazione di quattro avvisi di  accertamento  relativi
agli anni dal 2008 al 2011, con i quali  l'Agenzia  delle  entrate  -
direzione provinciale di Biella ha negato la detraibilita',  ai  fini
dell'imposta sul reddito delle  persone  fisiche,  di  erogazioni  in
denaro compiute dal ricorrente,  negli  stessi  anni,  a  favore  del
partito Lega Nord; 
    che gli accertamenti tributari  si  fondano  sulla  mancanza  del
carattere «liberale» delle erogazioni previsto  dall'art.  15,  comma
1-bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del
testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito: TUIR), in  quanto
le stesse erogazioni  sarebbero  il  corrispettivo  del  «"patto"  di
candidatura stipulato dal ricorrente per  l'inserimento  nelle  liste
dei candidati alle elezioni di quel partito politico»; 
    che, ad avviso dell'amministrazione finanziaria,  ai  fini  della
detrazione le erogazioni in denaro  ai  partiti  politici  dovrebbero
invece essere effettuate senza alcuna controprestazione e nemmeno  in
adempimento di un obbligo morale o sociale; 
    che R. S. ha tuttavia invocato la previsione dell'art. 11,  comma
4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, nel testo inserito  dalla  legge  di
conversione, secondo il quale «[a] partire dall'anno di imposta  2007
le erogazioni in denaro effettuate  a  favore  di  partiti  politici,
esclusivamente tramite bonifico  bancario  o  postale  e  tracciabili
secondo  la  vigente  normativa  antiriciclaggio,   devono   comunque
considerarsi detraibili ai sensi dell'articolo 15, comma  1-bis,  del
testo unico di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre 1986, n. 917»; 
    che il  giudice  a  quo,  premesse  alcune  considerazioni  sulle
finalita'  a  suo  avviso  perseguite  dai  promotori   della   norma
censurata, ne evidenzia il carattere retroattivo, in quanto  operante
a ritroso fino all'anno d'imposta 2007, in modo da comprendere  anche
gli accertamenti impugnati nel processo principale, e osserva che non
potrebbe essere accolta l'interpretazione proposta dall'Agenzia delle
entrate,  secondo  la  quale  l'espressione  «[...]  devono  comunque
considerarsi detraibili [...]»  andrebbe  intesa  nel  senso  che  la
detrazione  spetta  solo  se  sono  osservati  i  requisiti  previsti
dall'art. 15, comma 1-bis, del TUIR, compreso il carattere «liberale»
delle erogazioni, poiche' tale interpretazione forzerebbe la  lettera
della disposizione, in  quanto  l'avverbio  «comunque»  non  potrebbe
avere altro significato se non quello di ammettere in  ogni  caso  la
detraibilita' delle erogazioni in esame; 
    che l'art. 11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del  2013  violerebbe
in primo luogo l'art. 3 della Costituzione, per lesione del principio
di ragionevolezza; 
    che, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  il  legislatore  potrebbe
liberamente compiere scelte discrezionali diverse da  sue  precedenti
determinazioni, ma tali «digressioni dalla  propria  ordinaria  linea
politica»  dovrebbero  essere  adeguatamente   giustificate   e   non
risolversi   in   decisioni   arbitrarie,   sicche'   le   precedenti
determinazioni del legislatore nella stessa  materia  costituirebbero
uno strumento di valutazione della ragionevolezza della norma che  da
esse si discosti; 
    che, sotto questo  profilo,  l'irragionevolezza  deriverebbe  dal
sensibile contrasto della norma censurata «con il panorama  normativo
delle politiche legislative in atto e  quindi  con  il  principio  di
coerenza»,  in  quanto  essa  collocherebbe   la   previsione   sulla
detraibilita' fiscale delle erogazioni in denaro ai partiti  politici
al di fuori della sedes materiae propria delle detrazioni  d'imposta,
costituita dall'art. 15  del  TUIR,  e  consentirebbe  la  detrazione
fiscale delle erogazioni in denaro  a  favore  dei  partiti  politici
prive del carattere della liberalita', a differenza di quanto  l'art.
15 del TUIR prevede  al  comma  1,  lettere  i),  i-ter),  i-quater),
i-octies) e i-novies) per le altre erogazioni in  denaro,  detraibili
solo se connotate da tale carattere; 
    che la norma censurata sarebbe irragionevole,  sotto  un  diverso
profilo, per «contrasto con il divieto di abuso del diritto»  e  «con
il divieto dell'eccesso di  potere  legislativo,  nella  forma  dello
sviamento di potere», in quanto essa perseguirebbe il  solo  fine  di
sanare  retroattivamente  le  illegittime  detrazioni  di  cui  hanno
beneficiato alcuni esponenti del partito politico della Lega Nord,  e
sarebbe  pertanto  «ispirata   unicamente   da   intenti   personali,
riguardanti una ristretta cerchia di individui»; 
    che l'art. 3 Cost. sarebbe violato, secondo il rimettente,  anche
per lesione del principio di eguaglianza, in  quanto  il  legislatore
avrebbe introdotto, a favore di una singola categoria  di  cittadini,
una deroga alla regola generale sulla detraibilita' delle  erogazioni
liberali, in mancanza di un interesse costituzionalmente protetto; 
    che sussisterebbe, altresi', il contrasto con  l'art.  24  Cost.,
per lesione del diritto di difesa della pubblica amministrazione,  in
quanto la norma censurata, nel considerare  «comunque»  di  carattere
liberale le erogazioni in denaro ai  partiti  politici,  stabilirebbe
una presunzione assoluta di detraibilita' delle stesse, se effettuate
con mezzi di pagamento tracciabili, impedendo cosi' all'Agenzia delle
entrate, nella sua qualita'  di  parte  del  procedimento  tributario
contenzioso, di provare che l'erogazione costituisce  in  realta'  il
corrispettivo di un patto di candidatura; 
    che vi sarebbe poi il contrasto con l'art. 53 Cost., per  lesione
del   principio   di   capacita'   contributiva,   essendo   impedito
all'amministrazione finanziaria di esercitare la potesta'  impositiva
su redditi beneficiari di detrazioni per liberalita' inesistenti; 
    che, infine, sarebbe violato l'art. 79 Cost., in quanto la  norma
censurata costituirebbe «una sostanziale amnistia» approvata senza le
prescritte maggioranze parlamentari; 
    che sulla rilevanza delle questioni il  rimettente  osserva  che,
qualora l'art. 11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del  2013  non  fosse
dichiarato illegittimo, il ricorso di R. S. dovrebbe  essere  accolto
con  annullamento  degli  avvisi  di   accertamento   impugnati,   in
applicazione della norma censurata; 
    che con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 aprile
2016 si e' costituito R.  S.,  parte  del  giudizio  a  quo,  che  ha
concluso per l'inammissibilita' o la non fondatezza delle questioni; 
    che l'inammissibilita' e' eccepita  sotto  plurimi  profili:  per
l'indeterminatezza  del  petitum,  per  la   contraddittorieta'   tra
quest'ultimo  e  la  motivazione  dell'ordinanza,  per  l'inidoneita'
dell'intervento richiesto alla Corte a raggiungere lo scopo auspicato
dal rimettente, per la sproporzione  e  la  contraddittorieta'  delle
conseguenze sul tessuto normativo  che  deriverebbero  dall'eventuale
accoglimento delle questioni, per il difetto di motivazione sulla non
manifesta infondatezza, per la natura politica delle censure e  delle
valutazioni  richieste  alla  Corte  e,  infine,   per   difetto   di
motivazione  sulla  rilevanza  delle  questioni   o   per   la   loro
formulazione in termini ipotetici; 
    che, nel merito, la parte evidenzia in primo  luogo  l'erroneita'
delle premesse dalle quali muove il giudice a  quo,  non  sussistendo
nell'ordinamento un obbligo di motivazione dell'atto legislativo, ne'
essendo il legislatore vincolato per il futuro da  precedenti  scelte
normative,  e  deduce  che  la  censura   di   irragionevolezza   per
l'improprieta' della sedes materiae nella quale la norma censurata e'
inserita - un decreto-legge anziche' il TUIR - sarebbe infondata  sia
per l'irrilevanza di un problema di forma dell'atto legislativo,  non
essendo invocato il parametro dell'art. 77 Cost., sia perche' il d.l.
n. 149 del 2013 costituisce l'atto organico di riforma del sistema di
finanziamento dei partiti, incentrato sulla contribuzione indiretta e
su quella volontaria fiscalmente  agevolata,  disciplinata  dall'art.
11; 
    che la disposizione non creerebbe un'ingiustificata e  incoerente
"deviazione" rispetto agli altri casi  di  detraibilita'  configurati
dall'art.  15  del  TUIR,  in  quanto,  in  assenza  di  un   vincolo
costituzionale a ritenere detraibili solo le somme erogate  a  titolo
di liberalita', l'ordinamento prevede ipotesi  di  detraibilita'  non
sorrette dall'animus donandi, ne' creerebbe una disparita'  priva  di
fondamento  costituzionale,   considerata   la   sua   finalita'   di
sostentamento dei partiti politici, che rivestono un ruolo essenziale
e determinante in ogni democrazia; 
    che non sussisterebbe neppure la violazione degli artt. 24, 53  e
79  Cost:  l'eliminazione  del  requisito  del   carattere   liberale
dell'erogazione, ai  fini  della  detraibilita'  fiscale,  priverebbe
l'amministrazione  finanziaria  dell'interesse   a   verificarne   la
sussistenza, sicche' non sarebbe configurabile la lesione del diritto
di difesa prospettata dal giudice a quo; la violazione  dell'art.  53
Cost. sarebbe esclusa per l'ampia  discrezionalita'  del  legislatore
nell'individuazione dei tributi, dei  relativi  presupposti  e  delle
aree oggettive e soggettive di esenzione; infine,  non  sussisterebbe
nemmeno  violazione  dell'art.  79  Cost.,  considerata   la   natura
tributaria e non penale della norma censurata, che  non  avrebbe  ne'
forma ne' sostanza di un provvedimento di clemenza; 
    che con atto depositato nella cancelleria della Corte il 5 aprile
2016  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,  che  ha
concluso per l'inammissibilita' o  la  manifesta  infondatezza  delle
questioni; 
    che, quanto alla pretesa irragionevolezza della norma  censurata,
l'interveniente osserva che al sistema delle imposte dirette non sono
estranee disposizioni che riconoscono la detraibilita'  anche  al  di
fuori delle erogazioni  liberali  di  varie  spese  e  che  la  norma
censurata  troverebbe   la   sua   non   irragionevole   collocazione
all'interno di un provvedimento (il d.l. n. 149 del 2013) finalizzato
all'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti politici
e alla sua sostituzione con agevolazioni fiscali per la contribuzione
volontaria dei cittadini, in un'ottica di trasparenza; 
    che,  ad   avviso   dell'Avvocatura,   le   questioni   sarebbero
manifestamente infondate anche in riferimento alle altre  censure  ex
artt. 3, 24, 53 e 79 Cost.; 
    che il primo periodo del comma 4-bis sarebbe rivolto  a  chiunque
voglia disporre erogazioni in denaro a favore dei  partiti  politici,
mentre il secondo periodo, introdotto dalla legge di stabilita' 2015,
precisa che tale prerogativa  spetta  «anche  ai  candidati  ed  agli
eletti alle cariche pubbliche», sicche' gli argomenti del  rimettente
sulla  violazione  del  principio  di   eguaglianza   non   sarebbero
condivisibili; 
    che, quanto alla lamentata violazione  dell'art.  24  Cost.,  non
sussisterebbe connessione logica tra le due disposizioni, mentre  gli
argomenti svolti dal giudice a quo sui parametri costituzionali della
capacita'  contributiva  e  dell'amnistia  e  dell'indulto  sarebbero
inconferenti rispetto alle questioni sollevate; 
    che il 3 ottobre 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato  una  memoria  illustrativa  nella   quale,   dopo   avere
ricostruito il quadro normativo della materia, deduce  che  il  primo
periodo del comma 4-bis, introdotto dalla legge  di  conversione  del
d.l.  n.  149  del  2013,  avrebbe  natura  di  «norma  di  carattere
transitorio»,  nel  senso  che  essa,  «con  riferimento  al  periodo
temporale immediatamente antecedente la riforma» (2007-2013), avrebbe
«modificato quello che altrimenti sarebbe stato il  regime  ordinario
della successione delle norme nel tempo», mentre il  secondo  periodo
dello stesso comma 4-bis, introdotto dall'art. 1,  comma  141,  della
legge n. 190 del 2014, avrebbe  a  sua  volta  natura  interpretativa
della disciplina a regime sul finanziamento dei partiti politici, nel
senso che il requisito della liberalita' delle  erogazioni,  previsto
dai commi 1 e 6 dell'art. 11 del d.l. n. 149 del  2013,  non  sarebbe
derogato e dovrebbe intendersi comunque sussistente,  ai  fini  della
detraibilita' fiscale, se  le  erogazioni  stesse  sono  conformi  ai
regolamenti o agli statuti dei partiti politici beneficiari; 
    che, cio' premesso,  le  questioni  sarebbero  inammissibili  per
difetto di rilevanza o di adeguata motivazione su di essa, in quanto,
se  i  contributi  versati  fossero  conformi  allo  statuto   o   ai
regolamenti  del  partito,  la   loro   detraibilita'   fiscale   non
deriverebbe dalla disposizione  derogatoria  introdotta  in  sede  di
conversione, su cui si incentrano i dubbi di costituzionalita', ma da
quella, non censurata, introdotta dalla legge n. 190 del 2014; 
    che le questioni sarebbero inammissibili, altresi', in quanto  il
rimettente  avrebbe  dovuto  esplorare  «[...]  la  possibilita'   di
escludere    l'applicazione     della     norma     sospettata     di
incostituzionalita'  in  eventuale  presenza  di  un  fatto   reato»,
costituito  dall'ipotizzato  pactum  sceleris  tra   l'autore   delle
elargizioni e il partito di appartenenza; 
    che, nel merito, la norma censurata  non  sarebbe  irragionevole,
considerata  la  natura   ampiamente   discrezionale   delle   scelte
legislative concernenti le progressive modalita' di attuazione  della
riforma, in un certo senso "anticipata", per  il  periodo  precedente
alla sua entrata in vigore, dalla disposizione derogatoria del  comma
4-bis; 
    che  l'interveniente  ribadisce,   inoltre,   le   ragioni   gia'
illustrate sulla ragionevolezza della collocazione della norma al  di
fuori del TUIR e sull'insussistenza della violazione degli artt.  24,
53 e 79 Cost. 
    Considerato che la Commissione tributaria provinciale  di  Biella
dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 11,  comma  4-bis,
del  decreto-legge  28  dicembre  2013,  n.   149   (Abolizione   del
finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e  la
democraticita'  dei  partiti   e   disciplina   della   contribuzione
volontaria  e  della  contribuzione  indiretta   in   loro   favore),
convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014,  n.  13,
secondo il quale «[a] partire dall'anno di imposta 2007 le erogazioni
in denaro effettuate a favore  di  partiti  politici,  esclusivamente
tramite bonifico bancario o postale e tracciabili secondo la  vigente
normativa antiriciclaggio, devono comunque considerarsi detraibili ai
sensi dell'articolo 15, comma  1-bis,  del  testo  unico  di  cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917»; 
    che le questioni sono sorte nel corso di un  giudizio  avente  ad
oggetto l'impugnazione di avvisi di accertamento relativi  agli  anni
dal 2008 al 2011, con i quali l'Agenzia  delle  entrate  -  direzione
provinciale  di  Biella  ha  negato   la   detraibilita',   ai   fini
dell'imposta sul reddito delle  persone  fisiche,  di  erogazioni  in
denaro compiute dal ricorrente,  negli  stessi  anni,  a  favore  del
partito di appartenenza; 
    che gli accertamenti tributari  si  fondano  sulla  mancanza  del
carattere «liberale» delle erogazioni, previsto dall'art.  15,  comma
1-bis, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del
testo unico delle imposte sui redditi» (di seguito: TUIR), in  quanto
esse sarebbero invece il corrispettivo del  «"patto"  di  candidatura
stipulato dal ricorrente per l'inserimento nelle liste dei  candidati
alle elezioni di quel partito politico»; 
    che il giudice a quo evidenzia il carattere retroattivo dell'art.
11, comma 4-bis, del d.l. n. 149 del 2013, nel testo  inserito  dalla
legge  di  conversione,  invocato   dal   ricorrente   nel   processo
principale, e osserva che non puo' essere  accolta  l'interpretazione
proposta dall'Agenzia delle entrate, secondo la  quale  l'espressione
«[...] devono comunque considerarsi detraibili [...]» andrebbe intesa
nel senso che la detrazione spetta solo se sono osservati i requisiti
previsti dall'art. 15, comma 1-bis, del TUIR, compreso  il  carattere
«liberale» delle erogazioni, poiche' tale interpretazione  forzerebbe
la lettera della norma, in quanto l'avverbio «comunque» non  potrebbe
avere altro significato se non quello di ammettere in  ogni  caso  la
detraibilita' delle erogazioni in esame; 
    che, ad avviso del rimettente, l'art. 11, comma 4-bis,  del  d.l.
n. 149 del 2013 violerebbe l'art. 3 della Costituzione,  per  lesione
dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza,  nonche'  gli  artt.
24, 53 e 79 Cost.; 
    che le questioni sarebbero rilevanti, poiche' qualora l'art.  11,
comma  4-bis,  del  d.l.  n.  149  del  2013  non  fosse   dichiarato
illegittimo, il ricorso del contribuente dovrebbe essere accolto,  in
applicazione della norma censurata; 
    che il  ricorrente  nel  processo  principale,  costituitosi  nel
giudizio  costituzionale,  ha   eccepito   l'inammissibilita'   delle
questioni sotto diversi profili, lamentando in  primo  luogo  che  il
giudice a quo  avrebbe  considerato  in  modo  incompleto  il  quadro
normativo, facendo esclusivo riferimento al primo periodo  del  comma
4-bis dell'art. 11, inserito dalla legge di conversione del  d.l.  n.
149 del 2013, e ignorando del tutto il secondo periodo  del  medesimo
comma, introdotto dall'art. 1, comma 141,  della  legge  23  dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di  stabilita'  2015)»,  a
tenore del quale «[l]e medesime erogazioni continuano a  considerarsi
detraibili ai sensi del citato articolo 15, comma  1-bis,  ovvero  ai
sensi del presente articolo, anche quando i relativi versamenti  sono
effettuati, anche in forma di donazione, dai candidati e dagli eletti
alle cariche pubbliche in conformita' a  previsioni  regolamentari  o
statutarie deliberate dai partiti o  movimenti  politici  beneficiari
delle erogazioni medesime»; 
    che tale circostanza inciderebbe sull'ammissibilita',  in  quanto
renderebbe indeterminato il petitum, impedendo di comprendere  se  il
giudice a quo chieda l'annullamento del solo primo  periodo  (l'unica
parte della disposizione citata  nell'ordinanza)  oppure  dell'intero
comma 4-bis (che nella versione attuale include il  secondo  periodo,
ignorato dal rimettente); 
    che, inoltre, qualora si ritenesse che il  petitum  sia  riferito
solo al primo periodo, difetterebbe  la  rilevanza  delle  questioni,
perche' la fattispecie oggetto  della  controversia  continuerebbe  a
essere regolata dal secondo periodo  del  comma  4-bis,  rendendo  il
petitum  inidoneo  a  ripianare   l'incostituzionalita'   nel   senso
prefigurato dal rimettente, mentre qualora nondimeno si  ritenesse  -
erroneamente - che il petitum sia riferito  all'intero  comma  4-bis,
sussisterebbe un'insanabile contraddizione tra il petitum stesso e la
motivazione, perche' a fronte di censure rivolte  a  una  sola  parte
della  disposizione   se   ne   chiederebbe   poi,   immotivatamente,
l'annullamento integrale; 
    che il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  nel
giudizio  costituzionale,  ha  sollevato  un'analoga   eccezione   di
inammissibilita', osservando che le questioni sarebbero inammissibili
per difetto di rilevanza o di adeguata motivazione  su  di  essa,  in
quanto, se i contributi versati fossero conformi allo  statuto  o  ai
regolamenti  del  partito,  la   loro   detraibilita'   fiscale   non
deriverebbe dalla disposizione  derogatoria  introdotta  in  sede  di
conversione, sulla quale si incentrano i dubbi di  costituzionalita',
ma da quella introdotta dalla legge n. 190 del 2014, non censurata; 
    che tali eccezioni sono fondate, nei sensi di seguito esposti; 
    che il rimettente mostra di non considerare l'intero comma 4-bis,
ma soltanto l'attuale primo periodo, in  quanto  non  solo  riproduce
esclusivamente  il  testo  di  quest'ultimo  nell'indicare  la  norma
censurata, ma non spende alcun argomento, nemmeno  per  implicito,  a
specifica censura della disposizione introdotta si'  successivamente,
ma pur sempre prima della pronuncia dell'ordinanza; 
    che il petitum non e', tuttavia, per tale ragione indeterminato o
ambiguo, poiche',  se  e'  vero  che  il  giudice  a  quo  chiede  un
intervento ablativo del comma 4-bis, senza specificare se  nella  sua
interezza o nei limiti del primo periodo,  dalla  lettura  coordinata
del dispositivo e della  motivazione  dell'ordinanza  si  desume  che
l'annullamento si dovrebbe  limitare  alla  sola  previsione  colpita
dalle censure di incostituzionalita', dunque  al  primo  periodo  del
comma 4-bis; 
    che, nondimeno,  al  fine  di  rendere  rilevante  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale della disposizione censurata, il  giudice
a quo avrebbe  dovuto  dare  conto  dell'esistenza,  quantomeno,  del
secondo periodo del comma 4-bis e  fornire  adeguata  motivazione  in
ordine alle ragioni per le quali  la  disciplina  in  esso  contenuta
sarebbe da ritenere, in ipotesi, inapplicabile  nel  caso  di  specie
(ordinanza n. 194 del 2014), nonostante il processo principale  verta
proprio sulla detraibilita' di erogazioni in denaro effettuate da  un
eletto nelle fila del partito beneficiario delle erogazioni medesime; 
    che  l'incompleta   ricostruzione   del   quadro   normativo   di
riferimento, dalla quale consegue l'indicata lacuna dell'ordinanza di
rimessione, incide sull'ammissibilita' delle questioni e ne  preclude
lo scrutinio nel merito (sentenze n. 27 del 2015, n. 251, n. 165  del
2014, n. 114 del 2013, n. 356 del 2010; ordinanze n. 194 del  2014  e
n. 276 del 2013).